Archivio: “Numeri”

In considerazione del fatto che Google gestisce ormai oltre il 70% delle esposizioni pubblicitarie online (almeno secondo le stime di Attributor che considera anche la quota di Doubleclick), all’azienda di Mountain View non basta più questo nostro piccolo pianeta e punta a inserdiarsi su Marte!

Ora: la prima notizia è vera, la seconda è ovviamente un pesce d’aprile.

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Apperò: secondo comScore il 17% delle ricerche effettuate su Google produce un risultato caratterizzato dal cosiddetto “Universal result”, ossia contenente link e contenuti aggiuntivi a quelli elaborati dal normale algoritmo di ranking e riguardanti news, immagini, video, ecc.

Universal Search di Google

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L’email marketing è uno di quei settori che troppo spesso viene omologato allo spam. Invece, quando si chiede agli uomini di marketing quale è la forma di comunicazione più efficace utilizzando internet, prima ancora di motori di ricerca e banner spesso indicano proprio la posta elettronica. In questo caso ci riferiamo a messaggi indirizzati ad utenti selezionati o che si sono esplicitamente iscritti, come nel caso delle newsletter aziendali.

La conferma ci arriva da una ricerca appena pubblicata, commissionata da ContactLab (la divisione Digital Direct Marketing di Tomato Interactive) a Human Highway e focalizzata sul mercato italiano, in particolare su un campione rappresentativo degli utenti internet.

Della ricerca (che è possibile scaricare online) mi hanno colpito alcuni dati:

  • Ogni utente è iscritto in media a 6 mailing list o newsletter.
  • Le donne ricevono più email degli uomini (19 al giorno contro 17).
  • Il campione analizzato, ossia maggiori di 15 anni che si conettono alla rete almeno una volta alla settimana, rappresentano oltre 19 milioni di persone; il 73% di questi, si connette tutti i giorni.
  • Solo il 5% del campione non è iscritto a nessuna mailing list o newsletter.

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Ad un convegno di giovedì scorso, ho stuzzicato con una domanda Pierluigi Bernasconi, Amministratore Delegato di Mediamarket (Mediaworld, Saturn), a proposito del rapporto tra spender pubblicitari e web agency e sul fatto che spesso i clienti si rivolgono direttamente ai publisher e ai motori di ricerca. Bernasconi ha detto di preferire spesso la “via diretta”, essenzialmente per due motivi:

  1. Le agenzie non sempre sono preprarate e aggiornate; ha fatto l’esempio di proposte legate al “web 2.0″ che altro non sono che pianificazioni su network di blog.
  2. Le web agency non hanno la capacità di interfacciarsi col management dei publisher, fatto che ritiene fondamentale per ottenere i risultati migliori.

Non sono molto d’accordo sul punto 2), o meglio, può anche esser vero che non tutte le agenzie hanno relazione con i piani alti, ma se diamo per buono che questa è una condizione necessaria per ottenere risultati, stiamo dicendo che il mercato è ancora immaturo, ed è fatto di relazioni e favoritismi e non di professioni. A me non pare che sia (più) così.

Pienamente in sintonia col punto 1) anche se non è tutta colpa delle agenzie. Le specializzazioni e le competenze d’avanguardia ci sono, basta saperle cercare. Se invece si cerca il nuovo utilizzando partner e procedure consolidate, probabilmente non lo si troverà (almeno per alcuni anni ancora). È di questi giorni una ricerca di TNS Media Agencies che rileva l’impreparazione delle tradizionali agenzie in USA, UK e Francia rispetto ai social media. Cito due commenti relativi a questo studio:

“I think traditional ad agencies have very little contribution to make,” Bryan Simkins, a marketing specialist at FedEx, told TNS. “They are mostly driven by their compensation models which are made for closed media. Those models don’t apply in open media.”

“They put up a good presentation about what social media is, but when you get to implementing campaigns, the day-to-day management skills are not meeting the marketers’ expectations.”

Dice la sua anche Forrester nel report The Connected Agency che Adweek sintetizza scrivendo: Agencies Need to Reboot. Ma cosa significa agenzie connesse? Ecco una sintesi:

What it is calling “the connected agency” would not only know certain communities but also be active members of these groups. Pushing messages would give way to encouraging voluntary engagement, and ongoing conversations would replace time-based campaigns.

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Uno dei problemi ancora non risolti in merito alla comunicazione online, è quello di valutare in modo puntuale l’entità degli investimenti pubblicitari. Ogni nazione ha le sue metodologie e anche a livello locale ci sono metriche ancora tutte da perfezionare.

Uno dei temi è che non tutti i player del settore sono disponibili a segnalare i loro fatturati alle organizzazioni superpartes che si fanno carico di raggruppare le rilevazioni. Ora rimane fuori il search, oppure il classified.

Forse in Italia abbiamo un’aiuto definitivo al problema. Ci arriva dalla Guardia di Finanza che, contestando 51 milioni di evasione fiscale in Italia a Google, ha contemporaneamente stimato un fatturato fino al 2007 di 257 milioni. E questo sarebbe quello non dichiarato.

Ovviamente sto facendo ironia. Anche se la notizia è reale. L’ho letta su DailyOnline che ha raccolto anche una dichiarazione di un portavoce di Google (tra alcuni giorni il pezzo dovrebbe andare nell’archivio riservato agli iscritti). La notizia originale è del 1


Uno dei problemi ancora non risolti in merito alla comunicazione online, è quello di valutare in modo puntuale l’entità degli investimenti pubblicitari. Ogni nazione ha le sue metodologie e anche a livello locale ci sono metriche ancora tutte da perfezionare.

Uno dei temi è che non tutti i player del settore sono disponibili a segnalare i loro fatturati alle organizzazioni superpartes che si fanno carico di raggruppare le rilevazioni. Ora rimane fuori il search, oppure il classified.

Forse in Italia abbiamo un’aiuto definitivo al problema. Ci arriva dalla Guardia di Finanza che, contestando 51 milioni di evasione fiscale in Italia a Google, ha contemporaneamente stimato un fatturato fino al 2007 di 257 milioni. E questo sarebbe quello non dichiarato.

Ovviamente sto facendo ironia. Anche se la notizia è reale. L’ho letta su DailyOnline che ha raccolto anche una dichiarazione di un portavoce di Google (tra alcuni giorni il pezzo dovrebbe andare nell’archivio riservato agli iscritti). La notizia originale è del 1


Proprio ieri con un amico ho espresso l’idea che avrebbe senso per Microsoft acquisire Yahoo! e creare definitivamente “l’altro polo” internet da contrapporre a quello di Google. Oggi spunta l’offerta (peraltro nell’aria da tempo) di Microsoft: un’OPA su Yahoo! da 30,1 miliardi di Euro.

Per la cronaca, il mio amico mi ha appena chiamato complimentandosi per le miei doti di chiaroveggenza… :)

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Se fossi azionista di un’azienda, seppur del volatile mondo internet, non mi dispacerebbe costatare un incremento dell’utile netto del 17% rispetto al trimestre precedente. Pare invece che gli azionisti di Google non la pensino così, per cui il titolo è caduto giù.

A proposito di Google, vorrei condividere con voi due interessanti chart, una di un mesetto fa e una di ieri:

  • TechCrunch a dicembre aveva pubblicato un’interessante schema che riassume i prodotti di Google, il loro peso in termini di traffico ed il relativo trend.
  • Efficient Frontier ha elaborato i dati relativi alla penetrazione di Google nei vari continenti, evidenziando come l’Europa (considerata al netto della Gran Bretagna) registri lo share più alto nel mondo.

Prodotti di Google - (c) TechCrunch

Penetrazione di Google - (c) Efficient Frontier

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Questa mi sembra una mossa coerente. Microsoft ha fatto un’offerta di acquisto per Fast Search & Transfer, l’azienda norvegese già acquistata da Overture anni fa e quindi attualmente parte del gruppo Yahoo! (vedi precisazione più avanti). Certo, il prezzo non è bassissimo (1,2 miliardi di dollari), però ritengo che Fast possa apportare l’esperienza e la tecnologia sul web search che a Microsoft serve.

Conobbi i founder di Fast a New York nel 2004 e ne ricavai un’ottima impressione, peraltro suffragata dai tanti riconoscimenti alla loro tecnologia di ricerca (vi ricordate Alltheweb?).

Altri dettagli su Techcrunch.

Una precisazione (9/1): A suo tempo Overture acquistò tutta la parte Web di Fast che invece continuò ad operare nell’area entrerprise (con il management originario), che è poi quella che ora Microsoft ha proposto di acquistare.

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The end of advertising as we know it - IBM Institute for Business Value “I prossimi 5 anni porteranno un numero di cambiamenti nell’industria della pubblicità maggiori rispetto a quelli avvenuti nei precedenti 50”. Inizia così il report della ricerca The end of advertising as we know it realizzato da IBM Institute for Business Value (via Marco Palombi).

Si tratta di una ricerca basata su interviste fatte a 2400 consumatori ed a 80 advertising executive di tutto il mondo, che non fa che confermare i trend e le indicazioni che emergono ormai prepotenti in ogni occasione. Alcuni spunti presi dall’executive summary:

  • I consumatori avranno sempre più  controllo in quello che vedono e su come interagiscono con la pubblicità, sapendola filtrare in un ambiente che diventa multi-canale.
  • Dilettanti e semi-professionisti stanno creando contenuti pubblicitari a basso costo, trend che continuerà anche per via dei modelli di revenue sharing (es. YouTube, Crackle, Current TV).
  • Due terzi dei professionisti della pubblicità intervistati, ritengono che il 20% dei ricavi in advertising passerà entro tre anni dal modello impression-based al modello impact-based.

Quattro i possibili scenari (vedi figura) individuati da IBM, dove le variabili principali riguarderanno la propensione dei consumatori a controllare il marketing e la composizione dell’offerta (inventory) pubblicitaria.

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The end of advertising as we know it - IBM Institute for Business Value “I prossimi 5 anni porteranno un numero di cambiamenti nell’industria della pubblicità maggiori rispetto a quelli avvenuti nei precedenti 50”. Inizia così il report della ricerca The end of advertising as we know it realizzato da IBM Institute for Business Value (via Marco Palombi).

Si tratta di una ricerca basata su interviste fatte a 2400 consumatori ed a 80 advertising executive di tutto il mondo, che non fa che confermare i trend e le indicazioni che emergono ormai prepotenti in ogni occasione. Alcuni spunti presi dall’executive summary:

  • I consumatori avranno sempre più  controllo in quello che vedono e su come interagiscono con la pubblicità, sapendola filtrare in un ambiente che diventa multi-canale.
  • Dilettanti e semi-professionisti stanno creando contenuti pubblicitari a basso costo, trend che continuerà anche per via dei modelli di revenue sharing (es. YouTube, Crackle, Current TV).
  • Due terzi dei professionisti della pubblicità intervistati, ritengono che il 20% dei ricavi in advertising passerà entro tre anni dal modello impression-based al modello impact-based.

Quattro i possibili scenari (vedi figura) individuati da IBM, dove le variabili principali riguarderanno la propensione dei consumatori a controllare il marketing e la composizione dell’offerta (inventory) pubblicitaria.

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Allocazione budget marketing online Q3 2007 negli USA Guardare oggi gli Stati Uniti a proposito di marketing, significa capire cosa succederà dalle nostre parti tra un anno o due al massimo. Ebbene, i responsabili marketing americani spenderanno quasi l’8% del budget pubblicitario online in campagne di social marketing nell’ultimo trimestre di quest’anno.

eMarketer riporta questi dati sottolineando che si parla tanto di Web 2.0, ma i budget sono ancora destinati in gran parte alla pubblicità online tradizionale (display, search, email). Io vedo invece il bicchiere mezzo pieno e mi sorprende favorevolmente il fatto che i social network raccolgano già l’8% dei budget relativi alla Rete, praticamente dopo pochi mesi dal loro affermarsi.

Pensiamo al mercato italiano che fa circa 400 milioni complessivamente. Non sarebbero male 32 milioni dedicati a campagne di social marketing, no? Ce la facciamo ad aspettare un annetto?

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Il search marketing risulta avere il miglior ROI tra gli strumenti di marketing online e, non a caso, i rilativi investimenti raddoppieranno entro tre anni. Ce lo dicono due analisi appena uscite di cui riporto le segnalazioni di due colleghi:

  • Nereo che riporta l’indagine di Marketing Sherpa secondo la quale SEO prima e PPC subito dopo, sono gli strumenti più performanti per gli investitori online.
  • Marco che evidenzia la rilevanza che riveste il search marketing nell’ultimo report di Forrester. Marco fa bene a ricordare come Forrester in passato aveva decisamente sottostimato le stime riguardanti l’Italia ed ora in effetti sembrano più congrue (483 Mil.$ nel 2010). Parlai con l’analista Forrester che fece quell’analisi (scrissi anche un post), ma non cambiarono le cose; guarda caso il nuovo report è fatto da altri analisti…
    Altri dati sul report di Forrester Research sono evidenziati anche a casa di Microsoft Digital Advertising Solutions, in particolare il raddoppio previsto per gli investimenti in pubblicità online in Europa per arrivare a 16 miliardi di Euro nel 2012.

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Credo che ognuno di noi si sia sentito dire almeno una volta (anzi, probabilmente, molte volte) frasi del tipo “adesso che sei diventato grande, devi prenderti le tue responsabilità”. Giusto?

Ebbene, credo sia arrivato il momento che questo invito lo si inoltri al mondo internet, e qui mi riferisco in particolare al settore della comunicazione online, comprendendo sia gli operatori del settore (ovviamente mi ci metto anch’io), sia le figure professionali all’interno delle aziende. È un processo peraltro è già in atto, ma forse occorre dargli ulteriore impulso.

Quindi, ci sta tutto l’invito di Vittorio su Scene Digitali, di considerare anche in Italia una misurazione giornaliera dei visitatori del web (oggi quella ufficiale è mensile), riprendendo l’auspicio che sta portando avanti l’Audit Bureau of Circulation. Che ne dite?

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Dopo che Blogo.it, il network italiano di blog con più visitatori, è finito in casa RCS/Dada, quello con il maggior numero di blog, Blogosfere.it, entra nella galassia de IlSole24Ore che ne ha acquistato il 30%.

Alla fine, questi deal sembano semplicemente motivati dall’aumento dell’audience e quindi dell’inventory pubbblicitaria di chi acquista. In ogni caso, è una specie di certificazione della consistenza dei blog in quanto format editoriale.

Credo invece che per un editore tradizionale, avere blog (e blogger) in casa significa obbligarsi a guardare il mondo dei contenuti che cambia, significa aprirsi a nuovi modi di intendere il mestiere di fare informazione.

Chissà se Marco (a proposito, complimenti!) contribuirà a portare al Sole i principi etici di cui scriveva qualche post fa. A meno che (e qui si scherza) non stia già pensando a Nòvamille

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Riepiloghiamo alcune delle più recenti acquisizioni nell’ambito internet: Google ha comprato DoubleClick (ne ho scritto qui, qui e qui), Yahoo! più recentemente ha acquisito RightMedia mentre AOL ha preso Third Screen Media e AdTech. Si è mosso anche WPP, il più grande gruppo pubblicitario,  acquistando 24/7. Microsoft ha invece scelto ScreenTonic e, soprattutto, aQuantive.

Praticamente adesso tutti i big player del mercato possiedono una tecnologia di ad serving, ossia per il caricamento e la gestione delle campagne pubblicitarie online.

Merita due parole in più il deal di Microsoft con aQuantive. Sia perché è costato quasi il doppio rispetto a quanto Google ha pagato DoubleClick (6 mld. di dollari, contro 3,1 mld.), sia per il differente mix di attività del guppo aQuantive. Difatti, mentre DoubleClick deve i suoi ricavi essenzialmente alla tecnologia di ad serving, aQuantive fa più della metà (58% nel Q1) dei suoi profitti dall’attività di agenzia (con AvenueA Razorfish come azienda di punta), mentre solo un quarto (27%) deriva dalla piattaforma pubblicitaria Atlas (dati raccolti via Nate Elliott, analista di JupiterResearch).

Insomma, semplificando al massimo, Google compra essenzialmente tecnologia e informazioni, Microsoft la capacità di generare servizi professionali e creativi. Interessante no?

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Ho letto volentieri la ricerca Parole del web, realizzato da Microsoft per promuovere gli strumenti di social networking agli inserzionisti pubblicitari. La ricerca ha una parte qualitativa condotta da Essential Research in Francia, Regno Unito, Stati Uniti, Canada, Cina e Brasile, mentre lo studio quantitativo è stato curato da MetrixLab in otto mercati europei tra cui l’Italia.

Purtroppo non ci sono (o non li ho trovati io) i dati sul campione utilizzato, nel senso che si fa riferimento a utenti che usano i servizi di social networking, ma non ho visto specificato il dato di contesto, ossia il peso del campione utilizzato rispetto agli utenti online. Ho l’impressione che il panel prenda a riferimento agli utenti di Spaces e comunque queste sono alcuni dei dati più intersssanti che emergono:

  • Il motivo per cui si usano i social network in Italia risiedono principalmente nella volontà di esprimere le proprie opinioni (61%), di guardare gli spaces di altre persone (57%) e di conoscere persone nuove con cui condividere interessi (49%). Interessante raffrontare le differenze, anche nette con altri paesi europei.
  •  Comparando i dati europei, gli italiani sembrano tra quelli che passano più tempo sui social network: il 36% degli utenti si collega ogni giorno (media EU: 32%) ed il 24% ci sta per oltre 2 ore (media EU: 18%).
  • Il 28% dei frequentatori italiani dei social network commenta i messaggi pubblicitari (media EU: 23%) ed il 34% inoltra inserzioni agli amici (media EU: 24%).

Vale la pena anche riportare i cinque consigli finali suggeriti da Microsoft, non solo perché li trovo tutti corretti, ma perché è interessante notare che certe indicazioni arrivino proprio da un publisher di questa entità.

  1. Capire le motivazioni che spingono il consumatore a utilizzare i social network
  2. Esprimiti come se fossi un brand
  3. Promuovere e mantenere un buon dialogo
  4. Coinvolgere i partecipanti
  5. Identificare i sostenitori dei brand online

In qualche modo correlato, leggo da Vincenzo che i blogger di casa Microsoft (una ventina attualmente) si sono incontrati e qui li possiamo conoscere tutti (compresi quelli che non usano piattaforme Microsoft, eh eh).

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Guardavo oggi la nuova (bella) interfaccia di Google Analytics. Pure se gran parte del merito di quel tool, lo si deve all’originario Urchin (acquisito nel 2005), l’abilità di Google è quella di metterci quel qualcosa in più che sembra sempre fare la differenza.

Fiducia in Google, Yahoo, MSNSarà anche per questo che, nonostante le perplessità più volte sollevate sulla quantità e tipologia delle informazioni che Google si trova ad accumulare, la maggiornaza degli utenti internet continua a riservare grande fiducia nell’azienda di Mountain View. L’ultima dimostrazione è una ricerca commissionata da Bigmouthmedia, che evidenzia la maggior percentuale di fiducia riservata a Google nella gestione dei dati personali, rispetto a quanta ne ricevono Yahoo e MSN. Certo, dalla ricerca emerge comunque che solo il 38% delle persone si fidano, per cui la maggioranza sono scettici o seriamente dubbiosi.

Sempre in tema di Google, segnalo altre cose:

  • Su Novedge si evidenzia come Google Base non permetta di gestire transazioni con PayPal, il sistema di pagamento competitor di Google Checkout. (Una digressione: Novedge, azienda basata a San Francisco ma gestita da italiani, offre un’interessante opportunità di stage)
  • Punto Informatico ha ripreso nei giorni scorsi un articolo di Forbes che, come gli accade spesso ultimamente, lancia invettive quà e là. Stavolta attacca il ranking di Google e alimenta la rivolta (a suo dire) dei siti declassati dall’archivio.
  • Sull’argomento Google compra Doubleclick, ho rilasciato un’intervista a Portel.it

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L’annuncio di Google che acquisisce DoubleClick è di quelli importanti:

  • È l’acquisizione più grande mai fatta da Google: 3,1 miliardi di dollari, peraltro tutti in cash; per dare un’idea, YouTube era stata acquisita per 1,65 miliardi di dollari e pagati in azioni.
  • DoubleClick ha generato circa 300 milioni di dollari nel 2006. Quindi una valutazione con un bel multiplo sulle revenue, considerando altresì che l’azienda era stata acquistata 21 mesi fa per 1,1 miliardi.
  • L’affare è passato sotto il naso di Microsoft che i rumors davano in prima fila (Jonh Battelle si è dovuto mangiare il suo post in cui si diceva scettico di un deal con Google).

Sintetizzare tutte le implicazioni che questa acquisizione porterà al mondo della pubblicità (non solo quella online) è difficile e prematuro. Raccolgo qualche spunto come base di riflessione:

  • The next step in Google advertising: è il titolo dell’annuncio ufficiale da parte dell’azienda di Brin & Page. Ossia: ci sono cose che si evolveranno sensibilmente. Molti sottolineano che il deal è un’opportiunità incredibile per entrare definitivamente in relazione con gli spender pubblicitari; giusto, specie nel breve periodo. Ma scommetto che l’impatto sarà rilevante anche sulle funzionalità di pianificazione, compresa la possibilità di rendere gratuiti (così come Urchin è diventato Google Analytics) i tool di intermediazione pubblicitaria al fine di stimolare ancor più domanda e offerta.
  • All your ads belongs to us scrive Steve Rubel, sottolinenando come teoricamente Google può iniziare a porsi come interfaccia complessiva per gli advertiser, sollevando nel contempo possibili attenzioni da parte di enti governativi sul notevole incremento di potere, di mercato e informativo.
  • I maggiori clienti di DoubleClick sono le agenzie. Lo sottolinea Google stesso nel comunicato, nel quale l’ordine con cui si elencano i beneficiari del deal sono: agenzie, advertiser e publisher. Chissà se accomodandosi nel salotto di Madison Avenue verrà mantenuto/sviluppato questo rapporto o prevarrà l’intenzione di disintermediare la pubblicità (compresa quella off-line).
  • Meno rilevante ma curiosa lo stesso è adesso la situazione di Performics, una grande agenzia di search marketing (che offre anche servizi SEO) di proprietà di DoubleClick. Marco Loguercio ne scriveva qualche giorno fa.

Due link in conclusione: l’articolo sul NewYorkTimes e le FAQ allegate all’annuncio di Google (encomiabile iniziativa; strano che siano in formato PDF).

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L’ho definita proprio così: la tassa di circolazione che ogni sito web dovrebbe sostenere per poter andare online, specie se si tratta di un sito della pubblica amministrazione. Mi riferisco alle attività di ottimizzazione per figurare in modo adeguato sui motori di ricerca, comunemente identificate con l’acronimo SEO.

Ne ho scritto in un articolo uscito oggi per Punto Informatico, nel quale riprendo i dati di una ricerca Censis/Formez che ha analizzato i siti delle Regioni e delle Provincie italiane verificando pure la loro link popularity.

Lo so che il discorso può sembrare interessato per il fatto che la mia azienda si occupa proprio di queste attività. Diciamo pure che dopo dieci anni che facciamo questo lavoro non è che ci serva un articolo per promuovere tali servizi: è solo che… ci crediamo davvero!

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Sono disponibili online i principali risultati della prima ricerca sul search marketing in Europa organizzata da SEMPO, realizzata da JupiterResearch e coordinata… dal sottoscritto.

Lo studio ha elaborato le risposte di aziende che utilizzano servizi di search engine marketing e di agenzie specializzate. L’indagine è stata condotta in Francia, Italia e Spagna, ed ha analizzato i principali aspetti strategici e qualitativi delle attività, verificando quelli inerenti l’utilizzo pubblicitario (keyword advertising) e quelli relativi all’ottimizzazione dei siti (SEO).

Questi sono alcuni dei principali indicatori che mi sembra emergano dalla ricerca:

  • Lo spending medio in search marketing per oltre un terzo degli intervistati è superiore a 50.000 Euro l’anno.
  • Il 62% delle aziende prevede di incrementare il proprio budget di search marketing nel 2007.
  • Il focus principale per il oltre la metà delle aziende sono le attività SEO, anche se è maggiore il valore assoluto dei budget destinati al keyword advertising.
  • Le aziende prevedono di incrementare sensibilmente l’uso di altri strumenti come il mobile search, il video search e il paid per call nel corso del 2007.
  • In testa agli obiettivi delle attività di search marketing, le aziende segnalano la generazione immediata di vendite e la creazione di brand awareness.
  • Sia le aziende che le agenzie indicano nella competizione per le posizioni di testa il maggior problema incontrato. Per il 42% degli inserzionisti, è anche difficoltoso tracciare l’efficacia delle attività di search marketing.
  • Il 33% delle aziende non ha mai utilizzato un’agenzia specializzata, ma il 26% potrebbe considerare questa possibilità per raggiungere principalmente l’obiettivo di incrementare i risultati e per colmare la mancanza di conoscenze/esperienze interne.
  • Un quarto delle aziende affida ad un’agenzia esterna il SEO e l’implementazione delle campagne di keyword advertising.
  • Il 72% delle aziende ed il 79% delle agenzie è soddisfatto del ritorno sull’investimento delle attività di search marketing.
  • Sia per le aziende che per le agenzie, l’ottimizzazione delle landing page, l’aggiunta di nuove keyword e la modifica del testo degli annunci, sono le tre azioni che impattano di più sull’andamento di una campagna.

Della ricerca ne parla anche Scene Digitali di oggi.

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Tra i professionisti europei delle public relation aumenta la consapevolezza dell’importanza dei blog e dei social network. È quanto emerge dalla annuale ricerca condotta da Euprera (Associazione Europea di Ricerca e di Educazione di Relazioni Pubbliche) di cui riporta Vincenzo su Nòva blog.

La sintesi della ricerca (disponibile su Euroblog2007), evidenzia che gli intervistati ritengono sia in atto un cambiamento “disruptive” che sta mutando il modo col quale le aziende comunicano, sia internamente che verso l’esterno. Semplice ma efficace il ciclo virtuoso con cui i ricercatori sintetizzano l’esito della ricerca.

Il 79% legge i blog (erano il 37% nel 2006) ed il 38% gestisce un blog (quasi il doppio rispetto all’anno prima). Nel contempo constatano la mancanza di skill all’interno delle aziende nella gestione dei blog (69%) e la scarsa capacità di rilevarne il ROI (42%). 

Di rilievo l’88% degli intervistati che ritiene di integrare prossimamente il blog nella strategia di comunicazione aziendale. In merito alle opportunità, l’81% considera la capacità di ascoltare la blogosfera, e il 77% apprezza la possibilità di sviluppare una comunicazione autentica e personale.

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Riprendo da DailyNet di oggi la dichiarazione di Fulvio Zendrini, responsabile comunicazione Piaggio, a margine del convegno annuale dell’UPA sul “futuro della pubblicità”:

L’Upa non ha ancora capito che bisogna smettere di fare il futuro della pubblicità, concentrandosi sul futuro della comunicazione. Internet non è un mezzo, è il mondo su cui una serie di idee, di persone e di prodotti girano. Non può essere giudicato solo come uno strumento pubblicitario, è un sistema centrale di un insieme di attività di comunicazione che creano relazione continuativa con le comunità.

Sulle stime divulgate a proposito di internet (crescita attorno al 35% nel 2007 e 2008), mi trovo d’accordo con Layla sul fatto che siano sottostimate.

Mi è venuta in mente una curiosità: anni fa titolai un post un modo quasi uguale a questo: Internet è comunicazione, non tecnologia …

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Riprendo da DailyNet di oggi la dichiarazione di Fulvio Zendrini, responsabile comunicazione Piaggio, a margine del convegno annuale dell’UPA sul “futuro della pubblicità”:

L’Upa non ha ancora capito che bisogna smettere di fare il futuro della pubblicità, concentrandosi sul futuro della comunicazione. Internet non è un mezzo, è il mondo su cui una serie di idee, di persone e di prodotti girano. Non può essere giudicato solo come uno strumento pubblicitario, è un sistema centrale di un insieme di attività di comunicazione che creano relazione continuativa con le comunità.

Sulle stime divulgate a proposito di internet (crescita attorno al 35% nel 2007 e 2008), mi trovo d’accordo con Layla sul fatto che siano sottostimate.

Mi è venuta in mente una curiosità: anni fa titolai un post un modo quasi uguale a questo: Internet è comunicazione, non tecnologia …

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Interessante ricerca condotta in Olanda da De Vos & Jansen e Checkit su come gli utenti usano i motori di ricerca, in particolare su come interagiscono con i risultati di ricerca, dove guardano e per quanto tempo.

Alcuni valori confermano quelli emersi da altre analisi effettuate negli ultimi anni. In questo caso si è differenziato il rapporto tra chi cerca specificatamente informazioni, e chi invece è in procinto di fare una transazione, situazione che sviluppa un differente approccio al motore di ricerca come mostrato nelle due seguenti immagini:

Ricerca per informazioni Ricerca per transazioni

Tra i dati che emergono nella ricerca (qui il PDF completo), va sottolineato che il tempo medio dedicato a leggere la pagina dei risultato di ricerca è di 10,4 secondi, mentre si riserva solo 1,1 secondo per ogni singolo risultato. Ciò conferma l’indicazione generale per cui l’attenzione online delle persone è sempre più parcellizzata e che il il tempo disponibile per farsi notare diminuisce costantemente.

Inutile dire che anche questo studio conferma che i risultati organici sono quelli più visti (98% degli utenti), seguiti dai risultati sponsorizzati evidenziati in alto (95%). Gli sponsored link mostrati sulla destra attirano solo il 31% delle persone.

Non sembrano emergere grandi differenze nell’uso dei differenti motori di ricerca analizzati, mentre sono interessanti le indicazioni a proposito dei motivi che spingono a cliccare un risultato:

  • la familiarità con il brand del sito
  • una posizione rilevante nel listing
  • la presenza della keyword cercata nel risultato
  • la presenza di commenti degli utenti o di comparazione di prodotti
  • le informazioni (indirette) sui prezzi, come “low cost”
  • l’affermazione che il sito propone una vasta gamma di prodotti
  • l’assenza di pubblicità troppo aggressiva come, ad esempio, parole scritte tutte in maiuscolo o punti esclamativi ripetuti

Va precisato che la ricerca è stata condotta su un panel di utenti internet assidui nella fascia di età 17-24.

Una notazione finale personale: conosco bene le persone di Checkit e con loro avevamo condiviso diverse volte la necessità degli operatori del settore di contribuire a studiare il mercato. Ricerche come questa sono chiaramente un valore per tutti. (Il complimento è anche un modo per sdebitarmi parzialmente di un ottimo tris di vini – francesi – di cui mi fecero dono qualche tempo fa ).