Archivio: “Cultura”

Sabato scorso ho avuto l’onore e di piacere di intervenire alla cerimonia di premiazione del Premio di Studio Giulia Maramotti organizzato dall’omonima fondazione e dal Soroptimist International.  Si tratta di un premio per i ragazzi di due istituti superiori di Reggio Emilia che quest’anno ha avuto come tema lo studio di due immagini vetrina per la nuova stagione Autunno Inverno 2010.

Premio-MaramottiUn’iniziativa che unisce elementi importanti: dalla stimolazione della creatività dei giovani ed il relativo riconoscimento, alla relazione (ormai straconsolidata) di una delle più belle aziende italiane, Max Mara, con il suo territorio.

Nell’articolo Giovani stilisti crescono si sottolinea giustamente sia l’allestimento dell’aula magna dell’Università, trasformata per una mattina in un atelier, sia l’intervento di Luigi Maramotti che ha esortato gli studenti a concentrarsi su impegno e creatività.

La prima testimonianza è stata quella di Laura Milani che ha raccontato la sua esperienza professionale, dallo studio legale in cui ha iniziato a lavorare fino all’attuale incarico in Facebook.

Anch’io ho riportato qualche esperienza professionale, partendo però da un fatto personale che ho raccontato per la prima volta in pubblico (con un po’ di imbarazzo, lo ammetto), ossia del mio casuale esordio come dj in radio che ha trasformato un sedicenne decisamente timido e riservato, in una persona più sicura e consapevole di poter coltivare le proprie passioni.

Parecchie le domande dagli studenti per me e per Laura, per poi arrivare al momento esaltante delle premiazioni dei ragazzi e delle insegnanti. Ho visto anche che il prossimo concorso riguarderà la relazione dei blog nel mondo fashion: insomma, lo sguardo è ben concentrato sul connubio tra capacità, creatività e attualità.

Notazione finale: è la prima volta che faccio un intervento con la presenza in sala di una traduttrice per non udenti. Una di quelle piccole cose che sono grandissime per i soggetti interessati.


Solito riepilogo dei libri letti negli ultimi mesi, che divido in due parti. Qui i primi quattro.

 Elogio del disordine di David WeinbergerParto con Elogio del disordine di David Weinberger, che è la versione italiana di Everything is miscellaneous uscito ormai più di tre anni fa e che avevo letto in versione originale. Lo trovo un libro fondamentale, tanto da divorare anche la versione italiana in pochi giorni. In pratica, un quadro completo su come contenuti e  informazioni sono e vanno gestite nell’era della digitalizzazione totale. Weinberger è razionale ma mai ovvio, aggiungendo qua e là un umorismo discreto ed elegante. Un libro che aiuta a mettere ordine nella comprensione dei nostri tempi i quali, rassegniamoci, saranno sempre più disordinati, almeno per quanto riguarda i contenuti e le informazioni.

Murketing. La rivoluzione del marketing ambiguoDi Rob Walker, un giornalista del The New York Times Magazine, ho letto Murketing, un buon libro che si avventura nella fluida evoluzione della relazione tra consumatori e brand. In un epoca di prodotti “abbastanza buoni” in cui la differenziazione tra loro è sempre più sfumata, non basta più puntare sul branding  costruito su basi valoriali artificiali o effimere. Occorre rivedere i fattori su cui si articolar la relazione col consumatore partendo da salienza e rilevanza, ossia dalla familiarità e dalla capacità di risultare (o essere percepito) come utile. Stimolante.

L'economia della conoscenza olte il capitalismo - Enrico GrazziniUn libro un po’ complicato ma interessante è L’economia della conoscenza oltre il capitalismo di Enrico Grazzini. Qui si descrive come, i cosiddetti “lavoratori della conoscenza”, stanno assumendo un ruolo strategico nel tessuto sociale ed economico.

A tratti un po’ utopistico sugli effetti dei cambiamenti descritti (almeno nel breve), il libro ben approfondisce molte delle situazioni che toccano le aziende, a partire dalla continua proliferazioni di ambienti collaboratovi tutti all’esterno delle organizzazioni (dai social network fino alle wiki), mentre la concorrenza – sia interna che esterna – ostacola ancora il potenziale collaborativo delle aziende e, più in generale, l’uso strategico della Rete.

Network effectA proposito di Rete, un bel libro multiautore è Network effect, curato da Lella Mazzoli dell’Università di Urbino “Carlo Bo”. L’argomento su cui vertono i brevi saggi degli autori, è il cambiamento che internet sta apportando alle nostre vite e ai nostri comportamenti. La parte di Giovanni Boccia Artieri (“SuperNetwork: quando le vite sono connesse”) vale da sola l’intero libro e riprende, tra l’altro, un concetto che ritengo fondamentale per la comunicazione in chiave di business, ossia il passaggio dall’idea di pubblico come audience a quella di pubblici connessi (networked publics).


Solito riepilogo dei libri letti negli ultimi mesi, che divido in due parti. Qui i primi quattro.

 Elogio del disordine di David WeinbergerParto con Elogio del disordine di David Weinberger, che è la versione italiana di Everything is miscellaneous uscito ormai più di tre anni fa e che avevo letto in versione originale. Lo trovo un libro fondamentale, tanto da divorare anche la versione italiana in pochi giorni. In pratica, un quadro completo su come contenuti e  informazioni sono e vanno gestite nell’era della digitalizzazione totale. Weinberger è razionale ma mai ovvio, aggiungendo qua e là un umorismo discreto ed elegante. Un libro che aiuta a mettere ordine nella comprensione dei nostri tempi i quali, rassegniamoci, saranno sempre più disordinati, almeno per quanto riguarda i contenuti e le informazioni.

Murketing. La rivoluzione del marketing ambiguoDi Rob Walker, un giornalista del The New York Times Magazine, ho letto Murketing, un buon libro che si avventura nella fluida evoluzione della relazione tra consumatori e brand. In un epoca di prodotti “abbastanza buoni” in cui la differenziazione tra loro è sempre più sfumata, non basta più puntare sul branding  costruito su basi valoriali artificiali o effimere. Occorre rivedere i fattori su cui si articolar la relazione col consumatore partendo da salienza e rilevanza, ossia dalla familiarità e dalla capacità di risultare (o essere percepito) come utile. Stimolante.

L'economia della conoscenza olte il capitalismo - Enrico GrazziniUn libro un po’ complicato ma interessante è L’economia della conoscenza oltre il capitalismo di Enrico Grazzini. Qui si descrive come, i cosiddetti “lavoratori della conoscenza”, stanno assumendo un ruolo strategico nel tessuto sociale ed economico.

A tratti un po’ utopistico sugli effetti dei cambiamenti descritti (almeno nel breve), il libro ben approfondisce molte delle situazioni che toccano le aziende, a partire dalla continua proliferazioni di ambienti collaboratovi tutti all’esterno delle organizzazioni (dai social network fino alle wiki), mentre la concorrenza – sia interna che esterna – ostacola ancora il potenziale collaborativo delle aziende e, più in generale, l’uso strategico della Rete.

Network effectA proposito di Rete, un bel libro multiautore è Network effect, curato da Lella Mazzoli dell’Università di Urbino “Carlo Bo”. L’argomento su cui vertono i brevi saggi degli autori, è il cambiamento che internet sta apportando alle nostre vite e ai nostri comportamenti. La parte di Giovanni Boccia Artieri (“SuperNetwork: quando le vite sono connesse”) vale da sola l’intero libro e riprende, tra l’altro, un concetto che ritengo fondamentale per la comunicazione in chiave di business, ossia il passaggio dall’idea di pubblico come audience a quella di pubblici connessi (networked publics).


Un anno che sta per finire un po’ così, con qualche cosa andata di traverso proprio sul finire. Meno male che ci sono un bel po’ di iniziative e progetti pronti per partire per un 2011 “come si deve”.

Quella che si dimostrata una certezza quest’anno è stata MIA, la newsletter del gruppo Ammiro (PDF 1,9 Mb) di cui è appena uscito l’ultimo numero dedicato al marketing della cultura (e un po’ anche alla cultura del marketing).

Tra i vari interventi, doveroso sottolineare quelli di Henry Jenkins e Jaron Lanier. Il grande Daniele Bologna, che di MIA ne è il curatore e coordinatore, mi ha fatto un bel regalo di Natale incastrando il mio articolo con Bruce Springsteen sullo sfondo: scusate ma proprio non resisto a postarla qua sotto (peraltro io a Babbo Natale ho chiesto il nuovo cofanetto del Boss…).

MIA Marketing Digital Advice by Ammiro


Stimolato da un’arguta riflessione di Andrea sulla formazione in azienda, volevo fare due ragionamenti su quali competenze professionali possono essere migliorate per affrontare in modo adeguato i tempi che corrono.

Anni fa si iniziò a distinguere tra l’insegnare il “sapere” e il “saper fare”, ove quest’ultimo risultava sempre più utile e richiesto. Tutt’oggi la formazione ha sempre più sbocchi operativi, perché determinate competenze si acquisiscono facilmente e velocemente sul campo piuttosto che su un manuale.

Tuttavia il “saper fare” non basta più. O meglio, forse non si riesce più a trasmettere tutto quello che ci sarebbe da fare. Scrive Andrea:

Mi sono chiesto cosa dovrebbe lasciarci di valido e duraturo un corso ben fatto. Probabilmente non una quantità più o meno consistente di informazioni ma un metodo per capire e analizzare lo scenario nel quale ci troviamo,il desiderio e l’interesse che ci spingeranno a restare sempre aggiornati e curiosi, la voglia e la caparbietà di trovare soluzioni non convenzionali che possano fare la differenza.

Secondo me la formazione oggi dovrebbe insegnare (anche) a “saper cambiare”, considerando aspetti che sono trasversali rispetto alle varie discipline ed aree di business. Qui ne lancio alcuni, ma la lista è senz’altro più ampia.

  • Velocità. Si tratta di imparare non solo a gestire il tempo in modo più efficiente e pragmatico (compreso il tempo fuori dal lavoro), ma di rivedere la definizione delle priorità e la capacità di adattarsi a mutamenti anche repentini.
  • Beta perenne. Molti dei cambiamenti che governiamo o nei quali siamo coinvolti, avvengono (ed è giusto così) senza un rigoroso piano strategico e operativo. Si prova, si misurano e analizzano i risultati, si perfeziona e poi si ri-misura e ri-analizza, e così via, in un loop che genera poche certezze nel lungo periodo, ma che va vissuto quasi alla giornata.
  • Technology servant. In quasi ogni ambito professionale, la tecnologia è diventata un elemento cruciale, abilitante, differenziale. Tuttavia, occorre inquadrarla in quanto strumento, “attrezzo del mestiere” e non come fine, considerando anche il fatto che l’unica certezza offerta dai tool e dagli strumenti tecnologici è che saranno superati da lì a pochi mesi.
  • Momentum. Saper cambiare, ok, ma quando è il momento giusto? Le tentazioni innovative ci arrivano da ogni parte, ma quali sono quelle che producono valore e quando è il momento giusto per applicarle o adottarle?

Naturalmente, è relativamente semplice capire quali sono i temi su cui potrebbe vertere un piano formativo moderno, più complicato è individuare chi è capace ad erogarlo.

L’occasione mi sembra buona per segnalare il recente IBM Global CEO Study proprio focalizzato sulla complessità del business moderno e su come valorizzarla, il cui Summary Report si apre evidenziando che:

La complessità è destinata ad aumentare e oltre la metà dei CEO dubita di essere in grado di gestirla.

per poi riassumere le linee d’azione che emergono dai 1541 CEO intervistati in questo modo:

image


Wiret Novembre 2009 Ho iniziato a leggere il numero 11.09 di Wired e il pezzo “I letterati di Twitter” è particolarmente interessante. L’argomento riguarda il dubbio che la tecnologia stia influendo negativamente sulla capacità di scrivere dei giovani, e viene discusso con Andrea Lunsford, docente alla Stanford University, che ha creato il progetto di ricerca “Study of Writing” per valutare il livello di prosa degli studenti.

Qui riporto alcuni passaggi dell’articolo italiano, mentre online ho trovato la la versione inglese completa.

La prima scoperta di Lunsford è stata il fatto che i giovani di oggi scrivono molto di più rispetto a una qualunque generazione loro precedente. Questo accade perché si socializza soprattutto online, e quasi sempre attraverso dei testi.

Il team di Lunsford ha scoperto che gli studenti erano particolarmente capaci in quello che in retorica si chiama “kairos”, ovvero nel valutare il tipo di pubblico e adattare il loro tono e la loro tecnica per far passare il concetto nel migliore dei modi.

Scrivere quasi sempre per un pubblico (cosa che praticamente nessuno della mia generazione faceva) dà ai giovani un senso diverso di quello che è buona scrittura.Nelle interviste, gli studenti definiscono la buona prosa come qualcosa che ha un effetto sul mondo.

Sono considerazioni importanti che sembrano sfatare molti luoghi comuni, e si incrociano con “A Writing Revolution” una stimolante analisi pubblicata su Seed (via Giuseppe), la quale analizza la quantità di “autori” dal 1400 in poi, considerando come “autori” coloro che hanno pubblicato un contenuto letto da almeno 100 persone. Considerando blog, Facebook e Twitter, la quantità di “creatori” di contenuti è aumentata enormemente (vedi grafico seguente).

A Writing Revolution 


Più di dieci anni fa qualcuno definì internet come la più grande biblioteca mai realizzata, in cui però qualcuno si è divertito a buttare giù tutti i libri dagli scaffali. L’affermazione continua a rappresentare abbastanza bene la Rete dei nostri giorni, considerando però che i concetti di “abbondanza” e “disordine” continuano ad amplificarsi. Riguardo alla quantità dei contenuti generati e disponibili online, è impressionante constatarne il trend esponenziale di crescita, dovuto anche al fatto che crescono gli autori, i formati, ed i canali di pubblicazione e distribuzione.

Mentre di fronte a questa dirompente cascata di nuovi contenuti non possiamo far altro che constatarne la portata, per quanto concerne il tema del “disordine” vanno indubbiamente registrati svariati strumenti che stanno evolvendosi per aiutare gli individui a gestire anche questa “biblioteca” in cui i libri non solo aumentano, ma sono sempre più sparpagliati.

Il tema del disordine digitale è da anni ben descritto e analizzato da David Weinberger, a partire dal suo libro Everything Is Miscellaneous. In un recente convegno a Venezia, ha suggerito di abbandonare il concetto di gerarchia e di fonti che offrono la risposta perfetta: meglio pensare ad una risposta “abbastanza buona”. Che poi è la chiave per plasmare il concetto di “trasparenza” che sulla Rete va a sostituire quello di “obiettività” dei media tradizionali.

Gianni Degli Antoni, in un articolo su Epolis, auspica una competenza per sopravvivere alla complessità del mondo d’oggi: “capire i nessi fra i frammenti che ci pervengono. La conoscenza sui nessi ci aiuterà a deframmentare ciò che i media frammentano”. Maurizio Goetz, ha ripreso il pensiero di Degli Antoni collegandolo all’interessante definizione dei “generalisti creativi”.

Il problema è che le competenze per districarsi in questa mole di informazioni e sollecitazioni, non le insegna nessuno e sono lasciate all’istinto, al buon senso o all’intuizione dei singoli. L’esperienza conta poco, anzi, il maggior disagio è in casa dei meno giovani semplicemente perché hanno più cose da disimparare.

L’unico modo per affrontare una situazione la quale, se giudicata con metriche del passato, possiamo tranquillamente definire “di perenne approssimazione”, è prenderne atto. Se oggi ci sorprendono le migliaia di commenti gergali sui social network, o il cambiamento pressoché costante dei risultati di ricerca di Google, oppure la facilità con la quale fenomeni “virali” nascono, esplodono e muoiono, ebbene possiamo solo rassegnarci al fatto che sono situazioni che potranno solo amplificarsi ulteriormente nel futuro.


Mirko Nesurini - Re-Brand. Come svegliare i brand che dormono Re-brand di Mirko Nesurini è dedicato ai brand che dormono, ossia quelle marche che sono uscite dal mercato ma ancora godono di notorietà per cui può valer la pena rilanciarle. Il libro ha una strana trattazione: a volte sembra un collage di post-it e appunti sulle numerose aziende citate. Lunga è infatti la carrellata di brand più o meno noti e di successo, dei quali si raccontano dati storiografici e di mercato senza però approfondire o commentare le strategie o i risultati. Interessante per i curiosi dei brand del passato.

Farsi Capire - Annamaria Testa Farsi capire di Annamaria Testa l’avevo acquistato leggendo un post di Luisa Carrada la quale, come al solito, ci prende sempre. Si tratta di un lavoro che approfondisce tutti i lati del comunicare tra le persone, con un approccio abbastanza rigoroso (nacque come base per un corso universitario) che sfocia continuamente in divertenti e sorprendenti battute di un humor piacevolissimo. Esposizione elegante che si avvale di buffi personaggi per condire gli esempi pratici, i quali arrivano al momento giusto per sdrammatizzare i momenti di trattazione maggiormente elaborati.

Internet e i movimenti sociali - Franco Pignatti Internet e movimenti sociali è il testo della tesi di laurea di Franco Pignatti ed è un buon excursus riguardo l’utilizzo della Rete per le svariate forme di attivismo e di comunicazione di protesta. Il lavoro naturalmente fa ampio ricorso a citazioni e riprese di testi di riferimento (i lavori di Castells su tutti) ma poi entra nei dettagli con una trattazione equilibrata e analitica di alcuni dei fenomeni più rilevanti sull’argomento degli ultimi anni.


È stata una bella sorpresa scoprire che uno dei temi degli esami di maturità riguarda i social network. Questa la traccia (via Mantellini):

Internet ed i social Network. Alla luce della recente evoluzione dei social network a livello mondiale, ripercorrere l’evoluzione sociologica dei sistemi di comunicazione di massa. Porre l’accento sul cambiamento formale e sostanziale nei rapporti interpersonali: il concetto di privacy mantiene il suo significato originale? E’ richiesto l’apporto di esempi concreti.

A voler essere pignoli, ritengo ci sia una contraddizione nella contestualizzazione che viene sollecitata, ossia quella dei “sistemi di comunicazione di massa”. Penso che i social network siano invece figli della comunicazione interpersonale, quindi semmai sono l’evoluzione delle feste di compleanno, delle bevute con gli amici, del passaparola verbale, ecc. piuttosto che dei mezzi di massa. O no?

La cosa comunque non mi sorprende: è lo stesso atteggiamento delle aziende che vorrebbero declinare gli spot radio e TV o le paginone sui giornali con una fan page su Facebook…


Ieri, dopo la conferenza stampa in cui è stato presentato Omnicom Expo, uno studente di Scienze della Comunicazione mi ha posto alcune domande. Ha chiesto dei temi del convegno IAB, e quindi sull’integrazione tra media tradizionali e internet, e poi ha virato sui temi che, mi è parso, gli interessassero (giustamente) di più: quali opportunità offre la Rete ai giovani dal punto di vista professionale?

Ho provato a difendere in qualche modo la necessità di una formazione accademica (anche IAB messo in piedi un Master assieme all’Università Cattolica di Milano), ma è evidente lo “stacco” che questi ragazzi si trovano a dover affrontare quando poi entrano in contatto con le aziende. E mi rendo conto non è del tutto confortante sapere che ormai “l’autoformazione” è una componente essenziale dalle parti della Rete

Professioni e internet è peraltro l’argomento di un’intervista che va in onda oggi su Radio24 (alle 13.50 e poi alle 22.05) in cui ho accennato ad alcune delle figure professionali che mi sembra godano di buone prospettive.

E sempre a proposito di formazione e giovani (molto giovani, in questo caso), ripropongo qua un video già segnalato da Stefano, in cui si esalta il punto di vista di alcuni studenti di dodici anni. I miei figli ormai sono quasi quindicenni, ma ritrovo nel video alcune delle loro tipiche istanze.


Un pomeriggio durante una chattata come se faceva allora (canali IRC, telnet e  file nella vaschetta di McLink), mi “scrive un amico di modem” eccitatissimo: Hey, stasera riusciamo a vedere una innovazione straordinaria, un software che cambierà il mondo, e via con altre espressioni che a me parvero esagerate.

La sera, in una pizzeria romana, eravamo in cinque o sei. Sto cercando di ricostruire chi ci fosse ma temo di confondere e allora non rischio :) comunque, il giro era quello delle BBS, di Peacelink, di Agorà.

Giocai qualche minuto con Mosaic.

Era godibilissimo partecipare all’entusiasmo e alla meraviglia delle persone che erano con me; ciò che ricordo con precisione fu il momento intenso in cui passammo dalla fase del “guarda quanto è cool questa cosa del link” alla riflessione: “ti rendi conto di cosa significherà questo sistema?”.

Grazie mille Mr. Bernes-Lee, grazie CERN, grazie a tutti quelli che hanno creato il più grande progetto distribuito e indipendente al mondo e grazie a tutti quelli che continuano a difenderlo e ad alimentarlo.


Da un comunicato stampa distribuito dai sempre professionali PRWeb, apprendo del progetto IdeasProject, un sito orientato a raccogliere i pensieri di alcune delle menti più in vista dei nostri tempi, ma aperto ai contribuiti di chiunque.

E così accanto a una Esther Dyson sempre sulla breccia, c’è Yochai Benkler (autore del bellissimo La ricchezza della Rete), gli immancabili Chris Anderson e Loic Le Meur, e diversi altri personaggi molto interessanti.

Un progetto da seguire.


Ho avuto il privilegio ed il piacere di collaborare all’impostazione di un executive master allo IULM dal titolo “Social media marketing & web communication. La comunicazione aziendale nel Web 2.0”.

Mi sembra uno dei primi corsi sull’argomento organizzati da una università che sia pensato per chi è già in azienda o comunque ha bisogno di contenuti operativi e casi concreti.

Seppure questo sia uno di quei momenti economici dove la formazione viene spesso sacrificata rispetto ad altre attività, questo master mi sembra un’ottima soluzione per quelle aziende che capiscono l’importanza di aggiornare il loro personale sui temi del social marketing e del web 2.0.

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Ho avuto il privilegio ed il piacere di collaborare all’impostazione di un executive master allo IULM dal titolo “Social media marketing & web communication. La comunicazione aziendale nel Web 2.0”.

Mi sembra uno dei primi corsi sull’argomento organizzati da una università che sia pensato per chi è già in azienda o comunque ha bisogno di contenuti operativi e casi concreti.

Seppure questo sia uno di quei momenti economici dove la formazione viene spesso sacrificata rispetto ad altre attività, questo master mi sembra un’ottima soluzione per quelle aziende che capiscono l’importanza di aggiornare il loro personale sui temi del social marketing e del web 2.0.

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Ho appena ricevuto una brutta notizia, la scomparsa di Armando Marchi che ho conosciuto nel suo ultimo incarico, ossia come responsabile del centro di formazione manageriale Barilla Lab col quale ho collaborato in diverse occasioni.

Pur avendo passato con lui solo poche ore, mi sento di dire due parole perché Armando era una di quelle persone che ti rapiscono, ti fanno “alzare il livello” qualsiasi sia l’oggetto della discussione. Ma sempre con un’eleganza ed una saggezza che non ti stancheresti mai di ascoltare, nella consapevolezza di avere a che fare con una persona speciale, una persona migliore.

Un piccolo aneddoto. La prima volta che ci presentarono, mangiammo qualcosa assieme alla mensa in Barilla, un paio di anni fa circa. Mi sa che nella discussione sulla comunicazione delle aziende, forse ripetei una volta di troppo il concetto che occorrerebbe considerare i consumatori in primis come persone. Armando, chiese scusa, disse di aspettarlo e tornò dopo un minuto. Mi porse un libricino con il logo Barilla in copertina e lo aprì nella pagina iniziale indicandomi una frase (vado a memoria): “Noi dobbiamo considerare tutti i consumatori come persone”. Si trattava di un documento riservato ai manager dell’azienda a cui la proprietà indicava il percorso strategico. Poi elegantemente mi suggerì di dare un’occhiata alla data del volumetto: 2003. Da una parte fui contento di affermare cose condivise in un’azienda di quello spessore, dall’altra mi resi conto (una volta di più) che i pensieri innovativi e avanguardisti girino nelle grandi aziende molto di  più di quanto si pensi.

Toccante il ricordo di Guido Barilla.

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La ricchezza della Rete - Yochai Benkler Credo sia uno dei lavori che hanno meglio studiato le trasformazioni dovute ad internet di questi anni. Il libro dimostra come la Rete stia influendo positivamente sulla politica e sull’economia, arrivando a evidenziare l’aumento della libertà di ciascuno di noi. Tomo da 600 pagine che risulta possente per il dettaglio dell’analisi, sempre confrontata con le diversi visioni di intellettuali e accademici.

In realtà l’ho letto da diversi mesi, ma mi  sono riservato un’oretta per riprendere alcuni passi che avevo annotato. Partiamo da uno spunto da tenere a mente quando si ragiona, ad esempio, sulle audience dei social network e dei blog.

“(…) nell’ambiente informazionale di rete, per raccogliere attenzione è necessario suscitare l’interesse di un gruppo di individui impegnati più di quanto non succeda nell’ambiente massmediatico, nel quale è preferibile sucitare l’interesse moderato di grandi numeri di persone poco coinvolte”

E sempre legato al tema dell’utente attivo:

“L’altro forte cambiamento causato dall’emergere della produzione sociale è quello nei gusti. (…) Le imprese dell’economia in rete producono strumenti progettati per scopi che vengono decisi e ottimizzati solo al momento dell’uso e che forniscono le piattaforme relazionali flessibili richieste da user attivi”.

Ripetuto lo slancio alla difesa della Rete e l’invito a vigilare sulle scelte politiche che la riguarderanno:

“Siamo nel mezzo di una trasformazione tecnologica, economica e organizzativa che ci consente di rinegoziare le condizioni di libertà, giustizia e produttività nella società dell’informazione. (…) Permettere ai vincitori di ieri di dettare le condizioni della condizione economica di domani sarebbe una scelta disastrosa.”

Molto interessante la risposta analitica all’obiezione di Babele, ossia alla logica per cui la Rete alimenterebbe delle concentrazioni di attenzione e di opinioni anziché stimolare diversi punti di vista. Benkler smonta questa visione attraverso svariate considerazioni . Ne riporto una:

“L’obiezione di Babele è confutata dal fatto che la gente tende ad aggregarsi attorno a scelte comuni. Non lo facciamo perché siamo soggetti a una manipolazione deliberata, ma semplicemente perchè sulla scelta di leggere o meno qualcosa ha un certo peso il fatto che altre persone abbiano letto oppure no la setssa cosa. (…) Inoltre, il profilo di clustering degli utenti nella Rete suggerisce che le persone non seguono il gregge: non legono tutto ciò che legge la maggioranza. Piuttosto, valutano per approssimazione quali preferenze abbiano maggiore probabilità di collimare con le loro”.

Riguardo all’emergere della sfera pubblica in Rete:

“Il costo per poter accedere al dibattito politico si è abbassato di vari ordini di grandezza rispetto a quello necessario a fare la stessa cosa nell’ambiente dei mass media. (…) Il cambiamento qualitativo è rappresentato dall’esperienza di essere speaker potenziali, invece che solo ascoltatori o elettori passivi. È legato alla percezione che gli individui hanno del loro ruolo all’interno della società e alla cultura di partecipazione che possono avere. (…) Cambia il modo di osservare ed elaborare gli eventi dell’esistenza: non siamo più obbligati a considerarli fatti strettamente privati, anzi possiamo farli diventare oggetto di comunicazione pubblica”.

Sulla consapevolezza delle persone in merito all’evoluzione del loro ruolo, Benkler analizza in dettaglio l’esempio Wikipedia evidenziando due dimensioni di questo fenomeno:

“La prima è il grado di autocoscienza realizzabile da una cultura aperta e basata su una capacità di discutere essa stessa più trasparente. La seconda è il grado di scrivibilità della cultura, cioè la misura in cui gli individui possono rimodellare per sé e per gli altri, l’insieme esistente di simboli.”

Ancora sul valore del ruolo attivo delle persone:

“Proprio come imparare a leggere la musica e a suonare uno strumento può fare di una persona un ascoltatore più raffinato, la diffusione della pratica di produrre artefatti culturali di ogni tipo permette gli individui di essere lettori, ascoltatori e spettatori migliori della cultura prodotta in modo professionale, oltre che di inserire il loro contributo in questo insieme culturale collettivo.”

Da ricordare infine l’introduzione al libro di Franco Carlini.

Ultima nota: ho scambiato recentemente un paio di email con Benkler nel tentativo di portarlo in Italia in occasione di Forum PA; questa volta non ce l’ho fatta ma ci riproverò, promesso.

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Everything is miscellaneous - David Weinberger Un libro da gustare poco alla volta, che parte lento e poi ti spara senza indugi gli elementi che stanno cambiando il mondo, almeno tutto quello legato all’informazione e alla comunicazione. La prima parte mi ha lasciato perplesso: per spiegare l’evoluzione di come ordiniamo le cose, Weinberger parte raccontando come rimette a posto le stoviglie dopo cena. Insomma, ci sono alcuni discorsi che girano un po’ su sé stessi. Poi diventa tutto chiaro: l’obiettivo sembra essere quello di rappresentare l’impatto sulla società da parte della Rete partecipata, spiegandolo attraverso le cose che ci girano attorno.

Riporto alcuni dei pensieri di Everything is miscellaneous che ho trovato più intriganti e ben esposti, tradotti liberamente dal sottoscritto non in modo letterale.

Le limitazioni fisiche sul come venivano organizzate le informazioni, non solo hanno limitato il nostro modo di vedere, ma hanno dato maggior potere a chi controlla l’organizzazione delle informazioni rispetto a chi invece le crea. Ora torniamo a rovesciare l’ordine.

L’abbondanza delle informazioni è un valore. I vecchi paradigmi che imponevano dei filtri, ad esempio, per risparmiare sui costi di stampa, oggi sono superati. Non ha più senso limitare la diffusione delle informazioni. “Filter on the way out, not on the way in”.

Everything is metadata and everything can be a label

Ci sono evidenti cambiamenti nelle conoscenze sociali: con tutti che guardavano gli stessi giornali e gli stessi notiziari, esisteva un’esperienza comune sulla quale potevamo contare. Oggi, apparteniamo a quei frammenti di cultura che Nicholas Negroponte ha definito The Daily Me.

La fiducia che riponiamo in fonti come l’Enciclopedia Britannica ci trasformano in lettori passivi. Viceversa, siti come Wikipedia prevedono che il lettore sia coinvolto attivamente offrendogli molteplici possibilità di intervento.

La logica che ordina i prodotti negli scaffali basata su regole predefinite è superata. Lasciamo che siano le persone a taggare le cose. Non ha più senso assegnare un solo posto alle cose, perche queste appartengono spesso a più di un posto.

Nell’ordine miscellaneo, un topic è qualsiasi cosa interessi chiunque. I topic perdono i confini che permettono di capire quando sono stati impostati e perdono anche un po’ della dignità che gli abbiamo sempre attribuito. Non c’è più un topic giusto e uno sbagliato, ma ci sono delle rappresentazioni dipunti di vista differenti. Topic quindi come espressione delle passioni, non più solo delle conoscenze.

Nel ricordare che Weinberger sarà tra i relatori del prossimo IAB Forum (gli ho chiesto di parlare di marketing, tagging, distribuzione dei contenuti digitali), segnalo anche la bella recensione di Chiara di TSW e, naturalmente, il sito del libro. Proprio giovedì scorso, Weinberger ha firmato l’articolo di copertina di Nòva.

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Il D-Day nel mondo sarà il 1


Quando persone come Piero Bassetti aprono un blog, è come se piovessero soldi dal cielo. È  come se il tuo idolo del rock si mettesse a fare una jam session solo per te. Tra i primi post c’è anche un riferimento a italia.it.

Sarebbe bello se altre menti seguissero esempi di questo tipo.

(via Vittorio)

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È tempo di parlare di tempo: così un post di qualche giorno fa sul blog di Nòva che si sta arricchendo continuamente di ottimi contributi. Siccome è stato tirato in ballo anche un certo Mario Lupi che mi sa di conoscere , mi premeva segnalarlo perché c’è abbinato pure un bel concorso Nokia.

Proprio oggi ho proposto ai miei colleghi di organizzare un altro seminario interno sulla gestione e ottimizzaizone del tempo. Di training di questo tipo ne ho tenuti parecchi da oltre 10 anni e quello che constato ogni volta è che, al di là delle regole base, continuano a cambiare parecchie cose, non ultima la rilevanza che oggi ha la capacità di saper gestire il tempo dedicato alle informazioni: come accedervi, come ordinarle e saperle rintracciare, come usare quelle rilevanti davvero.

Ecco, nei curriculum suggerirei anche di mettere, per chi le ha, le capacità di gestire il tempo e le informazioni. Ai giorni nostri è un requisito basilare!

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M'illumino di meno Interessante l’iniziativa M’illumino di meno portata avanti da Caterpillar di Radio2: la Giornata Internazionale del Risparmio Energetico fissata per il 16 febbraio. In questo giorno alle 18, si invita a spegnere le luci e tutti i dispositivi elettrici non indispensabili. Quest’anno l’iniziativa è patrocinata dal Ministero dell’Ambiente e dal Ministero delle Politiche Agricole con la collaborazione di Eni.

Se ieri da Vegetalia si è parlato di fonti rinnovabili, “M’illumino di meno” punta al risparmio energetico, che ritengo comunque il punto di partenza fondamentale per una seria politica di salvaguardia ambientale. Non a caso, il primo “pilastro” indicato da Rifkin è proprio la riduzione del 20% dei consumi energetici nelle abitazioni e nelle aziende. Lavorare sul tema del risparmio energetico è fondamentale anche perché, in linea di principio, mette d’accordo ecologisti e produttori (vedi intervista a Paolo Scaroni pubblicata su IlSole24Ore).

Update (16.00): Alessandro Ronchi ha fatto aderire all’iniziativa il Comune di Forlì di cui è consigliere. Approfondiscono l’argomento tra gli altri: Setfocus, Fulvia Leopardi (che ha sempre uno dei blog più belli ), Ecoblog, InvisibleVoice, Catepol (che ha scovato anche un bel video su YouTube).

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Alla fine Eugenio Pintore (Biblioteche della Regione Piemonte), il cordiale coordinatore dell’incontro Web Semantico: gli agenti intelligenti al servizio della ricerca, ha chiesto: ma insomma, questo web semantico è una balla, o si tratta di un argomento di cui ha senso parlare e studiare?

Si, perché negli interventi di Derrick de Kerckhove, Massimo Marchiori e nel mio, l’argomento "web semantico" è stato affrontato solo di riflesso, ognuno proponendo un’angolazione diversa. Derrick ha riproposto qualche slide del suo intervento allo IAB Forum ed ha fornito altri spunti tra i quali ho annotato:

  • Le persone sono dentro l’informazione e non più solo davanti
  • Un fenomeno importante è che si iniziato a "taggare" le cose e non solo i contenuti
  • Per chi si occupa di catalogare le informazioni, è necessario riconoscere e capire i cambiamenti nel rapporto che queste hanno con gli utenti (quest’ultimo passo, a proposito della sua esperienza di un anno alla Library of Congress)

Massimo, da eclettico ricercatore scientifico, ci ha dato la sua visione di come l’innovazione dovrebbe partire dall’attenzione verso… le zie, utilizzando questa immagine per ribadire la necessità di arrivare al pensiero e alle concrete esigenze dell’uomo della strada. Di Massimo avevo scritto mesi fa a proposito di un suo intervento TV riguardo Google.

Il più aderente al tema del convegno non poteva che essere Gino Roncaglia, il quale ha evidenziato due punti che trovo illuminanti:

  • Le persone si sono impadronte del web semantico, definendo tag e criteri di classificazione "dal basso", svilupando il fenomeno della folksonomy.
  • Il valore della classificazione fatta dagli utenti, assume importanza nel momento in cui diventa "sociale".

Io ho parlato di motori di ricerca, in particolare di come le persone li usano non più solo come filtro alle informazioni, ma in modo tattico e "mordi e fuggi" per ricevere risposte dirette (ad esempio sfruttando il "forse cercavi…" di Google come dizionario). Mi sono divertito anche a segnalare la crescente sproporzione tra la quantità di nuovi contenuti digitali rintracciabili dai motori di ricerca e, per contro, il punto di selezione da parte degli utenti che rimane sempre e solo la lista dei "top10 blue links".

Infine, ho affermato che tutti noi siamo (o stiamo diventando) motori di ricerca. Quest’ultima cosa mi piacerebbe spiegarla in modo più dettagliato. Prima o poi lo farò. L’ho fatto in articolo per Punto Informatico.

In definitiva un incontro interessante, 60-70 partecipanti, il piacere di aver salutato Giuseppe Granieri che non sentivo da un po’, ed una divertente cena con organizzatori e relatori guidata da Augusta "Popi" Giovannoli, con Derrick che si conferma terribilmente simpatico.

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La quinta fiera della piccola e media editoria si terrà a Roma dal 7 al 10 dicembre prossimi. Bellissimo il nome: Più libri più liberi. Il calendario è ricco di incontri, compreso PiùBLOG che propone una tre-giorni ricchissima di appuntamenti sotto la denominazione “I blog: nuovi autori e nuovi media”.

Nei vari convegni della sezione Blog parleranno decine di relatori di grande spessore. Io parteciperò alla sessione “Blog, comunicazione e media” di domenica 10 alle 15 moderata da Antonio Sofi.

Per accreditarsi ai convegni leggere il post su PiùBlog.

Chiudo con una frase presa dalla cartella stampa che mi ha inviato Marina Bellini, ideatrice di PiùBLOG:

E’ il blog il vero palinsesto degli individui, il canale di ritorno sempre invocato dalla tecnologia. Il blog è il reality show della Rete, un multiverso nel quale c’è spazio per tutti, nel quale la regola non è la correttezza formale bensì l’empatia, la simpatia e l’antipatia. Il blog non si contrappone al mondo, ma è “il” mondo.

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La quinta fiera della piccola e media editoria si terrà a Roma dal 7 al 10 dicembre prossimi. Bellissimo il nome: Più libri più liberi. Il calendario è ricco di incontri, compreso PiùBLOG che propone una tre-giorni ricchissima di appuntamenti sotto la denominazione “I blog: nuovi autori e nuovi media”.

Nei vari convegni della sezione Blog parleranno decine di relatori di grande spessore. Io parteciperò alla sessione “Blog, comunicazione e media” di domenica 10 alle 15 moderata da Antonio Sofi.

Per accreditarsi ai convegni leggere il post su PiùBlog.

Chiudo con una frase presa dalla cartella stampa che mi ha inviato Marina Bellini, ideatrice di PiùBLOG:

E’ il blog il vero palinsesto degli individui, il canale di ritorno sempre invocato dalla tecnologia. Il blog è il reality show della Rete, un multiverso nel quale c’è spazio per tutti, nel quale la regola non è la correttezza formale bensì l’empatia, la simpatia e l’antipatia. Il blog non si contrappone al mondo, ma è “il” mondo.

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