Archivio: “gartner”

Hank Barnes di Gartner la chiama The Perils of Definitives and Generalizations, ossia la fine delle affermazioni assolute e generiche. Ma è solo un auspico, mentre in realtà la maggior parte dei messaggi che si incrociano, tendono a generalizzare, a fornire soluzioni complessive senza specificare un minimo di varianti.

The Perils of Definitives and Generalizations

Riguardo i temi che tratta questo blog e quindi il mondo digital, è un fenomeno che esiste da sempre. Si suggerisce una strategia, un canale social o un modello di comunicazione in senso assoluto, senza minimamente accennare che le aziende sono diverse per dimensione, settore, mercato di riferimento, ecc. e che nessun modello può essere valido per ciascuna.

A fronte di affermazioni assolute mi vengono sempre spontanee svariate domande. Servono per definire il contesto, identificare l’ambito di applicazione. Altrimenti servono a poco.

Ma non mi dilungo ancora: l’avevo già scritto tutto nel post

Basta generalizzare. Elogio al “Dipende!”Occhiolino


Le aziende in Europa continueranno ad aumentare il budget destinato al CRM. E’ quanto emerge dall’analisi di Gartner aggiornata a Febbraio di quest’anno.

Ricerca Gartner CRM

L’articolo di TechEconomy da cui ho appreso della news, riporta anche quella che risulta essere il principale ostacolo nella relazione verso i clienti, ossia:

La maggioranza schiacciante dei partecipanti ha citato la mancanza di una strategia complessiva di CRM chiaramente definita.

Siamo alle solite: “mancanza di strategia”. Ma è davvero così complicato? E’ un problema di leadership ed incapacità di prendere le decisioni, magari per colpa della lentezza con cui si muovono le organizzazioni?

Oppure è un problema oggettivo dovuto all’incertezza di un ambito, quello della relazione persone-aziende, drasticamente cambiato negli ultimi anni?

O magari è qualcos’altro ancora?


Social selling e la metafora dei partyVendere attraverso i social? Perché no, ma non come obiettivo primario ma come naturale effetto di una partecipazione coerente e ben organizzata: “social first, selling second”. Questo è in sintesi l’approccio che si suggerisce da tempo e su cui torna Martin Kihn, un analista di Gartner, con il post The Social Science of Social Selling.

Prendendo spunto dalle analisi di Gartner, vengono suggerite quattro implicazioni:

  1. People are more likely to buy (convert) if they’re already part of the community
  2. They’re more likely to join a community if they believe a friend or peer is already a member
  3. Anticipate that any sale will happen after a period (perhaps a long period) of simply getting comfortable with the community
  4. Communities need an identity — they can’t be generic

La metafora del party è quella da cui parte il post di Gartner:

Since we’re comparing digital life to a dance party — and why not? — by now it’s clear that most marketers know:

  • They need to attend the party (social presence)
  • It’s polite to respond when spoken to (community management)
  • It’s neighborly to invite people into conversation on topics they might find interesting (social marketing)

Questo mi permette di ricordare che ne scrissi anni fa identificando proprio nel blog (nel 2006 non c’erano ancora Facebook e Twitter) l’equivalente delle “feste in città”. Scrivevo una cosa del genere (ancora attuale per chi, rispetto ai social, è ancora ad una fase di studio):

Ok, care aziende, credo proprio che i passi da fare saranno:

  • informarsi sui party: chi li organizza, di che si parla e, molto importante, se e come si parla della propria azienda – tradotto: capire il fenomeno dei blog, seguire le discussioni, analizzare le citazioni sul proprio brand e sui prodotti dell’azienda
  • farsi invitare alle feste: iniziare a partecipare ai party più interessanti, conoscere i padroni di casa, ascoltare e conversare – tradotto: intervenire nei blog, commentare e rispondere
  • organizzare un party: guidare la festa, esporsi e ricevere regali, scegliere il tema della festa – tradotto: avviare un blog


Condivido il pensiero di Michael Maoz, un analista di Gartner, quando afferma:

Marketing has done a good job of seeing the power of Social Media, and ran fast to seize the initiative andengage customers in new ways. (…) And now something else is happening. As marketing engages more deeply with customers, you move beyond the ‘dating phase’ and sort of settle into a relationship. Who picks up the laundry, and did you take the dog to the vet?

Esperienza personale recente: ho passato il mio cellulare da un operatore (Vodafone) ad un altro (TIM). Ben fatta la procedura tutta online, ma la portabilità del numero non sembrava andata a buon fine. Beh, non sono riuscito a trovare un telefono, una mail, un indirizzo a cui chiedere cosa fare. Allora ho scritto ad uno dei canali di customer care che ha TIM su Twitter ed il giorno dopo la procedura è andata a buon fine.

Tutto a posto dunque? Ho qualche dubbio. Penso a chi non sa neanche cosa sia Twitter (dovrebbe essere a spanne il 90% della popolazione italiana); oppure a chi Twitter proprio non gli viene in mente dato che in nessuna parte dell’area “Assistenza Clienti” è segnalato.

Mi rendo conto che è complicato servire clienti sempre più informati, esigenti, influenti (e pure rompiscatole, a volte). Ma saper gestire bene il customer care non più che essere un asset strategico per chiunque. Occorre raccordare marketing e customer care, bisogna unificare le informazioni sul cliente e sviluppare piattaforme (tecnologiche e organizzative) di Social CRM. E poi, naturalmente, saper risolvere i problemi!

Chiudo ancora con Maoz che riporta un commento di un ipotetico utente:

“I told you that I was unhappy with your service on Twitter, but when I called in, or logged in, there was no knowledge of my Tweet. What’s up? Or, you saw my post on Facebook (or in a forum, or in a community), and you said how sorry you were, but the same problem is still there. What are you doing about it?”


Pensavo ad alcune delle affascinanti mappe che provano a rappresentare il mondo del digital marketing, ad esempio la Digital Marketing Transit Map realizzata da Gartner) oppure il Conversation Prims di Brian Solis da poco aggiornato.

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A me pare che ogni mappa che cerchi di rappresentare il complesso del digitale, diventi necessariamente (e inutilmente) complessa (il gioco di parole è voluto). La cosa appare ancora più evidente nelle edizioni aggiornate di questi schemi, che ogni anno aggiungono spicchi alle torte e nuove icone e logotipi; e alla fine: a cosa ci serve?

È più interessante semmai prendere spunto da queste rappresentazioni della complessità per affrontare il confronto fra il ruolo del CIO rispetto a quello del CMO, argomento sempre più attuale nelle aziende. Da leggere a proposito l’articolo su Forbes di un paio di giorni fa, ma anche le chart dello spassoso confronto tra Ray Wang e Esteban Kolsky al Social business Forum di quest’anno.