Archivio: “Comunicazione online”

Riprendo dal sito: “Raccontare chi siamo, la nostra storia, e i risultati raggiunti dal Master in Social Media Marketing & Web Communication della Scuola di Comunicazione IULM di Milano: questi gli obiettivi dell’infografica che illustra le caratteristiche distintive del Master”

Master in Social Media Makerting & Web Communication dello IULM

Orgoglioso di essere parte del comitato scientifico di questo master (oltre che docente) sin dalla sua prima edizione, insieme ad un vero e proprio dream team di colleghi.

In genere non mi sbilancio a suggerire attività nelle quali sono coinvolto, ma lo faccio in questo caso perché, a distanza di anni, i ragazzi che ho indirizzato verso questo master sono rimasti tutti soddisfatti.


Social selling e la metafora dei partyVendere attraverso i social? Perché no, ma non come obiettivo primario ma come naturale effetto di una partecipazione coerente e ben organizzata: “social first, selling second”. Questo è in sintesi l’approccio che si suggerisce da tempo e su cui torna Martin Kihn, un analista di Gartner, con il post The Social Science of Social Selling.

Prendendo spunto dalle analisi di Gartner, vengono suggerite quattro implicazioni:

  1. People are more likely to buy (convert) if they’re already part of the community
  2. They’re more likely to join a community if they believe a friend or peer is already a member
  3. Anticipate that any sale will happen after a period (perhaps a long period) of simply getting comfortable with the community
  4. Communities need an identity — they can’t be generic

La metafora del party è quella da cui parte il post di Gartner:

Since we’re comparing digital life to a dance party — and why not? — by now it’s clear that most marketers know:

  • They need to attend the party (social presence)
  • It’s polite to respond when spoken to (community management)
  • It’s neighborly to invite people into conversation on topics they might find interesting (social marketing)

Questo mi permette di ricordare che ne scrissi anni fa identificando proprio nel blog (nel 2006 non c’erano ancora Facebook e Twitter) l’equivalente delle “feste in città”. Scrivevo una cosa del genere (ancora attuale per chi, rispetto ai social, è ancora ad una fase di studio):

Ok, care aziende, credo proprio che i passi da fare saranno:

  • informarsi sui party: chi li organizza, di che si parla e, molto importante, se e come si parla della propria azienda – tradotto: capire il fenomeno dei blog, seguire le discussioni, analizzare le citazioni sul proprio brand e sui prodotti dell’azienda
  • farsi invitare alle feste: iniziare a partecipare ai party più interessanti, conoscere i padroni di casa, ascoltare e conversare – tradotto: intervenire nei blog, commentare e rispondere
  • organizzare un party: guidare la festa, esporsi e ricevere regali, scegliere il tema della festa – tradotto: avviare un blog


Sembra proprio che una delle buzzword più in voga di questi tempi sia “content marketing”. Beh, meglio tardi che mai! (ne scrivevo e trattavo già 5 anni fa Occhiolino ). Ora pare che due terzi di un panel di 800 marketers internazionali (principalmente UK), metta il content marketing al primo posto tra le iniziative su cui incrementeranno il budget.

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iulmSegnalo volentieri che nell’ambito del Corso di Laurea Magistrale in Marketing, consumi e comunicazione organizzato dallo IULM c’è un bel modulo di indirizzo in Digital Marketing Management che mi vede tra i docenti.

Tra qualche giorno sarà pubblicato l’elenco completo dei docenti ma intanto posso anticipare qualche nome: Gianluca Diegoli, Alex Giordano, Nazzareno Gorni, Marco Massara, Mirko Pallera e naturalmente il Prof. Guido Di Fraia.


Le novità introdotte da Facebook riguardo le pagine aziendali sono molte e tutte di grande rilievo. Qui vorrei raccogliere alcune considerazioni sull’enfasi che la nuova impostazione pone sul valore temporale dei contenuti.

imageLa domanda è: se la forma cronologica ha un senso per i profili personali, è lo stesso per le pagine business? Se ad ogni individuo piace raccontare le sue storie del passato (e ascoltare quelle di altre persone), succede lo stesso anche per le vicende e i contenuti aziendali?

In fondo la comunicazione delle aziende è quasi sempre incentrata sull’attuale o sul futuro. Il passato è utilizzato quando si vanta una storia professionale di rilievo ma non è certo esibito in modo didascalico in una timeline, anche perché le vendite si fanno con informazioni e messaggi tipicamente legati al presente. Inoltre: quante sono le aziende che vorrebbero cancellare anche solo un pezzettino del loro passato? Che magari nel frattempo è stato già ben commentato sulla loro bacheca Facebook ed ora sarà più facilmente rintracciabile.

Ed i lettori? Che stimolo possono trovare nello scandagliare nei mesi trascorsi quello che le aziende hanno proposto loro?

La sfida è capire come il concetto di Timeline possa essere reinventato in chiave business. Di sicuro la nuova impostazione rende la pagina Facebook concettualmente ancora più interattiva perché auspica un rapporto più intimo col visitatore. È come quando due persone si incontrano e la relazione diviene più profonda se ci si racconta le storie reciproche. Il punto è poter esporre una storia che risulti interessante!

Un altro aspetto che trovo interessante riguarda l’apparente contraddizione di una tecnologia moderna che riordina e di conseguenza enfatizza il passato. Sappiamo come informazioni e contenuti sono prodotti, consumati e dimenticati sempre più velocemente; la Timeline (e ciò vale anche per i profili personali) ci aiuterà a dimenticare meno facilmente?

Di sicuro serve una progettazione creativa della Timeline per le aziende, non solo per ordinare il passato ma per ricordare che i contenuti prodotti oggi, ce li ritroveremo poi ordinati e rintracciabili cronologicamente.

Però attenzione, pare non si possa andare indietro oltre il 1800. Ok, ci accontentiamo dei 212 anni successivi.


Due news di fine maggio che trovo molto interessanti:

Nel primo caso, un grande editore potenzia la capacità di offrire ai suoi inserzionisti servizi digitali e creativi, aggiungendo lo sviluppo di app e video oltre a progetti social a tutto tondo. Il fatto che i publisher “si mettano a fare l’agenzia” è qualcosa di cui si dibatte da anni tra puristi e possibilisti. In epoca non sospetta (diciamo una decina di anni fa) quando Dada acquisì la maggioranza dell’agenzia che guidavo (Ad Maiora), ipotizzai un progetto per una factory creativa e di servizi per gli inserzionisti, in pratica, l’antesignano concetto dei “progetti speciali” di cui vivono molte concessionarie online. Probabilmente era prematuro e poi c’era l’accordo con RCS in vista, per cui il progetto sfumò.

Però ho sempre ritenuto intelligente che gli editori online non si riducano solo a vendere “banner al chilo” perché per sfruttare al meglio l’advertising online occorre una reale integrazione con i canali su cui si pianifica e nessuno meglio dei publisher li conosce e ne sa capitalizzare le caratteristiche.

Il caso di Tesco è pure interessante: la più grande catena di supermercati in UK (oltre 4.800 punti vendita) investe 60 milioni di dollari per acquisire un’azienda americana che si occupa di social marketing. L’obiettivo sembra orientarsi verso il social CRM, unendo attività di sviluppo del passaparola a quelle di social couponing per le quali l’acquisita Bzz Agent raggiunge già 800 mila persone. Tesco d’altronde deve recuperare terreno sul fronte social dove ad esempio Sainsbury’s con un decimo dei punti vendita rispetto a Tesco, ha la leadership per numero di fan su Facebook e follower su Twitter, distanziando i competitor in maniera significativa.

Qui la domanda è: quanto è produttivo internalizzare in toto le attività di un’agenzia che si occupa di social marketing? Per come la vedo io, restringendo l’azione su un mercato captive si rischia di limitare le capacità innovative e la velocità di reazione ai cambiamenti, che rimangono invece caratteristiche peculiari in questo ambito. Nel contempo, il deal Tesco/Bzz Agent dimostra che i tempi sono maturi per affrontare con convinzione i temi del social shopping e del social CRM.

Nel frattempo, buon business mashup a tutti!


Solito riepilogo dei libri letti negli ultimi mesi, che divido in due parti. Qui i primi quattro.

 Elogio del disordine di David WeinbergerParto con Elogio del disordine di David Weinberger, che è la versione italiana di Everything is miscellaneous uscito ormai più di tre anni fa e che avevo letto in versione originale. Lo trovo un libro fondamentale, tanto da divorare anche la versione italiana in pochi giorni. In pratica, un quadro completo su come contenuti e  informazioni sono e vanno gestite nell’era della digitalizzazione totale. Weinberger è razionale ma mai ovvio, aggiungendo qua e là un umorismo discreto ed elegante. Un libro che aiuta a mettere ordine nella comprensione dei nostri tempi i quali, rassegniamoci, saranno sempre più disordinati, almeno per quanto riguarda i contenuti e le informazioni.

Murketing. La rivoluzione del marketing ambiguoDi Rob Walker, un giornalista del The New York Times Magazine, ho letto Murketing, un buon libro che si avventura nella fluida evoluzione della relazione tra consumatori e brand. In un epoca di prodotti “abbastanza buoni” in cui la differenziazione tra loro è sempre più sfumata, non basta più puntare sul branding  costruito su basi valoriali artificiali o effimere. Occorre rivedere i fattori su cui si articolar la relazione col consumatore partendo da salienza e rilevanza, ossia dalla familiarità e dalla capacità di risultare (o essere percepito) come utile. Stimolante.

L'economia della conoscenza olte il capitalismo - Enrico GrazziniUn libro un po’ complicato ma interessante è L’economia della conoscenza oltre il capitalismo di Enrico Grazzini. Qui si descrive come, i cosiddetti “lavoratori della conoscenza”, stanno assumendo un ruolo strategico nel tessuto sociale ed economico.

A tratti un po’ utopistico sugli effetti dei cambiamenti descritti (almeno nel breve), il libro ben approfondisce molte delle situazioni che toccano le aziende, a partire dalla continua proliferazioni di ambienti collaboratovi tutti all’esterno delle organizzazioni (dai social network fino alle wiki), mentre la concorrenza – sia interna che esterna – ostacola ancora il potenziale collaborativo delle aziende e, più in generale, l’uso strategico della Rete.

Network effectA proposito di Rete, un bel libro multiautore è Network effect, curato da Lella Mazzoli dell’Università di Urbino “Carlo Bo”. L’argomento su cui vertono i brevi saggi degli autori, è il cambiamento che internet sta apportando alle nostre vite e ai nostri comportamenti. La parte di Giovanni Boccia Artieri (“SuperNetwork: quando le vite sono connesse”) vale da sola l’intero libro e riprende, tra l’altro, un concetto che ritengo fondamentale per la comunicazione in chiave di business, ossia il passaggio dall’idea di pubblico come audience a quella di pubblici connessi (networked publics).


Solito riepilogo dei libri letti negli ultimi mesi, che divido in due parti. Qui i primi quattro.

 Elogio del disordine di David WeinbergerParto con Elogio del disordine di David Weinberger, che è la versione italiana di Everything is miscellaneous uscito ormai più di tre anni fa e che avevo letto in versione originale. Lo trovo un libro fondamentale, tanto da divorare anche la versione italiana in pochi giorni. In pratica, un quadro completo su come contenuti e  informazioni sono e vanno gestite nell’era della digitalizzazione totale. Weinberger è razionale ma mai ovvio, aggiungendo qua e là un umorismo discreto ed elegante. Un libro che aiuta a mettere ordine nella comprensione dei nostri tempi i quali, rassegniamoci, saranno sempre più disordinati, almeno per quanto riguarda i contenuti e le informazioni.

Murketing. La rivoluzione del marketing ambiguoDi Rob Walker, un giornalista del The New York Times Magazine, ho letto Murketing, un buon libro che si avventura nella fluida evoluzione della relazione tra consumatori e brand. In un epoca di prodotti “abbastanza buoni” in cui la differenziazione tra loro è sempre più sfumata, non basta più puntare sul branding  costruito su basi valoriali artificiali o effimere. Occorre rivedere i fattori su cui si articolar la relazione col consumatore partendo da salienza e rilevanza, ossia dalla familiarità e dalla capacità di risultare (o essere percepito) come utile. Stimolante.

L'economia della conoscenza olte il capitalismo - Enrico GrazziniUn libro un po’ complicato ma interessante è L’economia della conoscenza oltre il capitalismo di Enrico Grazzini. Qui si descrive come, i cosiddetti “lavoratori della conoscenza”, stanno assumendo un ruolo strategico nel tessuto sociale ed economico.

A tratti un po’ utopistico sugli effetti dei cambiamenti descritti (almeno nel breve), il libro ben approfondisce molte delle situazioni che toccano le aziende, a partire dalla continua proliferazioni di ambienti collaboratovi tutti all’esterno delle organizzazioni (dai social network fino alle wiki), mentre la concorrenza – sia interna che esterna – ostacola ancora il potenziale collaborativo delle aziende e, più in generale, l’uso strategico della Rete.

Network effectA proposito di Rete, un bel libro multiautore è Network effect, curato da Lella Mazzoli dell’Università di Urbino “Carlo Bo”. L’argomento su cui vertono i brevi saggi degli autori, è il cambiamento che internet sta apportando alle nostre vite e ai nostri comportamenti. La parte di Giovanni Boccia Artieri (“SuperNetwork: quando le vite sono connesse”) vale da sola l’intero libro e riprende, tra l’altro, un concetto che ritengo fondamentale per la comunicazione in chiave di business, ossia il passaggio dall’idea di pubblico come audience a quella di pubblici connessi (networked publics).


Giustamente sollecitato da Riccardo, riprendo il discorso su IAB Forum. In effetti qualche cosa mi sono portato a casa dall’evento, su tutto i dieci statement di De Masi anche se alcuni dei trend che lui indica temo non si realizzeranno in modo compiuto (a partire dalla centralità dell’etica che, purtroppo e specie in questo Paese, la vedo cosa lontana).

Riguardo a IAB, come ho detto a Roberto Binaghi, spero che riescano a realizzare gli obiettivi prefissati, soprattutto riguardo alla formazione e all’education.

Chris Anderson è sembrato sfacciatamente un Apple man; giusta l’esaltazione dei tablet, ma è sembrato voler vendere questo concetto piuttosto che contestualizzarlo. Meglio Riccardo Luna il quale, anche a costo di sembrare Don Chisciotte, sta riuscendo a rompere qualche status quo.

Riguardo al mercato in generale, vendo una contraddizione: da una parte si vorrebbe considerare l’industria digitale nel suo complesso (ci proverà Enrico Gasperini con Audiweb e lo ha detto anche Diego Masi riguardo ai servizi di buzz marketing sui quali ora è coinvolto personalmente con Wikio); dall’altra quando si cerca di valutare i fatturati del settore, si scatenano posizioni inclusive o meno di player come Google o ora Facebook che aggiungono confusione al sistema.

Su questo, da sempre, ho un’idea chiara: è indispensabile valutare tutti i fatturati pubblicitari online, sia quelli delle concessionarie che dichiarano i dati, sia quelli delle organizzazioni che non lo fanno (o non lo possono fare per varie leggi anche di tipo sovranazionale). E’ così praticamente in tutto il mondo e solo in Italia ci nascondiamo dietro complessità formali che di fatto sottostimano il mercato. Di più. Ho sempre cercato in IAB di spingere verso una ricerca sull’intero comparto in termini di numero di addetti e di valutazione dell’intera filiera. L’osservatorio Accenture doveva servire a questo ma ho l’impressione che sia stato dirottato sull’elaborazione di metriche sulle audience e sui formati (seppure importanti), piuttosto che sul valutare il mercato digitale. Eppure dovrebbe saltare all’occhio che i 10 mila iscritti a IAB Forum (di cui 2/3 tipicamente operatori del settore) non possono far parte del solo comparto pubblicitario online; la stessa Accenture aveva mappato almeno una quindicina di tipologie di player che formano questo mercato. Ebbene io penso che misurarne complessivamente il peso economico sia strategico e probabilmente solo IAB., ad oggi, potrebbe farsene carico, sempre che voglia rappresentare il comparto nel suo insieme e non solo le principali concessionarie Occhiolino


Nel pomeriggio ho avuto il piacere di partecipare all’incontro “Is the Internet Changing People’s Engagement in Democracy?” tenutosi presso il Centro Studi Americano di Roma.

C’è stata prima una parte in cui Sam Graham-Felsen, il Chief Blogger della campagna elettorale del Presedente Obama, ha incontrato una decina di blogger tra i quali gli amici Mirko Pallera, Antonio Pavolini e Alessio Jacona (gli ultimi due catturati di spalle nella foto). La cosa che più o meno sapevo ma è stata confermata da Sam, è che la totalità dello staff di Obama dedicato alla Rete non aveva esperienza in campagne elettorali. Anzi, che una delle sfide che hanno vinto (probabilmente proprio per la composizione dello staff), è stata quella di coinvolgere moltissimi giovani che invece sono notoriamente “contro” l’establishment.

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Altri aspetti sottolineati sono la grande produttività dell’email come strumento di relazione e mobilitazione e la strategia fortemente orientata allo storytelling. Il mobile sarà uno dei trend che verrà cavalcato in chiave di geolocalizzazione, fino ad arrivare ad un’app che segnala le case a cui andare a bussare per fare proselitismo perché abitate da potenziali interessati.

Io ho posto una domanda riprendendo quanto affermato il giorno prima proprio al Centro Studi Americano dall’ambasciatore David Thorne, ossia che la sconfitta nelle elezioni del Mid-term è in parte dovuta al fatto che i Repubblicani stanno cavalcando anch’essi l’utilizzo spinto di internet e dei social media. Secondo Sam Graham-Felsen è senz’altro vero che la Palin & company hanno messo anche loro la Rete nelle priorità di comunicazione, ma continuano a farlo in maniera autoreferenziale ed in modo unidirezionale. Nella mia domanda ho posto anche il problema della spinta polarizzante di internet che sembra tendere a rafforzare la divisione tra schieramenti piuttosto che sviluppare consapevolezza e reale confronto (proprio Thorne ricordava come il Tea Party ha più fan su Facebook di quanti ne abbiano il partito democratico e quello repubblicano messi insieme). La visione di Sam Graham-Felsen è decisamente ottimista: secondo lui nel lungo periodo le persone utilizzeranno internet in maniera più equilibrata, formando la propria opinione cercando la verità senza schierarsi in modo assoluto. Io non ho la sua stessa speranza ma lui ha 25 anni meno di me e quindi sta a lui avere profonda questa aspettativa.

Poi c’è stata la sessione pubblica a cui ha partecipato anche Beppe Severgnini, piacevole come sempre, a partire dal suo esordio che è stato quello di meravigliarsi retoricamente che non ci fosse in sala nessun esponente di un partito ad ascoltare Sam Graham-Felsen. Quello che Severgnini lamenta è la mancanza cronica di passione da parte dei politici nostrani che, secondo lui, trascina all’indifferenza molta della popolazione italiana; sicuramente quella oltre “il club dei 5 milioni” che ritiene essere la soglia delle persone in grado di formarsi un’opinione consapevole. Apprezzamento invece per IlPost.it di Sofri e, soprattutto, per il lavoro “importante sotto molti aspetti” del programma “Vieni via con me” su Rai3 che proprio attraverso i video online ha rotto la barriera dei 5 milioni suindicata.


Il secondo dei quattro webinar organizzati da Microsoft a cui collaboro, sarà dedicato alla Pubblica Amministrazione e si terrà martedì prossimo dalle 12 alle 13.30. Si potrà partecipare online gratuitamente iscrivendosi preventivamente.

Questo il programma e i relatori:

Benvenuto
Sabrina Corti, Enterprise Marketing Manager, Microsoft Italia

Esperienze, Suggerimenti e Spunti dal mondo privato
Mauro Lupi, Responsabile area Digital, Ammiro Partners

Testimonianza del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociale
Daniele Lunetta, Dirigente direzione generale per l’innovazione tecnologica

Le tecnologie di Microsoft per attirare, coinvolgere e fidelizzare il cliente online
Riccardo Ciarlo, Microsoft Solutions Specialist Digital Marketing Lead, Microsoft Italia Alberto Masini, Business development manager, Microsoft Italia

Dibattito moderato da Mauro Lupi, Responsabile area Digital, Ammiro Partners


Subito un disclaimer: questa iniziativa per Renault l’abbiamo ideata in Ammiro. Si tratta di un’azione di comunicazione a supporto del progetto Grande Prova che permette di provare uno dei modelli Renault per un giorno intero.

In pratica, siamo andati a raccogliere i commenti di chi ha provato le auto, sia attraverso gli SMS, sia chiamandoli al telefono e filmando il tutto. Il risultato è live da poche ore e si arricchirà di altri video nelle prossime settimane.

Quello che mi piaceva raccontarvi è il tipo di reazione da parte delle persone a cui abbiamo telefonato per farci raccontare la prova. Nella quasi totalità dei casi, abbiamo trovato persone disponibili, aperte, pronte a scherzare, insomma simpatiche. Peraltro con feedback positivi sull’esito della prova. Chiaramente abbiamo organizzato il tutto in modo da essere poco invadenti e per mettere a proprio agio le persone, ma la considerazione che ne ho tratto è la conferma che la relazione tra consumatori e brand quando è impostata sulla naturalezza e sull’ascolto funziona sempre.

Da dire: merito anche del dj che abbiamo coinvolto. Un caro amico col quale ho condiviso storie di radio alcune decadi fa.


Via Marketingpilgrim leggo SoDA, che non è una cosa da bere :) ma l’acronimo di Society of Digital Agencies che ha appena diffuso la ricerca 2010 Digital Marketing Outlook, la quale ha intervistato i manager agenzie di comunicazione di tutto il mondo riguardo ai trend in essere.

Sono 70 pagine di report piuttosto interessanti (di seguito un paio di chart); tra i commenti più interessanti ho estrapolato questo:

“Rather than spending another misguided year trying to “engineer” viral campaigns that will propagate themselves, regardless of consumer intentions, it’s time to refocus our marketing efforts to align with the way that people actually behave.” — Ivan Askwith, Big Spaceship

Insomma, meno progetti “famolo virale” e maggior impatto strategico delle attività legate al digitale. Interessanti anche le previsione di budget e priorità.

2010 Digital Marketing Outlook

2010 Digital Marketing Outlook


Mercoledì alla Confindustria di Bergamo ho aperto il convegno con una domanda cruda ma, purtroppo reale: “Internet non serve?”. Pare che il 54% delle aziende con un numero di addetti tra 10 e 49 e che attualmente non usa internet, la pensi proprio così.

Motivazioni del non utilizzo di internet

Poi, insieme a Federico Pedrocchi di Radio24, Matteo Hoepli, Massimo Fubini, Alessio Semoli e Alberto Mucignat, abbiamo cercato di dimostrare non solo quanto serva internet (a pare ancora incredibile dover ripeterlo ancora), ma in che modo le aziende possono utilizzarlo. Alla fine tutti d’accordo che momenti come questi non cambieranno le cose dal giorno alla notte, ma servono e sicuramente li andremo a replicare sul territorio.


Riemergo dai giorni post-IAB Forum, i quali, come di consueto, sono piuttosto intensi. Mi è sembrata un’edizione molto buona per i contenuti dei convegni istituzionali, mentre non sono riuscito a seguire neanche un workshop pomeridiano per cui aspetterò i feedback online e quelli che raccoglierà IAB.

Mauro Lupi - IAB Forum 2009 Intanto segnalo che già ci sono tutti gli atti online sul sito di IAB Forum, compresi i dieci minuti di apertura del sottoscritto in apertura del secondo giorno, in cui o fatto un breve riassunto dei temi della mattinata precedente.

Sono tanti gli spunti emersi. I dati presentati dallo speech di Layla Pavone e poi le testimonianze dei manager IAB internazionali (Randall Rothenberg di IAB US, Guy Phillipson di IAB UK e Alain Heureux di IAB Europe) non hanno potuto che confermare la rilevanza assoluta di internet nello scenario della comunicazione. Così come le varie tavole rotonde non hanno potuto che confermare la situazione stagnante che su questo fronte viviamo attualmente in Italia.

Per deformazione professionale (e anche un per un po’ di allergia alle logiche politiche), volevo bypassare il tema degli investimenti in ICT da parte delle istituzioni, e pescare invece un paio di chart dalla solita fucina di idee che arrivano da David Weinberger. Nel suo intervento, David ha semplicemente fotografato con lucida sintesi tanti dei discorsi che ci ritroviamo a fare su come le aziende debbano adattare struttura e marketing nell’era del Web 2.0. Ebbene, nelle due tavole qui sotto, riprendendo il classico “Market are Conversations” da Cluetrain Manifesto di cui fu coautore insieme a Doc Searls (nella foto), evidenzia non solo che “Not [all] Concersations are Markets” ma soprattutto che “Markets are also networks”. Evidenziando ciò, ha poi sottolineato come le aziende (rappresentate nel secondo grafico con il building in alto a sinistra), sono disallineate con i mercati sia per quanto riguarda la loro struttura (che tipicamente è piramidale e gerarchica), sia per ciò che concerne i propri interessi (che invece dovrebbero combaciare col network per potervi partecipare adeguatamente).

David Weinberger - IAB Forum 2009


Come anticipazione del prossimo IAB Forum (martedì e mercoledì prossimi a Milano), ho pubblicato il mio articolo sul pamphlet annuale dell’associazione. Mentre l’anno scorso avevo trattato di come la Rete sia lo strumento migliore per gestire il cambiamento nel rapporto azienda-consumatore, quest’anno sono tornato sul tema “Reparti aziendali e utilizzo di internet” su cui ragionavo qualche mese fa.

In questa occasione ho aggiornato uno schema che cerca di semplificare i principali utilizzi della Rete nelle aziende, soprattutto per quanto riguarda le relazioni con l’esterno. Naturalmente la sovrapposizione con i reparti aziendali è decisamente indicativo e ogni organizzazione deve necessariamente individuarne una propria. Ma è proprio questo l’esercizio che si cerca di auspicare, per non relegare internet a mero strumento tattico di pubblicità.

Qui di seguito riporto questo schema e in una pagina specifica l’intero articolo.
Ci si vede a IAB Forum!

IT: Internet Trasversale


Ma non era meglio un messaggio del tipo “Si è verificato un errore” e basta? No, durante una sessione sul sito di Edison Energia mi scrivono:

Impossibile completare questa operazione. Questa operazione è associata a un workflow interattivo che è già terminato e non può essere ripreso da questa operazione. Se lo scopo di questa operazione è lo spostamento su una vista, si dovrebbe essere in grado di raggiungere la stessa vista mediante il pulsante "Avanti/Indietro" del browser o del pannello Cronologia Siebel. Altrimenti, è necessario riavviare il flusso interattivo dll'inizio. Ad esempio, se l'operazione è un passo di una serie di attività dirette dall'utente, è necessario ricominciare dalla prima attività della serie.(SBL-BPR-00256)

Penso al programmatore che nel progettare questa applicazione ha pensato di dedicare del tempo a preparare messaggi così esplicativi…


Dopo tre post filati relativi ad altrettante ricerche di mercato riguardo internet, per l’imminente weekend ho pensato di pubblicare un articolo che ho scritto un paio di mesi fa per TakeOff, un magazine distribuito in una serie di aeroporti italiani.

L’occasione del pezzo era la ricorrenza del ventennale della nascita del web. Poi mi sono lasciato andare sul tema della salvaguardia della Rete: un ambiente che ormai appartiene a tutti noi e dobbiamo difendere da legislatori disinformati, corporation accentratrici, corporazioni antistoriche.

Non ho scritto della paura del cambiamento che frena oppure ostacola la diffusione di internet e che va sempre considerata quando si ragiona sullo sviluppo della Rete. Lo fa invece molto bene Sante con un appassionato post di qualche giorno fa.

Qui invece il mio articolo. Buon weekend.


Dopo tre post filati relativi ad altrettante ricerche di mercato riguardo internet, per l’imminente weekend ho pensato di pubblicare un articolo che ho scritto un paio di mesi fa per TakeOff, un magazine distribuito in una serie di aeroporti italiani.

L’occasione del pezzo era la ricorrenza del ventennale della nascita del web. Poi mi sono lasciato andare sul tema della salvaguardia della Rete: un ambiente che ormai appartiene a tutti noi e dobbiamo difendere da legislatori disinformati, corporation accentratrici, corporazioni antistoriche.

Non ho scritto della paura del cambiamento che frena oppure ostacola la diffusione di internet e che va sempre considerata quando si ragiona sullo sviluppo della Rete. Lo fa invece molto bene Sante con un appassionato post di qualche giorno fa.

Qui invece il mio articolo. Buon weekend.


Mirko Nesurini - Re-Brand. Come svegliare i brand che dormono Re-brand di Mirko Nesurini è dedicato ai brand che dormono, ossia quelle marche che sono uscite dal mercato ma ancora godono di notorietà per cui può valer la pena rilanciarle. Il libro ha una strana trattazione: a volte sembra un collage di post-it e appunti sulle numerose aziende citate. Lunga è infatti la carrellata di brand più o meno noti e di successo, dei quali si raccontano dati storiografici e di mercato senza però approfondire o commentare le strategie o i risultati. Interessante per i curiosi dei brand del passato.

Farsi Capire - Annamaria Testa Farsi capire di Annamaria Testa l’avevo acquistato leggendo un post di Luisa Carrada la quale, come al solito, ci prende sempre. Si tratta di un lavoro che approfondisce tutti i lati del comunicare tra le persone, con un approccio abbastanza rigoroso (nacque come base per un corso universitario) che sfocia continuamente in divertenti e sorprendenti battute di un humor piacevolissimo. Esposizione elegante che si avvale di buffi personaggi per condire gli esempi pratici, i quali arrivano al momento giusto per sdrammatizzare i momenti di trattazione maggiormente elaborati.

Internet e i movimenti sociali - Franco Pignatti Internet e movimenti sociali è il testo della tesi di laurea di Franco Pignatti ed è un buon excursus riguardo l’utilizzo della Rete per le svariate forme di attivismo e di comunicazione di protesta. Il lavoro naturalmente fa ampio ricorso a citazioni e riprese di testi di riferimento (i lavori di Castells su tutti) ma poi entra nei dettagli con una trattazione equilibrata e analitica di alcuni dei fenomeni più rilevanti sull’argomento degli ultimi anni.


La chiama “Listening economy” Tom Smith nella sue interessanti chart segnalate anche sul blog di IAB. Deriva dal fatto che la Rete, se è vero che permette ad un numero sempre più rilevante di individui di esprimere le proprie opinioni, genera di conseguenza un patrimonio informativo che è utilissimo osservare e analizzare. Peraltro in modo non invasivo.

Tom Smith, peraltro, mi pare di aver capito che lavorava in Universal McCann occupandosi della ricerca periodica Wave Social Media Tracker, giunta ormai alla quarta edizione che è appena stata pubblicata e che potete sfogliare qui sotto oppure scaricare (PDF).


La chiama “Listening economy” Tom Smith nella sue interessanti chart segnalate anche sul blog di IAB. Deriva dal fatto che la Rete, se è vero che permette ad un numero sempre più rilevante di individui di esprimere le proprie opinioni, genera di conseguenza un patrimonio informativo che è utilissimo osservare e analizzare. Peraltro in modo non invasivo.

Tom Smith, peraltro, mi pare di aver capito che lavorava in Universal McCann occupandosi della ricerca periodica Wave Social Media Tracker, giunta ormai alla quarta edizione che è appena stata pubblicata e che potete sfogliare qui sotto oppure scaricare (PDF).


Ormai non si riesce più a definire cos’è un brand. Per anni si è detto (e si è studiato) che una marca è la somma dei valori associati ad un prodotto e interi reparti delle aziende sono impegnati quotidianamente (e con grandi risorse) su tutto quello che ruota attorno al branding: comunicazione, pubblicità, brand protection e così via.

Da qualche tempo ci si interroga invece su quanto i singoli individui (e quindi i destinatari, gli acquirenti e i fruitori delle marche), stiano prendendo possesso dei brand. Non solo li scelgono con maggiore consapevolezza, ma ne plasmano i significati (talvolta aggiungendo valore) insieme ad altre persone come loro.

Sta poi avvenendo un’altra cosa: i brand non sono più solo rappresentati da logotipi e altri elementi intangibili supportati da massicce campagne di comunicazione, ma attraverso le persone delle aziende proprietarie dei rispettivi brand. Questo trasforma la relazione che già si è fatta da tempo multi-touch point, ad una situazione “molti a molti”, in cui non sono occorre seguire i consumatori su mille canali e device, ma poi ci si relaziona direttamente con loro mediante molteplici soggetti aziendali. E se qualche dirigente inizia a “metterci la faccia”, peraltro in modo prudente e circoscritto, servono nuove membrane tra le imprese ed il mondo esterno, persone che siano in grado di rappresentare le organizzazioni in ambienti nuovi come, ad esempio, i social network e le community online.

C’è chi ha iniziato a osare,a sperimentare, a capire. Si possono seguire dei riferimenti ma non c’è una scuola o dei manualetti che ti spiegano come fare. Serve il feeling con le comunità, con i tool, con le nuove consuetudini delle relazioni via internet. Alcune aziende sono spaventate, temono che succeda un pandemonio a lasciare parte del controllo a singoli individui (seppur collaboratori interni). Puntualmente, si scopre invece che la relazione tra individui è quella che preferiamo, anche quando abbiamo a che fare con persone con un cappello aziendale, ma che rappresentano l’azienda con una faccia e non da dietro a un asettico brand. Questa divertente discussione su Friendfeed di qualche giorno fa, fotografa bene la situazione.


Raggruppo alcune segnalazioni di questi giorni:

  • Giampaolo mi ha inviato l’interessante “Rapporto su privacy e permission marketing in Italia”, un sondaggio realizzato da Human Highway per conto di Mag-News/Diennea. La ricerca cerca di capire l’atteggiamento degli utenti internet italiani rispetto alla concessione dei propri dati personali. Tra le informazioni che emergono dall’analisi, ho trovato utile l’esame dei campi dei moduli online che scoraggiano maggiormente la loro compilazione. Il rapporto, pubblicato con licenza Creative Commons, è scaricabile qui.
  • Riccardo mi segnala invece che lo scorso 12 giugno è stato proclamato il primo laureato dell’Università e-Campus, l’ateneo on line che ha sede a Novedrate e che da luglio aprirà una sede anche a Roma. Sul blog di Cepu(disclaimer: Cepu è nostro cliente) la il commento del neo dottore.
  • Perfetta la testimonianza di Davide dell’uso di Twitter da parte delle aziende, attraverso due casi che ha vissuto direttamente in questi giorni.


Sta succedendo. Internet collega persone e cose da oltre 15 anni, ma ormai non è più solo comunicazione: è un flusso continuo di dati e informazioni. È un contenitore di materiale vivo, che si trasforma, che si adatta e che modifica il suo stesso contenitore. Twit, feed, stream, post: atomi di contenuti incrociati senza governo.

Prendo nota di qualche punto di luce, recente o meno, in questo magma di segnali sparsi tipici dei nostri tempi liquidi:

  • “Streams vs. pages” sottolinea il lungo articolo di John Borthwick (via Stefano Quintarelli): media chiaramente non finiti, in costante evoluzione.
  • “Epoca della sovrascrittura”, come la definì Gianluca Nicoletti in un convegno lo scorso anno, in cui i contenuti si sovrappongono l’un l’altro, fino a sviluppare mashup che si appropriano del concetto di arte (citofonare Maurizio Goetz che ne è un collezionista; l’ultimo? Beat it + Viva la Vida).
  • Sarà poi il turno di Google Wave: quando sarà disponibile, probabilmente contribuirà a scrivere la nuova geografia del real-time, come giustamente sottolinea Alberto D’Ottavi.
  • E le aziende? Beh, possono prendere spunto dalla strategia Foreverism, sintetizzata nel consueto accattivante modo dai consulenti di Trendwatching, sapendo comunque che non basta un account Twitter per entrare nell’era dei touch-point di nuova generazione.

Già nel 2003 Joe Ito riprendeva dal libro Beyond Culture (scritto nel