Chiunque si occupi di comunicazione dovrebbe dedicare un po’ di tempo ad osservare i giovanissimi e guardare come usano i nuovi strumenti tecnologici. Se fosse per me, nelle business school farei partecipare qualche ragazzino terribile a spiegare davvero il web 2.0, i vari messenger, la comunicazione mobile, ecc. Anzi, ogni manager di ogni azienda, specie quelli che colpevolmente non passano tempo con i loro figli, dovrebbero essere “costretti” a guardare con attenzione i teenager ed il loro rapporto con i media e con i device.

Nel mio caso, da qualche giorno ho capitolato ;-) ed ho istallato il Messenger sui pc dei miei ragazzi (12 anni). Ho tentato di spiegargli alcune delle funzioni, ma dopo averli lasciati soli per una ventina di minuti, aveveno già scoperto e capito tutto, anche opzioni a me sconosciute.

Prima lezione: mi sa che la didattica impostata come “zitto e ascolta” ha fatto il suo tempo. I ragazzi sentono forte la consapevolezza del potere che gli arriva dal mouse. Provano, cliccano, sbagliano, capiscono. Si aspettano scorciatoie, trucchetti e cose cool (i miei dicono ancora “fighe”), non più una lista ordinata di concetti.

Un problema è nato quando si sono resi conto che col mio software (uso Trillian che gestisce contemporaneamente ICQ, Messenger e Yahoo!) non riesco a ricevere e visualizzare tutte le funzioni che per loro sono importantissime: trilli, icone animate, e poi giochi, messaggi audio, ecc.

Seconda lezione: la comunicazione testuale gli sta stretta. I ragazzi vogliono esprimere compiutamente dei concetti, delle emozioni, delle opinioni, rappresentandole graficamente o meglio, attraverso un mix multimediale. Non dicono più “leggi il mio messaggio”, ma “guarda/ascolta il mio messaggio”.

Man mano che scrivo mi rendo conto di aver notato e imparato molte altre cose. Ne verrebbe fuori un post lunghissimo e allora è meglio che mi fermo qui, per ora. Altre lezioni alla prossima puntata ;-)

Bastano intanto queste per fare alcune riflessioni non del tutto positive sulle young generation, riguardo l’aberrazione di tutto quello che può rientrare concettualmente in un “manuale d’uso” e, ancor peggio, l’evidente difficoltà di esprimersi attraverso le parole scritte. Sono cose che non mi entusiasmano ma ritengo fondamentale prenderne atto.

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4 commenti per “Le lezioni che arrivano dai figli / parte prima”

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  1. Pietro scrive:

    E’ un tema interessantissimo: come la tecnologia cambia il modo di imparare e di pensare. Segnalo un articolo, ormai classico, di Marc Prensky: Digital Natives, Digital Immigrants– A New Way To Look At Ourselves and Our Kids

  2. catepol scrive:

    tempo fa scrissi dell’uso che i ragazzi fanno a scuola dei telefonini qui… da insegnante dico che bisogna adeguarsi e stare al passo…
    ho una cuginetta di sette anni i cui genitori hanno dato accesso al messenger…con i contatti di cugini e cugine e pochi altri…non hai idea di come si arrabbia perchè con meebo (ora adium) non visualizzo tutti gli smileys in movimento che mette lei…
    concordo con te…i ragazzi oggi parlano visuale…però è anche vero che non bisogna far loro perdere del tutto la testualità e la ricchezza del linguaggio scritto

  3. Matteo scrive:

    Forse, da questo punto di vista, bisognerebbe ponderare bene l’approccio alla comunicazione digitale dei propri figli, privilegiando quella analogico-sequenziale senza negare l’accesso alla produzione di contenuti ipertestuali-multimediali.
    Il digitale è una gran risorsa ma ha in sè il germe dell’analfabetismo, inteso come cultura dell’oralità.
    Un problema che riconosco anche già mio, in quanto padre di due bambini piccoli.

  4. franco scrive:

    da vacchio e noioso e poco conoscitore delle nuove tecnologie dico che non si possono certamente rifiutarle o demonizzarle ma nemmeno accetarle come assoluta necessita’ o ahime come supremo sapere.Devono essere complementari ai “vecchi”sistemi multimediali e non sostitutivi di essi.Invece c’e’ una acquiescenza critica verso quello che e’ nuovo che e’ molto dannosa per i nostri ragazzi ,che non vengono aiutati a ragionare ma solo ad accettare il nuovo e rifiutare il vecchio.

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