Archivio: “Giornalismo”

Dalle interessanti chart di Mary Meeker – State of the Net, ne prendo una solo per una considerazione semplice semplice: ma se gli editori già faticano oggi a valorizzare la pubblicità sul web rispetto a quella su carta o su altri canali analogici, come faranno a gestire il mobile che a sua volta è 5 volte meno remunerativo del web?

Mary Meeker - The State Of The Web

La parola che sento sempre ripetere tra i publisher è innovazione. E ci sta. Ho solo l’impressione che alcuni pensano che innovare significhi trovare un modo nuovo e creativo per mantenere le attuali organizzazioni, l’attuale offerta, l’attuale autorevolezza.

Per come la vedo io, i fronti dovrebbero essere:

  • Passare ad una logica di servizio con metriche riviste rispetto a quella che oggi viene considerata qualità dei contenuti
  • Smontare l’offerta pubblicitaria da vendita di “ad units” per passare a realizzare progetti di comunicazione e content marketing


Ci sono luoghi dove fare innovazione è più semplice, anche in ambiti complessi e tradizionalmente lenti ad evolversi. Penso ad Huffington Post e al settore del giornalismo e dei media analogici.

Proprio stamattina Stefano Quintarelli ad un convegno di FIMI, sottolineava come alcuni processi richiedono inesorabilmente tempo. Giusto. L’importante è guardare chi innova (e magari fa anche casini o sfrutta le pieghe delle debolezze altrui), senza l’atteggiamento istintivo e snob del not invented here.

Dicevo di Huffington Post. Già da qualche anno i titoli degli articoli vengono scelti dalla piattaforma dopo che ne ha testati più d’uno misurando quello che buca di più. Ancora oggi penso a cosa significhi dire ad alcuni giornalisti di lasciare che sia “la macchina” a scegliere i titoli degli articoli.

Sul fronte più legato alla relazione di business, segnalo invece questa iniziativa in cui l’Huffington Post si pone a supporto dei brand nella produzione di contenuti editoriali. Non è un’idea nuova ma conferma la convergenza tra il content marketing e le nuove relazioni tra advertiser e publisher, tirandosi dietro modelli economici originali.

Evidentemente ciò bypassa alcuni intermediari (i centri media  le stesse concessionarie di pubblicità) a meno che non riescano ad erogare valore strategico e servizi al di là delle ad units.


Le Cose Nuove - Odoardo Ambroso, Paolo RomitiLe cose nuove è bello già nel titolo. Scritto da Odoardo Ambroso e Paolo Romiti, i fondatori di Ammiro Partner (azienda nella quale lavoro dall’anno scorso), va ad analizzare i cambiamenti in atto nel marketing, con un occhio particolare a come oggetti e prodotti assumeranno una nuova condizione in quanto oggetti connessi (“internet delle cose”). Leit motiv del libro sono Gingilli e Spime, ispirato al pensiero di Bruce Sterling, che identifica con i due termini il passaggio da relazioni semplici alle moderne strutture a network. Mia è invece la postfazione.

Storyselling - Andrea FontanaNon male Storyselling di Andrea Fontana, un libro dedicato a come il “raccontar storie” aiuti a vendere. Storytelling è a mio avviso una delle parole chiave dei nostri tempi; da sempre aiuta la comunicazione, ma in epoca di guerra dell’attenzione, le storie avvicinano contenuti e persone in modo naturale, coinvolgente, stimolante. E se è vero che prima di vendere qualcosa a qualcuno, occorre stabilire una relazione e poi sviluppare un’esperienza, lo storytelling contribuisce a predisporre il terreno e, spesso, la chiave iniziale di contatto si trasforma nell’elemento che identifica definitivamente il prodotto.

Paolo Iabichino - InvertisingPaolo Iabichino con Invertising ci porta invece nel mondo della pubblicità. L’advertising che cerca (più o meno faticosamente e consapevolmente) di stringere patti con i destinatari dei messaggi, anziché continuare a considerarli solo bersagli come è avvenuto negli ultimi decenni. Nel libro c’è autocritica relativamente alla professione del pubblicitario ma ci sono stimoli a non finire per chi vuole adeguare il mestiere a quello che richiedono le persone (e non più o non solo gli advertiser).

Eretici digitali - Massimo Russo, Vittorio ZambardinoEretici digitali è un libro indispensabile per capire internet nel suo complesso, comprese le minacce continuamente reiterate da parte di vari poteri più o meno forti nel mettere bavagli, restrizioni o per asservimenti a business poco trasparenti. Non sono d’accordo su alcune posizioni degli autori i quali, ad esempio, sembrano sposare la proposta che fece nel 2009 Carlo De Benedetti di tassare le connessioni internet per pagare i produttori d contenuti. Per il resto, le 10 tesi eretiche espresse nel libro, regalano punti di osservazioni profondi che ci costringono a guardare internet in maniera disincantata, contraddizioni e compromessi compresi.


Le Cose Nuove - Odoardo Ambroso, Paolo RomitiLe cose nuove è bello già nel titolo. Scritto da Odoardo Ambroso e Paolo Romiti, i fondatori di Ammiro Partner (azienda nella quale lavoro dall’anno scorso), va ad analizzare i cambiamenti in atto nel marketing, con un occhio particolare a come oggetti e prodotti assumeranno una nuova condizione in quanto oggetti connessi (“internet delle cose”). Leit motiv del libro sono Gingilli e Spime, ispirato al pensiero di Bruce Sterling, che identifica con i due termini il passaggio da relazioni semplici alle moderne strutture a network. Mia è invece la postfazione.

Storyselling - Andrea FontanaNon male Storyselling di Andrea Fontana, un libro dedicato a come il “raccontar storie” aiuti a vendere. Storytelling è a mio avviso una delle parole chiave dei nostri tempi; da sempre aiuta la comunicazione, ma in epoca di guerra dell’attenzione, le storie avvicinano contenuti e persone in modo naturale, coinvolgente, stimolante. E se è vero che prima di vendere qualcosa a qualcuno, occorre stabilire una relazione e poi sviluppare un’esperienza, lo storytelling contribuisce a predisporre il terreno e, spesso, la chiave iniziale di contatto si trasforma nell’elemento che identifica definitivamente il prodotto.

Paolo Iabichino - InvertisingPaolo Iabichino con Invertising ci porta invece nel mondo della pubblicità. L’advertising che cerca (più o meno faticosamente e consapevolmente) di stringere patti con i destinatari dei messaggi, anziché continuare a considerarli solo bersagli come è avvenuto negli ultimi decenni. Nel libro c’è autocritica relativamente alla professione del pubblicitario ma ci sono stimoli a non finire per chi vuole adeguare il mestiere a quello che richiedono le persone (e non più o non solo gli advertiser).

Eretici digitali - Massimo Russo, Vittorio ZambardinoEretici digitali è un libro indispensabile per capire internet nel suo complesso, comprese le minacce continuamente reiterate da parte di vari poteri più o meno forti nel mettere bavagli, restrizioni o per asservimenti a business poco trasparenti. Non sono d’accordo su alcune posizioni degli autori i quali, ad esempio, sembrano sposare la proposta che fece nel 2009 Carlo De Benedetti di tassare le connessioni internet per pagare i produttori d contenuti. Per il resto, le 10 tesi eretiche espresse nel libro, regalano punti di osservazioni profondi che ci costringono a guardare internet in maniera disincantata, contraddizioni e compromessi compresi.


IAB SeminarCondivido quasi tutte le conclusioni dello stimolante intervento di Enrico Pedemonte allo IAB Seminar di giovedì scorso su social media e editoria online (scaricabile insieme agli altri atti su www.iabseminar.it).

Cruciale è uno dei punti all’origine della crisi dell’editoria tradizionale: “Si è rotto il contratto sociale tra provider e utenti”, così come stimolante è la riflessione sulle cose da salvare (sempre dalle chart di Pedemonte):

  • Controllo del potere: Giornalismo investigativo, Inchieste
  • Giornale crocevia delle comunità: Centro dinamico delle comunità locali, Creazione e conservazione delle identità

Come via d’uscita, l’ipotesi dell’ipergiornale; ma per ridare centralità sociale ai giornali occorre che diventino (o tornino ad essere):

  • Esperti competenti
  • Mediatori culturali
  • Gestori di Database
  • Interpreti dei bisogni collettivi/di nicchia

Un intervento schietto e realista, forse solo un po’ troppo lungo, ma che ha arricchito parecchio uno IAB Seminar tra i più riusciti.


IAB SeminarCondivido quasi tutte le conclusioni dello stimolante intervento di Enrico Pedemonte allo IAB Seminar di giovedì scorso su social media e editoria online (scaricabile insieme agli altri atti su www.iabseminar.it).

Cruciale è uno dei punti all’origine della crisi dell’editoria tradizionale: “Si è rotto il contratto sociale tra provider e utenti”, così come stimolante è la riflessione sulle cose da salvare (sempre dalle chart di Pedemonte):

  • Controllo del potere: Giornalismo investigativo, Inchieste
  • Giornale crocevia delle comunità: Centro dinamico delle comunità locali, Creazione e conservazione delle identità

Come via d’uscita, l’ipotesi dell’ipergiornale; ma per ridare centralità sociale ai giornali occorre che diventino (o tornino ad essere):

  • Esperti competenti
  • Mediatori culturali
  • Gestori di Database
  • Interpreti dei bisogni collettivi/di nicchia

Un intervento schietto e realista, forse solo un po’ troppo lungo, ma che ha arricchito parecchio uno IAB Seminar tra i più riusciti.


Google ASCII La faccenda è quella di FIEG che ritiene dominante la posizione di Google per cui ha fatto intervenire l'Antitrust e la Guardia di Finanza. Ci sono parecchi angoli di osservazione della vicenda; qui ne riporto alcuni.

Parto da un commento ad un post di Luca De Biase che riprende un brano di un pezzo di Armando Torno su corriere.it, il quale fotografa lo scenario generale del valore dei contenuti: “la retri


Leggevo la bella intervista ad Alberto Alessi rilasciata al The McKinsey Quarterly a proposito di come l’omonima azienda “coltiva” l’innovazione. Qui solo un passaggio:

“The destiny of a company like Alessi is to live as close as possible to the borderline, where you are able to really explore a completely unknown area of products. The problem is that the borderline is not clearly drawn. You cannot see with your eyes where it is. You can only sense these qualities.”

Mi sono tornati in mente i recenti appunti di Luca De Biase sullo storytelling a margine dell’evento Venice Sessions. Luca scrive a proposito delle storie delle aziende:

“Non sono i giornalisti che devono raccontare le storie. Il loro imprinting professionale è quello della spersonalizzazione. Forse questo è in via di correzione. I blog lo insegnano. Ma intanto i giornalisti possono mettersi al servizio di coloro che sono protagonisti di storie importanti per aiutarli a raccontarle se occorre. Sono i protagonisti che devono volerle raccontare. Sperando che credano fino in fondo che sono importanti [...]. In realtà, il racconto di ciascuno costruisce networking e abilita l'emergere di un discorso comune nell'epoca della complessità.”

È un argomento che ritengo fondamentale nell’evidente necessità di rinnovare il modo di comunicare da parte delle aziende e delle organizzazioni. Giustamente Maurizio scrive:

“Se i Social Media e i Social Network, stanno entrando lentamente nelle priorità delle aziende, altrettanto non accade per le strategie per i contenuti per il web. Si sono mai chieste le imprese se i contenuti che immettono in rete sono realmente utili, divertenti o comunque graditi ai loro diversi interlocutori?”

Io continuo a ritenere che lavorare su un blog aziendale sia uno dei modi più razionali per avviare il processo di cambiamento, senza particolari rischi e con la possibilità  di allenarsi con gradualità al confronto e al dialogo.

Buone storie a tutti.


A casa di Stefano si sta sviluppando un bel dibattito sul tema giornalismo e blog, o meglio, tra giornalisti e blogger. Il tutto nasce da un confronto senza peli sulla lingua tra un “amico giornalista” (che poi si svela e interviene nei commenti) e Stefano e altri colleghi blogger (termine che qui uso per praticità, ma ribadisco che non considero i blogger una categoria).

Per ragioni di tempo non ce la faccio ad intervenire nella discussione, ma sto maturando un pensiero riguardo a quello che a me sembra il punto centrale, ossia l’evoluzione del concetto di “contenuti”. Se continuiamo a ragionare dal lato dei produttori dei contenuti, e quindi sui ruoli professionali o amatoriali, sulle motivazioni di chi scrive per lavoro o per fare PR, allora rischiamo di perdere di vista chi ha in mano il pallino, ossia il lettore.

Noi possiamo sbellicarci a giudicare se il lavoro dei giornalisti sia privilegiato o meno, se i blogger siano dilettanti allo sbaraglio e meno e così via (e sono temi su cui ci si arrovella da tanti


Emergo da qualche giorno di latitanza per segnalare un interessante articolo di Giuseppe Granieri su Apogeo. Il tema è ambizioso, "L'internet del 2009" e Giuseppe ne sintetizza tre elementi chiave che condivido:

  • Specializzazione, intesa come una selezione degli strumenti web che si utilizzano
  • Frammentazione a riguardo delle conversazioni sulla Rete che si vanno distribuendo in maniera sempre più diffusa
  • Normalità banale, in relazione all'ingresso della Rete tra le cose "normali" per una gran parte della popolazione (tema ripreso anche da Massimiliano Magrini, boss di Google Italia)
  • La crisi e l’informazione, in cui sintetizza la difficoltà di remunerare i contenuti giornalistici online, proprio mentre la stampa tradizionale sta vivendo uno dei periodi di maggiore difficoltà della sua storia.

Io il 2009 l'ho iniziato spostando in Rete molte attività day-by-day. Dovendo inviare il mio portatile in riparazione per un contatto allo schermo, sto sperimentando di passare ad una operatività "leggera" tutta fatta online, passando da una postazione in ufficio ad un PC a casa condividendo le stesse cose. Quindi web services (anche a livello aziendale), web mail (ove possibile), desktop virtuali (come Netvibes), e anche il messenger via browser (con Meebo). Manca solo un "vero" Office online, ma pare sia questione di mesi. Inizio ad associare davvero internet all'elettricità o all'acqua: ecco, questo potrebbe essere un'altra dominante per il 2009.


C’è più di un elemento che lega i seguenti tre articoli e post:

  • Diminuisce il valore della “reach”, intesa come audience raggiunta da un media, a cui si contrappone al crescente valore dei contenuti di repertorio (Steve Rubel)
  • Michael Arrington mette in discussione (a sui modo) la consuetudine giornalistica dell’embargo (TechChrunch)
  • Ci sono diverse cose che i blogger possono imparare dai (bravi


Ho messo online l’articolo uscito ieri su Nòva e dedicato a come decifrare il web. Il titolo di questo post, riprende uno dei quattro punti che ho indicato:

La quantità di contenuti digitali è un mare in piena: meglio analizzarlo dall’alto perché a concentrarsi troppo sui particolare o con eccessiva minuzia, fa rischiare solamente di essere travolti dall’onda. Inutile è anche cercare di mettere argini e costruire dighe: meglio imparare a fare surf.

L’espressione “sta arrivando un’onda travolgente: anziché nasconderti, impara a fare surf” la sentii un po’ di anni fa ad un convegno (non ricordo proprio quale) e poi la utilizzai in un meeting aziendale per suggerire il modo per gestire il continuo cambiamento che caratterizza la comunicazione online.

Fare surf per me significa riservarsi dei momenti per guardare ciò che succede in modo distaccato e il più possibile “out of the box”. Significa anche prendere atto di tutto quello che avviene (positivo o meno che sia) e regolarsi di conseguenza provando a fare la nostra parte, rassegnandosi peraltro che non esistono più posizioni di rendita. E questo vale sia che ci si riferisca alle quote di mercato oppure al posizionamento nei motori di ricerca.


Oggi faccio il paio con Massimo Mantellini su Nòva/IlSole24Ore e con Marco Montemagno in un intervista su DailyNet. In qualche modo le due cose sembrano collegate: da una parte si prova ad analizzare i fenomeni, proprio mentre c’è chi tenta di legiferare in un modo che appare inconcepibile.

Su Nòva, Massimo torna sull’articolo di Wired che sostiene che i blog sono morti, esprimendo invece parere esattamente opposto. E io concordo decisamente. Nel mio pezzo cerco di individuare delle logiche con cui valutare non solo i blog, ma le applicazioni digitali in genere; scrivo di come affrontare il mare in piena degli ambienti online con cui è opportuno avere a che fare.

Nòva di oggi è peraltro ricco di tanti articoli interessanti: si tratta di cloud computing, di lavoratori dell’immateriale e poi Giampaolo Colletti accenna ad una ricerca dell’Università Bocconi sul rapporto tra aziende e social media. Con l’occasione: simpatica discussione avviata da Maurizio su FriendFeed in cui si enfatizza la qualità di Nòva.

Su DailyNet, l’articolo di Fabbricini riguarda il noto decreto che prevedrebbe l’obbligo di iscrizione al registro degli organi di comunicazione (Roc) per i blog collegati ad un’attività economica. Marco come me è ovviamente contrario. Io magari esagero ma dico, tra l’altro, che se una legge bisogna fare, allora facciamone una che obbliga i legislatori a fare dei corsi per capire internet prima di legiferare. È un tema caldissimo e delicato, ben ripreso anche da Mario Adinolfi su Europa di oggi.

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Ho letto con attenzione il post di Robin Good sulla nuova strategia editoriale del suo MasterNewMedia.org e vorrei fare qualche considerazione.

Per chi non lo concoscesse, Robin Good è lo pseudonimo di Luigi Canali de Rossi ed è uno dei pochissimi (l’unico?) editori online italiani ad avere grande visibilità internazionale, per via di una serie di siti e iniziative gestiti attraverso un network di collaboratori in tutto il mondo .

Conobbi Robin in un viaggio a Seattle da Microsoft qualche anno fa e mi sorprese vederlo chiacchierare con Robert Scoble, Loic Le Meur e Chris Pirillo come se fossero vecchi amici. Robin è sempre stato un avanguardista su molti fronti legati ad internet (direi anche vulcanico e anticonformista) e per questo ho cercato sempre di seguirlo con una certa attenzione.

Ora punta a rinnovare la linea editoriale del suo popolare sito e ritengo interessanti alcuni punti in particolare:

  • la voglia di condividere in modo trasoparente e colloquiale questo nuovo percorso intrapreso
  • la ricerca di un focus preciso, caratteristica che spesso manca a tanti editori online nostrani, concentrati sullo sviluppo industriale di contenuti senza aver prima definito un segmento preciso di interessi da soddisfare
  • il desiderio di selezionare le informazioni piuttosto che rimbalzare le news di qualsiasi tipo come fanno in molti, specie nell’ambito ICT
  • la volontà di produrre contenuti formativi a mo’ di guide, utilizzando molti video

Sono curioso di conoscere il parere di Robin su alcune cose: se il modello di business rimarrà AdSense e, in generale, come vive il rapporto con quel network; se la qualità editoriale riuscirà a trovare dei modelli economici che ne valorizzino tale peculiarità; se questo suo rinnovamento editoriale potrà anche trovare forme di collaborazione diretta con le aziende. Ora gli scrivo e gli commento sul blog: magari mi risponde con un video!

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Misurabilità e numeri del webHo trovato un altro elemento da aggiungere alla lista dei motivi per cui un manager dovrebbe tenere un blog e cioè per inserire le interviste integrali quando le versioni pubblicate sono solo una piccola parte di quella effettivamente rilasciata.

L’ultimo caso personale riguarda l’argomento “Web e misurabilità” per il quale ho lavorato su alcune domande che poi sono state pubblicate da Pubblicità Italia solo in piccola parte in uno speciale di Piero Babudro titolato “Quanto pesano i legami online”. E allora, ho messo in una pagina il testo integrale che tratta di misurabilità e numeri del web. Buona lettura!

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Misurabilità e numeri del webHo trovato un altro elemento da aggiungere alla lista dei motivi per cui un manager dovrebbe tenere un blog e cioè per inserire le interviste integrali quando le versioni pubblicate sono solo una piccola parte di quella effettivamente rilasciata.

L’ultimo caso personale riguarda l’argomento “Web e misurabilità” per il quale ho lavorato su alcune domande che poi sono state pubblicate da Pubblicità Italia solo in piccola parte in uno speciale di Piero Babudro titolato “Quanto pesano i legami online”. E allora, ho messo in una pagina il testo integrale che tratta di misurabilità e numeri del web. Buona lettura!

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L’intervento di Marco Montemagno a IAB Forum lo ha visto scatenato nello sfatare i luoghi comuni che vengono attribuiti ad internet: pornografia, virus, isolamento, ecc. Per alcuni erano cose ovvie oppure dette e ridette (anche se come le dice Marco è un’altra cosa).

Eppure, puntualmentente, l’Italia si conferma uno dei paesi dove la strada per una maturità complessiva nei riguardi della Rete è ancora lunga da affrontare.

L’ultima occasione ce la regala Gabriele Romagnoli su Repubblica col suo criticatissimo articolo YouTube Generation. Oltre a scomodare l’acronimo SEM (che diventa Solitudine, Esibizionismo, Mercato), il pezzo regala la solita fotografia: un’istantanea di un particolare senza nessuna voglia di capire e mostrare il contesto. Luca non ha resistito e ha scritto una lettera aperta a Romagnoli, anche Massimo non resiste e attacca.

Ecco perché, almeno simbolicamente, occorre continuare ad applaudire ad Internet come ha fatto fare Marco a 1.500 persone a IAB Forum.

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Dopo che Blogo.it, il network italiano di blog con più visitatori, è finito in casa RCS/Dada, quello con il maggior numero di blog, Blogosfere.it, entra nella galassia de IlSole24Ore che ne ha acquistato il 30%.

Alla fine, questi deal sembano semplicemente motivati dall’aumento dell’audience e quindi dell’inventory pubbblicitaria di chi acquista. In ogni caso, è una specie di certificazione della consistenza dei blog in quanto format editoriale.

Credo invece che per un editore tradizionale, avere blog (e blogger) in casa significa obbligarsi a guardare il mondo dei contenuti che cambia, significa aprirsi a nuovi modi di intendere il mestiere di fare informazione.

Chissà se Marco (a proposito, complimenti!) contribuirà a portare al Sole i principi etici di cui scriveva qualche post fa. A meno che (e qui si scherza) non stia già pensando a Nòvamille

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Tornato a casa per smontare la valigia dopo il SES e il Media Agency Days (e farne un’altra per Interact di domani a Bruxelles) mi ha accolto una pioggia incessante.

Il Sole a cui mi riferisco nel titolo è quello de IlSole24Ore, o meglio, quello di Nòva. Siamo in attesa del lancio di Novacento, ossia 100 blog (e forse più) che il più importante quotidiano finanziario italiano si appresta a lanciare. Nel frattempo, l’ultimo bel numero verde di Nòva è disponibile integralmente in formato PDF.

Io li trovo segnali importanti. Sono sicuro che, come cantava Bruce, faith will be rewarded.

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Dopo aver acquisito la testata ADV, il gruppo editoriale Reed Business va ad inglobare anche Pubblicità Italia. Questa ed altre news sul nuovo sito beta di ADV con tanto di social bookmarkeimg e commenti agli articoli (previa registrazione gratuita).

In copertina anche un’intervista di Nuccio Barletta al sottoscritto a proposito del SES (lo so, lo so, dovrei distribuire una nuova foto alla stampa… è che non è ho di migliori, giuro!).

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Il gruppo editoriale Ediforum ha lanciato DailyOnline un sito informativo e di servizio sul mondo della comunicazione e pubblicità. Siccome Fabiano Lazzarini è un amico, mi sono subito posto in versione critica e, dopo una prima navigata, qualche suggerimento ce l’avrei pure, a partire dall’assenza degli RSS… In ogni caso si tratta di un ulteriore editore autorevole che inizia a pensare strategicamente riguardo alla Rete. In bocca al lupo!

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Il gruppo editoriale Ediforum ha lanciato DailyOnline un sito informativo e di servizio sul mondo della comunicazione e pubblicità. Siccome Fabiano Lazzarini è un amico, mi sono subito posto in versione critica e, dopo una prima navigata, qualche suggerimento ce l’avrei pure, a partire dall’assenza degli RSS… In ogni caso si tratta di un ulteriore editore autorevole che inizia a pensare strategicamente riguardo alla Rete. In bocca al lupo!

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Anticipato da Lele, ho letto il pezzo di oggi su Il Manifesto (via Mantellini vedo che il pezzo è su VisionBlog): “L’illusione della democrazia attraverso il mondo dei blog”. Franco Carlini lo leggo sempre volentieri, qui mi trovo invece in totale disaccordo. L’argomento è stra-dibattuto: i blog che, socondo Carlini, sono “monomaniacali, autoreferenziali e autocitantesi, sovente pronti all’insulto, approssimativi nei giudizi”.

Ciò che è sbagliato sono le basi del criterio i giudizio, perché si sottopongono i blog alle stesse metriche di analisi che si applicano al giornalismo. E si rimprovera, ad esempio, “di sfoderare fastidiosi toni colloquiali in prima persona, tipo ‘ho pensato che’, ‘mi arriva una telefonata da’”.

È questo il punto (parlo da lettore di blog e da blogger): è proprio l’informalità e la spontaneità che, per alcuni (peraltro sempre di più) è ciò che conta e che da senso ai contenuti. I blog, ma vale per qualisiasi user generated content, sono prodotti di persone non di giornalisti! E capitelo una volta per tutte! (Antonio, si, si proprio te, diglielo a Carlini che lo conosci).

È  come ascoltare e partecipare alle conversazioni in un bar, ad un party o nella piazza del paese: la differenza è che questo tipo di relazioni ora ha un versante digitale. Se non piacciono gli interlocutori in un party, è bene cercarsene un altro ma si può pretendere: “dammi le notizia e il loro contesto”.

La Rete è sempre più delle persone (piacevoli o meno che siano) ed è un medium (forse il primo) che non ha i giornalisti come protagonisti. Mi sa che questo è il vero disagio che sentono alcuni. Che ne dite?

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Anticipato da Lele, ho letto il pezzo di oggi su Il Manifesto (via Mantellini vedo che il pezzo è su VisionBlog): “L’illusione della democrazia attraverso il mondo dei blog”. Franco Carlini lo leggo sempre volentieri, qui mi trovo invece in totale disaccordo. L’argomento è stra-dibattuto: i blog che, socondo Carlini, sono “monomaniacali, autoreferenziali e autocitantesi, sovente pronti all’insulto, approssimativi nei giudizi”.

Ciò che è sbagliato sono le basi del criterio i giudizio, perché si sottopongono i blog alle stesse metriche di analisi che si applicano al giornalismo. E si rimprovera, ad esempio, “di sfoderare fastidiosi toni colloquiali in prima persona, tipo ‘ho pensato che’, ‘mi arriva una telefonata da’”.

È questo il punto (parlo da lettore di blog e da blogger): è proprio l’informalità e la spontaneità che, per alcuni (peraltro sempre di più) è ciò che conta e che da senso ai contenuti. I blog, ma vale per qualisiasi user generated content, sono prodotti di persone non di giornalisti! E capitelo una volta per tutte! (Antonio, si, si proprio te, diglielo a Carlini che lo conosci).

È  come ascoltare e partecipare alle conversazioni in un bar, ad un party o nella piazza del paese: la differenza è che questo tipo di relazioni ora ha un versante digitale. Se non piacciono gli interlocutori in un party, è bene cercarsene un altro ma si può pretendere: “dammi le notizia e il loro contesto”.

La Rete è sempre più delle persone (piacevoli o meno che siano) ed è un medium (forse il primo) che non ha i giornalisti come protagonisti. Mi sa che questo è il vero disagio che sentono alcuni. Che ne dite?

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Anche oggi mi è capitato di confessare ad una persona il fatto che quando torno da una trasferta di business negli Stati Uniti, mi servono due-tre settimane di disintossicazione per rimettere in ordine il fuso orario mentale. Si, perché il rischio è quello di rimanere vittima delle grandezze e delle oppurtinità di un mercato che qui da noi, almeno in quelle forme, non arriverà mai. Punto.

Allora la disintossicazione, come la chiamo io, serve a fasarsi di nuovo sulle economie e sulle consuetudini della nostra cara Italia. Cosi da non metterersi a “fare l’americano” nel paese sbagliato.

Certo, non riesco sempre a calmierare il disagio dovuto all’evidente arretramento del nostro paese rispetto al resto del mondo idustrializzato. Però neanche sono uno che sputa nel piatto dove mangia.

Peter Hirchberg - Technorati Per fortuna, ogni tanto arriva qualche ventata di freschezza: un cliente che vuole sperimentare, un collega con un’idea propositiva e/o innovativa e, non ultimo, l’appuntamento del giovedì con Nòva, anche oggi tutto  da leggere.

Anch’io ci ho messo lo zampino con un’intervista esclusiva a Peter Hirchberg, il Chairman di Technorati, col quale abbiamo discusso di blog in modo allargato e, per certi aspetti, soprendente.

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