Ormai non si riesce più a definire cos’è un brand. Per anni si è detto (e si è studiato) che una marca è la somma dei valori associati ad un prodotto e interi reparti delle aziende sono impegnati quotidianamente (e con grandi risorse) su tutto quello che ruota attorno al branding: comunicazione, pubblicità, brand protection e così via.

Da qualche tempo ci si interroga invece su quanto i singoli individui (e quindi i destinatari, gli acquirenti e i fruitori delle marche), stiano prendendo possesso dei brand. Non solo li scelgono con maggiore consapevolezza, ma ne plasmano i significati (talvolta aggiungendo valore) insieme ad altre persone come loro.

Sta poi avvenendo un’altra cosa: i brand non sono più solo rappresentati da logotipi e altri elementi intangibili supportati da massicce campagne di comunicazione, ma attraverso le persone delle aziende proprietarie dei rispettivi brand. Questo trasforma la relazione che già si è fatta da tempo multi-touch point, ad una situazione “molti a molti”, in cui non sono occorre seguire i consumatori su mille canali e device, ma poi ci si relaziona direttamente con loro mediante molteplici soggetti aziendali. E se qualche dirigente inizia a “metterci la faccia”, peraltro in modo prudente e circoscritto, servono nuove membrane tra le imprese ed il mondo esterno, persone che siano in grado di rappresentare le organizzazioni in ambienti nuovi come, ad esempio, i social network e le community online.

C’è chi ha iniziato a osare,a sperimentare, a capire. Si possono seguire dei riferimenti ma non c’è una scuola o dei manualetti che ti spiegano come fare. Serve il feeling con le comunità, con i tool, con le nuove consuetudini delle relazioni via internet. Alcune aziende sono spaventate, temono che succeda un pandemonio a lasciare parte del controllo a singoli individui (seppur collaboratori interni). Puntualmente, si scopre invece che la relazione tra individui è quella che preferiamo, anche quando abbiamo a che fare con persone con un cappello aziendale, ma che rappresentano l’azienda con una faccia e non da dietro a un asettico brand. Questa divertente discussione su Friendfeed di qualche giorno fa, fotografa bene la situazione.

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6 commenti per “Le facce dei brand”

Pui seguire questa conversazione mediante lo specifico feed rss.

  1. maxkava scrive:

    Mauro, non so se avessi seguito o meno questa riflessione… che, credo, si ‘sposa’ con la tua :-)
    http://www.maxkava.com/2009/06/to-twit-or-not-to-twit-considerazioni.html

  2. Mauro Lupi scrive:

    Ciao Massimo: si, si, l’avevo vista. In realtà mi hai in parte ispirato un aricolo che scrissi per Nòva sui blog aziendale come palestra aziendale per “fare social” e volevo citarti come caso di knowledge interno già pronto ma non ancora investito dell’opportuno ruolo. Poi ho preferito parlare delle aziende e non delle specifiche persone.

  3. maxkava scrive:

    :-)

  4. bragiu scrive:

    Per favore Mauro, mi fai un bigino stringato e me lo incornici su lastra di marmo? Vorrei spac—ehm regalarlo alla dirigenza :)

  5. Mauro Lupi scrive:

    Caro Bragiu, sai che poi il rischio è quello che un bel compendio venga accolto con un rassicurante “grazie, davvero molto interessante” e poi nascosto nella pila delle cose di cui non ci si occuperà mai più.
    Peraltro, come ho letto su FriendFeed nei gg scorsi (non ricordo da chi, sorry), se invece a porgere un tale lavoro fosse un avvocato, la differente reazione sarebbe come minimo: “grazie, quanto le devo?” ;-)

  6. Smeerch scrive:

    Grazie per la citazione del thread, Mauro.

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