Archivio: “Social networking”

Torno a scrivere dopo bel po’ di latitanza (causa anche lo spostamento del blog) per segnalare una nuova iniziativa su Mclips, il blog di Microsoft Italia, o meglio, delle persone di Microsoft Italia.

Si tratta di un post di Pietro Scott Jovane, Amministratore Delegato dell’azienda, che auspica il confronto su un argomento (in questo caso le interfacce naturali) con tutti i lettori; in base ai feedback raccolti, si riprenderà l’argomento dopo un paio di settimane. L’invito quindi è “Parliamone!”.

Io sono un po’ di parte perché ho condiviso con Carlo e Andrea questa iniziativa, ma trovo sia da sottolineare ogni volta che un top manager di un’azienda partecipi attivamente alle conversazioni. Ed in questo Pietro è senz’altro da esempio.


Torno a scrivere dopo bel po’ di latitanza (causa anche lo spostamento del blog) per segnalare una nuova iniziativa su Mclips, il blog di Microsoft Italia, o meglio, delle persone di Microsoft Italia.

Si tratta di un post di Pietro Scott Jovane, Amministratore Delegato dell’azienda, che auspica il confronto su un argomento (in questo caso le interfacce naturali) con tutti i lettori; in base ai feedback raccolti, si riprenderà l’argomento dopo un paio di settimane. L’invito quindi è “Parliamone!”.

Io sono un po’ di parte perché ho condiviso con Carlo e Andrea questa iniziativa, ma trovo sia da sottolineare ogni volta che un top manager di un’azienda partecipi attivamente alle conversazioni. Ed in questo Pietro è senz’altro da esempio.


Uso spesso l’acronimo POST per evidenziare i principali elementi (e la loro importanza cronologica) dell’approccio ai social media da parte delle aziende, così come li ha enunciati Forrester e ribaditi nel libro L’onda anomala:

People
Objectives
Strategy
Technology

Sempre da Forrester arrivano degli utili suggerimenti su come misurare le attività sui social media. La raccomandazione è quella di identificare le metriche in funzione degli obiettivi, concetto apparentemente ovvio ma che da una loro ricerca non appare molto applicato. Difatti, pur in presenza di iniziative con obiettivi differenti, le metriche utilizzate sono più o meno sempre le stesse (tabella più avanti).

Buona la schematizzazione degli obiettivi di una campagna sui social media:

  • Listening
  • Talking
  • Energizing
  • Supporting
  • Embracing

Metriche utilizzate per misurare i social media


Luca De Biase riprende un pensiero di Daniel Kahneman, premio Nobel in scienze economiche nel 2002:

Kahneman dice che è possibile che il sistema dell'informazione attuale stia cambiando il nostro modo di essere umani e la nostra coscienza. Per comprendere in che senso è probabile che il filone di ricerca più importante sia quello di studiare i giovani. E da questo punto di vista c'è un fatto facilmente osservabile: usano molto il computer, ma questo non li ha resi tanto diversi; casomai sono diventati incredibilmente bravi a cercare informazioni.

Questa invece è l’introduzione al post A Pocket Guide to Social Media and Kids sul blog di Nielsen:

When is a phone not a phone? In the hands of children and tweens, today’s cell phones are primarily used as text messaging devices, cameras, gaming consoles, video viewers, MP3 players, and incidentally, as mobile phones via the speaker capability so their friends can chime in on the call.

Nielsen è andata a guardare cosa fanno con i telefonini collegati ad internet i Teenager rispetto al totale della popolazione:

Mobile Internet Users by Service Tipe


Anche se riguarda solo gli Stati Uniti, mi pare utile la ricerca fatta da Business.com che ha investigato come/quanto i social media possano essere utili alle aziende in termini di risorsa informativa di supporto al business. L’analisi riguarda anche le iniziative delle aziende nei social media, suddivise per tipologia e per dipartimento interessato, esaminando anche le metriche che vengono utilizzate per misurare i risultati.

Le attività principali svolte dalle aziende interessate sono quelle di mantenere un profilo sui social media, di monitorarne le citazioni che riguardano l’azienda, di avere un corporate blog e di utilizzare il micro-blogging come ad esempio Twitter.

I Social Media come risorsa di business

La ricerca può essere scaricata gratuitamente lasciando la propria email.


Wiret Novembre 2009 Ho iniziato a leggere il numero 11.09 di Wired e il pezzo “I letterati di Twitter” è particolarmente interessante. L’argomento riguarda il dubbio che la tecnologia stia influendo negativamente sulla capacità di scrivere dei giovani, e viene discusso con Andrea Lunsford, docente alla Stanford University, che ha creato il progetto di ricerca “Study of Writing” per valutare il livello di prosa degli studenti.

Qui riporto alcuni passaggi dell’articolo italiano, mentre online ho trovato la la versione inglese completa.

La prima scoperta di Lunsford è stata il fatto che i giovani di oggi scrivono molto di più rispetto a una qualunque generazione loro precedente. Questo accade perché si socializza soprattutto online, e quasi sempre attraverso dei testi.

Il team di Lunsford ha scoperto che gli studenti erano particolarmente capaci in quello che in retorica si chiama “kairos”, ovvero nel valutare il tipo di pubblico e adattare il loro tono e la loro tecnica per far passare il concetto nel migliore dei modi.

Scrivere quasi sempre per un pubblico (cosa che praticamente nessuno della mia generazione faceva) dà ai giovani un senso diverso di quello che è buona scrittura.Nelle interviste, gli studenti definiscono la buona prosa come qualcosa che ha un effetto sul mondo.

Sono considerazioni importanti che sembrano sfatare molti luoghi comuni, e si incrociano con “A Writing Revolution” una stimolante analisi pubblicata su Seed (via Giuseppe), la quale analizza la quantità di “autori” dal 1400 in poi, considerando come “autori” coloro che hanno pubblicato un contenuto letto da almeno 100 persone. Considerando blog, Facebook e Twitter, la quantità di “creatori” di contenuti è aumentata enormemente (vedi grafico seguente).

A Writing Revolution 


Engaging the New Influencers - Edelman Sto tenendo un paio di giorni di lezione al Master in Media Relation organizzato da Formazione24Ore e il rapporto Engaging the New Influencers (PDF) pubblicato in questi giorni da Edelman diventerà senz’altro un ulteriore contributo al materiale didattico.

Richard Edelman, il CEO del gruppo, sintetizza alcuni punti nell’introduzione, tra i quali mi sono permesso di enfatizzarne uno in particolare:

  • Integrate search into PR
  • Mobilize the influencers
  • Inform the conversation
  • Understand that every company is a media company
  • Be present and consistent
  • Act in a democratic and decentralized way.


La ricerca sul Web 2.0 realizzata da McKinsey a livello internazionale è ormai giunta al suo terzo anno. Nell’intervistare i dirigenti di 1.700 aziende, sono stati analizzate separatamente tre tipologie di utilizzo degli strumenti Web 2.0: all’interno dell’organizzazione, per attività rivolte ai clienti, e per quelle dedicate ai partner e fornitori.

Tra le varie tavole del rapporto, segnalo quella che elenca le tecnologie Web 2.0 ed il loro grado di impiego. Le due barre mostrano la percentuale di utilizzo di ciascuno strumento distinguendo i casi in cui è anche stato verificato un risultato positivo misurabile. Blog, video sharing e social network (in questo ordine) sembrano essere quelli maggiormente performanti.

Web 2.0: McKinsey Global Survey Results


La ricerca sul Web 2.0 realizzata da McKinsey a livello internazionale è ormai giunta al suo terzo anno. Nell’intervistare i dirigenti di 1.700 aziende, sono stati analizzate separatamente tre tipologie di utilizzo degli strumenti Web 2.0: all’interno dell’organizzazione, per attività rivolte ai clienti, e per quelle dedicate ai partner e fornitori.

Tra le varie tavole del rapporto, segnalo quella che elenca le tecnologie Web 2.0 ed il loro grado di impiego. Le due barre mostrano la percentuale di utilizzo di ciascuno strumento distinguendo i casi in cui è anche stato verificato un risultato positivo misurabile. Blog, video sharing e social network (in questo ordine) sembrano essere quelli maggiormente performanti.

Web 2.0: McKinsey Global Survey Results


Ho notato che l’interessante tool di Forrester (Social Technographics Profile) è stato aggiornato con i dati relativi al 2009. Ricordo si tratta di un’indagine di mercato internazionale condotta da Forrester che analizza quantità e tipologia degli utenti dei social network.


Nel grafico di seguito, ho comparato i dati 2008/2009 relativi all’Italia: diminuiscono gli Inattivi (ora al 35%) mentre i Joiners sono triplicati. Da notare che le percentuali si riferiscono al totale della popolazione adulta. Le diverse categorie sono spiegate qui.


image


Se poi volete giocare con altri profili sociodemografici o altre nazioni, potete farlo direttamente qui sotto.

Aggiornamento: proprio adesso ho visto che Josh Bernoff ha pubblicato sul blog di Forrester dei dettagli sui dati 2009 e delle tabelle comparative sugl anni precedenti.


Un’estate 2009 calda per il mondo delle tecnologie digitali, fatta di accordi, fusioni e acquisizioni che lasceranno il segno. Tra i più rilevanti, senz’altro l’intesa tra Microsoft e Yahoo! per le ricerche online, l’acquisizione di FriendFeed da parte di Facebook e la più recente intesa tra Microsoft e Nokia sugli applicativi mobili. Come giustamente scrive oggi Luca Tremolada su IlSole24Ore, “si stringe l’assedio attorno a Google”.

Nell’area dei social network stanno avvenendo alcuni dei movimenti più significativi: da una parte il cosiddetto real-time, dall’altra la centralità che iniziano ad assumere le funzioni di ricerca sulle piattaforme emergenti, Twitter e Facebook su tutte. Come scrive Steve Rubel, questo potrebbe significare un cambiamento radicale nel modo in cui usiamo le informazioni, facendoci diventare “source agnostic”.

Sul tema del social search, si conclude anche l’articolo di Federico Ferrazza su L’Espresso in edicola oggi (per qualche giorno si può leggere qui), che approfondisce la varietà dei social network in relazione ad argomenti diversi, professionali e non. L’articolo, che raccoglie anche un paio di mie battute riguardo a Linkedin e al social search, segnala anche una ventina di social network verticali.


La chiama “Listening economy” Tom Smith nella sue interessanti chart segnalate anche sul blog di IAB. Deriva dal fatto che la Rete, se è vero che permette ad un numero sempre più rilevante di individui di esprimere le proprie opinioni, genera di conseguenza un patrimonio informativo che è utilissimo osservare e analizzare. Peraltro in modo non invasivo.

Tom Smith, peraltro, mi pare di aver capito che lavorava in Universal McCann occupandosi della ricerca periodica Wave Social Media Tracker, giunta ormai alla quarta edizione che è appena stata pubblicata e che potete sfogliare qui sotto oppure scaricare (PDF).


La chiama “Listening economy” Tom Smith nella sue interessanti chart segnalate anche sul blog di IAB. Deriva dal fatto che la Rete, se è vero che permette ad un numero sempre più rilevante di individui di esprimere le proprie opinioni, genera di conseguenza un patrimonio informativo che è utilissimo osservare e analizzare. Peraltro in modo non invasivo.

Tom Smith, peraltro, mi pare di aver capito che lavorava in Universal McCann occupandosi della ricerca periodica Wave Social Media Tracker, giunta ormai alla quarta edizione che è appena stata pubblicata e che potete sfogliare qui sotto oppure scaricare (PDF).


È stata una bella sorpresa scoprire che uno dei temi degli esami di maturità riguarda i social network. Questa la traccia (via Mantellini):

Internet ed i social Network. Alla luce della recente evoluzione dei social network a livello mondiale, ripercorrere l’evoluzione sociologica dei sistemi di comunicazione di massa. Porre l’accento sul cambiamento formale e sostanziale nei rapporti interpersonali: il concetto di privacy mantiene il suo significato originale? E’ richiesto l’apporto di esempi concreti.

A voler essere pignoli, ritengo ci sia una contraddizione nella contestualizzazione che viene sollecitata, ossia quella dei “sistemi di comunicazione di massa”. Penso che i social network siano invece figli della comunicazione interpersonale, quindi semmai sono l’evoluzione delle feste di compleanno, delle bevute con gli amici, del passaparola verbale, ecc. piuttosto che dei mezzi di massa. O no?

La cosa comunque non mi sorprende: è lo stesso atteggiamento delle aziende che vorrebbero declinare gli spot radio e TV o le paginone sui giornali con una fan page su Facebook…


Ormai non si riesce più a definire cos’è un brand. Per anni si è detto (e si è studiato) che una marca è la somma dei valori associati ad un prodotto e interi reparti delle aziende sono impegnati quotidianamente (e con grandi risorse) su tutto quello che ruota attorno al branding: comunicazione, pubblicità, brand protection e così via.

Da qualche tempo ci si interroga invece su quanto i singoli individui (e quindi i destinatari, gli acquirenti e i fruitori delle marche), stiano prendendo possesso dei brand. Non solo li scelgono con maggiore consapevolezza, ma ne plasmano i significati (talvolta aggiungendo valore) insieme ad altre persone come loro.

Sta poi avvenendo un’altra cosa: i brand non sono più solo rappresentati da logotipi e altri elementi intangibili supportati da massicce campagne di comunicazione, ma attraverso le persone delle aziende proprietarie dei rispettivi brand. Questo trasforma la relazione che già si è fatta da tempo multi-touch point, ad una situazione “molti a molti”, in cui non sono occorre seguire i consumatori su mille canali e device, ma poi ci si relaziona direttamente con loro mediante molteplici soggetti aziendali. E se qualche dirigente inizia a “metterci la faccia”, peraltro in modo prudente e circoscritto, servono nuove membrane tra le imprese ed il mondo esterno, persone che siano in grado di rappresentare le organizzazioni in ambienti nuovi come, ad esempio, i social network e le community online.

C’è chi ha iniziato a osare,a sperimentare, a capire. Si possono seguire dei riferimenti ma non c’è una scuola o dei manualetti che ti spiegano come fare. Serve il feeling con le comunità, con i tool, con le nuove consuetudini delle relazioni via internet. Alcune aziende sono spaventate, temono che succeda un pandemonio a lasciare parte del controllo a singoli individui (seppur collaboratori interni). Puntualmente, si scopre invece che la relazione tra individui è quella che preferiamo, anche quando abbiamo a che fare con persone con un cappello aziendale, ma che rappresentano l’azienda con una faccia e non da dietro a un asettico brand. Questa divertente discussione su Friendfeed di qualche giorno fa, fotografa bene la situazione.


IAB Italia ha recepito e tradotto un bel documento elaborato da IAB US che definisce le metriche per i social media. Pur trattandosi di un argomento relativamente nuovo e quindi ancora tutto da definire, questo documento è una buona base di partenza.

Sul sito IAB si può scaricare direttamente il PDF.


Un veloce flash per segnalare che da ieri è iniziata la Settimana della Sicurezza in Rete, una campagna nazionale di sensibilizzazione per la protezione e la sicurezza online. Molti i partner dell’iniziativa tra cui tutti i principali social network.

Questa è la seconda edizione della Settimana della Sicurezza in Rete. Mi sembra un’ottima dimostrazione di come le aziende del settore possano fornire informazioni utili e concrete senza cadere nel facile allarmismo che, purtroppo, tanto piace a numerosi soggetti (alcuni anche seduti in Parlamento, sigh) per poi usarlo in maniera forzatamente strumentale.

Tra le iniziative previste, anche un sondaggio sulle abitudini di contatto in Rete condotto tra gli utenti dei social network, i cui risultati saranno presentati martedì prossimo in una conferenza stampa a Roma a cui sarò lieto di partecipare qualità di moderatore. Poi vi racconterò.

Ora si tratta di stimolare i miei ragazzi a guardarsi qualcuno dei video ove si spiega di virus, chat e cyberbullismo, provando a fargli capire che non è detto che sappiano già tutto…


L' onda anomala. Charlen Li, Josh BernoffLa rivoluzione in atto nel mondo della comunicazione e nel rapporto tra persone e aziende, può essere ben sintetizzata con la denominazione “Onda anomala” che titola questo libro (“Groundswell” nella versione originale, già tradotta in una dozzina di lingue). Charlen Li e Josh Bernoff sono due analisti di Forrest Research, tra i primi a studiare in profondità i social media e più volte citati da queste parti.

Questo L’onda anomala è un buon libro, impostato in una logica consulenziale e quindi col giusto pragmatismo che interessa alle aziende. Non nasconde l’appartenenza degli autori, anzi la esalta laddove è spunto per presentare numerose case history. È solo troppo evidente il continuo riferimento al tool Technographics Profile di casa Forrester per l’identificazione dei profili degli utenti dei social media, tanto da apparire piuttosto promozionale.

Si tratta comunque di uno strumento intelligente e utile. Recentemente (e qui apro una piccola parentesi) con questo tool è stata elaborata una ricerca sull’uso dei social media da parte dei cosiddetti baby-boomers, ossia color che hanno tra i 43 e i 63 anni. Beh, l’Italia svetta a livello europeo in quanto a numero di Creatori di contenuti tra gli Young Boomers (43-52 anni). Interessante.

Tornano al libro e cercando di sintetizzarne il concetto di fondo, l’idea di base è che l’Onda anomala riguarda il protagonismo del consumatore il quale, non solo va messo al centro dell’attenzione, ma va a condizionare sempre di più le scelte e l’intera organizzazione delle aziende. Prenderanno peso i customer manager, piuttosto che gli attuali product manager.

Come ogni buon testo made in USA, anche qui non mancano le liste di suggerimenti. Ne vado a estrapolare alcuni punti tra quelli dedicati a come affrontare e gestire al meglio l’Onda anomala:

  • Partite in piccolo. Siate pazienti.
  • Preparate i vostri dirigenti.
  • Scegliete le persone e i partner giusti. In merito i partner (agenzie pubblicitarie e partner IT): se non capiscono a fondo l’Onda anomala, fate in modo che investano tempo e risorse nella questione, oppure cambiate fornitore.
  • L’Onda anomala è legata alle attività interpersonali. Ciò significa che dovete essere pronti a relazionarvi con individui che non avete mai conosciuto.
  • Siate flessibili, collaborativi, umili.

Alcuni link utili per chi volesse approfondire:

Come scrissi qualche mese fa, l’unico modo per affrontare l’onda non è scappare o costruire argini ma… imparare a fare surf!


L' onda anomala. Charlen Li, Josh BernoffLa rivoluzione in atto nel mondo della comunicazione e nel rapporto tra persone e aziende, può essere ben sintetizzata con la denominazione “Onda anomala” che titola questo libro (“Groundswell” nella versione originale, già tradotta in una dozzina di lingue). Charlen Li e Josh Bernoff sono due analisti di Forrest Research, tra i primi a studiare in profondità i social media e più volte citati da queste parti.

Questo L’onda anomala è un buon libro, impostato in una logica consulenziale e quindi col giusto pragmatismo che interessa alle aziende. Non nasconde l’appartenenza degli autori, anzi la esalta laddove è spunto per presentare numerose case history. È solo troppo evidente il continuo riferimento al tool Technographics Profile di casa Forrester per l’identificazione dei profili degli utenti dei social media, tanto da apparire piuttosto promozionale.

Si tratta comunque di uno strumento intelligente e utile. Recentemente (e qui apro una piccola parentesi) con questo tool è stata elaborata una ricerca sull’uso dei social media da parte dei cosiddetti baby-boomers, ossia color che hanno tra i 43 e i 63 anni. Beh, l’Italia svetta a livello europeo in quanto a numero di Creatori di contenuti tra gli Young Boomers (43-52 anni). Interessante.

Tornano al libro e cercando di sintetizzarne il concetto di fondo, l’idea di base è che l’Onda anomala riguarda il protagonismo del consumatore il quale, non solo va messo al centro dell’attenzione, ma va a condizionare sempre di più le scelte e l’intera organizzazione delle aziende. Prenderanno peso i customer manager, piuttosto che gli attuali product manager.

Come ogni buon testo made in USA, anche qui non mancano le liste di suggerimenti. Ne vado a estrapolare alcuni punti tra quelli dedicati a come affrontare e gestire al meglio l’Onda anomala:

  • Partite in piccolo. Siate pazienti.
  • Preparate i vostri dirigenti.
  • Scegliete le persone e i partner giusti. In merito i partner (agenzie pubblicitarie e partner IT): se non capiscono a fondo l’Onda anomala, fate in modo che investano tempo e risorse nella questione, oppure cambiate fornitore.
  • L’Onda anomala è legata alle attività interpersonali. Ciò significa che dovete essere pronti a relazionarvi con individui che non avete mai conosciuto.
  • Siate flessibili, collaborativi, umili.

Alcuni link utili per chi volesse approfondire:

Come scrissi qualche mese fa, l’unico modo per affrontare l’onda non è scappare o costruire argini ma… imparare a fare surf!


Leggevo la bella intervista ad Alberto Alessi rilasciata al The McKinsey Quarterly a proposito di come l’omonima azienda “coltiva” l’innovazione. Qui solo un passaggio:

“The destiny of a company like Alessi is to live as close as possible to the borderline, where you are able to really explore a completely unknown area of products. The problem is that the borderline is not clearly drawn. You cannot see with your eyes where it is. You can only sense these qualities.”

Mi sono tornati in mente i recenti appunti di Luca De Biase sullo storytelling a margine dell’evento Venice Sessions. Luca scrive a proposito delle storie delle aziende:

“Non sono i giornalisti che devono raccontare le storie. Il loro imprinting professionale è quello della spersonalizzazione. Forse questo è in via di correzione. I blog lo insegnano. Ma intanto i giornalisti possono mettersi al servizio di coloro che sono protagonisti di storie importanti per aiutarli a raccontarle se occorre. Sono i protagonisti che devono volerle raccontare. Sperando che credano fino in fondo che sono importanti [...]. In realtà, il racconto di ciascuno costruisce networking e abilita l'emergere di un discorso comune nell'epoca della complessità.”

È un argomento che ritengo fondamentale nell’evidente necessità di rinnovare il modo di comunicare da parte delle aziende e delle organizzazioni. Giustamente Maurizio scrive:

“Se i Social Media e i Social Network, stanno entrando lentamente nelle priorità delle aziende, altrettanto non accade per le strategie per i contenuti per il web. Si sono mai chieste le imprese se i contenuti che immettono in rete sono realmente utili, divertenti o comunque graditi ai loro diversi interlocutori?”

Io continuo a ritenere che lavorare su un blog aziendale sia uno dei modi più razionali per avviare il processo di cambiamento, senza particolari rischi e con la possibilità  di allenarsi con gradualità al confronto e al dialogo.

Buone storie a tutti.


Social Media Marketing Industry Report (PDF)Niente male questo Social Media Marketing Industry Report. Si tratta di un’indagine online rivolta a capire come vengono utilizzati i social media da parte di di si occupa di marketing in azienda. Degli 880 rispondenti, il 70% è composta da aziende di piccole dimensioni e, seppur il panel mi sembra essere totalmente nord-americano, sono diverse le indicazioni che paiono interessanti.

Le principali domande a cui i marketer vorrebbero una risposta sono:

  • Quali sono le migliori tattiche da usare?
  • Come si misura l’efficacia dei social media?
  • Da dove si parte?

Questa lista è abbastanza simile a quanto verifico tutti i giorni e conferma, ahimè, un approccio prevalentemente tattico (“come fare” piuttosto che uno che parte da obiettivi e strategia).

Interessante il fatto che il 64% dei partecipanti dedica ai social media oltre 5 ore la settimana, mentre il 39% più di 10 ore. Il primo beneficio apportato dai social media risulta essere la visibilità per il proprio business (81%), seguito dall’incremento del traffico online e degli iscritti (61%). Di rilievo anche lo sviluppo di partnership (56%) e l’incremento dei posizionamenti sui motori di ricerca (52%).image


Proviamo solo per un secondo a mettere l’orologio indietro anche solo di tre o quattro anni. Certo, eravamo già parecchi a parlare di social media e di conversazione. Ma se cercavamo applicazioni concrete, anche nei più avanguardisti Stati Uniti, finivamo sempre per citare i soliti due o tre nomi.

Ok, rimettiamo l’orologio sui nostri giorni, periodo in cui i venti gelidi della recessione tingono di importanza doppia le innovazioni introdotte dalle aziende sul fronte della trasparenza e della condivisione. Non entro nel merito delle singole iniziative, ma trovo significativo il modo col quale alcune corporation stanno rinnovando radicalmente il modo di comunicare e di porsi nei confronti delle persone.

  • Partiamo da Microsoft. Una delle più grandi aziende al mondo sta evidentemente cambiando pelle. Sarà pure costretta dal mercato ma, sottoscrivendo quello che ha scritto l’amico Greg Jarboe su Searchenginewatch, “Well, raise my rent. Microsoft is the good guy!”. Mi riferisco al graduale adeguamento alle regole imposte dalla Commissione Europea che andrebbero meglio evidenziate, come sottolinea Andrea Valboni su MClips, il blog multiautore di Microsoft Italia.
  • Poi c’è l’iniziativa Nel Mulino Che Vorrei di Barilla. L’idea è chiaramente stimolante e coinvolgente (far scegliere alle persone le frasi della pubblicità) ma io la cosa che apprezzo di più è che l’azienda inizia (più o meno consapevolmente) a parlare attraverso le sue persone. Si perché è nella descrizione del blog di Pepe Moder, Digital Marketing Manager dell’area bakery di Barilla, che arrivano le informazioni “vere”, credibili, utili a capire.
  • Naturalmente c’è anche Working Capital, il progetto per sostenere l’innovazione e le nuove iniziative imprenditoriali organizzato da Telecom Italia insieme a dpixel. Qui segnalo due cose: la diffusione di informazioni tramite chart e video direttamente dal blog di Gianluca Dettori e il post sul blog di Google Italia che chiarisce l’utilizzo dell’iconografia di Google nella campagna pubblicitaria di Working Capital.

Parafrasando l’articolo “I panni sporchi si lavano in Rete” sul numero di Panorama in edicola (in cui intervengo proprio nell’auspicare l’apertura di canali di comunicazione online da parte delle aziende), ritengo che adesso si possano anche “esibire i panni puliti”: l’importante è farlo in modo credibile e trasparente. (Per chi non ha la copia cartacea dell’articolo di Panorama, ancora per qualche giorno si può leggere qui.)


Solito post cumulativo degli ultimi libri letti (visto che ho dato forfait sul blog da un paio di settimane, facciamo che questo post relativo a quattro libri vale il doppio, ok? )

Wikinomics 2.0 - Don Tapscott, Anthony D. Williams Inizierei da Wikinomics 2.0 di Don Tapscott e Anthony D. Williams. Lessi velocemente il libro in inglese appena uscito nel 2006 mentre questa è la versione in italiano, aggiornata nella prefazione e integrata con un nuovo capitolo “critico”. Si tratta di un lavoro che approfondisce gli aspetti della collaborazione di massa, in particolare utilizzando la Rete per lo sviluppo di contenuti “dal basso”. Indubbiamente è un testo di riferimento sull’argomento, anche se vede tutto il mondo in ottica wiki e talvolta pare decisamente poco concreto, pur con l’aggiunta del capitolo che recepisce alcune delle obiezioni ai temi degli user generated content.

Creativita per l'innovazione - Gianni Clocciatti Su Creatività per l’innovazione di Gianni Clocciatti ho trovato molti elementi interessanti. Sicuramente è un testo utile per chi si interessa di creatività in genere perché traccia un panorama completo delle principali tecniche e scuole di pensiero, talvolta anche in contrasto tra loro. Io ho apprezzato la trattazione giustamente sintetica di molteplici tecniche per lo sviluppo della creatività, tutte orientate o comunque declinabili al mondo delle aziende e dell’innovazione in particolare. Semmai la difficoltà è riuscire a valorizzare la creatività in un contesto di mercato che valuta poco le idee… ma questo non è certo il compito di un libro!

Tecniche di Web Marketing - Andrea Boscaro, Riccardo Porta Andrea Boscaro e Riccardo Porta hanno fatto un bel lavoro con Tecniche di Web Marketing, riuscendo nel difficile compito di mettere ordine nell’articolato mondo della comunicazione su internet. Il linguaggio è chiaro e diretto, così come l’analisi di tutti i principali aspetti del web marketing. Ovviamente il testo non va ad approfondire analiticamente i singoli strumenti (occorrerebbe un volume almeno 10 volte più ampio), ma è un testo perfetto per chi vuole avere un quadro generale con tutte le informazioni principali a supporto. Unico neo… beh, c’è anche un’intervista al sottoscritto…

La nuova comunicazione interna - Paolo Artuso, Giacomo Mason Un argomento che spesso trascuro e che invece inizio ad incrociare sempre più spesso, anche per merito di clienti con i quali collaboriamo, è quello della comunicazione interna. Per cui ho apprezzato parecchio La nuova comunicazione interna di Paolo Artuso e Giacomo Mason. Di fatto il libro testimonia il cambiamento nelle relazioni all’interno delle organizzazioni che poi è frutto anche dell’evoluzione dei rapporti interpersonali per via delle nuove tecnologie. Quindi se le persone si rapportano ad altri (per business o meno) attraverso i social network, si aspettano qualcosa di simile anche all’interno delle proprie aziende. E quello che veniva identificato come marketing interno, fatto spesso di messaggi autoreferenziali e top-down, deve lasciare il passo a modalità comunicative più trasparenti che riescano a mettere in evidenza le individualità migliori non strettamente legate alla gerarchia.


Solito post cumulativo degli ultimi libri letti (visto che ho dato forfait sul blog da un paio di settimane, facciamo che questo post relativo a quattro libri vale il doppio, ok? )

Wikinomics 2.0 - Don Tapscott, Anthony D. Williams Inizierei da Wikinomics 2.0 di Don Tapscott e Anthony D. Williams. Lessi velocemente il libro in inglese appena uscito nel 2006 mentre questa è la versione in italiano, aggiornata nella prefazione e integrata con un nuovo capitolo “critico”. Si tratta di un lavoro che approfondisce gli aspetti della collaborazione di massa, in particolare utilizzando la Rete per lo sviluppo di contenuti “dal basso”. Indubbiamente è un testo di riferimento sull’argomento, anche se vede tutto il mondo in ottica wiki e talvolta pare decisamente poco concreto, pur con l’aggiunta del capitolo che recepisce alcune delle obiezioni ai temi degli user generated content.

Creativita per l'innovazione - Gianni Clocciatti Su Creatività per l’innovazione di Gianni Clocciatti ho trovato molti elementi interessanti. Sicuramente è un testo utile per chi si interessa di creatività in genere perché traccia un panorama completo delle principali tecniche e scuole di pensiero, talvolta anche in contrasto tra loro. Io ho apprezzato la trattazione giustamente sintetica di molteplici tecniche per lo sviluppo della creatività, tutte orientate o comunque declinabili al mondo delle aziende e dell’innovazione in particolare. Semmai la difficoltà è riuscire a valorizzare la creatività in un contesto di mercato che valuta poco le idee… ma questo non è certo il compito di un libro!

Tecniche di Web Marketing - Andrea Boscaro, Riccardo Porta Andrea Boscaro e Riccardo Porta hanno fatto un bel lavoro con Tecniche di Web Marketing, riuscendo nel difficile compito di mettere ordine nell’articolato mondo della comunicazione su internet. Il linguaggio è chiaro e diretto, così come l’analisi di tutti i principali aspetti del web marketing. Ovviamente il testo non va ad approfondire analiticamente i singoli strumenti (occorrerebbe un volume almeno 10 volte più ampio), ma è un testo perfetto per chi vuole avere un quadro generale con tutte le informazioni principali a supporto. Unico neo… beh, c’è anche un’intervista al sottoscritto…

La nuova comunicazione interna - Paolo Artuso, Giacomo Mason Un argomento che spesso trascuro e che invece inizio ad incrociare sempre più spesso, anche per merito di clienti con i quali collaboriamo, è quello della comunicazione interna. Per cui ho apprezzato parecchio La nuova comunicazione interna di Paolo Artuso e Giacomo Mason. Di fatto il libro testimonia il cambiamento nelle relazioni all’interno delle organizzazioni che poi è frutto anche dell’evoluzione dei rapporti interpersonali per via delle nuove tecnologie. Quindi se le persone si rapportano ad altri (per business o meno) attraverso i social network, si aspettano qualcosa di simile anche all’interno delle proprie aziende. E quello che veniva identificato come marketing interno, fatto spesso di messaggi autoreferenziali e top-down, deve lasciare il passo a modalità comunicative più trasparenti che riescano a mettere in evidenza le individualità migliori non strettamente legate alla gerarchia.


Stamattina volevo anch’io scrivere qualcosa sulla sciagurata proposta-decreto del Senatore D’Alia; il problema è che ciò che mi passava per la testa (e quindi per la tastiera) non riusciva a formarsi se non condito di tante mal parole (anche Stefano Quintarelli è ricorso ai beep, spiegando poi benissimo tutta la faccenda). Allora ho provato a “contare fino 10” come ci insegnavano, ma… niente. Per fortuna è una di quelle giornate in cui le faccende di lavoro mi tengono ben impegnato e questo post è sceso di priorità. Alla fine ci ho ripensato, cambio argomento e, soprattutto, scrivo di una cosa positiva e stimolante.

Voglio segnalare il continuo lavoro di un gruppo di innovatori disubbidienti della Pubblica Amministrazione. Mi riferisco all’iniziativa InnovatoriPA, guidata da ForumPA e Formez con la collaborazione di una crescente schiera di persone (sia di provenienza PA o meno), tra cui senz’altro Gigi Cogo che fa il punto degli ultimi lavori.

Uno dei momenti clue di InnovatoriPA arriverà il 13 Maggio a Roma per un apposito Barcamp che sta già “scaldando i motori” del confronto. Un grande in bocca al lupo e buona partecipazione!