Archivio: “Comunicazione online”

Concludo il tris di post (qui il primo ed il secondo) dedicato al tema “human content everywhere”, per analizzare più da vicino il problema del rumore nei blog, in particolare per quanto riguarda i commenti offensivi, fuori tema o brutalmente idioti come li definisce il Prof. Epifani (@Stefano: ti leggo, ti leggo ) che rilancia il problema: che fare?

Ho già scritto della  responsabilità dell’autore del blog in primis, per cui non ci torno su, se non per affermare che dovrebbe essere sempre compito del blogger tenere un po’ d’ordine nei commenti. Cancellare lo spam, ad esempio, è una dimostrazione di attenzione nei confronti dei lettori, oltre alla testimonianza che i commenti… vengono effettivamente letti!

Nel contempo non serve pignoleggiare più di tanto. Qualche post che, diciamo così, scatena un po’ di disordine lessicale, si può tollerare. Specie su quei siti che non obbligano a registrazioni particolari per poter commentare, fatto che va visto positivamente, sapendone sopportare gli eventuali scompensi.

Il mio lato ottimistico (quello che di solito prevale), mi fa sperare che la maturazione nell’uso degli strumenti di comunicazione digitale potrà, nel tempo, attenuare i toni e stimolare un maggior senso di responsabilità comune. Penso inoltre che l’anonimato nelle discussioni, seppur legittimo di norma, sarà guardato sempre più con maggior diffidenza e con scarsa considerazione. A proposito, guardate il tool che ha scoperto Franco per scovare l’origine delle modifiche anonime fatte su Wikipedia.

Tuttavia, è necessario anche osservare che forum e commenti nei blog sono un palcoscenico bello e pronto per tanti deficienti che, in buona o cattiva fede, scatenano strali oggettivamente offensivi, almeno se consideriamo il “comune buon senso”. Riuscirà la Rete a trovare modelli di aggiustamento che mantengano il rapporto contenuti/rumore a favore dei primi? Io scommetto di si.


Lo spunto della prima parte di questo post è stata l’apertura ai commenti nelle notizie pubblicate su Google News, l’ennesimo spazio a disposizione delle persone che contribuisce a sviluppare lo scenario che ho definito “human content everywhere”. Il problema è che gli user generated content, specie quando vanno ad alimentare i commenti nei blog, scadono qualche volta in toni scurrili, offensivi e oggettivamente di scarso significato.

Alcuni lo chiamano “rumore”, altri lamentano quella che a loro pare una scarsa qualità dei contenuti presenti sui blog; c’è poi chi scade in derive generaliste secondo cui internet dovrebbe essere chiusa del tutto perché piena di robaccia. Paolo pensa che in taluni casi potrebbe aver senso chiudere del tutti i commenti e, in effetti, a leggere sfilze interminabili di insulti e offese ci si domanda che valore possano avere.

Io non ho risposte definitive, cerco però di costringermi a guardare alle persone dietro i contenuti. E penso a situazioni simili fuori dalla Rete. È come andare allo stadio con i propri figli e trovarsi in mezzo a tifosi esagitati che sfoggiano bestemmie come coriandoli. Come si fa in questi casi? Se si è “di bocca buona”, meglio vedersi la partita in TV, altrimenti si cerca di tollerare, magari scegliendo un settore dello stadio con meno probabilità di beccare ultras troppo ultra. Che ne dite, sta in piedi il paragone?

Forse dobbiamo sviluppare nuove metriche di giudizio sui contenuti online, perché fino ad oggi semplicemente non esistevano tutti questi contributi sviluppati da persone qualsiasi. Occorre anche una nuova diplomazia per gestire le situazioni più difficili ed un rinnovato concetto di responsabilità. I gestori del blog per primi devono chiarire (ed applicare) le regole su come vengono gestiti i commenti e, nel contempo, devono sviluppare un ambiente che favorisca una conversazione civile. È come avere ospiti e accoglierli in una casa disordinata: come biasimare l’ospite che si allunga sul divano e che magari si toglie pure le scarpe?

In ogni caso, la domanda che trovo fondamentale è: vogliamo davvero una Rete fatta solo di persone pettinate? O vogliamo anche i calvi? Hey, siamo disposti ad accettare i capelloni, i rasta ed i tatuati? Su questo non ho riserve: che tutti possano sempre esprimersi anche nel modo più sballato del mondo. Per questo sono disposto ad accettare il conseguente inevitabile rumore, imparando nel contempo a sviluppare atteggiamenti e tattiche che possano attenuare il problema. Sono confidente sull’intelligenza umana e sul conseguente sviluppo di un’etichetta diffusa. Ci vorrà un po’ di tempo e pazienza, ma ne vale la pena.

D’altronde quale sarebbe lo scenario contrario? Sottostare a regole che dividano tra buoni e cattivi? Definire delle leggi sui comportamenti da tenere su internet? No, per favore, no. Il buon senso non è mai stato legiferato, che sappia io.

In ogni caso il problema del rumore resta, in particolare a riguardo dei commenti sui blog. E allora? Mi sa che ci vorrà una terza parte (prometto, sarà l’ultima ); stay tuned!


Ultima pagina dell’ultimo numero di Nòva (l’allegato de IlSole24Ore) prima della chiusura estiva; ci trovi un mio articolo riassunto nell’occhiello:

Così le aziende devono rivoluzionare il loro modo di proporsi di fronte alle critiche nei blog e nella rete.

Buona lettura!

Update (10 agosto): ho messo in linea l’articolo Cambiare i codici.

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Ultima pagina dell’ultimo numero di Nòva (l’allegato de IlSole24Ore) prima della chiusura estiva; ci trovi un mio articolo riassunto nell’occhiello:

Così le aziende devono rivoluzionare il loro modo di proporsi di fronte alle critiche nei blog e nella rete.

Buona lettura!

Update (10 agosto): ho messo in linea l’articolo Cambiare i codici.

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Il 4 luglio scorso è partito il progetto Decidere.net, la nuova iniziativa dell’On. Daniele Capezzone. Sintetizzandolo, si tratta di un programma politico basato su 13 punti su cui si chiede di aderire e collaborare per portarlo avanti.

Glisso in toto sugli aspetti policiti e sul merito del programma (non mi occupo di politica tanto da poterlo valutare con la dovuta competenza), se non per esprimere la condivisione di molti dei suoi punti, soprattutto in merito a fisco, privatizzazioni, semplificazione della burocrazia.

Vorrei invece segnalare, evidentemente con soddisfazione, che Ad Maiora si è occupata della realizzazione e dello sviluppo del sito-blog Decidere.net, il quale è poi uno degli elementi che caratterizzano l’impostazione dell’iniziativa stessa. Decidere.net infatti, permette (anzi, auspica), il dialogo con chiunque si senta di poter dire la sua. Per cui abbiamo implementato uan serie di funzioni interattive digitali (email, commenti ai post, forum, instant message, file, webcam, ecc.), a cui si aggiungono la possibilità di inviare SMS, MMS e registrare messaggi via telefono fisso o mobile. 

Tra i tool implementati, anche un monitor in tempo reale dei link alle discussioni su altri blog e alle citazioni sui siti di news. Ok, nessuna rivoluzione copernicana, ma probabilmente uno dei progetti più “aperti” tra quelli recenti degli esponenti di rilievo della politica italiana.

Sul comunicato ufficiale sono inoltre riportati alcuni dei primi (ottimi) risultati in termini di visite, adesioni, feedback ricevuti, ecc.

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È il momento di riprendere il taccuino con le annotazioni raccolte nella tre giorni a Porto Cervo ospite di Microsoft per i Media Agency Days (sul blog ci sono tanti video e foto).

Bella la conferma del disincanto con cui Microsoft affronta il mercato: ho sentito citare spesso i competitor ed i loro prodotti e questa non era certo la consuetudine in casa Redmond fino a qualche anno fa.

Mi hanno colpito alcuni numeri, riguardanti in particolare il peso che hanno raggiunto Messenger e Spaces. Facendo l’analisi del timeshare complessivo degli utenti internet italiani, e quindi considerando non solo i siti web ma anche tutte le applicazioni online, il 15% del tempo è trascorso su siti o tool Microsoft, staccando tutti gli altri. In effetti, a volte ci si ferma sulle classifiche dei siti più visti, ma si dimentica l’impatto di altre applicazioni.

Messenger è un macchina da guerra in termini di audience: mi pare viaggi al ritmo di 150.000 nuovi abbonati al mese in Italia. E le nuove funzioni (come l’integrazione di giochi e video TV) lo stanno trasformando in una piattaforma multiforme. Anche Spaces sembra andare bene: ce ne sono 3,5 milioni attivi, visti da 5,5 milioni di utenti unici al mese. Molto interessante questo rapporto (meno di 1 a 2), che meglio di ogni altro numero spiega l’impatto degli UGC e della poverizzazione dell’audience. Altre interessanti applicazioni presentate o annunciate: il nuovo Virtual Earth che è alla base di Live Search Local, Popfly, Diari di viaggio.

Rimangono un po’ di appunti presi durante lo speech di Joseph Jaffe, autore di Life After the 30 Second Spot: The New Marketing Reality; magari ci torno quando andrò a recensire il libro, però vi racconto una cosa divertente. Durante il suo speech fa un pressante invito alle agenzie ad usare loro per prime i tool web 2.0. E allora ha chiesto a tutti i circa 100 partecpanti di alzarsi in piedi. Quindi ha invitato a sedersi a chi non conosccesse i podcast; mi pare che è rimasto in piedi l’80% dei partecipanti. Quindi ha chiesto di sedersi a chi non fosse iscritto ad un podcast; e siamo rimasti una dozzina. Chiaramente alla fine ha domandato chi ha un proprio podcast e… beh sono rimasto in piedi solo io (ok, il mio podcast è un po’ datato ma esiste – e Marco non era ancora arrivato). Jaffe ci ha poi detto che durante altri suoi speech in Europa, non è rimasto mai in piedi nessuno! Insomma, ho salvato l’onore nazionale

In definitiva, i Media Agency Days sono stati un bella occasione di conoscere meglio le mosse di Microsoft e le opportunità che offre al mondo della comunicazione. Chiaramente molto divertimento, e qualche senso di colpa nel cercare di spiegare alla moglie che oltre a lavorare si è fatta una regata, un giro in quad, uno in gommone, la serata in discoteca… Non è bastato segnalare che l’acronimo dell’evento è MAD (pazzo)…

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Venerdì scorso una persona mi raccontava di un suo bel progetto che, tra i principali obiettivi, prevede la pubblicazione e la ricezione di contenuti su più device ed in formati multipli. Abbiamo scoperto che "il mondo è piccolo", anche nel far incontrare le idee delle persone, dato che proprio su questo tema era uscito un mio articolo il giorno prima su Nòva. A questo punto, zitto zitto, lo ripropongo anche qui.

Innovazione e flessibilità. Sembrano questi alcuni degli elementi chiave su cui rinnovare le strategie di comunicazione delle aziende, in virtù dei cambiamenti in atto nel rapporto con i propri consumatori. Specie nelle attività più prettamente pubblicitarie, la continua caccia a spazi da conquistare e da presidiare, lascia il posto a strategie maggiormente dinamiche che seguono e affiancano il consumatore moderno e non gli sbarrano solo la strada con spot a volume sempre più alto (e non solo in senso figurato). È il concetto stesso di creatività il primo ad essere rivisitato: non più solo payoff e jingle da stampare nella testa dei destinatari ma strategie che siano complessivamente nuove, che riducano le distanze tra prodotti e consumatori, che raggiungano le persone nella molteplicità di luoghi e situazioni in cui fruiranno la pubblicità. Ne deriva che il momento creativo si estende oltre l’ideazione iconografica ed estetica delle campagne, per interessarsi della stessa pianificazione dei mezzi, fase che per via della polverizzazione dei canali a disposizione e la moltiplicazione dei formati, necessita un approccio elastico ed interdisciplinare che possiamo chiamare “Multi”.

(continua…)


Con la consueta intelligenza e ricchezza di esempi concreti, l’ultimo report di Trendwatching.com affonta il tema della trasparenza, con particolare riferimento all’impatto che la Rete sta avendo nel rapporto fiduciario tra le aziende e il mondo esterno. Per alcune aziende sta diventanto una vera e propria tirannia, mentre per altre significa il trionfo. Sono diverse le angolazioni che consentono di inquadrare l’argomento “trasparenza” in virtù della crescente importanza che ha assunto nel rapporto tra aziende e consumatori; così le riassume Trendwatching:

  • Trasparenza delle recensioni e dei suggerimenti da parte dei singoli individui, la cui distribuzione e rilevanza sono favorite da appositi strumenti tecnologici, tanto da accrescere l’attitudine media delle persone a raccontare le loro esperienze di consumo.
  • Trasparenza nelle intenzioni di acquisto, espresse dai consumatori attraverso gruppi di acquisto o mediante strumenti ad hoc come, ad esempio, i siti in cui si può indicare l’interesse ad acquistare un immobile in una certa zona anche se non è ancora in vendita.
  • Trasparenza nei prezzi, ottenuta con appositi servizi di comparazione prezzi ma anche con le aste online, con i marketplace B2B. Emerge inoltre sempre piò spesso la garanzia di miglior prezzo offerta dagli stessi produttori di beni o fornitori di servizi.
  • Trasparenza dall’interno dell’azienda, nel senso che i valori fiduciari non sono solo guidati dai consumatori ma dagli stessi impiegati e collaboratori che possono fornire la loro voce per rappresentare o stimolare la credibilità verso la propria azienda.
  • Trasparenza nel chiedere consigli per migliorare i prodotti, la comunicazione, il servizio ai consumatori, ecc. Ovviamene la vera trasparenza non è solo dimostrarsi aperti ai suggerimenti: bisogna davvero volerli ascoltare!
  • Trasparenza del migliore di tutti, ossia la continua ribalta di cui godono i migliori prodotti e servizi attraverso la segnalazione dei media a cui si aggiungono anche migliaia di risorse online alla continua caccia del “best of the best”. Il risultato pratico è che praticamente non c’è più spazio per i mediocri.
  • Quando la trasparenza trionfa. Se vogliamo è l’unica vera bella notizia: è vero che le persone sono maggiormente propense a condividere le esperiene negative riguardo proodotti e brand, ma diffondono anche le impressioni positive trasformandosi, a volte, da veri e sinceri evangelist e supporter delle marche.

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Leggo su eMarketer che secondo la ricerca “Global Content Survey 2007″ condotta da Accenture, la metà dei manager di aziende media e entertainment ritiene che gli user generated content saranno il loro principale problema in termini di ricavi. Un terzo di questi però ritiene che entro tre anni potrà generare business dai contenuti generati dagli utenti, anche se il 25% non sa come questo potrà accadere.

Non sono d’accordo sul fatto che gli editori potranno contare sulla monetizzazione degli UCG. C’è una realtà importante: i contenuti che generano gli individui sono tanti e non smetteranno di diminuire. E solo per il fatto statistico che l’abbondanza spalma l’attenzione, chi produce contenuti per mestiere, troverà una quantità di competitor che oggi è ancora marginale.

I media riusciranno a inglobare tali contenuti “dal basso” in gabbie pubblicitarie? Mah, non ne sono molto convinto. Anche perché cambiano le metriche che originano tale contenuto: non è più materiale prodotto e remunerato per denaro ma per mille ragioni diverse, che vanno ricercate nelle individualità delle decine di milioni di persone che pubblicano qualcosa sul web.

Piuttosto, vedo proliferare delle operazioni che creano delle vetrine, dei palcoscenici per chi ha voglia di prudurre contenuti. Quello che si baratta è la visibilità per l’autore in cambio di materiale utile per confezionare un prodotto editoriale brandizzato da qualche azienda che tipicamente NON fa l’editore di mestiere. Luisa Carrada ne segnala un paio interessanti: Coop for words e un vino che allega mini racconti noir sulle bottiglie. 

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Nessuno mi aveva dato (finora) dell’hub. Lo fa Giorgio su Marketingarena a mo’ di esperimento, comparando gli hub aereoportuali a quelli delle comunità online e attribuendo tale attributo al mio blog.

In linea di principio condivido il punto di vista a riguardo dell’importanza dei nodi di scambio, sia nella vita fisica che nelle relazioni digitali. Solo che a proposito di blog, ed in generale a riguardo dei contenuti online, temo che le conclusioni siano differenti. Riprendendo l’esempio di Giorgio, l’importanza degli hub aereoportuali è dovuta a vincoli e opportunità di tipo fisico, economico, ecc. ove determinate risorse (come lo spazio) sono finite. Inceve, a proposito di contenuti digitali, non solo lo spazio è virtualmente illimitato, ma è totalmente diverso il numero di hub potenziali perché praticamente uguale al numero degli utenti internet.

Da ciò deriva una elevata dinamicità delle sorgenti di contenuti (che siano portali, blog o altro) ed un continuo processo selettivo darwiniano. Non ci sono “blog da salvare” come scrive Giorgio perché, cinicamente, per uno che scompare ci sono quasi sempre un paio di alternative a distanza di un click.


Nessuno mi aveva dato (finora) dell’hub. Lo fa Giorgio su Marketingarena a mo’ di esperimento, comparando gli hub aereoportuali a quelli delle comunità online e attribuendo tale attributo al mio blog.

In linea di principio condivido il punto di vista a riguardo dell’importanza dei nodi di scambio, sia nella vita fisica che nelle relazioni digitali. Solo che a proposito di blog, ed in generale a riguardo dei contenuti online, temo che le conclusioni siano differenti. Riprendendo l’esempio di Giorgio, l’importanza degli hub aereoportuali è dovuta a vincoli e opportunità di tipo fisico, economico, ecc. ove determinate risorse (come lo spazio) sono finite. Inceve, a proposito di contenuti digitali, non solo lo spazio è virtualmente illimitato, ma è totalmente diverso il numero di hub potenziali perché praticamente uguale al numero degli utenti internet.

Da ciò deriva una elevata dinamicità delle sorgenti di contenuti (che siano portali, blog o altro) ed un continuo processo selettivo darwiniano. Non ci sono “blog da salvare” come scrive Giorgio perché, cinicamente, per uno che scompare ci sono quasi sempre un paio di alternative a distanza di un click.


In due righe a proposito delle conversazioni online, Giuseppe sintetizza perfettamente tutto:

“la libertà consiste nel discutere sul tema e che la violenza inizia laddove si comincia a discutere delle persone. E’ quello il primo bivio che porta a trascendere il rispetto”


In due righe a proposito delle conversazioni online, Giuseppe sintetizza perfettamente tutto:

“la libertà consiste nel discutere sul tema e che la violenza inizia laddove si comincia a discutere delle persone. E’ quello il primo bivio che porta a trascendere il rispetto”


Mi è scappato un commento di getto sul blog di IAB e siccome Cocomments ha fatto ancora cilecca (possibile che non ci sia ancora niente di meglio?). Lo riporto qui perché il tema che pone Cristiano è importante:

“non credete che esista una frattura tra le web agency, formate per lo più da tecnici, e il cliente/impresa che ha la necessità di capire come fare a trarre profitto dalla rete??
Ergo… la figura del consulente di vendita come la vedete o meglio… sono disposte le aziende web ad investire su una rete vendita??”

Cristiano, la frattura, come la chiami te si sta riducendo sempre di più e chi continua a trattare il web come uno strumento puramente tecnologico in luogo di un ambiente di comunicazione rimarrà sempre ai margini del mercato (o cambierà mestiere).

Sempre più spesso vedo che le web agency hanno prevalentemente skill di marketing e comunicazione, piuttosto che tecnici. E l’approccio vincente è proprio quello di considerare la Rete non (più) come un attrezzo tecnologico ma come un canale da inserire direttamente nel marketing mix (e non nel CED…).

Il mio punto di vista è che internet non si vende, ma si progetta, si spiega, si personalizza, si costruisce col cliente. E te lo dice uno che gestiva una rete commerciale di oltre 100 persone prima che esistesse il web e che insegna (anche) tecniche di comunicazione e vendita.

E le aziende ne hanno (giustamente) piene le scatole di chi vende servizi internet come se fossero robe stand-alone, isolate, come se potessero vivere di vita propria. Certo ci vogliono competenze strategiche nell’affrontare la Rete in questo modo e ritengo che proprio in questo ambito il mercato premierà chi ha da raccontare “progetti di comunicazione” e non un listino prezzi di servizi web pacchettizzati.


Il gruppo editoriale Ediforum ha lanciato DailyOnline un sito informativo e di servizio sul mondo della comunicazione e pubblicità. Siccome Fabiano Lazzarini è un amico, mi sono subito posto in versione critica e, dopo una prima navigata, qualche suggerimento ce l’avrei pure, a partire dall’assenza degli RSS… In ogni caso si tratta di un ulteriore editore autorevole che inizia a pensare strategicamente riguardo alla Rete. In bocca al lupo!

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Il gruppo editoriale Ediforum ha lanciato DailyOnline un sito informativo e di servizio sul mondo della comunicazione e pubblicità. Siccome Fabiano Lazzarini è un amico, mi sono subito posto in versione critica e, dopo una prima navigata, qualche suggerimento ce l’avrei pure, a partire dall’assenza degli RSS… In ogni caso si tratta di un ulteriore editore autorevole che inizia a pensare strategicamente riguardo alla Rete. In bocca al lupo!

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I miei figli le chiamano emotion (pronunciato all’inglese) ma le ho sentite chiamare anche emotiche (giuro). Parliamo delle emoticons (che sta per emotive icons), meglio conosciute come faccine. Ebbene, pare che siano nate 25 anni fa, come riporta un bell’articolo su c|net.

Dallo smile classico :-) alla strizzatina d’occhio ;-) (che io uso molto – troppo- spesso), passando per la linguaccia :-p e quelli meno noti come l’abbraccio con bacio (()):*

Un classico è ricevere una serie di caratteri apparentemente insignificanti che poi il mittente ci spiegherà sono un oscuro smile che… conosce solo lui o che ha preso da una delle tante liste online come questa.

I miei figli ancora se la prendono per il fatto che il programma che uso per l’istant messaging (Trellian) non decodifica le decine di smile diversi che mi inviano con Messenger. Si perché una volta le faccine si scrivevano, oggi sono grafiche: daltronde sono passati 25 anni, no?

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Stamattina, tra riunioni e telefonate al solito ritmo frenetico del lunedì, ho annotato alcune news e segnalazioni:

  • Luca De Biase si chiede (riferendosi alle aziende): E’ possibile informare e comunicare? Io dico: assolutamente si, anzi, credo sia da considerarla come un’attività indispensabile per le aziende moderne. Penso a quello che mi diceva Hirshberg di Technorati di come le aziende si debbano trasformare in media company; oppure quello che ha affermato in un recente convegno Roberto Monti, AD di IKEA: anche se sentono forte la necessità di rinnovare la comunicazione, le richieste che gli arrivano sono nella direzione di incrementare la quantità di contenuti prodotti.
  • Notizia di qualche giorno fa: Dada e Google insieme per il social network (qui anche su MediaPost); a pelle la mia rezione è stata: hey, AdSense diventa multi-level (avete presente Amway?)! E non lo dico in senso dispregiativo: se si guarda la redditività del gruppo fiorentino non ci si può che togliere il cappello. Le mie perplessità, peraltro espresse da tempo, rimangono sul fatto che siamo sempre nella situazione che solo “uno su mille ce la fa”, riferendomi alla generazione di ricavi dal contextual advertising, qui anche stratificati.
  • In qualche modo correlato, c’è il semplice ma efficace diagramma pubblicato su seomoz che essenzialmente scoraggia i blogger che si volessero cimentare in una decina di argomenti ormai saturi (almeno a suo dire), come la politica, i gadgets, la programmazione, ecc. a meno che si ritiene di avere doti di scrittura eccellenti, autorevolezza, esperienza superiore alla media, oppure… che non si ambisca ad avere un blog molto letto. Personalmente non sono d’accordo, specie se penso alla situazione italiana, ma indubbiamente ogni blogger dovrebbe sapere che qui non c’è nessun Eldorado e che guadagnare popolarità e denaro in modo significativo è estremamente difficile da realizzare e mantenere.
  • A supporto della mia teoria sulla competizione sui contenuti di qualità, segnalo volentieri la bella selezione di blog che trattano temi inerenti alla creatività pubblicata su Elmanco nella quale sono finito anch’io (grazie Stefano).

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Stavo rimettendo un po’ di ordine negli appunti presi durante il Search Engine Strategies di Londra ed è spuntato un foglio su cui ho annotato alcuni spunti emersi nelle sessioni dedicate al News Search e da una chiacchierata con Greg Jarboe di SEO-PR col quale ho l’onore di condividere una grande stima reciproca. Vado con gli appunti senza un particolare odine logico:

  • Sono le persone che decidono cosa è una news, perché ormai sono in grado di crearsi il proprio palinsesto informativo
  • Le press release dovrebbero essere scritte pensando alle persone come destinatari e non più solo ai giornalisti
  • Le public relation sono arte e scienza: l’arte è quella con la quale si compone  la forma ed il contenuto, la scienza serve per guidare la diffusione e la fruizione attraverso i media digitali

Greg mi raccontava di un suo cliente per il quale hanno distruibuito un comunicato stampa lo scorso dicembre. Il coverage è stato buono con svariate citazioni su riviste online (con tanto di link al sito del cliente). Un giornalista, oltre a scriverne su una rivista online, ne ha parlato successivamente anche sul suo blog personale. Ebbene, le visite scaturite dal blog sono state SEI volte quelle arrivate dal sito della rivista.

È un periodo che mi trovo spesso a parlare o scrivere di PR (uscirà peraltro un mio controeditoriale abbastanza provocatorio sul prossimo NetForum). Cerco di non parlare più di tanto di cose che non conosco e riguardo le public relation non posso certo definirmi un esperto. Però trovo incredibili le mutazioni in atto in questo comparto, quasi tutte con implicazioni che riguardano la Rete. E allora mi scappa proprio di dire la mia…


Una delle più note banche d’affari americane, la Piper Jaffray, ha pubblicato un poderoso report dal titolo “The user revolution” di cui ritengo interessante riprendere i punti essenziali.

Ho sempre un momento di incertezza quando qualcuno parla di rivoluzione a proposito della Rete, ma in questo caso ci sono oltre 400 pagine di report a supporto (e che spero di raccontare gradadamente nei prossimi giorni). Intanto, ecco i 12 punti riassuntivi (traduzione, corsivi e note sono miei) che confermano senza mezzi termini l’entità dei cambiamenti in atto:

  1. I ricavi mondiali dell’advertising online raggiungeranno 81.1 miliardi di dollari nel 2011.
  2. Communitainment: Internet è diventato il principale medium per le community, la comunicazione e l’entertainment – tre aree la cui crescita si rafforza a vicenda – generando un nuovo tipo di attività, il communitainment, che sta sostituendo il consumo degli altri tipi tradizionali di contenuto online.
  3. Usites - L’aumento delle popolari categorie di siti generati dagli utenti, che noi chiamiamo Usites, sta togliendo traffico a tutte le altre destinazioni online e pone una sfida agli advertiser ed ai publisher.
  4. Internet è adesso un mainstream medium: il web è il principale medium sul lavoro e il secondo medium a casa dopo la televisione.
  5. Il modo di usare internet sta cambiando a favore degli Usites, dei siti di communitainment  e del search, allontanandosi dai portali tradizionali.
  6. User Generated Brands. I consumatori stanno prendendo il controllo del consumo dei contenuti e del branding.
  7. Media Fragmentation: gli advertisers dovranno sempre di più acquistare maggior inventory, da molteplici tipi di media, specialmente su Internet, per ottenere l’impatto desiderato.
  8. The Golden Search: search è diventato il nuovo portale.
  9. Il dominio di Google sembra poter aumentare, in parte per merito della grande varietà di prodotti non-search che creano un ciclo virtuoso di affinità col brand Google.
  10. La pubblicità sui video sarà il driver della prossima maggior crescita del brand advertising e prenderà budget dai media tradizionali per destinarli online.
  11. I network pubblicitari stanno constatando un aumento della domanda dovuto all’incremento della frammentazione di Internet, al desiderio di inventory più targettizzato, al maggior utilizzo dei network ai fini di branding, all’incremento della visibilità dei siti.
  12. Le agenzie si stanno rapidamente trasformando in entità più sofisticate ed esperte tecnologicamente, combinando un’offerta di servizi molto ampia.

Già da diversi anni Piper Jaffray si occupa insistentemente del business della comunicazione online. Il loro “Golden Search” (2003) è stato di fatto il punto di svolta nell’analisi del search marketing con previsioni in gran parte confermate. Mi piace sottolineare come Safa Rashtchy, il loro analista di punta riguardo ad internet, sia nell’Advisory Board di Sempo.

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Chiunque si occupi di comunicazione dovrebbe dedicare un po’ di tempo ad osservare i giovanissimi e guardare come usano i nuovi strumenti tecnologici. Se fosse per me, nelle business school farei partecipare qualche ragazzino terribile a spiegare davvero il web 2.0, i vari messenger, la comunicazione mobile, ecc. Anzi, ogni manager di ogni azienda, specie quelli che colpevolmente non passano tempo con i loro figli, dovrebbero essere “costretti” a guardare con attenzione i teenager ed il loro rapporto con i media e con i device.

Nel mio caso, da qualche giorno ho capitolato ;-) ed ho istallato il Messenger sui pc dei miei ragazzi (12 anni). Ho tentato di spiegargli alcune delle funzioni, ma dopo averli lasciati soli per una ventina di minuti, aveveno già scoperto e capito tutto, anche opzioni a me sconosciute.

Prima lezione: mi sa che la didattica impostata come “zitto e ascolta” ha fatto il suo tempo. I ragazzi sentono forte la consapevolezza del potere che gli arriva dal mouse. Provano, cliccano, sbagliano, capiscono. Si aspettano scorciatoie, trucchetti e cose cool (i miei dicono ancora “fighe”), non più una lista ordinata di concetti.

Un problema è nato quando si sono resi conto che col mio software (uso Trillian che gestisce contemporaneamente ICQ, Messenger e Yahoo!) non riesco a ricevere e visualizzare tutte le funzioni che per loro sono importantissime: trilli, icone animate, e poi giochi, messaggi audio, ecc.

Seconda lezione: la comunicazione testuale gli sta stretta. I ragazzi vogliono esprimere compiutamente dei concetti, delle emozioni, delle opinioni, rappresentandole graficamente o meglio, attraverso un mix multimediale. Non dicono più “leggi il mio messaggio”, ma “guarda/ascolta il mio messaggio”.

Man mano che scrivo mi rendo conto di aver notato e imparato molte altre cose. Ne verrebbe fuori un post lunghissimo e allora è meglio che mi fermo qui, per ora. Altre lezioni alla prossima puntata ;-)

Bastano intanto queste per fare alcune riflessioni non del tutto positive sulle young generation, riguardo l’aberrazione di tutto quello che può rientrare concettualmente in un “manuale d’uso” e, ancor peggio, l’evidente difficoltà di esprimersi attraverso le parole scritte. Sono cose che non mi entusiasmano ma ritengo fondamentale prenderne atto.


Non mi pare di aver letto ancora nulla in giro a proposito dell’interessante evento “The Future of Marketing” organizzato da Business International in collaborazione con Google e UPA tenutosi a Milano la scorsa settimana. E allora ho pensato di pubblicare quanche riga che mi ero annotato.

A fare da base all’incontro c’è stata la presentazione di una ricerca realizzata dall’Economist Intelligence Unit che ha intervistato 200 senior manager in tutto il mondo a proposito del marketing digitale. Poco efficace, a mio parere, il fatto che la ricerca è stata presentata “a pezzi” intervallata dalle tre tavole rotonde oggetto dell’evento. Il risultato è stato un certo calo di attenzione e la perdita del “filo” della ricerca, probabilmente anche per l’approccio decisamente rilassato di chi l’ha presentata.

Da Alberto Macciani, direttore marketing di Unilever Personal Care, sono venuti degli spunti interessanti e molto concreti, tra i quali il fatto che l’utilizzo di strumenti di marketing digitale e, ancora più in generale, di comunicazione innovativa, sono riservati a quelle marche che “hanno qualcosa da dire”. In questo caso, l’uso di internet, del social marketing, ecc. ha senso quando il consumatore si “appropria” della marca. Macciani ha quindi annunciato che a marzo sarà disponibile un nuovo prodotto nell’area personal care, per il quale la metà del budget di comunicazione sarà speso online, in particolare per campagne viral.

Ho invece trovato di segno opposto l’intervento di Daniela Gibolli, responsabile PR per L’Oreal, la quale ha sottolineato a più riprese il loro forte impegno nel far passare dei messaggi di comunicazione che puntino a far percepire esattamente quanto l’azienda vuole dire ed i valori espressi dai loro prodotti. Insomma un approccio che mi sembra ancorato sui valori tradizionali del “controllo”.

Dirompente come suo solito, Guerino Delfino, presidente e CEO di Ogilvy Italia, è andato giù diretto: la comunicazione aziendale e la pubblicità non devono più esplicitarsi in una corsa alla conquista di spazi media; l’unico atteggiamento che può funzionare, soprattutto riguardo alla Rete, è il dialogo con le persone. Il processo di digitalizzazione di tutti i media, ha continuato Delfino, mette in risalto due aspetti: la rilevanza, che costringe i produttori di contenuti (compresi quelli pubblicitari) a badare al loro reale valore e significato per le persone, ed il fatto che tali contenuti saranno sempre più on-demand, smontando di fatto concetti come i palinsesti ed i contesti pubblicitari come li conosciamo ora.

Delle tre tavole rotonde me ne sono persa una ma, indubbiamente, mi piace molto la formula che essenzialmente lascia la ribalta ai responsabili marketing delle aziende. Certo, qualcuno si è lasciato andare ad una stucchevole cronistoria degli “affari interni” prima di dedicare solo due parole a quello che tutti volevamo sentire, ma la struttura rimane interessante.

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Alla fine Eugenio Pintore (Biblioteche della Regione Piemonte), il cordiale coordinatore dell’incontro Web Semantico: gli agenti intelligenti al servizio della ricerca, ha chiesto: ma insomma, questo web semantico è una balla, o si tratta di un argomento di cui ha senso parlare e studiare?

Si, perché negli interventi di Derrick de Kerckhove, Massimo Marchiori e nel mio, l’argomento "web semantico" è stato affrontato solo di riflesso, ognuno proponendo un’angolazione diversa. Derrick ha riproposto qualche slide del suo intervento allo IAB Forum ed ha fornito altri spunti tra i quali ho annotato:

  • Le persone sono dentro l’informazione e non più solo davanti
  • Un fenomeno importante è che si iniziato a "taggare" le cose e non solo i contenuti
  • Per chi si occupa di catalogare le informazioni, è necessario riconoscere e capire i cambiamenti nel rapporto che queste hanno con gli utenti (quest’ultimo passo, a proposito della sua esperienza di un anno alla Library of Congress)

Massimo, da eclettico ricercatore scientifico, ci ha dato la sua visione di come l’innovazione dovrebbe partire dall’attenzione verso… le zie, utilizzando questa immagine per ribadire la necessità di arrivare al pensiero e alle concrete esigenze dell’uomo della strada. Di Massimo avevo scritto mesi fa a proposito di un suo intervento TV riguardo Google.

Il più aderente al tema del convegno non poteva che essere Gino Roncaglia, il quale ha evidenziato due punti che trovo illuminanti:

  • Le persone si sono impadronte del web semantico, definendo tag e criteri di classificazione "dal basso", svilupando il fenomeno della folksonomy.
  • Il valore della classificazione fatta dagli utenti, assume importanza nel momento in cui diventa "sociale".

Io ho parlato di motori di ricerca, in particolare di come le persone li usano non più solo come filtro alle informazioni, ma in modo tattico e "mordi e fuggi" per ricevere risposte dirette (ad esempio sfruttando il "forse cercavi…" di Google come dizionario). Mi sono divertito anche a segnalare la crescente sproporzione tra la quantità di nuovi contenuti digitali rintracciabili dai motori di ricerca e, per contro, il punto di selezione da parte degli utenti che rimane sempre e solo la lista dei "top10 blue links".

Infine, ho affermato che tutti noi siamo (o stiamo diventando) motori di ricerca. Quest’ultima cosa mi piacerebbe spiegarla in modo più dettagliato. Prima o poi lo farò. L’ho fatto in articolo per Punto Informatico.

In definitiva un incontro interessante, 60-70 partecipanti, il piacere di aver salutato Giuseppe Granieri che non sentivo da un po’, ed una divertente cena con organizzatori e relatori guidata da Augusta "Popi" Giovannoli, con Derrick che si conferma terribilmente simpatico.

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Terry Semel, il CEO di Yahoo!, spiega in un bel post su Yodel Anecdotal il recente annuncio della rioganizzazione dell’azienda.

Ci sono alcuni passi che ritengo identifichino bene la trasformazione di molte aziende legate alla Rete, comprese le contraddizioni e le perplessità esplicitati in alcuni dei commenti al post (va sottolineato il fatto che siano attivi).

Tempo fa avrei attribuito a questo post anche la categoria “motori di ricerca”; oggi non lo trovo più opportuno. Meglio “comunicazione online”. Catturo un paragrafo di uno dei commenti al post di Semel:

“I think these folks fail to realize what started as a search engine with ad banners is becoming a global communications giant. Not bad for only 10 years”

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In questi giorni stiamo analizzando i feedback dei partecipanti a IAB Forum 2006. Innanzutitto mi ha fatto molto piacere costatare che sono stati oltre 300 i moduli di valutazione compilati, che su 2.500 registrati è un numero eccellente. Il giudizio complessivo è in genere buono o molto buono. Il lavoro che stiamo facendo adesso è anche quello di schematizzare i numerosi commenti aggiuntivi, per divenire ad un quadro d’insieme che ci permetta tradurre questi feedback su IAB Forum 2007 e sulle altre iniziative sociali.

Per ora, mi piace solo citare una cosa che mi è successa un paio di settimane fa, quando un nostro partner, un’agenzia di comunicaizone che si avvale dei servizi Ad Maiora, ci raccontava di un suo cliente che, dopo aver partecipato a IAB Forum, li ha chiamati perché si affrontassero subito delle attività di social networking, engagement, viral marketing, ecc. Il cliente, fino al giorno prima, non sapeva dell’esistenza dei blog… L’ho chiamato “effetto IAB Forum”.

Vi sono capitati casi analoghi?

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