Archivio: “Numeri”
Basta il primo dato dell’infografica di Unioncamere sul valore dell’internet economy in Italia, per spiegare tutti i ritardi del digital nel nostro paese: 4 imprenditori su 10 ritengono che internet NON serva alla propria impresa.
Per fortuna (o meglio, per la logica con cui si muove il mondo), le aziende che usano internet assumono di più e sono più efficienti. E sul fronte della domanda internet è un riferimento sempre più importante per gli acquisti, online e non.
È quanto emerge dal capitolo “Digital economy e innovazione: la trasformazione dell’economia e dei consumi” del Rapporto Unioncamere 2015 (qui il PDF).
Altra interessante infografica del rapporto è quella su occupazione e competenze digitali.
Secondo una recente indagine realizzata da The Economist Intelligence Unit e che ha coinvolto circa 500 CMO (Chief Marketing Officer), la maggior parte di questi ritiene che nel breve il loro ruolo riguarderà anche governare le vendite.
Riporto qui alcuni grafici della ricerca, mentre lo studio completo può essere scaricato qui.
Aiutatemi a capire. Ieri AGCOM fa un comunicato stampa sulla valorizzazione del SIC (Sistema Integrato delle Comunicazioni), nel quale rileva per la pubblicità online un passaggio da 672 milioni nel 2011 a 1.503 milioni di Euro nel 2012.
Evidentemente il fatturato online NON è triplicato in un anno, per cui penso si applichi la nota (un po’ criptica in verità) che dovrebbe stare a significare che nel 2011 alcuni valori non erano stati considerati. Mi domando che senso abbia rappresentare dati così macroscopicamente incongruenti, ma pazienza.
Ciò che trovo strano è che l’anno scorso AGCOM pubblicò la prima edizione dell’Osservatorio sulla Pubblicità, in cui stimava per il 2011 tutt’altro valore, ossia 1.578 milioni di Euro (grafico di seguito).
Più recente invece il documento “Indagine conoscitiva sul settore dei servizi internet e sulla pubblicità online” sempre di AGCOM (dati di seguito), il quale presenta ancora altri numeri per il 2011 (1.408 milioni di Euro) mentre per il 2012 il dato di 1.503 milioni è quello dell’ultimo SIC (evviva!)
Ripensavo al convegno di qualche giorno fa del Politecnico che ha annunciato una collaborazione con IAB per analizzare il valore del mercato della pubblicità online perché finora non si erano mai parlati…
E’ una storia vecchia: sembra che in Italia si faccia di tutto per tirare ad indovinare quando si tratta dei numeri di internet…
Dalle interessanti chart di Mary Meeker – State of the Net, ne prendo una solo per una considerazione semplice semplice: ma se gli editori già faticano oggi a valorizzare la pubblicità sul web rispetto a quella su carta o su altri canali analogici, come faranno a gestire il mobile che a sua volta è 5 volte meno remunerativo del web?
La parola che sento sempre ripetere tra i publisher è innovazione. E ci sta. Ho solo l’impressione che alcuni pensano che innovare significhi trovare un modo nuovo e creativo per mantenere le attuali organizzazioni, l’attuale offerta, l’attuale autorevolezza.
Per come la vedo io, i fronti dovrebbero essere:
- Passare ad una logica di servizio con metriche riviste rispetto a quella che oggi viene considerata qualità dei contenuti
- Smontare l’offerta pubblicitaria da vendita di “ad units” per passare a realizzare progetti di comunicazione e content marketing
Una ricerca tutta da leggere realizzata da Doralab che testimonia quanto sia fondamentale l’analisi dettagliata dei diversi momenti di interazione con un sito e-commerce.
Per come la vedo io, fare test continui e misurare con precisione, sono le attività che sul medio periodo impattano di più sul ROI di un sito (e non solo di e-commerce). Ma non ci sono ricette preconfezionate perché ogni sito ha sue caratteristiche e obiettivi ed in base a questi, va approntato e misurato.
Con l’occasione, segnalo anche che sono disponibili gli atti dell’E-commerce Forum.
Una ricerca tutta da leggere realizzata da Doralab che testimonia quanto sia fondamentale l’analisi dettagliata dei diversi momenti di interazione con un sito e-commerce.
Per come la vedo io, fare test continui e misurare con precisione, sono le attività che sul medio periodo impattano di più sul ROI di un sito (e non solo di e-commerce). Ma non ci sono ricette preconfezionate perché ogni sito ha sue caratteristiche e obiettivi ed in base a questi, va approntato e misurato.
Con l’occasione, segnalo anche che sono disponibili gli atti dell’E-commerce Forum.
Le startup basate sulle nuove tecnologie sono da un po’ di tempo al centro dell’attenzione, comprese le recenti iniziative governative e politiche. Finalmente una boccata d’aria fresca che serve a smuovere il settore del venture capitalism e a sviluppare qualche bella storia di business, posti di lavoro e ricavi.
Serve anche per dare un po’ di stimoli e di fiducia ai giovani, badando però a non limitarci a identificare le startup esclusivamente come “roba per giovani” (a riguardo avevo segnalato un articolo su GigaOm qualche giorno fa).
Vedo però poca attenzione al vero problema: quello delle centinaia di migliaia di aziende italiane che sono indietro (e parecchio) nell’utilizzo di internet per il loro business. Vi risparmio le numerose ricerche che lo testimoniano appieno.
Non vorrei che l’attenzione alle startup sia una specie di messaggio a gettare la spugna, a rassegnarsi che l’unico modo per crescere sia lasciare le aziende alla mercé della competizione globale e rifondare tutto con tante belle giovani startup, con la speranza che sorga qualche Facebook tricolore guidata da nuovi improvvisi milionari .
Per spiegare a cosa mi riferisco, mi sono divertito ad elaborare i dati ISTAT del 2011 riguardanti l’utilizzo delle tecnologie nelle aziende italiane, suddividendo le imprese secondo i tre livelli di impiego della Rete identificati da The Boston Consulting nel report Fattore Internet, i quali sono:
- Online-attive: Possiedono un sito ed effettuano attività di marketing virtuali o di e-commerce
- Online: Dotate di una pagina Web ma non fanno né attività di marketing né di
e-commerce - Offline: Prive persino di un sito (ma possono avere una connessione Internet)
Ho isolato le aziende da 10 a 99 addetti, quelle su cui penso sia necessario intervenire maggiormente. Si tratta di 215.000 imprese (il 4,9% delle imprese italiane) che occupano 4,9 milioni di addetti (29,2% del totale) e sviluppano 968 miliardi di € di fatturato (36,5% del totale).
Ebbene solo una piccola parte di queste usa internet in modo attivo. Il resto no.
Continuando l’elaborazione (nota: il mio non è un lavoro scientifico ed ha valore puramente indicativo), applicando i parametri del report Fattore Internet relativi alla differente performance derivante dal loro livello (Online-attive, Online oppure Offline) e ipotizzando che solo un conservativo 10% di quelle Online e di quelle Offline passi al livello superiore, è stimabile un aumento del fatturato complessivo di 2,5 miliardi di Euro l’anno.
Quante startup ci vogliono per raggiungere un risultato simile?
Perché non cerchiamo di fare un RESTART di queste aziende? Pensiamo pure alle startup, ma se vogliamo parlare di crescita del Paese, quella vera, quella urgente, quella diffusa, allora è da queste PMI che dobbiamo ripartire. È qui che occorre implementare l’utilizzo convinto della Rete (che ovviamente non è solo “fare e-commerce”).
Io qualche idea ce l’ho… magari metto su una startup!
Che ne pensate?
Che lavorassi nella industry giusta, l’avevo capito da tempo. Questa analisi di Linkedin lo conferma e mostra che internet è il settore col miglior saldo in termini di addetti (anche se i dati andrebbero un po’ “tradotti” per via dell’utilizzo preferenziale di Linkedin nel settore).
Sarebbe interessante capire il turnover che c’è dietro il valore netto del rapporto lavori acquisiti/persi. Io noto che nella nostra industry digital (come peraltro succede del mondo della comunicazione in genere), la quantità di movimenti professionali continua ad essere molto significativa.
Non si tratta di mettere in competizione i vari media e ovviamente non c’è un canale migliore di un altro in senso assoluto. Però è interessante questa ricerca di Nielsen appena pubblicata relativa ai mercati asiatici che, tra le altre cose, compara il ROI dei vari strumenti pubblicitari.
Della serie “un’immagine vale più di mille parole”:
La ricerca può essere richiesta gratuitamente da qui.
Non si tratta di mettere in competizione i vari media e ovviamente non c’è un canale migliore di un altro in senso assoluto. Però è interessante questa ricerca di Nielsen appena pubblicata relativa ai mercati asiatici che, tra le altre cose, compara il ROI dei vari strumenti pubblicitari.
Della serie “un’immagine vale più di mille parole”:
La ricerca può essere richiesta gratuitamente da qui.
Interessante la ricerca di Linkedin sulle parole più utilizzate nei profili professionali correlate alla nazione. A me sembra che le persone vogliano evidenziare quelle caratteristiche tradizionalmente meno frequenti nelle rispettive nazioni. Quindi nei paesi anglosassoni si sottolinea il risvolto creativo, in Spagna quello professionale e in Francia quello dinamico.
In Italia la keyword più gettonata è problem solving. Sarà perché siamo più capaci a risolvere i problemi o perché abbiamo più problemi degli altri e quindi è bene evidenziare questa competenza? Oppure semplicemente perché siamo più pessimisti e abbiamo una visione problema-centrica del business?
Torno sulla ricerca “Fattore Internet”, commissionata da Google e realizzata da The Boston Consulting, confermando la prima impressione: si tratta di una ricerca fondamentale per capire il vero impatto della Rete in termini economici e, se non erro, la prima del genere in Italia. Ho anche qualche riserva, ma ne parlo più avanti.
Lo studio rileva che internet vale attualmente 31,6 miliardi di Euro, ossia il 2% sul PIL italiano, valore destinato a rappresentare tra il 3,3% e il 4,3% del PIL nel 2015. Questo per quanto riguarda l’impatto diretto di internet sull’economia, rappresentato da tre elementi principali:
- Consumo, ossia l’acquisto di prodotti, servizi e contenuti online
- Gli investimenti del settore privato, rappresentate principalmente dalla costruzione delle infrastrutture e dall’accesso alla Rete
- La spesa istituzionale, composta dalle spese ICT legate ad internet sostenute dalla Pubblica Amministrazione
Ma oltre all’impatto diretto sul PIL, lo studio giustamente evidenzia anche l’entità di altre aree direttamente collegate ad internet, tra le quali l’e-Procurement (ossia i beni acquistati online dalla PA), l’infocommerce e la pubblicità online, che aggiungono complessivamente altri 25 miliardi di Euro di valore. Non mancano, correttamente, i riferimenti agli effetti positivi sulla produttività e sugli impatti sociali, la cui stima economica è oggettivamente complessa da definire.
Lo studio di carattere complessivo è affiancato da una ricerca verticale sulle PMI italiane, i cui risultati confermano l’impatto positivo della Rete sul loro business. Difatti, le aziende che che sono attive con iniziative online (ossia fanno e-commerce o marketing online) hanno mediamente aumentato i ricavi (le altre registrano trend negativi), assumono con maggior frequenza ed esportano di più.
Un aspetto che avrei messo più in evidenza è la numerosità degli addetti della filiera internet. Nel report si parla di “internet stack” che riporta un dato complessivo di ben 150 mila persone (pur non splittato numericamente per categoria). Penso che sia un parametro importante specie in chiave politico-istituzionale laddove, in luogo di valori economici assoluti, si guarda con favore il numero di “teste” coinvolte. Secondo me, cavalcare il numero degli addetti del settore internet, considerando la rilevanza di tale numero, stimola di più i tavoli governativi piuttosto che qualche miliardo di Euro di peso economico.
Ed è questo un mio pallino che ho cercato di portare avanti già all’interno di IAB relativamente ad una ricerca condotta da Accenture con cui si ambiva a mappare tutti i player del settore, ma che poi sembra aver presto direzioni differenti. I numeri dovrebbero stimolare IAB ad ambire a rappresentare qualcosa di più del miliardo di pubblicità online (che è solo lo 0,02% dell’impatto economico di internet), vista anche la difficoltà di altre organizzazioni a fungere da ombrello alla miriade di operatori e aziende coinvolte in questa industry.
Tornando a Fattore Internet, pur considerando che si tratta della prima edizione (e c’è da auspicare che assuma una periodicità costante), ritengo sia migliorabile in alcune parti. Innanzitutto sconta un’impostazione a tratti un po’ commerciale, facendo trasparire l’intento di “vendere” internet al di là dei dati oggettivi che espone. Lo so, ci scappa a tutti noi operatori del settore: siamo pieni di passione, siamo consapevoli del valore che la rete porta al business; soffriamo però della scarsa considerazione che se ne ha nel Paese e allora assumiamo costantemente le vesti degli evangelizzatori. Ma una ricerca di questa portata dovrebbe essere più asettica e realista, mostrando anche le principali criticità come, ad esempio, i numeri piccoli dell’ecommerce ancora sbilanciati sul fronte dei servizi.
La ricerca include anche delle case history di aziende di piccole-medie dimensioni. Indubbiamente le testimonianze aziendali sono utilissime: trattano casi concreti e aumentano la confidenza da parte dei meno informati. Non le avrei usate però a suffragio dei dati della ricerca (a tratti sembrano inserite per giustificare i valori esposti), ma isolate in un capitolo del tutto distinto.
Ho qualche perplessità infine sulle conclusioni della ricerca, quando riporta le priorità per lo sviluppo dell’Internet economy:
- Le piccole e medie imprese devono spostarsi online
- Il mobile offre delle opportunità alle imprese
- L’educazione dei consumatori è un fondamento della crescita
Magari può non essere il focus dello studio, ma avrei apprezzato che l’enunciazione dei precedenti punti fosse accompagnata da qualche ipotesi di fattibilità e di intervento. Nel merito, il tema dell’educazione (inteso come divulgazione, informazione, ecc.) lo vedo prioritario a livello trasversale, non solo ai consumatori ma ancor prima alle aziende (compresi gli operatori del settore) e alle istituzioni.
Vediamo se sarà recepito da altre iniziative come Agenda Digitale che sta cercando (con fatica) di stimolare delle proposte dalle istituzioni, oppure dal neonato Lamiaimpresaonline.it che ha l’obiettivo di facilitare l’utilizzo del web da parte delle PMI.
(via IlSole24Ore) Report molto interessante realizzato da The Boston Consulting Group e commissionato da Google, che prova a stimare il valore complessivo di internet in Italia considerando le sue innumerevoli applicazioni. Il risultato è pari a 32 miliardi di Euro, pari al 2% circa del PIL.
Per ora mi limito a segnalarlo; seguirà sicuramente un commento dopo che avrò letto nel dettaglio le 48 pagine del documento.
Il titolo completo del report è Fattore Internet – Come Internet sta trasformando l’economia italiana ed è disponibile in PDF
(via IlSole24Ore) Report molto interessante realizzato da The Boston Consulting Group e commissionato da Google, che prova a stimare il valore complessivo di internet in Italia considerando le sue innumerevoli applicazioni. Il risultato è pari a 32 miliardi di Euro, pari al 2% circa del PIL.
Per ora mi limito a segnalarlo; seguirà sicuramente un commento dopo che avrò letto nel dettaglio le 48 pagine del documento.
Il titolo completo del report è Fattore Internet – Come Internet sta trasformando l’economia italiana ed è disponibile in PDF
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