Archivio: “Documenti”

#icedbucketchallengeNon faccio la doccia col ghiaccio e quando faccio donazioni non mi sembra opportuno raccontarlo. 

Quindi il mio contributo a Ice Bucket Challenge riguarda solo l’aspetto professionale dell’iniziativa, che ho espresso nell’articolo Capire i social attraverso un secchio di ghiaccio appena pubblicato su Tafter.

Si tratta di un sintetico esame dei motivi di successo dell’iniziativa, con alcuni spunti di riflessione per aziende e organizzazioni interessate a realizzare progetti simili. Buona lettura!


Al Social Business Forum di quest’anno ho portato una riflessione riguardo al flessibilità che deve avere il Marketing per guidare la Digital Transformation nelle aziende.

La cattiva notizia è che le aree di cambiamento sono più d’una e piuttosto complesse; la buona è che ritengo sia il Marketing il dipartimento chiave per realizzare i processi di rinnovamento.

Nelle prossime settimane sarà disponibile anche la registrazione video dell’intervento.

 


Avete notato il graduale spostamento delle discussioni e dell’attenzione dal “Social Business” verso la “Digital Transformation”?

Qualcuno addirittura annuncia di abbandonare il Social Business perché è più il tempo che si dedica nel fare education sui temi del cambiamento, rispetto a quello che serve per mettere effettivamente in atto i processi di trasformazione.

La stessa Altimeter ha dedicato alla digital transformation il suo ultimo report (Understanding the Digital Customer Experience Drives Investment in Digital Transformation) dopo anni dedicati a studiare il “business col social dentro”.

Due i temi che mi sembrano preminenti in questo passaggio:

  1. Si è capito che il vero driver del cambiamento è la relazione col mondo esterno.
  2. Appare necessario all’interno delle organizzazioni un riequilibrio delle competenze e delle responsabilità.

Mettere il consumatore al centro è il punto di partenza della digital transformation. Perché altrimenti il rischio è di concentrarsi sul rinnovamento dei modelli collaborativi interni mentre “là fuori” la relazione con le persone si va sfaldando. Non è una gara tra ambiti in competizione (interno o esterno), ma di focus. Io penso che se non si mettono davvero gli stakeholder esterni al centro dell’attenzione, non ci si potrà staccare dalle logiche autoreferenziali che governano la maggior parte delle aziende.

Scrivevo qualche anno fa che le organizzazioni dovrebbero togliere gli specchi e sostituirli con porte e finestre, riflessione che condivisi in un incontro in UPA e che diventò, con mio piacere, il cuore della relazione del presidente Lorenzo Sassoli de Bianchi l’anno scorso (qui il PDF completo della relazione).

Tornando ad Altimeter, riporto alcuni dei key findings del loro ultimo report, nel quale mi sembra che customer experience e customer behavior siano le keyword dominanti:

Mapping and understanding the customer experience is becoming critical in guiding transformation efforts.

Digital transformation is driven partly by technology and also by the evolution of customer behavior.

Three key elements form the compound upon which digital transformation efforts are built:
- It is most effective with pointed vision and supportive leadership.
- Optimizing the digital customer experience becomes the initial objective.
- Change materializes through the formation of a digital transformation team.

Sono elementi peraltro non molto distanti da un bel report sulla digital transformation realizzato da Capgemini (PDF) già nel 2011. Anche in questo caso, le Digital Capabilities sono la base su cui poggia la Customer Experience come primo dei building block.

[PDF] Digital Transformation: a roadmap for billion-dollar organizations


Un po’ di cose attorno ai tema della trasformazione delle aziende e – strettamente collegato – della customer experience.

Partiamo da Luca De Biase ed il suo post E le aziende scoprono che internet impone un cambiamento strategico nel loro dialogo con la società. Interessante, tra l’altro, la riflessione sulla relazione tra piattaforme e conversazioni; scrive Luca:

Le piattaforme si impongono sulla conversazione, perché la loro forma ha conseguenze sulla qualità dei comportamenti delle persone. E la raccolta di dati che consentono di realizzare è un valore in più che nessun mezzo di comunicazione tradizionale consentiva di sviluppare. (…)

E’ un altro motivo per pensare che una tendenza strategica fondamentale sia quella di ripensare le piattaforme, non subirle. Il design dell’azienda è contemporaneamente il design della sua organizzazione e della sua comunicazione, che a quel punto è essenzialmente la dichiarazione della sua identità. La comunicazione è pensata come parte integrante dell’organizzazione. L’azione comunica e la comunicazione efficace agisce. La convergenza tra “fatti” e “parole” è una strategia.

Marketing, Customer Service Get Engaged on Social Media è invece un articolo con interessanti link, tra i quali un e-book realizzato dal team di Microsoft Dynamics CRM.

Infine un modello molto interessante realizzato da Keikendo che identifica il livello di maturità delle aziende rispetto alla user experience.

Keikendo Maturity Model

La logica dei modelli evolutivi è molto utile perché permette di definire una strategia che si evolve nel tempo attraverso dei passaggi intermedi. In OpenKnowledge, ad esempio, abbiamo creato il modello SPOK (Social Path by OpenKnowledge) che identifica cinque differenti stadi di implementazione della social media strategy. Attraverso SPOK si definisce in pratica la roadmap strategica e operativa, avendo già ben chiari gli obiettivi di ogni fase, i relativi KPI e le risorse necessarie.


L’anno scorso feci una “presentazione rock” al Social Business Forum (It’s only Socal Strategy but I like it) nel quale utilizzai titoli e versi di brani rock per identificare i punti principali dell’intervento.

Nel frattempo mi son venuti in testa altri titoli che magari userò in un prossimo speech (aggiungendo anche “Tweet and shout” come mi ha suggerito Alberto).

Intanto oggi ho scoperto una bella infografica realizzata da Aidalicius che racconta l’e-commerce attraverso le canzoni dei Beatles. Enjoy!


Hai presente quando leggi un post che fa accendere una serie di pensieri vaganti fino a quel momento? Ecco, mi è successo con “Within Five Years Call Centres Will Be Run By Marketing” incrociato qualche giorno fa.

Si parte dai temi della consumerizzazione, riprendendo un dato di una ricerca svolta da Accenture nel 2012:

“At the turn of the millennium, companies spent twice as much on IT hardware per employee as consumers spent. By 2008, the two sides had reached parity.”

Solo che le opportunità per le aziende nel relazionarsi con questi “consumatori digitali”, sono complicate dalla multicanalità e da molteplici varianti di customer journey:

No surprises then we’ve invented the language of ‘cross-channel’ and ‘omni-channel’ to point beyond the utter failure of traditional point solutions to keep up. (…) This becomes all the more apparent when we look through the re-architecting eyes of CX (customer experience) professionals who map those wiggly customer journeys across the badlands of functional silos. They know that the mapping part of their mission is the easy bit. Bending the organisation like origami into an outside-in shape is quite another matter!

Situazione che merita una dose di sano realismo:

At the centre of the issue is a set of conflicting beliefs that keep organisations locked into a certain shape and pattern of behaviour. One belief holds there is more money in existing customers. The other bets on finding a constant stream of new ones. The former is what everyone goes to conferences to feel uplifted by; like a good Southern Baptist Sunday morning does for the soul. The latter is what is dictated by the governance of annual planning and the assumptions that sit behind ‘how to make the numbers this year’.

E l’attenzione ai nuovi clienti è suffragata dai dati:

At a global level we invest $500bn in Marketing compared with just $9bn in Service. (source: G-force 2013). And of that marketing budget, organisations spend just 2% on actively maintaining relationships with existing customers (source: Adobe Digital Index)

È Forrester con un report sulla customer experience  del 2013 che riporta l’attenzione sui nuovi customer journey e sulla loro rilevanza:

All those connected devices allow consumers to adopt new patterns of engagement that spread experiences across multiple touch points. However organisations are so behind the curve that consumers are slowed down and limited in their channel options. All of which degrades the brand’s value.  The answer is to plan and deliver seamless experiences starting with real time reporting of these new, multi device, cross channel customer journeys.

Poi l’articolo cita due ricerche (“Foresee Experience Index Q4 2013” e “Amex’s 2012 Global Customer Service Barometer”) che dimostrano quanto una buona customer experience genera un evidente aumento della propensione all’acquisto e dell’advocacy.

Da ciò ne deriva che il marketing deve fare un passo indietro:

Marketers needs to cultivate the habit of listening before talking. A habit that will take some practice before becoming natural since their current instinct is to conduct an ongoing monologue with customers.

Perché, come evidenzia anche lo studio JD Powers Survey svolto negli Stati Uniti (Q1 2013):

So many companies jump to the marketing piece, but consumers are looking more and more to social channels for support.

Ed il marketing può “pescare” dal customer support numerose opportunità e insight, riassunti in tre punti (rimando all’articolo per la loro descrizione):

  1. Customer Inspired Topics
  2. Expectation Management
  3. Service Triggered Stories

Questa la visione per un prossimo futuro:

All customer facing functions will operate under a single plan and budget. As by far the richest and most influential budget holder, Marketing has taken command under the united remit of ‘Customer Engagement’.

Ma se le organizzazioni vogliono davvero arrivare a questo, è adesso che devono iniziare a strutturarsi per abbattere gradualmente i silos, per coordinare i touchpoint interessati dal customer journey, per passare dal CRM al CEM (Customer Experience – o Engagement – Management).

Lo dimostrano anche alcune esperienze che stiamo facendo in OpenKnowledge insieme ai nostri clienti, nelle quali i processi di cambiamento e orientamento al consumatore, richiedono tempi oggettivamente lunghi e piani strategici e di implementazione approfonditi e trasversali rispetto ai dipartimenti dell’azienda. Cose non banali, ma decisamente necessarie.


Pensavo ad alcune delle affascinanti mappe che provano a rappresentare il mondo del digital marketing, ad esempio la Digital Marketing Transit Map realizzata da Gartner) oppure il Conversation Prims di Brian Solis da poco aggiornato.

imageimage

A me pare che ogni mappa che cerchi di rappresentare il complesso del digitale, diventi necessariamente (e inutilmente) complessa (il gioco di parole è voluto). La cosa appare ancora più evidente nelle edizioni aggiornate di questi schemi, che ogni anno aggiungono spicchi alle torte e nuove icone e logotipi; e alla fine: a cosa ci serve?

È più interessante semmai prendere spunto da queste rappresentazioni della complessità per affrontare il confronto fra il ruolo del CIO rispetto a quello del CMO, argomento sempre più attuale nelle aziende. Da leggere a proposito l’articolo su Forbes di un paio di giorni fa, ma anche le chart dello spassoso confronto tra Ray Wang e Esteban Kolsky al Social business Forum di quest’anno.


Ho raccolto in questo post la segnalazione di quattro recenti ricerche con alcuni elementi in comune: sono indagini fatte su CEO e manager aziendali e riguardano l’impatto attuale e nel breve periodo delle strategie di digital & social marketing.

Partiamo da McKinsey con l’analisi Minding your digital business la quale rileva, tra l’altro, che oltre la metà delle aziende di tutto il  mondo intervistate, considera il digital marketing e i social tools tra le prime 10 priorità.

McKinsey - Minding your digital business

Una delle ragioni per cui i social media ed internet in generale diventano sempre più strategici, è perché sono considerati strumenti che hanno e avranno il maggior impatto nella relazione con i clienti.

IBM - Leading Through Connections

Ed è quanto emerge dalla ricerca  Leading Through Connections di IBM che intervista 1.700 CEO di 64 nazioni diverse.

Tra i dati che emergono, nell’arco di 3-5 anni i social media ed i canali web saranno, dopo il face-to-face, i principali strumenti di engagement con i consumatori. In questa analisi, i media tradizionali slitteranno all’ultimo posto.

Sembra proprio che la consapevolezza dell’impatto strategico dei social media, sia finalmente arrivata anche ai “piani alti”, almeno stando a quanto rileva l’indagine How social technologies drive business success (PDF) realizzata da Millward Brown in Europa per conto di Google. Certo, c’è ancora un gap rispetto agli utilizzatori frequenti, ma due terzi dei senior manager ritiene che i social tools impatteranno sulle strategie  e sul successo di business se impiegati in modo convinto.

Millward Brown - How social technologies drive business success

Chiudiamo questa serie di segnalazione arrivando sul concreto: l’acquisizione di clienti attraverso i social media. È questo uno dei dati che rileva Hubspot nel survey  State of Inbound Marketing a cui hanno partecipato 972 professionals (devo dire che la metodologia della ricerca non mi è chiarissima). Tra i dati che vanno sottolineati c’è la persistenza del canale blog come uno dei maggiori performer in quanto a customer acquisition, sia per business B2C che B2B.

Hubspot - State of Inbound Marketing

Naturalmente all’interno di ognuna delle quattro ricerche qui segnalate, ci sono altri rilievi interessanti… che vi lascio scoprire. Enjoy!


Ho raccolto in questo post la segnalazione di quattro recenti ricerche con alcuni elementi in comune: sono indagini fatte su CEO e manager aziendali e riguardano l’impatto attuale e nel breve periodo delle strategie di digital & social marketing.

Partiamo da McKinsey con l’analisi Minding your digital business la quale rileva, tra l’altro, che oltre la metà delle aziende di tutto il  mondo intervistate, considera il digital marketing e i social tools tra le prime 10 priorità.

McKinsey - Minding your digital business

Una delle ragioni per cui i social media ed internet in generale diventano sempre più strategici, è perché sono considerati strumenti che hanno e avranno il maggior impatto nella relazione con i clienti.

IBM - Leading Through Connections

Ed è quanto emerge dalla ricerca  Leading Through Connections di IBM che intervista 1.700 CEO di 64 nazioni diverse.

Tra i dati che emergono, nell’arco di 3-5 anni i social media ed i canali web saranno, dopo il face-to-face, i principali strumenti di engagement con i consumatori. In questa analisi, i media tradizionali slitteranno all’ultimo posto.

Sembra proprio che la consapevolezza dell’impatto strategico dei social media, sia finalmente arrivata anche ai “piani alti”, almeno stando a quanto rileva l’indagine How social technologies drive business success (PDF) realizzata da Millward Brown in Europa per conto di Google. Certo, c’è ancora un gap rispetto agli utilizzatori frequenti, ma due terzi dei senior manager ritiene che i social tools impatteranno sulle strategie  e sul successo di business se impiegati in modo convinto.

Millward Brown - How social technologies drive business success

Chiudiamo questa serie di segnalazione arrivando sul concreto: l’acquisizione di clienti attraverso i social media. È questo uno dei dati che rileva Hubspot nel survey  State of Inbound Marketing a cui hanno partecipato 972 professionals (devo dire che la metodologia della ricerca non mi è chiarissima). Tra i dati che vanno sottolineati c’è la persistenza del canale blog come uno dei maggiori performer in quanto a customer acquisition, sia per business B2C che B2B.

Hubspot - State of Inbound Marketing

Naturalmente all’interno di ognuna delle quattro ricerche qui segnalate, ci sono altri rilievi interessanti… che vi lascio scoprire. Enjoy!


Dalle interessanti chart di Mary Meeker – State of the Net, ne prendo una solo per una considerazione semplice semplice: ma se gli editori già faticano oggi a valorizzare la pubblicità sul web rispetto a quella su carta o su altri canali analogici, come faranno a gestire il mobile che a sua volta è 5 volte meno remunerativo del web?

Mary Meeker - The State Of The Web

La parola che sento sempre ripetere tra i publisher è innovazione. E ci sta. Ho solo l’impressione che alcuni pensano che innovare significhi trovare un modo nuovo e creativo per mantenere le attuali organizzazioni, l’attuale offerta, l’attuale autorevolezza.

Per come la vedo io, i fronti dovrebbero essere:

  • Passare ad una logica di servizio con metriche riviste rispetto a quella che oggi viene considerata qualità dei contenuti
  • Smontare l’offerta pubblicitaria da vendita di “ad units” per passare a realizzare progetti di comunicazione e content marketing


Una ricerca tutta da leggere realizzata da Doralab che testimonia quanto sia fondamentale l’analisi dettagliata dei diversi momenti di interazione con un sito e-commerce.

Per come la vedo io, fare test continui e misurare con precisione, sono le attività che sul medio periodo impattano di più sul ROI di un sito (e non solo di e-commerce). Ma non ci sono ricette preconfezionate perché ogni sito ha sue caratteristiche e obiettivi ed in base a questi, va approntato e misurato.

Con l’occasione, segnalo anche che sono disponibili gli atti dell’E-commerce Forum.


Una ricerca tutta da leggere realizzata da Doralab che testimonia quanto sia fondamentale l’analisi dettagliata dei diversi momenti di interazione con un sito e-commerce.

Per come la vedo io, fare test continui e misurare con precisione, sono le attività che sul medio periodo impattano di più sul ROI di un sito (e non solo di e-commerce). Ma non ci sono ricette preconfezionate perché ogni sito ha sue caratteristiche e obiettivi ed in base a questi, va approntato e misurato.

Con l’occasione, segnalo anche che sono disponibili gli atti dell’E-commerce Forum.


Che lavorassi nella industry giusta, l’avevo capito da tempo. Questa analisi di Linkedin lo conferma e mostra che internet è il settore col miglior saldo in termini di addetti (anche se i dati andrebbero un po’ “tradotti” per via dell’utilizzo preferenziale di Linkedin nel settore).

Sarebbe interessante capire il turnover che c’è dietro il valore netto del rapporto lavori acquisiti/persi. Io noto che nella nostra industry digital (come peraltro succede del mondo della comunicazione in genere), la quantità di movimenti professionali continua ad essere molto significativa.

Linkedin Industry Trends


imageL’ultimo numero della newsletter MIA realizzata periodicamente da Ammiro, è dedicata al CRM. Come al solito ci sono diversi interventi di rilievo: da Fàbio Cipriani, Senior  Manager di Deloitte Brazil, al noto designer  Donald Norman, passando per un’intervista a Paul Greenberg, presidente di The 56 Group.

Buona lettura!


Torno sulla ricerca “Fattore Internet”, commissionata da Google e realizzata da The Boston Consulting, confermando la prima impressione: si tratta di una ricerca fondamentale per capire il vero impatto della Rete in termini economici e, se non erro, la prima del genere in Italia. Ho anche qualche riserva, ma ne parlo più avanti.

Lo studio rileva che internet vale attualmente 31,6 miliardi di Euro, ossia  il 2% sul PIL italiano, valore destinato a rappresentare tra il 3,3% e il 4,3% del PIL nel 2015. Questo per quanto riguarda l’impatto diretto di internet sull’economia, rappresentato da tre elementi principali:

  • Consumo, ossia l’acquisto di prodotti, servizi e contenuti online
  • Gli investimenti del settore privato, rappresentate principalmente dalla costruzione delle infrastrutture e dall’accesso alla Rete
  • La spesa istituzionale, composta dalle spese ICT legate ad internet sostenute dalla Pubblica Amministrazione

Ma oltre all’impatto diretto sul PIL, lo studio giustamente evidenzia anche l’entità di altre aree direttamente collegate ad internet, tra le quali l’e-Procurement (ossia i beni acquistati online dalla PA), l’infocommerce e la pubblicità online, che aggiungono complessivamente altri 25 miliardi di Euro di valore. Non mancano, correttamente, i riferimenti agli effetti positivi sulla produttività e sugli impatti sociali, la cui stima economica è oggettivamente complessa da definire.

Fattore Internet

Lo studio di carattere complessivo è affiancato da una ricerca verticale sulle PMI italiane, i cui risultati confermano l’impatto positivo della Rete sul loro business. Difatti, le aziende che che sono attive con iniziative online (ossia fanno e-commerce o marketing online) hanno mediamente aumentato i ricavi (le altre registrano trend negativi), assumono con maggior frequenza ed esportano di più.

Un aspetto che avrei messo più in evidenza è la numerosità degli addetti della filiera internet. Nel report si parla di “internet stack” che riporta un dato complessivo di ben 150 mila persone (pur non splittato numericamente per categoria). Penso che sia un parametro importante specie in chiave politico-istituzionale laddove, in luogo di valori economici assoluti, si guarda con favore il numero di “teste” coinvolte. Secondo me, cavalcare il numero degli addetti del settore internet, considerando la rilevanza di tale numero, stimola di più i tavoli governativi piuttosto che qualche miliardo di Euro di peso economico.

Ed è questo un mio pallino che ho cercato di portare avanti già all’interno di IAB relativamente ad una ricerca condotta da Accenture con cui si ambiva a mappare tutti i player del settore, ma che poi sembra aver presto direzioni differenti. I numeri dovrebbero stimolare IAB ad ambire a rappresentare qualcosa di più del miliardo di pubblicità online (che è solo lo 0,02% dell’impatto economico di internet), vista anche la difficoltà di altre organizzazioni a fungere da ombrello alla miriade di operatori e aziende coinvolte in questa industry.

Tornando a Fattore Internet, pur considerando che si tratta della prima edizione (e c’è da auspicare che assuma una periodicità costante), ritengo sia migliorabile in alcune parti. Innanzitutto sconta un’impostazione a tratti un po’ commerciale, facendo trasparire l’intento di “vendere” internet al di là dei dati oggettivi che espone. Lo so, ci scappa a tutti noi operatori del settore: siamo pieni di passione, siamo consapevoli del valore che la rete porta al business; soffriamo però della scarsa considerazione che se ne ha nel Paese e allora assumiamo costantemente le vesti degli evangelizzatori. Ma una ricerca di questa portata dovrebbe essere più asettica e realista, mostrando anche le principali criticità come, ad esempio, i numeri piccoli dell’ecommerce ancora sbilanciati sul fronte dei servizi.

La ricerca include anche delle case history di aziende di piccole-medie dimensioni. Indubbiamente le testimonianze aziendali sono utilissime: trattano casi concreti e aumentano la confidenza da parte dei meno informati. Non le avrei usate però a suffragio dei dati della ricerca (a tratti sembrano inserite per giustificare i valori esposti), ma isolate in un capitolo del tutto distinto.

Ho qualche perplessità infine sulle conclusioni della ricerca, quando riporta le priorità per lo sviluppo dell’Internet economy:

  • Le piccole e medie imprese devono spostarsi online
  • Il mobile offre delle opportunità alle imprese
  • L’educazione dei consumatori è un fondamento della crescita

Magari può non essere il focus dello studio, ma avrei apprezzato che l’enunciazione dei precedenti punti fosse accompagnata da qualche ipotesi di fattibilità e di intervento. Nel merito, il tema dell’educazione (inteso come divulgazione, informazione, ecc.) lo vedo prioritario a livello trasversale, non solo ai consumatori ma ancor prima alle aziende (compresi gli operatori del settore) e alle istituzioni.

Vediamo se sarà recepito da altre iniziative come Agenda Digitale che sta cercando (con fatica) di stimolare delle proposte dalle istituzioni, oppure dal neonato Lamiaimpresaonline.it che ha l’obiettivo di facilitare l’utilizzo del web da parte delle PMI.


Fattore Internet(via IlSole24Ore) Report molto interessante realizzato da The Boston Consulting Group e commissionato da Google, che prova a stimare il valore complessivo di internet in Italia considerando le sue innumerevoli applicazioni. Il risultato è pari a 32 miliardi di Euro, pari al 2% circa del PIL.

Per ora mi limito a segnalarlo; seguirà sicuramente un commento dopo che avrò letto nel dettaglio le 48 pagine del documento.

Il titolo completo del report è Fattore Internet – Come Internet sta trasformando l’economia italiana ed è disponibile in PDF


Fattore Internet(via IlSole24Ore) Report molto interessante realizzato da The Boston Consulting Group e commissionato da Google, che prova a stimare il valore complessivo di internet in Italia considerando le sue innumerevoli applicazioni. Il risultato è pari a 32 miliardi di Euro, pari al 2% circa del PIL.

Per ora mi limito a segnalarlo; seguirà sicuramente un commento dopo che avrò letto nel dettaglio le 48 pagine del documento.

Il titolo completo del report è Fattore Internet – Come Internet sta trasformando l’economia italiana ed è disponibile in PDF


Ancora non mi sembra che sia chiaro alle aziende come districarsi tra media Paid, Earned e Owned, che adesso saltano fuori anche Sold e Hijacked stando al recente report di McKinsey.

In pratica, oltre ai mezzi di comunicazione pagati (tutto l’advertising tradizionale, compreso quello online), quelli posseduti (i cataloghi, il sito web, la pagina su Facebook, ecc.) e quelli guadagnati (il posizionamento nei risultati standard dei motori di ricerca, le recensioni online, ecc.), si possono annoverare anche quelli in cui si vendono spazi ad altri aziende (Sold) e quelli presidiati dai consumatori tipicamente per campagne “contro” l’azienda stessa (Hijacked).

image

Francamente queste due nuove categorie mi sembrano un po’ forzate o comunque molto poco frequenti. In ogni caso, il report McKinsey merita una  lettura, compreso lo schemino finale che sintetizza le quattro principali sfide per i marketers:

  • Think strategically about the role of each media type
  • Rebalance time and resources
  • Develop a clear community or social-networking strategy
  • Improve both the art and the science of marketing

Enjoy!


Ieri pomeriggio c’è stata l’assemblea di IAB ed il rinnovo del Consiglio Direttivo. Poi ci tornerò prossimamente con un post specifico, anche perché c’è una cosa che è successa prima e che volevo condividere.

image Si tratta di un piccolo articolo che ho scritto per MIA, la newsletter del Gruppo Ammiro, pubblicata ieri mattina insieme a DailyNet e DailyMedia. 15 pagine ricche di dati, articoli e interviste: tra queste, quelle a Malcom Gladwell e Vito Di Bari. Il tema conduttore è il “punto di svolta” che a me ha stimolato una riflessione… su specchi, porte e finestre. Eccola qui.

Sta per entrare in vigore una nuova legge che interesserà la maggior parte delle aziende. Il regolamento prevede due norme principali: la prima impone l’eliminazione di tutti gli specchi all’interno dei locali aziendali; la seconda, la sostituzione degli specchi con porte e finestre, da tenere possibilmente aperte. Saranno quindi vietate le riunioni in cui si contemplano slogan pubblicitari e contenuti autoreferenziali, mentre saranno obbligatori dei meeting con chiunque voglia entrare in azienda e dire quello che gli pare. Attenzione: non è uno scherzo! Pur non esistendo un organismo che ha promulgato ufficialmente questa legge, sono semplicemente le persone che la stanno per imporre. Il potere è sempre più nelle mani dei singoli individui, i quali lo esercitano attraverso blog e community. “Power to the keyboards”: mouse e tastiere sono gli strumenti, community e social network sono gli ambienti nei quali le persone si stanno allenando a mettere le aziende nei loro target (e non più il contrario).
Sono molte le aziende e le organizzazioni che stanno affrontando questo nuovo scenario in modo consapevole e convinto. Ascoltano, sperimentano, capiscono. Hanno letto “Societing” di Fabris o, semplicemente, seguono le conversazioni online e magari partecipano pure. Poi ci sono quelle che ancora dormono o, peggio, si girano dall’altra parte. E quando scoprono che i loro (ex) clienti li stanno bistrattando su forum e social network, allora si stupiscono oppure pretendono di moderare, di nascondere le opinioni negative. Quello è il momento cruciale: la presa di coscienza che la relazione tra azienda e consumatore è cambiata radicalmente e che Facebook e Twitter non sono una moda passeggera, ma gli ultimi di una serie di strumenti che hanno definitivamente sancito l’importanza delle persone. Si tratta peraltro di un trend che tocca anche la comunicazione interna alle organizzazioni, specie quelle più grandi e complesse. Se il modo di interagire con gli altri a livello personale ormai utilizza fortemente applicazioni come Facebook, è naturale che si cerchi e si richieda il bottone “community” anche all’interno delle polverose intranet aziendali.
La rete è trasversale: uno strumento che è diventato cruciale per molti dipartimenti aziendali, non più solo per il marketing e la comunicazione. I meno avvezzi ne sono ancora un po’ intimoriti solo perché non ne vedono tutte le potenzialità o perché non hanno trovato un partner che le contestualizzi opportunamente all’interno della sua azienda. Ma di sicuro abbiamo già superato il punto di svolta che diversi anni fa indicai come cruciale, ossia il momento in cui nelle librerie i testi relativi ad internet non sarebbero più stati solo nel reparto informatica ma un po’ ovunque: dalla comunicazione ai media, dalla sociologia alla politica, dall’economia all’entertainment. Internet è trasversale, ed è inutile e poco profittevole mettersi di traverso.


Ieri pomeriggio c’è stata l’assemblea di IAB ed il rinnovo del Consiglio Direttivo. Poi ci tornerò prossimamente con un post specifico, anche perché c’è una cosa che è successa prima e che volevo condividere.

image Si tratta di un piccolo articolo che ho scritto per MIA, la newsletter del Gruppo Ammiro, pubblicata ieri mattina insieme a DailyNet e DailyMedia. 15 pagine ricche di dati, articoli e interviste: tra queste, quelle a Malcom Gladwell e Vito Di Bari. Il tema conduttore è il “punto di svolta” che a me ha stimolato una riflessione… su specchi, porte e finestre. Eccola qui.

Sta per entrare in vigore una nuova legge che interesserà la maggior parte delle aziende. Il regolamento prevede due norme principali: la prima impone l’eliminazione di tutti gli specchi all’interno dei locali aziendali; la seconda, la sostituzione degli specchi con porte e finestre, da tenere possibilmente aperte. Saranno quindi vietate le riunioni in cui si contemplano slogan pubblicitari e contenuti autoreferenziali, mentre saranno obbligatori dei meeting con chiunque voglia entrare in azienda e dire quello che gli pare. Attenzione: non è uno scherzo! Pur non esistendo un organismo che ha promulgato ufficialmente questa legge, sono semplicemente le persone che la stanno per imporre. Il potere è sempre più nelle mani dei singoli individui, i quali lo esercitano attraverso blog e community. “Power to the keyboards”: mouse e tastiere sono gli strumenti, community e social network sono gli ambienti nei quali le persone si stanno allenando a mettere le aziende nei loro target (e non più il contrario).
Sono molte le aziende e le organizzazioni che stanno affrontando questo nuovo scenario in modo consapevole e convinto. Ascoltano, sperimentano, capiscono. Hanno letto “Societing” di Fabris o, semplicemente, seguono le conversazioni online e magari partecipano pure. Poi ci sono quelle che ancora dormono o, peggio, si girano dall’altra parte. E quando scoprono che i loro (ex) clienti li stanno bistrattando su forum e social network, allora si stupiscono oppure pretendono di moderare, di nascondere le opinioni negative. Quello è il momento cruciale: la presa di coscienza che la relazione tra azienda e consumatore è cambiata radicalmente e che Facebook e Twitter non sono una moda passeggera, ma gli ultimi di una serie di strumenti che hanno definitivamente sancito l’importanza delle persone. Si tratta peraltro di un trend che tocca anche la comunicazione interna alle organizzazioni, specie quelle più grandi e complesse. Se il modo di interagire con gli altri a livello personale ormai utilizza fortemente applicazioni come Facebook, è naturale che si cerchi e si richieda il bottone “community” anche all’interno delle polverose intranet aziendali.
La rete è trasversale: uno strumento che è diventato cruciale per molti dipartimenti aziendali, non più solo per il marketing e la comunicazione. I meno avvezzi ne sono ancora un po’ intimoriti solo perché non ne vedono tutte le potenzialità o perché non hanno trovato un partner che le contestualizzi opportunamente all’interno della sua azienda. Ma di sicuro abbiamo già superato il punto di svolta che diversi anni fa indicai come cruciale, ossia il momento in cui nelle librerie i testi relativi ad internet non sarebbero più stati solo nel reparto informatica ma un po’ ovunque: dalla comunicazione ai media, dalla sociologia alla politica, dall’economia all’entertainment. Internet è trasversale, ed è inutile e poco profittevole mettersi di traverso.


Interessante riflessione sul blog dell’Harvard Business Review: Are All Employees Knowledge Workers? Beh, sembrerebbe di si e condivido abbastanza questa impostazione.

Diversi i riferimenti a ricerche e libri recenti, oltre ad una chiosa stimolante che prende spunto da un pensiero di Bill Joy:

"There are always more smart people outside your company than within it." If we are serious about developing our own talent, we must find more ways to connect with and collaborate with all of those smart people outside our organization.


Il Social Computing Lab della Hewlett Packard di Palo Alto ha pubblicato una ricerca (via Kevin Kelly) che dimostra come, analizzando le citazioni dei film su Twitter se ne può prevedere il successo. In pratica il paper chiamato proprio Predicting the Future With Social Media (PDF), dimostra come incrociando le citazioni su Twitter con l’Hollywood Stock Exchange, si ottenga una evidente correlazione.

Naturalmente, l’interesse per lo studio riguarda sia l’estensione di questo tipo di analisi ad altri settori, sia l’utilizzo di altre basi dati come i blog, Facebook o i motori di ricerca. Su quest’ultima fonte, ad esempio, anche in Italia Trendsight ha realizzato uno studio che correla le ricerche su Google con i flussi turistici.




Anche se riguarda solo gli Stati Uniti, mi pare utile la ricerca fatta da Business.com che ha investigato come/quanto i social media possano essere utili alle aziende in termini di risorsa informativa di supporto al business. L’analisi riguarda anche le iniziative delle aziende nei social media, suddivise per tipologia e per dipartimento interessato, esaminando anche le metriche che vengono utilizzate per misurare i risultati.

Le attività principali svolte dalle aziende interessate sono quelle di mantenere un profilo sui social media, di monitorarne le citazioni che riguardano l’azienda, di avere un corporate blog e di utilizzare il micro-blogging come ad esempio Twitter.

I Social Media come risorsa di business

La ricerca può essere scaricata gratuitamente lasciando la propria email.