Archivio: “Pubblicità”

Aiutatemi a capire. Ieri AGCOM fa un comunicato stampa sulla valorizzazione del SIC (Sistema Integrato delle Comunicazioni), nel quale rileva per la pubblicità online un passaggio da 672 milioni nel 2011 a 1.503 milioni di Euro nel 2012.

Evidentemente il fatturato online NON è triplicato in un anno, per cui penso si applichi la nota (un po’ criptica in verità) che dovrebbe stare a significare che nel 2011 alcuni valori non erano stati considerati. Mi domando che senso abbia rappresentare dati così macroscopicamente incongruenti, ma pazienza.

SIC Sistema Integrato delle Comunicazioni 2012

 

Ciò che trovo strano è che l’anno scorso AGCOM pubblicò la prima edizione dell’Osservatorio sulla Pubblicità, in cui stimava per il 2011 tutt’altro valore, ossia 1.578 milioni di Euro (grafico di seguito).

 

AGCOM - Ricavi pubblicitari

 

Più recente invece il documento “Indagine conoscitiva sul settore dei servizi internet e sulla pubblicità online” sempre di AGCOM (dati di seguito), il quale presenta ancora altri numeri per il 2011 (1.408 milioni di Euro) mentre per il 2012 il dato di 1.503 milioni è quello dell’ultimo SIC (evviva!)

 

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Ripensavo al convegno di qualche giorno fa del Politecnico che ha annunciato una collaborazione con IAB per analizzare il valore del mercato della pubblicità online perché finora non si erano mai parlati…

E’ una storia vecchia: sembra che in Italia si faccia di tutto per tirare ad indovinare quando si tratta dei numeri di internet…


Qualche giorno fa mi ha scritto una persona chiedendomi un consiglio: in pratica vorrebbe lanciare un e-commerce nel settore high-tech rivenduti in dropshipping, puntando su ricchezza di catalogo, cura estetica del sito, consegna entro 48 ore. Il punto è che il budget di comunicazione di cui si dispone è di 250 Euro al mese.

Fare marketing online con 250 euro al meseLo so, qualche collega del settore storcerà il naso, anzi, si è già voltato da un’altra parte. La mia posizione è quella di comprendere la richiesta, penso stimolata anche dalla faciloneria con cui in molti raccontano internet.

Ecco cosa ho risposto:

Capisco le tue perplessità, ma anche internet ha le sue regole di mercato. Ti faccio un esempio in un altro ambito: se voglio aprire un negozio di scarpe, non basta concentrarsi su buoni prodotti, una commessa gentile ed una bella vetrina: occorre il negozio! Purtroppo, trovare un locale in centro in una grande città costa un occhio della testa!

La Rete è così: potenzialmente è globale e ha una soglia di ingresso bassa, ma ciò è vero per nicchie di mercato o settori verticali. Se vai su settori competitivi, l’investimento richiesto è molto alto.

Aggiungo: chiaramente anche le opportunità possono essere notevoli sul mercato globale e su settori ampi e ricchi, ma l’asticella dell’investimento iniziale si alza di conseguenza.


Non si tratta di mettere in competizione i vari media e ovviamente non c’è un canale migliore di un altro in senso assoluto. Però è interessante questa ricerca di Nielsen appena pubblicata relativa ai mercati asiatici che, tra le altre cose, compara il ROI dei vari strumenti pubblicitari.

Della serie “un’immagine vale più di mille parole”:

Media ROI (Asia) - Nielsen

 

La ricerca può essere richiesta gratuitamente da qui.


Non si tratta di mettere in competizione i vari media e ovviamente non c’è un canale migliore di un altro in senso assoluto. Però è interessante questa ricerca di Nielsen appena pubblicata relativa ai mercati asiatici che, tra le altre cose, compara il ROI dei vari strumenti pubblicitari.

Della serie “un’immagine vale più di mille parole”:

Media ROI (Asia) - Nielsen

 

La ricerca può essere richiesta gratuitamente da qui.


Entro il 2016 l’interactive marketing rappresenterà un terzo di tutta la spesa pubblicitaria (attualmente è al 19%). Lo stima Forrester in riferimento al mercato USA. La motivazione principale è sintetica ed efficace:

It not only works, you can prove it works

La crescita maggiore riguarderà il Display, il Video e il Mobile advertising mentre il Search, pur in aumento, attenuerà la percentuale di miglioramento riscontrata negli ultimi anni.

La spesa destinata ai Social Media si triplicherà, considerando che in questo caso non parliamo solo di advertising: Forrester li definisce “Social programs — not just social ads”. A tale proposito, interessante la nota su Clickz che segnala il motivo per cui il social media advertising è conveniente:

"Developing owned social assets like a Facebook page could run as much as $1 million, but this is a one-time cost. Compare these fees to a paid search budget for example, which ranges between $500,000 and $3 million per month," the report found.

Certo, non succede proprio molto spesso da queste parti di vedere aziende che investono un milione di dollari sui social media ma prima o poi ci arriveremo, giusto? Occhiolino


Le Cose Nuove - Odoardo Ambroso, Paolo RomitiLe cose nuove è bello già nel titolo. Scritto da Odoardo Ambroso e Paolo Romiti, i fondatori di Ammiro Partner (azienda nella quale lavoro dall’anno scorso), va ad analizzare i cambiamenti in atto nel marketing, con un occhio particolare a come oggetti e prodotti assumeranno una nuova condizione in quanto oggetti connessi (“internet delle cose”). Leit motiv del libro sono Gingilli e Spime, ispirato al pensiero di Bruce Sterling, che identifica con i due termini il passaggio da relazioni semplici alle moderne strutture a network. Mia è invece la postfazione.

Storyselling - Andrea FontanaNon male Storyselling di Andrea Fontana, un libro dedicato a come il “raccontar storie” aiuti a vendere. Storytelling è a mio avviso una delle parole chiave dei nostri tempi; da sempre aiuta la comunicazione, ma in epoca di guerra dell’attenzione, le storie avvicinano contenuti e persone in modo naturale, coinvolgente, stimolante. E se è vero che prima di vendere qualcosa a qualcuno, occorre stabilire una relazione e poi sviluppare un’esperienza, lo storytelling contribuisce a predisporre il terreno e, spesso, la chiave iniziale di contatto si trasforma nell’elemento che identifica definitivamente il prodotto.

Paolo Iabichino - InvertisingPaolo Iabichino con Invertising ci porta invece nel mondo della pubblicità. L’advertising che cerca (più o meno faticosamente e consapevolmente) di stringere patti con i destinatari dei messaggi, anziché continuare a considerarli solo bersagli come è avvenuto negli ultimi decenni. Nel libro c’è autocritica relativamente alla professione del pubblicitario ma ci sono stimoli a non finire per chi vuole adeguare il mestiere a quello che richiedono le persone (e non più o non solo gli advertiser).

Eretici digitali - Massimo Russo, Vittorio ZambardinoEretici digitali è un libro indispensabile per capire internet nel suo complesso, comprese le minacce continuamente reiterate da parte di vari poteri più o meno forti nel mettere bavagli, restrizioni o per asservimenti a business poco trasparenti. Non sono d’accordo su alcune posizioni degli autori i quali, ad esempio, sembrano sposare la proposta che fece nel 2009 Carlo De Benedetti di tassare le connessioni internet per pagare i produttori d contenuti. Per il resto, le 10 tesi eretiche espresse nel libro, regalano punti di osservazioni profondi che ci costringono a guardare internet in maniera disincantata, contraddizioni e compromessi compresi.


Le Cose Nuove - Odoardo Ambroso, Paolo RomitiLe cose nuove è bello già nel titolo. Scritto da Odoardo Ambroso e Paolo Romiti, i fondatori di Ammiro Partner (azienda nella quale lavoro dall’anno scorso), va ad analizzare i cambiamenti in atto nel marketing, con un occhio particolare a come oggetti e prodotti assumeranno una nuova condizione in quanto oggetti connessi (“internet delle cose”). Leit motiv del libro sono Gingilli e Spime, ispirato al pensiero di Bruce Sterling, che identifica con i due termini il passaggio da relazioni semplici alle moderne strutture a network. Mia è invece la postfazione.

Storyselling - Andrea FontanaNon male Storyselling di Andrea Fontana, un libro dedicato a come il “raccontar storie” aiuti a vendere. Storytelling è a mio avviso una delle parole chiave dei nostri tempi; da sempre aiuta la comunicazione, ma in epoca di guerra dell’attenzione, le storie avvicinano contenuti e persone in modo naturale, coinvolgente, stimolante. E se è vero che prima di vendere qualcosa a qualcuno, occorre stabilire una relazione e poi sviluppare un’esperienza, lo storytelling contribuisce a predisporre il terreno e, spesso, la chiave iniziale di contatto si trasforma nell’elemento che identifica definitivamente il prodotto.

Paolo Iabichino - InvertisingPaolo Iabichino con Invertising ci porta invece nel mondo della pubblicità. L’advertising che cerca (più o meno faticosamente e consapevolmente) di stringere patti con i destinatari dei messaggi, anziché continuare a considerarli solo bersagli come è avvenuto negli ultimi decenni. Nel libro c’è autocritica relativamente alla professione del pubblicitario ma ci sono stimoli a non finire per chi vuole adeguare il mestiere a quello che richiedono le persone (e non più o non solo gli advertiser).

Eretici digitali - Massimo Russo, Vittorio ZambardinoEretici digitali è un libro indispensabile per capire internet nel suo complesso, comprese le minacce continuamente reiterate da parte di vari poteri più o meno forti nel mettere bavagli, restrizioni o per asservimenti a business poco trasparenti. Non sono d’accordo su alcune posizioni degli autori i quali, ad esempio, sembrano sposare la proposta che fece nel 2009 Carlo De Benedetti di tassare le connessioni internet per pagare i produttori d contenuti. Per il resto, le 10 tesi eretiche espresse nel libro, regalano punti di osservazioni profondi che ci costringono a guardare internet in maniera disincantata, contraddizioni e compromessi compresi.


Secondo me è inopportuno pubblicizzare un browser utilizzando come testo dell’annuncio il dettaglio delle sessioni web di un utente-tipo (via psfk). Sa un po’ di telecamera nascosta in grado di intercettare tutto ciò fa l’utente mentre scorazza per il web. In Google la pensano evidentemente in modo diverso oppure è esattamente ciò che fanno (si fa per dire, eh :) ).

google billboard ad london.jpg


Secondo me è inopportuno pubblicizzare un browser utilizzando come testo dell’annuncio il dettaglio delle sessioni web di un utente-tipo (via psfk). Sa un po’ di telecamera nascosta in grado di intercettare tutto ciò fa l’utente mentre scorazza per il web. In Google la pensano evidentemente in modo diverso oppure è esattamente ciò che fanno (si fa per dire, eh :) ).

google billboard ad london.jpg


Via Dotcoma noto che nella homepage di Google c’è un bel link pubblicitario. Pur trattandosi di autopromozione (riguarda infatti il cellulare HTC con tecnologia Android venduto da Vodafone), dovrebbe trattarsi di una novità assoluta.

Certo che potevano impegnarsi un po’ meglio sul testo dell’annuncio: che significa “Altre informazioni.” scritto in quel modo? Probabilmente sarebbe stata quella la frase a cui mettere il link, ma presentato così non ha senso. O no?

Pubblicità sull'homepage di Google


Oggi Google ha fatto un annuncio importante per il mondo della pubblicità, ossia DoubleClick Advertising Exchange, una piattaforma tecnologica per far incrociare l’offerta e la domanda di pubblicità online.

Il sistema, seppure ricco di funzionalità e modalità di fruizione (come dettagliato sul blog della stessa DoubleClick, la società acquistata da Google l’anno scorso per 3,2 miliardi di dollari), è praticamente una specie di marketplace in cui i publisher potranno offrire il loro inventory pubblicitario e i marketers (o le loro agenzie) potranno acquistare e pianificare le campagne. Naturalmente il tutto è collegato con AdWords e AdSense, ossia le attuali piattaforme pubblicitarie di Google.

Più di un anno fa, ebbi modo di presentare in anteprima per l’Italia un progetto equivalente di Microsoft, di cui riprendo uno schema qui sotto:

Microsoft Ad Exchange

Il progetto Microsoft era specificatamente votato ad implementare un sistema “aperto”. E qui non parlo solo di API ma di un’infrastruttura simile a quella delle borse valori le quali, pur in presenza di specifiche regole, permettono una negoziazione tra qualsiasi operatore sul mercato. Spero che anche Google applichi davvero una piattaforma di questo tipo perché altrimenti ci si ritroverebbe in situazioni come quelle di AdSense in cui i publisher mettono a disposizione le loro audience ma nulla sanno dei ricavi generati su questa da Google (anche se finalmente lo stesso Schmidt


Oggi Google ha fatto un annuncio importante per il mondo della pubblicità, ossia DoubleClick Advertising Exchange, una piattaforma tecnologica per far incrociare l’offerta e la domanda di pubblicità online.

Il sistema, seppure ricco di funzionalità e modalità di fruizione (come dettagliato sul blog della stessa DoubleClick, la società acquistata da Google l’anno scorso per 3,2 miliardi di dollari), è praticamente una specie di marketplace in cui i publisher potranno offrire il loro inventory pubblicitario e i marketers (o le loro agenzie) potranno acquistare e pianificare le campagne. Naturalmente il tutto è collegato con AdWords e AdSense, ossia le attuali piattaforme pubblicitarie di Google.

Più di un anno fa, ebbi modo di presentare in anteprima per l’Italia un progetto equivalente di Microsoft, di cui riprendo uno schema qui sotto:

Microsoft Ad Exchange

Il progetto Microsoft era specificatamente votato ad implementare un sistema “aperto”. E qui non parlo solo di API ma di un’infrastruttura simile a quella delle borse valori le quali, pur in presenza di specifiche regole, permettono una negoziazione tra qualsiasi operatore sul mercato. Spero che anche Google applichi davvero una piattaforma di questo tipo perché altrimenti ci si ritroverebbe in situazioni come quelle di AdSense in cui i publisher mettono a disposizione le loro audience ma nulla sanno dei ricavi generati su questa da Google (anche se finalmente lo stesso Schmidt


Google ASCII La faccenda è quella di FIEG che ritiene dominante la posizione di Google per cui ha fatto intervenire l'Antitrust e la Guardia di Finanza. Ci sono parecchi angoli di osservazione della vicenda; qui ne riporto alcuni.

Parto da un commento ad un post di Luca De Biase che riprende un brano di un pezzo di Armando Torno su corriere.it, il quale fotografa lo scenario generale del valore dei contenuti: “la retri


Merito innanzitutto al titolo di questo studio: “The Silent Click: Building Brands Online”, una ricerca commissionata da OPA (Online Publisher Association), che evidenzia l’efficacia del display advertising sia in termini di branding, sia in riferimento agli acquisti fatti online relativi ai brand in campagna.

La ricerca, che sarà disponibile integralmente  dal prossimo 25 giugno sul sito di OPA, sottolinea questi elementi principali (li riporto nella versione originale):

  • One in five conduct related searches and one in three visit the brands’ sites
  • Users spent over 50% more time than the average visitor to these sites and consumed more pages
  • Users spent about 10% more money online overall, and significantly more on product categories related to the advertised brands
  • Higher income audiences visited the advertisers sites


Sono sempre diffidente rispetto alle indagini di mercato quando realizzate attraverso domande sulle iniziative future degli intervistati. Nel settore della comunicazione, ad esempio, è frequente imbattersi in survey in cui si chiede agli investitori pubblicitari a proposito delle loro prossime scelte di pianificazione e sull’entità delle stesse. Il rischio è che le risposte siano più che altro degli auspici che non sempre vengono poi confermati.

Le indicazioni di tali ricerche sono comunque utili, specie se i dati sono confermati da più fronti e, quantomeno a livello relativo, offrono degli utili parametri per capire cosa probabilmente avverrà nel medio/breve periodo. È il caso di due indagini appena pubblicate relative a come le aziende andranno ad orientare i loro investimenti relativi ad internet.

La prima ricerca riguarda il Regno Unito ed è condotta annualmente da Guava e Econsultancy. In questo caso, il 45% dei marketers hanno dichiarato che incrementeranno i loro investimenti in paid search (solo l’11% invece li ridurrà), mentre il display advertising vedrà budget incrementati nel 24% dei casi (il 16% li taglierà). Da sottolineare che ben il 55% delle aziende conta di aumentare le risorse per la visibilità nei risultati standard dei motori di ricerca (SEO), contro un 6% che le diminuirà.

L’altra ricerca è quella di EIAA e concerne diversi paesi europei tra cui l’Italia. In questo caso, ben 7 aziende su 10 dichiarano che incrementeranno i loro budget in pubblicità online. Risorse che verranno detratte dalla TV (nel 37% dei casi), quotidiani (32%), riviste (46%). Indagando su quale strumento online verrà accresciuto maggiormente, spicca il paid search (64% degli intervistati).

Speriamo non siano solo auspici!


Sono sempre diffidente rispetto alle indagini di mercato quando realizzate attraverso domande sulle iniziative future degli intervistati. Nel settore della comunicazione, ad esempio, è frequente imbattersi in survey in cui si chiede agli investitori pubblicitari a proposito delle loro prossime scelte di pianificazione e sull’entità delle stesse. Il rischio è che le risposte siano più che altro degli auspici che non sempre vengono poi confermati.

Le indicazioni di tali ricerche sono comunque utili, specie se i dati sono confermati da più fronti e, quantomeno a livello relativo, offrono degli utili parametri per capire cosa probabilmente avverrà nel medio/breve periodo. È il caso di due indagini appena pubblicate relative a come le aziende andranno ad orientare i loro investimenti relativi ad internet.

La prima ricerca riguarda il Regno Unito ed è condotta annualmente da Guava e Econsultancy. In questo caso, il 45% dei marketers hanno dichiarato che incrementeranno i loro investimenti in paid search (solo l’11% invece li ridurrà), mentre il display advertising vedrà budget incrementati nel 24% dei casi (il 16% li taglierà). Da sottolineare che ben il 55% delle aziende conta di aumentare le risorse per la visibilità nei risultati standard dei motori di ricerca (SEO), contro un 6% che le diminuirà.

L’altra ricerca è quella di EIAA e concerne diversi paesi europei tra cui l’Italia. In questo caso, ben 7 aziende su 10 dichiarano che incrementeranno i loro budget in pubblicità online. Risorse che verranno detratte dalla TV (nel 37% dei casi), quotidiani (32%), riviste (46%). Indagando su quale strumento online verrà accresciuto maggiormente, spicca il paid search (64% degli intervistati).

Speriamo non siano solo auspici!


Negli ultimi giorni ho avuto alcune occasioni per confrontarmi con aziende, organizzazioni e colleghi in merito all’utilizzo di internet nelle strategie di complessive di comunicazione. Ho trovato conferma di alcuni punti:

  • Internet non è (solo) un media. Analizzare e pianificare la Rete solo con le tecniche pensate per i media tradizionali è limitativo e non consente di sfruttare e interpretare le sue peculiarità. La semplice costatazione che almeno un quarto del tempo passato online riguarda l’uso di strumenti di networking (messenger, social network, blog), evidenzia una situazione in cui il “media” si basa in buona parte su contenuti e ambienti create dalle persone e non solo da editori o professionisti della comunicazione.
  • È opportuno distinguere l’approccio alla Rete se ci si riferisce al suo impiego in chiave pubblicitaria (dove la sfida è proprio quella di normalizzare le metriche di analisi dell’efficacia con quelle degli altri mezzi), da quello sempre più rilevante di strumento di conversazione. Mischiare le cose, rischia di partorire solo improbabili ibridi in cui si cerca di ricondurre i media partecipati ad un flight pubblicitario.
  • Una eventuale terza distinzione va fatta per quelle iniziative sperimentali (non nel senso della sofisticazione, ma nella limitata prevedibilità di risultati), siano esse di apertura graduale verso un vero confronto con i consumatori, oppure di ardite idee creative di comunicazione.
  • Diventa sempre più evidente come non esistono risposte univoche sul come integrare internet nel marketing-mix e sul come utilizzane al meglio i suoi strumenti. Il consolidato di anni di esperienze nei media tradizionali, lascia il terreno ad un inevitabile approccio “trial and error” in cui le iniziative empiriche “learn by doing” risultano essere quelle che generano il knowledge più concreto, efficace e aggiornato.
  • L’evidente articolazione degli strumenti online e la complessità che ne deriva, possono essere tramutati in opportunità solo se la relazione tra azienda e partner esterni (agenzie, centri media, consulenti) riesce ad evolversi, ponendo tutte le figure professionali su un piano collaborativo piuttosto che di un mera relazione cliente/fornitore.

Sono riflessioni pensate soprattutto in relazione agli spender pubblicitari e un po’ meno per le PMI, nel tentativo di cercare di fare ordine (o quanto meno di limitare il caos) nel modo di inquadrare internet all’interno delle organizzazioni. Sapendo bene che lo scenario è e sarà in continua evoluzione. Beh, serve a mantenersi giovani, no?


Riporto di seguito lo schema che riassume le stime di IAB Italia relative al valore della pubblicità online in Italia diviso per tipologia di strumento. La tabella riporta i dati (espressi in milioni di Euro) dal 2006 al 2009 con le relative variazione anno su anno.

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I dati relativi al 2009, appena resi pubblici, sono basati sulle elaborazioni delle rilevazioni di Nielsen e ACP/Assointernet, a cui IAB ha integrato alcuni valori mancanti, in particolare a riguardo del Paid Search e dei Classified. Da segnalare che tale elaborazione è stata realizzata attraverso un confronto che ha coinvolto tutti i principali player del settore.

I dati che mi sento di sottolineare sono la continua crescita del Paid Search così come del Display Advertising (seppure in maniera ridotta), in un mercato pubblicitario generale, non dimentichiamolo, che prevede di chiudere il 2009 in forte regresso. Ancora limitati i volumi di Email advertising e Mobile advertising.

Personalmente ritengo che questi valori siamo quelli che meglio rappresentano il mercato pubblicitario online in Italia e senza dubbio quelli maggiormente comparabili con le rilevazioni fatte nelle altre nazioni. E non lo dico perché faccio parte del Consiglio Direttivo di IAB. Purtroppo, noto invece che molto spesso vengono segnalati dei numeri che rappresentano male o solo in parte i veri valori in campo, come se si volesse circoscrivere il settore su volumi più bassi (in cui magari il proprio market share risulti più marcato) del reale. Non dico certo di fare sovrastime (come ad esempio ho visto fare in altre nazioni assecondando un atteggiamento “grandeur”…) ma di rappresentare correttamente un mercato florido, che continua a crescere ma che ancora non occupa lo spazio adeguato nel marketing mix delle aziende.


Riporto di seguito lo schema che riassume le stime di IAB Italia relative al valore della pubblicità online in Italia diviso per tipologia di strumento. La tabella riporta i dati (espressi in milioni di Euro) dal 2006 al 2009 con le relative variazione anno su anno.

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I dati relativi al 2009, appena resi pubblici, sono basati sulle elaborazioni delle rilevazioni di Nielsen e ACP/Assointernet, a cui IAB ha integrato alcuni valori mancanti, in particolare a riguardo del Paid Search e dei Classified. Da segnalare che tale elaborazione è stata realizzata attraverso un confronto che ha coinvolto tutti i principali player del settore.

I dati che mi sento di sottolineare sono la continua crescita del Paid Search così come del Display Advertising (seppure in maniera ridotta), in un mercato pubblicitario generale, non dimentichiamolo, che prevede di chiudere il 2009 in forte regresso. Ancora limitati i volumi di Email advertising e Mobile advertising.

Personalmente ritengo che questi valori siamo quelli che meglio rappresentano il mercato pubblicitario online in Italia e senza dubbio quelli maggiormente comparabili con le rilevazioni fatte nelle altre nazioni. E non lo dico perché faccio parte del Consiglio Direttivo di IAB. Purtroppo, noto invece che molto spesso vengono segnalati dei numeri che rappresentano male o solo in parte i veri valori in campo, come se si volesse circoscrivere il settore su volumi più bassi (in cui magari il proprio market share risulti più marcato) del reale. Non dico certo di fare sovrastime (come ad esempio ho visto fare in altre nazioni assecondando un atteggiamento “grandeur”…) ma di rappresentare correttamente un mercato florido, che continua a crescere ma che ancora non occupa lo spazio adeguato nel marketing mix delle aziende.


Sulla rivista cartacea del SES c’è un’intervista a John Gerzema, Chief Insights Officer di Young & Rubicam Group, il quale cita una non meglio specificata survey riguardo ai brand che ha coinvolto 2.500 aziende. Ebbene, ecco qualche numero:

  • La brand awareness diminuisce del 20%
  • La stima per i brand cala del 12%
  • La percezione della brand equity scende del 24%
  • Crolla del 50% la fiducia nei brand

Urgh!


Sulla rivista cartacea del SES c’è un’intervista a John Gerzema, Chief Insights Officer di Young & Rubicam Group, il quale cita una non meglio specificata survey riguardo ai brand che ha coinvolto 2.500 aziende. Ebbene, ecco qualche numero:

  • La brand awareness diminuisce del 20%
  • La stima per i brand cala del 12%
  • La percezione della brand equity scende del 24%
  • Crolla del 50% la fiducia nei brand

Urgh!


Proviamo solo per un secondo a mettere l’orologio indietro anche solo di tre o quattro anni. Certo, eravamo già parecchi a parlare di social media e di conversazione. Ma se cercavamo applicazioni concrete, anche nei più avanguardisti Stati Uniti, finivamo sempre per citare i soliti due o tre nomi.

Ok, rimettiamo l’orologio sui nostri giorni, periodo in cui i venti gelidi della recessione tingono di importanza doppia le innovazioni introdotte dalle aziende sul fronte della trasparenza e della condivisione. Non entro nel merito delle singole iniziative, ma trovo significativo il modo col quale alcune corporation stanno rinnovando radicalmente il modo di comunicare e di porsi nei confronti delle persone.

  • Partiamo da Microsoft. Una delle più grandi aziende al mondo sta evidentemente cambiando pelle. Sarà pure costretta dal mercato ma, sottoscrivendo quello che ha scritto l’amico Greg Jarboe su Searchenginewatch, “Well, raise my rent. Microsoft is the good guy!”. Mi riferisco al graduale adeguamento alle regole imposte dalla Commissione Europea che andrebbero meglio evidenziate, come sottolinea Andrea Valboni su MClips, il blog multiautore di Microsoft Italia.
  • Poi c’è l’iniziativa Nel Mulino Che Vorrei di Barilla. L’idea è chiaramente stimolante e coinvolgente (far scegliere alle persone le frasi della pubblicità) ma io la cosa che apprezzo di più è che l’azienda inizia (più o meno consapevolmente) a parlare attraverso le sue persone. Si perché è nella descrizione del blog di Pepe Moder, Digital Marketing Manager dell’area bakery di Barilla, che arrivano le informazioni “vere”, credibili, utili a capire.
  • Naturalmente c’è anche Working Capital, il progetto per sostenere l’innovazione e le nuove iniziative imprenditoriali organizzato da Telecom Italia insieme a dpixel. Qui segnalo due cose: la diffusione di informazioni tramite chart e video direttamente dal blog di Gianluca Dettori e il post sul blog di Google Italia che chiarisce l’utilizzo dell’iconografia di Google nella campagna pubblicitaria di Working Capital.

Parafrasando l’articolo “I panni sporchi si lavano in Rete” sul numero di Panorama in edicola (in cui intervengo proprio nell’auspicare l’apertura di canali di comunicazione online da parte delle aziende), ritengo che adesso si possano anche “esibire i panni puliti”: l’importante è farlo in modo credibile e trasparente. (Per chi non ha la copia cartacea dell’articolo di Panorama, ancora per qualche giorno si può leggere qui.)


L’abbiamo capito: siamo dentro la recessione. Probabilmente sarà molto complicata e durerà almeno per tutto questo 2009. Alla parola “recessione” ne associo altre quattro, che condividono l’iniziale “R” e che sono pensate per reagire (altra parola con “R”) alla crisi, per delineare la strategia più adatta e, perché no, per cogliere l’occasione di rinnovarsi davvero. Penso quindi a Riflessione, Reset, Rilancio, Risultati, da considerare più o meno con questa cronologia.

  • Riflessione. Vanno ripensate le strategie di comunicazione. Non è più sufficiente proseguire le comode logiche di adattamento, perché sono ormai troppe le fratture con il passato (anche quello più recente) per continuare ad evolversi sulle basi del vissuto.
  • Reset. Come per gli apparecchi elettronici che se vanno in tilt possono tornare a funzionare spegnendoli e accendendoli di nuovo, occorre rinnovare il modo di utilizzare gli strumenti di comunicazione, rompendo con coraggio e realismo alcuni status quo e l’inerzia decisionale.
  • Rilancio. È il momento di promuovere nuovi valori, concreti, che parlano la lingua delle persone e non quella della persuasione. Vanno esaltate le professionalità individuali delle aziende, la loro capacità di rappresentare i brand e di esternare le passioni che li motivano, così da aprire realmente la conversazione con i mercati. E anche se è naturale durante crisi come questa di essere tentati da atteggiamenti difensivi e conservativi, è indispensabile enfatizzare gli asset reali e promuoverli adeguatamente.
  • Risultati. Mi auguro che la contingenza economica farà emergere il fatto che la comunicazione digitale è quella che offre i parametri di misurabilità più flessibili e precisi. Ed è anche quella che consente di pianificare consapevolmente gli investimenti monitorandone in tempo reale gli effetti. Comprese le attività più orientate al branding e allo sviluppo della relazione.

Quindi internet. Che per taluni sembra ancora così complicata e tecnologica. Il punto è che internet è complessa per chi cerca un altro “semplice” media, per chi si aspetta di pianificare con i GRP; per chi ama pontificare ma non ascolta i mercati. Per molti altri, invece, è piena di opportunità e di produttività. E a voi da che parte vi interessa stare?

Articolo pubblicato sul numero 3/2009 di Pubblicità Italia.


Si chiama Vendor Relationship Management (VRM) è ed un progetto lanciato Doc Searls (uno degli autori


Oggi ho fatto un salto alla presentazione del 3