Archivio: “Social networking”

Via Giuseppe in casa IMLI, scopro la trascrizione di un bellissimo speech di Clay Shirky, autore del libro Here Comes Everybody: The Power of Organizing Without Organizations.

Si parla del Social Surplus, per capire da dove proviene il tempo che le persone dedicano ad attività online e che per molti continuano a rimanere “tempo perso”. Credo sia capitato a tutti di sentire additare come perditempo gli utenti delle community online così come i contributori di Wikipedia o gli sviluppatori di open source. Ecco, l’articolo tira fuori alcuni numeri interessanti:

  • Per costruire l’intero progetto Wikipedia (considerando il tempo necessario a sviluppare l’infrastruttura ma anche a tutti i contenuti), sono state necessarie complessivamente circa 100 milioni di ore.
  • Di converso, solo negli Stati Uniti si passano 200 miliardi di ore l’anno a guardare la televisione (equivalenti a 2.000 progetti Wikipedia) e da numeri di questa magnitudo va identificato il surplus dal quale attingono le persone.

Rivelatrice la storia finale che racconta di una bimba di quattro anni che, mentre guardava un DVD, a metà del film si è messa a trafficare tra i fili dietro la TV: cercava… il mouse. In pratica gli sembrava innaturale rimanere passiva e cercava uno strumento per interagire.

Certo, non significa che la nostra dieta mediatica debba essere sempre votata all’interattività, ma in base alla logica del continuo passaggio di testimone nel dedicare tempo alla produzione e condivisione di contenuti (scrissi un post su questo), la Rete continuerà ad assorbire momenti del nostro tempo che fino al giorno prima erano dedicate ad attività passive. Con buona pace dell’interlocutore di Giuseppe che a proposito dei navigatori online ritiene chi sia solamente “gente che ha un sacco di tempo libero”.


Nell’interessante tavola rotonda Yes Web Can per la presentazione del Master in Social Media Marketing e Web Communication tenutosi venerdì allo IULM, a proposito del nuovo blog della Casa Bianca ho detto che pur non contenendo tutte le tipiche funzionalità dei blog come li conosciamo (a partire dall’assenza dei commenti), è un’iniziativa che saluto comunque con grande soddisfazione. E penso che realisticamente nessuno si aspettasse da subito un blogger alla Robert Scoble a gestire una iniziativa del genere.

Giusto invece sottolineare alcuni segnali importanti, a partire da quello che ha evidenziato Andrea Genovese di 7th Floor nella sua bella presentazione incentrata su Obama, ossia l’intenzione dell’amministrazione di anticipare sul blog le leggi non urgenti in fase di approvazione per permettere a chiunque di contribuire nella fase di revisione finale.

Collego a questo discorso una riflessione che volevo condividere con voi a proposito delle frequenti richieste che ricevo di dare un parere su un blog, sia esso sviluppato da un’azienda o meno.

Il guaio è che spesso la richiesta me la fanno quando nel blog sono stati inseriti due post, di cui uno che saluta i nuovi visitatori. Quindi l’unica valutazione che si può dare è estetica o legata a technicality, comunque importanti ma non certo essenziali in un blog. Per fare un esempio: da dicembre ho cambiato la struttura di questo blog, eppure le 2000 persone circa che lo seguono attraverso il feed RSS, probabilmente neanche se ne sono accorte (ed è giusto che sia così).

Per cui penso abbia senso rimandare una valutazione al momento in cui ci sono, che so, dieci/dodici post. Ma non basta guardare i post interni, occorre che ce ne siano anche un certo numero esterni, ossia sviluppati innescando delle relazioni con altri siti e blog, apportando in/verso questi dei contributi fattivi.

È poi evidente che un giudizio complessivo va relazionato con gli obiettivi che hanno animato lo sviluppo dei blog e quindi la verifica dello stato attuale in funzione delle intenzioni iniziali. Purtroppo talvolta gli obiettivi (quando ci sono…) riprendono delle logiche pubblicitarie o prettamente commerciali che invece in un blog sono tipicamente parallele e comunque conseguenti ad altri goal: livello di coinvolgimento, numerosità e qualità delle relazioni, reputazione, ecc.


Basta, non riesco più a sentir ripetere di “cose lette su Facebook”, oppure di “quello che ho visto sui blog”, come se si trattasse di ambienti unici, uniformi, standardizzati. È forse questo il principale equivoco che genera la disinformazione a proposito di internet e dei social network.

Non c’è “un Facebook”, così come non ci sono “i blog”. Ci sono tanti singoli individui che, grazie a Dio, sono diversi e che scrivono, fotografano, filmano, cose diversissime. Con obiettivi, stili e risultati altrettanto differenti. Che poi stringono le loro relazioni digitali secondo molteplici strumenti e consuetudini.

In questo momento sono circa sei milioni gli italiani iscritti a Facebook, con il quale gestiscono la loro piccola casa virtuale, invitano gli amici che vogliono, scrivono e fotografano ciò che gli pare.

Riferirsi a Facebook stigmatizzandone i suoi contenuti è come affermare di poter capire un’intera città passeggiando in una decina di strade. O come disquisire dei contenuti della stampa periodica in generale sfogliando qualche rivista in un’edicola, magari fermandosi nel settore dei fumetti.

Il punto è sempre lo stesso. Si continua a identificare internet alla stregua dei media tradizionali, i quali sono sempre prodotti da un numero finito e ben indentificato (anche professionalmente) di persone. La Rete è invece uno spazio in cui gli ambienti digitali come Facebook sono solo strumenti e non media: loro ospitano e aggregano tanti singoli individui, per cui non possono che rappresentare migliaia di facce ed espressioni differenti e non un’identità unitaria come semplicisticamente in molti tendono a pensare e, quindi, a giudicare.


Sarà che ho appena finito di cercare di dissuadere l’ennesimo cliente che ci ha chiesto di fare seeding (lo spiego dopo) e di pianificare una serie di interventi nei “blog dove c’è il nostro target”, che mi prendo due minuti per scrivere.

Banalizzando il concetto: se ci riferiamo ai social network, allora anche comunicazione deve essere sociale. Quindi accantoniamo i target, la pubblicità, la campagna. Occorre partire dall’ascolto, e poi capire cosa possiamo dare/dire ai nostri interlocutori di veramente utile e/o interessante e/o divertente. Accendendo nel frattempo un canale di ritorno votato davvero al dialogo. Tutto qui.

Sembra facile, ma è semplicemente un modo totalmente nuovo di fare comunicazione d’impresa. Ecco perché le [mini]tesi di Gianluca sono piacevoli da leggere, ma (ancora) impraticabili di fatto nella maggiore parte delle aziende. D’altronde iniziamo a vedere sprazzi di realismo del popolare Cluetrain Manifesto dopo dieci anni dalla sua pubblicazione (Davide fa una bella comparazione tra Cluetrain e le [mini]tesi usando wordle)

È evidente che per molte realtà, la strada da perseguire è quella della conversazione, ma passando necessariamente per step intermedi. Altrimenti il rischio è quello di mantenere lo status quo sbilanciandosi però in iniziative estemporanee (che tentano anche le agenzie più quotate come segnala Andrea), che non funzioneranno mai (da Alessio: perché falliscono i blog aziendali), oppure che rischiano di fare danni irrecuperabili.

In quest’ultima categoria ci metto la cosiddetta infiltration (chiamata anche seeding che sembra più nobile), ossia l’inserimento arbitrario (leggi “falso”) di interventi positivi su blog e forum. La mia indicazione è netta: l’unica certezza di queste attività è di mettere a rischio la reputazione e quindi il business dell’azienda, oltre che il proprio posto di lavoro: ne vale la pena?

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Ho avuto il privilegio ed il piacere di collaborare all’impostazione di un executive master allo IULM dal titolo “Social media marketing & web communication. La comunicazione aziendale nel Web 2.0”.

Mi sembra uno dei primi corsi sull’argomento organizzati da una università che sia pensato per chi è già in azienda o comunque ha bisogno di contenuti operativi e casi concreti.

Seppure questo sia uno di quei momenti economici dove la formazione viene spesso sacrificata rispetto ad altre attività, questo master mi sembra un’ottima soluzione per quelle aziende che capiscono l’importanza di aggiornare il loro personale sui temi del social marketing e del web 2.0.

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Ho avuto il privilegio ed il piacere di collaborare all’impostazione di un executive master allo IULM dal titolo “Social media marketing & web communication. La comunicazione aziendale nel Web 2.0”.

Mi sembra uno dei primi corsi sull’argomento organizzati da una università che sia pensato per chi è già in azienda o comunque ha bisogno di contenuti operativi e casi concreti.

Seppure questo sia uno di quei momenti economici dove la formazione viene spesso sacrificata rispetto ad altre attività, questo master mi sembra un’ottima soluzione per quelle aziende che capiscono l’importanza di aggiornare il loro personale sui temi del social marketing e del web 2.0.

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Un po’ didascalico ma lo segnalo comunque: Why Social Media May Not be Right For You!. Una prima lista di motivi è scherzosa (ma non più di tanto):

  • You hate publicity
  • You have something terrible to hide
  • You are too busy being a star to bother with networking
  • You’re less than ten year’s old or over 100
  • You already have too many customers
  • You’re dead

Poi il post prosegue più seriamente.

Ora scappo per fare la seconda parte di una lezione ad un master di marketing e comunicazione. Si, si, lo so che è sabato…


Periodo di ritmi intensi e di priorità che scalciano guadagnarsi un posto in cima alla lista. Così alcuni dei libri che ho letto più o meno velocemente in questi ultimi mesi, dovranno condividere una recensione sintetica in questo unico post anziché averne uno per ciascuno.

Il mestiere di scrivere - Luisa Carrada Il mestiere di scrivere di Luisa Carrada. Piacevole e elegante, il libro di Luisa conferma lo stile e l’esperienza dimostrata da tanti anni sul campo anche mediante il suo sito e il suo blog. Imperdibile per chi vuole avere un quadro complessivo su forma e contenuti nell’epoca della comunicazione digitale. Davvero onoratissimo di essere citato in un paio di occasioni: grazie!

Get Content. Get Customers - Newt Barrett, Joe Pulizzi Get Content. Get Customers di Newt Barrett e Joe Pulizzi. Da quando ho iniziato ad interessarmi ai contenuti generati dalle aziende, ho potuto verificare che anche in terra d’America si sta sviluppando una linea di pensiero sul tema del content marketing. Questo è uno dei libri sull’argomento piuttosto ben fatto. Oltre la metà del testo raccoglie dei casi aziendali, diversi per tipo di progetto e segmento di mercato.

Community management - Emanuele Scotti, Rosario Sica Community management di Emanuele Scotti e Rosario Sica. Dice un po’ tutto il sottotitolo: “Processi informali, social networking e tecnologie Web 2.0 per la gestione della conoscenza nelle organizzazioni”. Dedicato a vuole avere una visione abbastanza pragmatica del “2.0” da un ottica interna alle organizzazioni, attraverso l’esperienza delle comunità di pratica.

Noi è meglio - Barry Libert, Jon Spector Noi è meglio di Barry Libert e Jon Spector. Inno alla collaborazione, alla mutualità, al networking, tutti elementi resi possibili dalle più recenti applicazioni in Rete. In verità il libro non mi ha entusiasmato, forse perché ruota eccessivamente attorno ad uno stesso concetto, seppur rilevante. Dalle numerose case history escono comunque idee e spunti di un certo interesse.

Email marketing, Roberto GhislandiEmail marketing di Roberto Ghislandi. Tutto quello che avreste voluto sapere sull’email marketing e che se anche aveste osato chiedere, pochi avrebbero risposto in questo modo. Si tratta di un libro completo e ricco di esempi che copre tutti i principali aspetti della comunicazione via posta elettronica. Un libro che in Italia mancava.

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L’attenzione su Facebook in questi giorni è altissima. Io lo utilizzo  professionalmente per cui tendo a tralasciare le storie di gossip e cronaca, mentre ne seguo attentamente i modelli economici. Leggo su DailyNet di oggi un’affermazione di Ted McConnell, a capo del marketing di Procter & Gamble, che mi lascia perplesso:

Non capisco perché continuiamo a definire Facebook un consumer generated media. I consumatori non avevano intenzione di creare un media, ma semplicemente di parlare tra loro

McConnell afferma pure che le aziende non dovrebbero fare pubblicità su Facebook e che “i social network non hanno il diritto di guadagnare dalle conversazioni tra gli utenti”.

Non sono assolutamente d’accordo: credo che la maggior parte degli utenti della Rete abbiamo ormai dato per assodato che quello è il prezzo da pagare per avere servizi gratuiti. Altrimenti dovremmo scordarci le email online e gli instant messenger, anche questi strumenti di conversazione tra gli utenti. Quale sarebbe l’alternativa? Fare pagare l’uso dei social network? Creare una Facebook Onlus? Ma dai…

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Oggi faccio il paio con Massimo Mantellini su Nòva/IlSole24Ore e con Marco Montemagno in un intervista su DailyNet. In qualche modo le due cose sembrano collegate: da una parte si prova ad analizzare i fenomeni, proprio mentre c’è chi tenta di legiferare in un modo che appare inconcepibile.

Su Nòva, Massimo torna sull’articolo di Wired che sostiene che i blog sono morti, esprimendo invece parere esattamente opposto. E io concordo decisamente. Nel mio pezzo cerco di individuare delle logiche con cui valutare non solo i blog, ma le applicazioni digitali in genere; scrivo di come affrontare il mare in piena degli ambienti online con cui è opportuno avere a che fare.

Nòva di oggi è peraltro ricco di tanti articoli interessanti: si tratta di cloud computing, di lavoratori dell’immateriale e poi Giampaolo Colletti accenna ad una ricerca dell’Università Bocconi sul rapporto tra aziende e social media. Con l’occasione: simpatica discussione avviata da Maurizio su FriendFeed in cui si enfatizza la qualità di Nòva.

Su DailyNet, l’articolo di Fabbricini riguarda il noto decreto che prevedrebbe l’obbligo di iscrizione al registro degli organi di comunicazione (Roc) per i blog collegati ad un’attività economica. Marco come me è ovviamente contrario. Io magari esagero ma dico, tra l’altro, che se una legge bisogna fare, allora facciamone una che obbliga i legislatori a fare dei corsi per capire internet prima di legiferare. È un tema caldissimo e delicato, ben ripreso anche da Mario Adinolfi su Europa di oggi.

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BlendTec - Will it blend? Storia e dettagli di una delle più profittevoli case history nel settore dei contenuti generati dalle aziende, ossia quella della BlendTec, un produttore di frullatori che con i suoi divertenti video della serie “Will it blend?” ha moltiplicato il fatturato del 700% (esatto, sette volte).

Nell’articolo, interessante l’elenco dei rischi di campagne di questo tipo che inizia così: “The biggest risk is to not do it

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BlendTec - Will it blend? Storia e dettagli di una delle più profittevoli case history nel settore dei contenuti generati dalle aziende, ossia quella della BlendTec, un produttore di frullatori che con i suoi divertenti video della serie “Will it blend?” ha moltiplicato il fatturato del 700% (esatto, sette volte).

Nell’articolo, interessante l’elenco dei rischi di campagne di questo tipo che inizia così: “The biggest risk is to not do it

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Normalmente non segnalo ricerche che riguardano solo gli Stati Uniti perché non sempre sono significative rispetto al mercato europeo e quello italiano in particolare. Però su ReadWriteWeb ho trovato un post sull’influenza dei social media che riposta alcuni link interessanti:

Su questo post ho anche scoperto l’applicazione Pdfmenot, un visualizzatore online di file PDF ma soprattutto che permette di inserire (embeddare in gergo) questo visualizzatore in un proprio sito.

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Due articoli interessanti nell’inserto Digital Business del Financial Times di ieri. Il primo in cui Lionel Menchaca, chief blogger di Dell e quindi responsabile del progetto Direct2Dell, afferma che da quando è stato incaricato nel 2006 di gestire la reputazione online di Dell, la percentuale di commenti negativi è passata dal 49% al 22%.

Il secondo articolo è scritto da David Bowen (la cui azienda fa un un’interessante analisi dei siti corporate). In pratica si afferma che il modo per spiegare il Web 2.0 è quello di “mapparlo” insieme alle tradizionali attività di comunicazione. Bowen afferma:

“Stop talking about Web 2.0. Extract the useful concepts, classify them in a way non-technical managers understand, and explain how they can be exploited, managed and controlled”

Efficace lo schema che correda l’articolo anche se mette il risalto solo i rischi e non le opportunità dei vari strumenti. Che ve ne pare?

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Si chiama Vendor Relationship Management (VRM) è ed un progetto lanciato Doc Searls (uno degli autori


Dopo qualche giorno di vacanza, riprendo lentamente le redini del blog. Inizio con un post “speculativo”, nel senso che mentre stavo per scrivere un commento all’analisi sull’utilizzo dei social network nel mondo fatta da Royal Pingdom, mi accorgo che ci ha già pensato Luca De Biase a descriverla, aggiungendo peraltro un’acuta riflessione:

E’ infatti logico che un sistema di comunicazione si integri nelle reti sociali esistenti che, prevalentemente, sono ancora molto definite dalla geografia e dalla vicinanza fisica. In questo senso, la rete non è dunque necessariamente la tanto paventata riduzione delle relazioni fisiche. Anzi, in un certo senso, le facilita.

L’analisi è stata realizzata utilizzando Google Insights for Search. Di seguito riporto il grafico che riguarda Linkedin.

Royal Pingdom - Linkedin popularity

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Per bilanciare il post precedente tutto dedicato a Ad Maiora, vado a segnalare tre iniziativa che trovo meritino molta attenzione:

  • Vodafone Lab è finalmente stato lanciato. A livello funzionale mi piace e l’idea del wiki è intelligente. Come al solito siè iniziato a sindacare sulla reale apertura alla conversazione di Vodafone; alla fine mi ritrovo con le considerazioni di [mini]marketing, ossia che va salutato con grande piacere un passo del genere da parte di una corporation e che un completo avvio della conversazione passa necessariamente per fasi intermedie e Vodafone è partita senz’altro col piede giusto.
  • Sergio Veneziani sul blog di Edelman segnala la community creata da VISA su Facebook. Non male. L’idea di fornire 100 dollari gratuiti di visibilità agli iscritti del network è furbetta ma funziona, ma la cosa che vorrei sottolineare è che parliamo di un investimento di due milioni di dollari. Penso di raccontarlo tutte le prossime volte che mi chiederanno di progettare un bel progetto di social marketing con un budget di tremila euro…
  • E infine il rinnovato sito di Fiat Punto, dall’esplicito nome duePUNTOzero che ne fa capire subito gli intenti. Mi sembra che sia uno dei primi esperimenti di sito di prodotto fatto con queste logiche. FIAT continua a lavorare molto bene e… filava filava…

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Raggruppo qui alcune note sugli ultimi libri letti:

Economia della felicita, Luca De Biase Economia della felicità di Luca De Biase. Aprendo il libro credevo che avrei ritrovato le riflessioni che Luca aveva già anticipato da mesi sul suo blog. D’altronde il tema era quello: economia, crescita, felicità e blog. In realtà quello che è uscito per Feltrinelli è una rilettura più organica e scorrevole dell’economia del dono, specie quello relativo al tempo dedicato alle relazioni digitali. È l’economia e il denaro analizzati dal punto di osservazione di un cittadino della Rete, consapevole che la sua parte abitata potrebbe contribuire a migliorare questo mondo che invece sta andando verso una pericolosa monetizzazione di ogni cosa. Un libro buono per riflettere; pur con tutta la speranza che anima il testo, si scorgono le nevrosi che alimentano la società in cui viviamo. Ne usciremo?

Fare business con il web, Lonardo Bellini Fare business con il web di Leonardo Bellini. Quasi un romanzo che racconta una specie di start-up di un business online, affrontando tutti i passi necessari: dalla strategia alle tattiche, dalla pianificazione del business plan alla campagna di comunicazione, dal monitoraggio dei risultati al customer support. Il tutto raccontato attraverso i dialoghi, i confronti e le domande di Leo, Cri, Jacques, Pat e gli altri protagonisti di questo originale racconto. Dicevo a Lenoardo che il titolo del libro è limitativo, nel senso che sembrerebbe trattare solo di web, invece si affrontano anche argomenti legati ai modelli economici, alla customer retention, alla profilazione dei clienti, ecc. In definitiva, un testo leggibile e anche divertente, utile ad esempio a molte PMI che vogliono inserie il web tra i canali di vendita. Il libro ha anche il suo sito.

internet_pr Internet P.R. di Marco Massarotto. Tutto quello che avreste voluto sapere su come come cambia la comunicazione tra aziende e consumatori per via della Rete che (ancora) non avete avuto il coraggio di chiedere. È un libro ben fatto, chiaro ed essenziale, che non si perde in scenari rivoluzionari ma che affronta il quotidiano attraverso tutti i principali aspetti dei cambiamenti che ogni azienda si trova ad affrontare di questi tempi. Al centro dell’attenzione l’ascolto, i consumatori-persone con cui dialogare, l’apertura di canali digitali per rinnovare la relazione col mondo esterno. Per le case history l’autore rimanda al blog del libro, mentre ho notato diversi inviti ad affiancarsi a consulenti e aziende specializzate, pur con l’auspicio di maturare capacità interne per essere autonomi quanto prima. Anche se detto da da un professionista del settore (come me d’altronde) un approccio del genere può sembrare interessato, non posso che condividere: sono passaggi importanti che non riguardano solo l’utilizzo di una nuova tecnologia, ma che toccano i capisaldi della comunicazione aziendale. Non basta un fornitore di servizi tecnici, ma occorre supporto qualitativo, coaching, consulenza strategica. A leggere analiticamente il libro di Massarotto, ci si rende conto di quanti aspetti cruciali stia toccando la Rete nel business di moltissime aziende.

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Raggruppo qui alcune note sugli ultimi libri letti:

Economia della felicita, Luca De Biase Economia della felicità di Luca De Biase. Aprendo il libro credevo che avrei ritrovato le riflessioni che Luca aveva già anticipato da mesi sul suo blog. D’altronde il tema era quello: economia, crescita, felicità e blog. In realtà quello che è uscito per Feltrinelli è una rilettura più organica e scorrevole dell’economia del dono, specie quello relativo al tempo dedicato alle relazioni digitali. È l’economia e il denaro analizzati dal punto di osservazione di un cittadino della Rete, consapevole che la sua parte abitata potrebbe contribuire a migliorare questo mondo che invece sta andando verso una pericolosa monetizzazione di ogni cosa. Un libro buono per riflettere; pur con tutta la speranza che anima il testo, si scorgono le nevrosi che alimentano la società in cui viviamo. Ne usciremo?

Fare business con il web, Lonardo Bellini Fare business con il web di Leonardo Bellini. Quasi un romanzo che racconta una specie di start-up di un business online, affrontando tutti i passi necessari: dalla strategia alle tattiche, dalla pianificazione del business plan alla campagna di comunicazione, dal monitoraggio dei risultati al customer support. Il tutto raccontato attraverso i dialoghi, i confronti e le domande di Leo, Cri, Jacques, Pat e gli altri protagonisti di questo originale racconto. Dicevo a Lenoardo che il titolo del libro è limitativo, nel senso che sembrerebbe trattare solo di web, invece si affrontano anche argomenti legati ai modelli economici, alla customer retention, alla profilazione dei clienti, ecc. In definitiva, un testo leggibile e anche divertente, utile ad esempio a molte PMI che vogliono inserie il web tra i canali di vendita. Il libro ha anche il suo sito.

internet_pr Internet P.R. di Marco Massarotto. Tutto quello che avreste voluto sapere su come come cambia la comunicazione tra aziende e consumatori per via della Rete che (ancora) non avete avuto il coraggio di chiedere. È un libro ben fatto, chiaro ed essenziale, che non si perde in scenari rivoluzionari ma che affronta il quotidiano attraverso tutti i principali aspetti dei cambiamenti che ogni azienda si trova ad affrontare di questi tempi. Al centro dell’attenzione l’ascolto, i consumatori-persone con cui dialogare, l’apertura di canali digitali per rinnovare la relazione col mondo esterno. Per le case history l’autore rimanda al blog del libro, mentre ho notato diversi inviti ad affiancarsi a consulenti e aziende specializzate, pur con l’auspicio di maturare capacità interne per essere autonomi quanto prima. Anche se detto da da un professionista del settore (come me d’altronde) un approccio del genere può sembrare interessato, non posso che condividere: sono passaggi importanti che non riguardano solo l’utilizzo di una nuova tecnologia, ma che toccano i capisaldi della comunicazione aziendale. Non basta un fornitore di servizi tecnici, ma occorre supporto qualitativo, coaching, consulenza strategica. A leggere analiticamente il libro di Massarotto, ci si rende conto di quanti aspetti cruciali stia toccando la Rete nel business di moltissime aziende.

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La ricchezza della Rete - Yochai Benkler Credo sia uno dei lavori che hanno meglio studiato le trasformazioni dovute ad internet di questi anni. Il libro dimostra come la Rete stia influendo positivamente sulla politica e sull’economia, arrivando a evidenziare l’aumento della libertà di ciascuno di noi. Tomo da 600 pagine che risulta possente per il dettaglio dell’analisi, sempre confrontata con le diversi visioni di intellettuali e accademici.

In realtà l’ho letto da diversi mesi, ma mi  sono riservato un’oretta per riprendere alcuni passi che avevo annotato. Partiamo da uno spunto da tenere a mente quando si ragiona, ad esempio, sulle audience dei social network e dei blog.

“(…) nell’ambiente informazionale di rete, per raccogliere attenzione è necessario suscitare l’interesse di un gruppo di individui impegnati più di quanto non succeda nell’ambiente massmediatico, nel quale è preferibile sucitare l’interesse moderato di grandi numeri di persone poco coinvolte”

E sempre legato al tema dell’utente attivo:

“L’altro forte cambiamento causato dall’emergere della produzione sociale è quello nei gusti. (…) Le imprese dell’economia in rete producono strumenti progettati per scopi che vengono decisi e ottimizzati solo al momento dell’uso e che forniscono le piattaforme relazionali flessibili richieste da user attivi”.

Ripetuto lo slancio alla difesa della Rete e l’invito a vigilare sulle scelte politiche che la riguarderanno:

“Siamo nel mezzo di una trasformazione tecnologica, economica e organizzativa che ci consente di rinegoziare le condizioni di libertà, giustizia e produttività nella società dell’informazione. (…) Permettere ai vincitori di ieri di dettare le condizioni della condizione economica di domani sarebbe una scelta disastrosa.”

Molto interessante la risposta analitica all’obiezione di Babele, ossia alla logica per cui la Rete alimenterebbe delle concentrazioni di attenzione e di opinioni anziché stimolare diversi punti di vista. Benkler smonta questa visione attraverso svariate considerazioni . Ne riporto una:

“L’obiezione di Babele è confutata dal fatto che la gente tende ad aggregarsi attorno a scelte comuni. Non lo facciamo perché siamo soggetti a una manipolazione deliberata, ma semplicemente perchè sulla scelta di leggere o meno qualcosa ha un certo peso il fatto che altre persone abbiano letto oppure no la setssa cosa. (…) Inoltre, il profilo di clustering degli utenti nella Rete suggerisce che le persone non seguono il gregge: non legono tutto ciò che legge la maggioranza. Piuttosto, valutano per approssimazione quali preferenze abbiano maggiore probabilità di collimare con le loro”.

Riguardo all’emergere della sfera pubblica in Rete:

“Il costo per poter accedere al dibattito politico si è abbassato di vari ordini di grandezza rispetto a quello necessario a fare la stessa cosa nell’ambiente dei mass media. (…) Il cambiamento qualitativo è rappresentato dall’esperienza di essere speaker potenziali, invece che solo ascoltatori o elettori passivi. È legato alla percezione che gli individui hanno del loro ruolo all’interno della società e alla cultura di partecipazione che possono avere. (…) Cambia il modo di osservare ed elaborare gli eventi dell’esistenza: non siamo più obbligati a considerarli fatti strettamente privati, anzi possiamo farli diventare oggetto di comunicazione pubblica”.

Sulla consapevolezza delle persone in merito all’evoluzione del loro ruolo, Benkler analizza in dettaglio l’esempio Wikipedia evidenziando due dimensioni di questo fenomeno:

“La prima è il grado di autocoscienza realizzabile da una cultura aperta e basata su una capacità di discutere essa stessa più trasparente. La seconda è il grado di scrivibilità della cultura, cioè la misura in cui gli individui possono rimodellare per sé e per gli altri, l’insieme esistente di simboli.”

Ancora sul valore del ruolo attivo delle persone:

“Proprio come imparare a leggere la musica e a suonare uno strumento può fare di una persona un ascoltatore più raffinato, la diffusione della pratica di produrre artefatti culturali di ogni tipo permette gli individui di essere lettori, ascoltatori e spettatori migliori della cultura prodotta in modo professionale, oltre che di inserire il loro contributo in questo insieme culturale collettivo.”

Da ricordare infine l’introduzione al libro di Franco Carlini.

Ultima nota: ho scambiato recentemente un paio di email con Benkler nel tentativo di portarlo in Italia in occasione di Forum PA; questa volta non ce l’ho fatta ma ci riproverò, promesso.

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La sala era molto grande, solo che era piena per metà. Simbolicamente è questa il semtiment che ha caratterizzato il convegno L’innovazione di Internet- il Web 2.0 di ieri al Forum PA. Quindi grandi spazi e opportunità ma un’interesse e applicazioni concrete ancora limitati. Fondamentale quindi parlarne e proporre casi ed esempi pratici come successo ieri.

Credo che le slide dei relatori (e forse anche le registrazioni) verranno messe online prima o poi. Gigi Cogo già l’ha fatto così come Mimmo Pennone; di seguito riporto le mie. Segnalo anche il blog di Ernesto Belisario anche lui tra i relatori.

Mi è piaciuto poter far introdurre l’argomento “Web 2.0 e PA” a Cecilia Dominici, studentessa universitaria di Roma La Sapienza (di solito gli studenti stanno sempre dall’altra parte), così come è stato tenerissimo vedere il figlio di Mimmo (credo di 10 anni) che non solo ha curato il caricamento della presentazione del papà sul PC della sala, ma ha anche diligentemente curato la parte fotografica.

Riguardo al mio intervento, segnalo solo che lo spirito era quello di contaminare il mondo delle PA con alcuni degli stimoli e delle tendenze che arrivano dalle aziende.

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Come le ciliege, una tira l’altra. Così, dopo la ricerca di Universal McCann e quella di Forrester, arrivano altre conferme sulla rilevanza dei numeri relativi alla blogosfera italiana, in particlare su lettori e numero di blog:

  • Andrea Boaretto, nell’ambito dell’Osservatorio sulla Multicanalità (uno dei più autorevoli studi sull’uso della Rete in Italia), ricorda come anche a loro risultino oltre 13,5 milioni di persone che leggono forum e blog e più di 6 milioni partecipano alle relative discussioni. E questo nella rilevazione pubblicata lo scorso novembre.
  • Il LaRiCa dell’Istituto di Comunicazione e Spettacolo della Facoltà di Sociologia dell’Università di Urbino “Carlo Bo” ha pubblicato i risultati di una ricerca quantitativa che campiona la popolazione italiana con più di 18 anni da cui risultano, tra l’altro, poco meno di 3 milioni di blog attivi (aggiornati almeno una volta la settimana nel 57% dei casi).
  • Ricordo anche la recente ricerca di DigitalPR da cui emerge che più della metà degli utenti internet è influenzato (molto o abbastanza) dai blog nelle decisioni d’acquisto.

Massimo continua ad essere scettico ma credo sia il concetto di “blog attivo” su cui il suo parere si discosta da tutte le ricerche. La miglior risposta, a mio parere, arriva rpoprio da una delle indicazioni che accompagnano lo studio del LaRiCa:

La blogosfera italiana è dunque molto più vasta e diversifica di quanto comunemente non si pensi ed il nucleo di blogger più noti ed attivi rappresentano solo la punta di un iceberg che come tale non può essere considerato rappresentativo del fenomeno nel suo complesso.

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Anche per Forrester ci sono in Italia circa 10 milioni di lettori di blog e social network (definiti Spectators), 4,6 milioni che partecipano e commentano e quasi 3 milioni di Creators, ossia chi produce social contents (tiene un blog o carica video, musica o testo sui social network).

Secondo me siamo allineati (nel senso che le diverse metodologie di analisi non permetteranno mai una confronto esatto) con lo studio di Universal McCann di cui ho scritto giorni or sono. Il fatto che numeri così alti suscitino perplessità, dipende da due fattori: a) perchè in Italia si tende a diffidare “a prescindere”; b) più seriamente, perché la polverizzazione dell’attenzione tende a non creare l’impatto delle “audience di massa” a cui siamo abituati con gli altri mezzi tradizionali, con tutti gli effetti di influenza sull’agenda che conosciamo. È la differenza tra 10 milioni di ascoltatori che guardano 100 canali oppure che si distribuiscono su 3 milioni di canali.

Tornando alla ricerca di Forrester, i dati li ho estratti utilizzando un loro tool online col quale si può analizzare il peso di sei profili di interazione con i social media (qui la descrizione dei profili) in diverse nazioni nel mondo, distinguendo altresì per sesso e fascia d’età. Di seguito lo screenshot dei numeri italiani (i valori in rosso li ho messi io, considerando i 24,5 milioni di utenti internet secondo Nielsen).

image

Data from Forrester Research Technographics® surveys, 2007


web20 Non cosa sia stato più stimolante nel leggere il libro del Professor Di Bari: senz’altro i contenuti ricchi e diversificati, ma anche il fatto che tra gli autori coinvolti nel testo ci sono cari amici (Stefano Maruzzi, Layla Pavone) e parecchie persone che conosco più o meno bene (Antonio Allegra, Patrizia Cianetti, Sebastian Kuester, Emanuele Quintarelli, Stefano Quintarelli, Stefano Stravato) e tanti altri che ho avuto modo di apprezzare, leggere o ascoltare in momenti diversi (Alberto Abruzzese, Artuto Artom, Carlo Alberto Carnevale Maffè, Andrea Granelli, Howard Rheingold).

In verità mi sono letto “Web 2.0” tenendo a mente la domanda postami da Di Bari nella dedica che mi ha riservato, e ciò se il libro fosse Lupi-compatibile. Direi decisamente di si e lo posso anche misurare constatando le numerose pieghe (le orecchie) fatte alle pagine in cui ho trovato spunti interessanti e che mi son  ripromesso di segnalare. Eccone alcuni.

Dell’introduzione al Web 2.0 di Di Bari mi ha divertito l’associazione della relativa terminologia ad una scena a Via Montenapoleone in cui una ragazza guarda le vetrine (page views), entra in un negozio (click through) e guarda gli scaffali che sembrano più gettonati (digging) mentre ascolta dalla sua amica i suggerimenti sul negozio (folksonomy); poi va in camerino (deep linking), prova un vestito e accoglie i commenti della sua amica (social networking) e mette da parte gli abiti che le piacciono di più (tagging). Il discorso diventa più articolato quando Di Bari argomenta l’opinione in base alla quale, per analizzare compiutamente il Web 2.0 sia opportuno affidarsi alla scienza della complessità data l’impossibilità di ricondurne i fenomeni e gli effetti a valutazioni già ingegnerizzate.

Una frase di Stefano Quintarelli sull’evoluzione dei blog rispetto alla società:

“Il passaggio più delicato è l’adattamento di una società nella quale le avanguardie corrono sempre più velocemente e le retroguardie fanno sempre più fatica anche solo a rilevare i segnali di questi mutamenti.”

Molto efficace Granelli a proposito del lato oscuro della tecnologia, che va affrontato con responsabilità e non lasciato “ai demonizzatori e ai catastrofisti”. E a proposito dell’information overload:

“Questa moltiplicazione delle informazioni sta diffondendo sia l’anoressia informativa sia il suo speculare, l’obesità; in entrambi i casi, il crescente proliferare dell’informazione riduce la capacità dell’uomo di assimilare in maniera sana nuova conoscenza, spingendo i giovani a riempirsi in maniera ossessiva di informaizoni “non nutrienti””.

Collegato c’è un pensiero di Michael Wesch a proposito dell’istruzione:

“Oggi il vero problema è come trovare, selezionare, valutare criticare, organizzare e infine creare informazioni. Sono queste le competenze di cui dobbiamo dotarci per essere insegnanti e il modo migliore per trasmetrerle agli studenti è chiedere loro di fare, in prima persona, esattamente quelle cose”.

Massimo Giordani tocca poi l’argomento a me caro dei contenuti generati dalle aziende, invitando ad una visione olistica della comunicazione, superando il concetto di visibilità conquistata solo attraverso la pubblicità, mediante la pubblicazione e la condivisione di contenuti: progetti, disegni, fotografie, filmati, che spesso rimangono sepolti nei loro archivi. Sempre sullo stesso concetto, Jamie Cason (BBC) afferma:

“Il Web 2.0 valorizza tutte quelle persone della vostra azienda che da anni si occupano di ricerche di mercato, contatti con l’esterno, progetti nelle comunità e interfaccia col pubblico. (…)  Le aziende devono cominciare a recitare come personaggi verosimili, anziché rappresentarsi artificiosamente come entità sovrumane e infallibili”.

L’intero capitolo “Fare business con il Web 2.0” è esemplare in quanto a fotografare il vantaggio competitivo a disposizione delle imprese attraverso il Web 2.0 e l’Enterprise 2.0. Gran finale con Di Bari che coraggiosamente traccia quello che potrebbe essere il Web nel 2015 e poi nel 2020 (pubblicato anche sull’Harvard Business Review e disponibile in PDF), teorizzando i concetti della Longer Tail e della Longest Tail che poi saranno la traccia del suo intervento al prossimo IAB Forum a Roma.

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In uno speciale sui social network realizzato su Pubblicità ItaliaAd Maiora - Vocazione di avanguardisti di questa settimana c’è un riquadro dedicato a Ad Maiora. Mi ci ritrovo nel titolo del pezzo “Vocazione di avanguardisti” mentre il giornalista ci ha accreditato dei clienti (Google, Yahoo! e Miva) che in realtà sono fornitori di cui siamo partner (magari prima o poi potrebbero pure diventare clienti! ). È un periodo molto intenso per l’azienda: come ho segnalato in questa breve intervista, abbiamo iniziato l’anno triplicando il fatturato rispetto al primo trimestre dell’anno scorso. Quello che mi piace constatare è il l’ampliamento dei rapporti con alcuni clienti storici, l’acqusizione di nuovi grandi clienti e lo sviluppo di alcuni importanti progetti innovativi. E non c’è neanche il tempo di annunciarli come si dovrebbe…

Intanto, l’intero speciale sui social network di Publicità Italia è attualmente disponibile online in formato PDF.

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