Archivio: “Pubblicità”

Puntuale come l’incalzare delle stagioni, ancora un articolo che mette in discussione l’efficacia della pubblicità online. Questa volta a firma di Giampaolo Fabris su Affari&Finanza di oggi (l’allegato di Repubblica).

Non sono riuscito a trovare un passaggio che sintetizzi l’articolo di Fabris, per cui provo a riassumerlo arbitrariamente io: la pubblicità sulla Rete è invasiva perchè entra sul PC delle persone e queste ne sottolineano la relativa insofferenza.

Faccio solo due considerazioni:

  • Ditemi una forma di pubblicità che sia apprezzata dai destinatari; ovvio che se chiedi a qualcuno “ma a te piace la pubblicità su internet”, la risposta sia “no”. Pensate invece che se lo chiedete a proposito di TV, radio o stampa le risposte siano “wow, certo! adoro lo spot che interrompe il film”, oppure “non vedo l’ora di sporcarmi le mani di colore su quei paginoni pubblicitari interni al quotidiano”? In sintesi: non esiste una pubblicità che funziona o meno in senso assoluto; dovrebbe essere sempre correlata con le alternative sugli altri mezzi oltre ad accettare il fatto che la pubblicità è invasiva per natura.
  • Continuo ad avere fiducia nelle capacità degli inserzionisti (anche attraverso il supporto delle agenzie) nello spendere in modo sensato i propri soldi. Internet cresce (e in Italia lo fa ancora poco) perché funziona. Punto.

Ok, confesso di aver scritto una bugia: in realtà io adoro la pubblicità che interrompe i film in TV; è il momento migliore per dare un’occhiata alle email o fare la pipì


Continua la discussione sull’affare Google/DoubleClick. Masssimo Mantellini su Punto Informatico di oggi è lapidario: “Oggi [...] Google diventa una (grande) azienda Internet come un’altra. L’innocenza è finita e un poco ci dispiace”. Sempre su Punto io approfondisco il post di sabato analizzando il possibile scenario di marketplace pubblicitario globale che sta mettendo in piedi Google.

Condivido con Massimo Russo: “Sarà un’impresa difficile, per i clienti di Doubleclick, trattare per rinnovare i propri accordi pay per click con Google: si troveranno davanti un interlocutore che del loro principale business online conosce più dettagli di quanti ne sappiano loro stessi.

A proposito dei clienti DoubleClick: proprio un paio di giorni fa Matt Cutts, ritenuto ormai una specie di portavoce ufficiale di Google, suggeriva come “best practice” per i publisher il fatto di esplicitare tutti i link esposti a pagamento. In linea generale è ok, solo che quando la voce si leva da Google appare evidente il sospetto che l’intenzione di fatto è cercare di scoprire tutte le relazioni pubblicitarie in cui si può infilare. Chissà se i tanti clienti DoubleClick che utilizzano il sistema per vendere link e click al di fuori di AdSense saranno contenti di tale input… Matts in un altro post addirittura suggerisce di segnalare i paid link come spam… (anche se in chiave di test).

Sia chiaro, trovo legittimo per ogni azienda l’obiettivo di guadagnare posizioni di mercato e, fino ad oggi, Google lo sta facendo in modo brillante e abbastanza coerente con la filosofia “Don’t be evil”. Però le tentazioni di onnipotenza fanno parte della natura dell’uomo: per fortuna c’è chi mantiene alta l’attenzione verso quello che potrebbe diventare il “Grande Organizzatore Olimpico Giusto Libero ed Equo”.

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L’annuncio di Google che acquisisce DoubleClick è di quelli importanti:

  • È l’acquisizione più grande mai fatta da Google: 3,1 miliardi di dollari, peraltro tutti in cash; per dare un’idea, YouTube era stata acquisita per 1,65 miliardi di dollari e pagati in azioni.
  • DoubleClick ha generato circa 300 milioni di dollari nel 2006. Quindi una valutazione con un bel multiplo sulle revenue, considerando altresì che l’azienda era stata acquistata 21 mesi fa per 1,1 miliardi.
  • L’affare è passato sotto il naso di Microsoft che i rumors davano in prima fila (Jonh Battelle si è dovuto mangiare il suo post in cui si diceva scettico di un deal con Google).

Sintetizzare tutte le implicazioni che questa acquisizione porterà al mondo della pubblicità (non solo quella online) è difficile e prematuro. Raccolgo qualche spunto come base di riflessione:

  • The next step in Google advertising: è il titolo dell’annuncio ufficiale da parte dell’azienda di Brin & Page. Ossia: ci sono cose che si evolveranno sensibilmente. Molti sottolineano che il deal è un’opportiunità incredibile per entrare definitivamente in relazione con gli spender pubblicitari; giusto, specie nel breve periodo. Ma scommetto che l’impatto sarà rilevante anche sulle funzionalità di pianificazione, compresa la possibilità di rendere gratuiti (così come Urchin è diventato Google Analytics) i tool di intermediazione pubblicitaria al fine di stimolare ancor più domanda e offerta.
  • All your ads belongs to us scrive Steve Rubel, sottolinenando come teoricamente Google può iniziare a porsi come interfaccia complessiva per gli advertiser, sollevando nel contempo possibili attenzioni da parte di enti governativi sul notevole incremento di potere, di mercato e informativo.
  • I maggiori clienti di DoubleClick sono le agenzie. Lo sottolinea Google stesso nel comunicato, nel quale l’ordine con cui si elencano i beneficiari del deal sono: agenzie, advertiser e publisher. Chissà se accomodandosi nel salotto di Madison Avenue verrà mantenuto/sviluppato questo rapporto o prevarrà l’intenzione di disintermediare la pubblicità (compresa quella off-line).
  • Meno rilevante ma curiosa lo stesso è adesso la situazione di Performics, una grande agenzia di search marketing (che offre anche servizi SEO) di proprietà di DoubleClick. Marco Loguercio ne scriveva qualche giorno fa.

Due link in conclusione: l’articolo sul NewYorkTimes e le FAQ allegate all’annuncio di Google (encomiabile iniziativa; strano che siano in formato PDF).

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Riprendo da DailyNet di oggi la dichiarazione di Fulvio Zendrini, responsabile comunicazione Piaggio, a margine del convegno annuale dell’UPA sul “futuro della pubblicità”:

L’Upa non ha ancora capito che bisogna smettere di fare il futuro della pubblicità, concentrandosi sul futuro della comunicazione. Internet non è un mezzo, è il mondo su cui una serie di idee, di persone e di prodotti girano. Non può essere giudicato solo come uno strumento pubblicitario, è un sistema centrale di un insieme di attività di comunicazione che creano relazione continuativa con le comunità.

Sulle stime divulgate a proposito di internet (crescita attorno al 35% nel 2007 e 2008), mi trovo d’accordo con Layla sul fatto che siano sottostimate.

Mi è venuta in mente una curiosità: anni fa titolai un post un modo quasi uguale a questo: Internet è comunicazione, non tecnologia …

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Riprendo da DailyNet di oggi la dichiarazione di Fulvio Zendrini, responsabile comunicazione Piaggio, a margine del convegno annuale dell’UPA sul “futuro della pubblicità”:

L’Upa non ha ancora capito che bisogna smettere di fare il futuro della pubblicità, concentrandosi sul futuro della comunicazione. Internet non è un mezzo, è il mondo su cui una serie di idee, di persone e di prodotti girano. Non può essere giudicato solo come uno strumento pubblicitario, è un sistema centrale di un insieme di attività di comunicazione che creano relazione continuativa con le comunità.

Sulle stime divulgate a proposito di internet (crescita attorno al 35% nel 2007 e 2008), mi trovo d’accordo con Layla sul fatto che siano sottostimate.

Mi è venuta in mente una curiosità: anni fa titolai un post un modo quasi uguale a questo: Internet è comunicazione, non tecnologia …

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L’affermazione non è mia ma di Ari Rosembers in un articolo su Mediapost, ripresa in un ottimo post da Gord il quale, come è sua consuetudine, guarda sempre i molteplici aspetti di ogni situazione.

L’argomento del dibattito è se Google potrà davvero cambiare le regole della pubblicità e del marketing. Naturalmente dalla parte di Madison Avenue (ossia del mondo tradizionale della pubblicità) si tende a sottolineare come il marketing non sia solo matematica e algoritmi e dove “due più due fa quattro” come scrive Gord. Se Google cercherà davvero di infilarsi nella gestione di stampa, TV, radio e quant’altro, probabilmente dovrà rivedere qualcosa della sua strategia. Memorabile il passaggio:

“Because they [Google, ndr.] didn’t need to use advertising, the philosophy is that really is not necessary for anyone”

D’altro canto, il mercato pubblicitario necessita di maggiore efficienza e strumenti tecnologici che aiutino gli inserzionisti ad ottenere meno dispersione e quindi un migliore ROI. E questo è un fronte sul quale il marketing sta già facendo i conti con Google e con altre aziende che operano nella comunicazione online, col risultato che le regole stanno cambiando davvero, almeno per una parte (tuttora piccola) del mercato complessivo.

Concordo con Gord sul fatto che alla fine sarai te, io e gli altri 6 miliardi di consumatori ad avere l’ultima parola. La domanda rimane: sarà Google ad adattarsi alle consuetudini del mondo dei media pubbliciati, o prima che questo succeda, il peso complessivo della pubblicità su internet (e quindi dei suoi attori) crescerà a tal punto da poter imporre le sue regole?


Una delle più note banche d’affari americane, la Piper Jaffray, ha pubblicato un poderoso report dal titolo “The user revolution” di cui ritengo interessante riprendere i punti essenziali.

Ho sempre un momento di incertezza quando qualcuno parla di rivoluzione a proposito della Rete, ma in questo caso ci sono oltre 400 pagine di report a supporto (e che spero di raccontare gradadamente nei prossimi giorni). Intanto, ecco i 12 punti riassuntivi (traduzione, corsivi e note sono miei) che confermano senza mezzi termini l’entità dei cambiamenti in atto:

  1. I ricavi mondiali dell’advertising online raggiungeranno 81.1 miliardi di dollari nel 2011.
  2. Communitainment: Internet è diventato il principale medium per le community, la comunicazione e l’entertainment – tre aree la cui crescita si rafforza a vicenda – generando un nuovo tipo di attività, il communitainment, che sta sostituendo il consumo degli altri tipi tradizionali di contenuto online.
  3. Usites - L’aumento delle popolari categorie di siti generati dagli utenti, che noi chiamiamo Usites, sta togliendo traffico a tutte le altre destinazioni online e pone una sfida agli advertiser ed ai publisher.
  4. Internet è adesso un mainstream medium: il web è il principale medium sul lavoro e il secondo medium a casa dopo la televisione.
  5. Il modo di usare internet sta cambiando a favore degli Usites, dei siti di communitainment  e del search, allontanandosi dai portali tradizionali.
  6. User Generated Brands. I consumatori stanno prendendo il controllo del consumo dei contenuti e del branding.
  7. Media Fragmentation: gli advertisers dovranno sempre di più acquistare maggior inventory, da molteplici tipi di media, specialmente su Internet, per ottenere l’impatto desiderato.
  8. The Golden Search: search è diventato il nuovo portale.
  9. Il dominio di Google sembra poter aumentare, in parte per merito della grande varietà di prodotti non-search che creano un ciclo virtuoso di affinità col brand Google.
  10. La pubblicità sui video sarà il driver della prossima maggior crescita del brand advertising e prenderà budget dai media tradizionali per destinarli online.
  11. I network pubblicitari stanno constatando un aumento della domanda dovuto all’incremento della frammentazione di Internet, al desiderio di inventory più targettizzato, al maggior utilizzo dei network ai fini di branding, all’incremento della visibilità dei siti.
  12. Le agenzie si stanno rapidamente trasformando in entità più sofisticate ed esperte tecnologicamente, combinando un’offerta di servizi molto ampia.

Già da diversi anni Piper Jaffray si occupa insistentemente del business della comunicazione online. Il loro “Golden Search” (2003) è stato di fatto il punto di svolta nell’analisi del search marketing con previsioni in gran parte confermate. Mi piace sottolineare come Safa Rashtchy, il loro analista di punta riguardo ad internet, sia nell’Advisory Board di Sempo.

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Ci sono cose mi irritano: una di queste riguarda i trucchetti e gli artifici inventati dai pubblicitari sui media tradizionali. Non so voi, ma io mi sento preso per i fondelli a leggere scritte che scorrono velocissime sotto uno spot TV, oppure frasi accellerate dette in coda ad un jingle in radio che suonano buffe quanto ridicole. A volte si intuisce un “leggere attentamente…” ma poi si perde tutto il resto, oppure si percepisce un vago “non somministrare…ecc.ecc.” letto da un marziano o evidentemente accellerato artificialmente. Per non parlare del mitico “autminconc” in coda agli spot che prevedono un concorso: l’avete mai sentito?

Il punto è che ci sono degli obblighi normativi che impongono determinate indicazioni e disclaimer. Ma gestiti in questo modo sono solo una presa in giro. Punto. Purtroppo c’è la solita consuetudine di legiferare e basta e non di verificare l’applicabilità e l’efficacia dei provvedimenti.

Ricordiamo inoltre che da mesi si parla di vietare l’assurda pratica di alzare il volume degli spot in TV. Saranno pure mass-media, ma sarebbe ora che queste masse siano trattate non come un branco di deficienti. E se lo dice uno che, alla fine, si occupa (anche) di pubblicità…

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Ci sono cose mi irritano: una di queste riguarda i trucchetti e gli artifici inventati dai pubblicitari sui media tradizionali. Non so voi, ma io mi sento preso per i fondelli a leggere scritte che scorrono velocissime sotto uno spot TV, oppure frasi accellerate dette in coda ad un jingle in radio che suonano buffe quanto ridicole. A volte si intuisce un “leggere attentamente…” ma poi si perde tutto il resto, oppure si percepisce un vago “non somministrare…ecc.ecc.” letto da un marziano o evidentemente accellerato artificialmente. Per non parlare del mitico “autminconc” in coda agli spot che prevedono un concorso: l’avete mai sentito?

Il punto è che ci sono degli obblighi normativi che impongono determinate indicazioni e disclaimer. Ma gestiti in questo modo sono solo una presa in giro. Punto. Purtroppo c’è la solita consuetudine di legiferare e basta e non di verificare l’applicabilità e l’efficacia dei provvedimenti.

Ricordiamo inoltre che da mesi si parla di vietare l’assurda pratica di alzare il volume degli spot in TV. Saranno pure mass-media, ma sarebbe ora che queste masse siano trattate non come un branco di deficienti. E se lo dice uno che, alla fine, si occupa (anche) di pubblicità…

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Ammetto che dal comunicato dell’accordo tra Technorati e Ogilvy North America non mi è del tutto chiaro qualisaranno i serivzi e le strategie che saranno realizzate… anche se credo di aver capito di cosa si tratti…  
In ogni caso, questi i link al comunicato stampa ufficiale e al post sul blog di Technorati.

La prossima settimana vedrò Peter Hirshberg a San Francisco per un’intervista esclusiva che… ecco, va a finire che dico sempre troppo… Stay tuned!

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Volevo scrivere qualcosa sul post di Chris Anderson a proposito dei magri ricavi pubblicitari sviluppati del popolare blog di Guy Kawasaki. Nel frattempo, ci ha pensato Suzukimaruti con un ottimo post che parte dal tema delle classifiche dei blog per arrivare sull’argomento “siamo tutti venditori”: ottimo articolo, di quelli che guardano con curiosità e apertura mentale le differenti sfaccettature di questo giovane sistema digitale in cui ci troviamo coinvolti, “spesso divisi tra i suoi estremi” come scrive ZetaVu.

Del post di Anderson, riporto solo una frase che continuo a ritenere fondamentale per chi spera di ricavare denari dal contenxtual advertising:

“Just another reminder that the reason to be a Long Tail producer is not direct revenues.”

Nel contempo, penso che proprio ieri ho segnalato un’ulteriore idea di pubblicità sui blog. Contraddizione? Forse. Però credo in due cose:

  • la comunicazione pubblicitaria, più o meno rompiscatole, è una necessità di ogni mercato dove ci sono aziende in competizione che devono vendere e generare utili;
  • l’utilizzo pubblicitario (o “promozionale”, se vogliamo attenuare il termine) dei blog è ancora tutto da individuare; attualmente la massa critica che cercano i pubblicitari è tutta da scovare (vedi anche la discussione da Luca Conti) e, ancor meno, le prospettive di ricavi significativi per la quasi totalità dei blogger. Ma siamo solo agli inizi…

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Volevo scrivere qualcosa sul post di Chris Anderson a proposito dei magri ricavi pubblicitari sviluppati del popolare blog di Guy Kawasaki. Nel frattempo, ci ha pensato Suzukimaruti con un ottimo post che parte dal tema delle classifiche dei blog per arrivare sull’argomento “siamo tutti venditori”: ottimo articolo, di quelli che guardano con curiosità e apertura mentale le differenti sfaccettature di questo giovane sistema digitale in cui ci troviamo coinvolti, “spesso divisi tra i suoi estremi” come scrive ZetaVu.

Del post di Anderson, riporto solo una frase che continuo a ritenere fondamentale per chi spera di ricavare denari dal contenxtual advertising:

“Just another reminder that the reason to be a Long Tail producer is not direct revenues.”

Nel contempo, penso che proprio ieri ho segnalato un’ulteriore idea di pubblicità sui blog. Contraddizione? Forse. Però credo in due cose:

  • la comunicazione pubblicitaria, più o meno rompiscatole, è una necessità di ogni mercato dove ci sono aziende in competizione che devono vendere e generare utili;
  • l’utilizzo pubblicitario (o “promozionale”, se vogliamo attenuare il termine) dei blog è ancora tutto da individuare; attualmente la massa critica che cercano i pubblicitari è tutta da scovare (vedi anche la discussione da Luca Conti) e, ancor meno, le prospettive di ricavi significativi per la quasi totalità dei blogger. Ma siamo solo agli inizi…

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Geniale: mettere i brand nel codice di controllo (detto captcha) che si inserisce quando si commenta un post. Simone riporta il link al blogger che ci ha pensato per primo.

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Geniale: mettere i brand nel codice di controllo (detto captcha) che si inserisce quando si commenta un post. Simone riporta il link al blogger che ci ha pensato per primo.

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Qualche giorno fa sono andato in profumeria con mia moglie. Come d’uopo, all’uscita ci hanno riempito di campioncini. Ora il punto è: se le persone che ricevono questi prodotti demo ne parlano sui loro blog, devono mettere un disclaimer? Si griderà alla marchetta o, peggio, alla corruzione?

Ovviamente questo è un paradosso. Però ogni tanto occorre far tornare al sano realismo chi grida allo scandalo per situazioni come quella che ha visto protagonosta Microsoft la quale ha inviato un PC ad alcuni blogger per far provare il sistema Vista, specificando espressamente di palesare la questione.

Sui campioncini di profumeria, mica c’è scritto che prima di parlare del prodotto con qualcun’altro, devo specificare che si tratta di un omaggio! Succede da decine di anni e nessuno (giustamente) se ne preoccupa.

Queste filosofie puriste mi fanno saltare i nervi. Perchè insultano l’intelligenza umana. Perché presuppongono che le persone non sappiano distinguere la marchetta da una sana opinione (seppur palesemente stimolata). Perché anelano un ambiente puro e buonista per via di un “coso” tecnologico (i blog in questo caso), dimenticando che, per fortuna, sono gli umani che mettono il senso nelle tecnologie e non viceversa, rappresentando sempre la vita per quella che è, nel bene e nel male.

Invece di plaudire alla trasparenza con la quale vengono svolte azioni di marketing che, su altri media sono svolte da anni in modo occulto, si insorge contro quelli che dovrebbero essere corruttori e corrotti. Secondo me è solo invidia. Sai che faccio, mi vado a sentire un pò di musica con il K5 che mi ha regalato Samsung! :)

Mi sembra che anche Luca Conti sia di questa opinione, così come tutte le persone che, alla fine, vorrebbero essere simpaticamente tra i destinatari del dono (compresi giornalisti come Vittorio Pasteris).


Non mi pare di aver letto ancora nulla in giro a proposito dell’interessante evento “The Future of Marketing” organizzato da Business International in collaborazione con Google e UPA tenutosi a Milano la scorsa settimana. E allora ho pensato di pubblicare quanche riga che mi ero annotato.

A fare da base all’incontro c’è stata la presentazione di una ricerca realizzata dall’Economist Intelligence Unit che ha intervistato 200 senior manager in tutto il mondo a proposito del marketing digitale. Poco efficace, a mio parere, il fatto che la ricerca è stata presentata “a pezzi” intervallata dalle tre tavole rotonde oggetto dell’evento. Il risultato è stato un certo calo di attenzione e la perdita del “filo” della ricerca, probabilmente anche per l’approccio decisamente rilassato di chi l’ha presentata.

Da Alberto Macciani, direttore marketing di Unilever Personal Care, sono venuti degli spunti interessanti e molto concreti, tra i quali il fatto che l’utilizzo di strumenti di marketing digitale e, ancora più in generale, di comunicazione innovativa, sono riservati a quelle marche che “hanno qualcosa da dire”. In questo caso, l’uso di internet, del social marketing, ecc. ha senso quando il consumatore si “appropria” della marca. Macciani ha quindi annunciato che a marzo sarà disponibile un nuovo prodotto nell’area personal care, per il quale la metà del budget di comunicazione sarà speso online, in particolare per campagne viral.

Ho invece trovato di segno opposto l’intervento di Daniela Gibolli, responsabile PR per L’Oreal, la quale ha sottolineato a più riprese il loro forte impegno nel far passare dei messaggi di comunicazione che puntino a far percepire esattamente quanto l’azienda vuole dire ed i valori espressi dai loro prodotti. Insomma un approccio che mi sembra ancorato sui valori tradizionali del “controllo”.

Dirompente come suo solito, Guerino Delfino, presidente e CEO di Ogilvy Italia, è andato giù diretto: la comunicazione aziendale e la pubblicità non devono più esplicitarsi in una corsa alla conquista di spazi media; l’unico atteggiamento che può funzionare, soprattutto riguardo alla Rete, è il dialogo con le persone. Il processo di digitalizzazione di tutti i media, ha continuato Delfino, mette in risalto due aspetti: la rilevanza, che costringe i produttori di contenuti (compresi quelli pubblicitari) a badare al loro reale valore e significato per le persone, ed il fatto che tali contenuti saranno sempre più on-demand, smontando di fatto concetti come i palinsesti ed i contesti pubblicitari come li conosciamo ora.

Delle tre tavole rotonde me ne sono persa una ma, indubbiamente, mi piace molto la formula che essenzialmente lascia la ribalta ai responsabili marketing delle aziende. Certo, qualcuno si è lasciato andare ad una stucchevole cronistoria degli “affari interni” prima di dedicare solo due parole a quello che tutti volevamo sentire, ma la struttura rimane interessante.

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Anche una sessione del Search Engine Strategies si chiama “Friends or foe?” e si riferisce al rapporto tra i motori di ricerca da un parte e le agenzie di comunicazione e di search marketing dall’altra. Amici o nemici?

Danny Sullivan nel suo intervento al SES di Chicago dice, tra l’altro, che Google non vede più *tutte* le agenzie SEO come nemici. Sarà…

Martin Sorrel, CEO di WPP, il più grande gruppo pubblicitario al mondo, ha invece coniato un nuovo termine col quale definisce Google: frienemy. Insomma: lavoriamo pure insieme, ma è evidente la reciproca diffidenza verso un player come Google che cerca di operare direttamente sui big spender pubblicitari. Un articolo di ADWeek raccoglie una battuta di Christine Hunsicker, CEO dell’agenzia Right Media:

“A lot of large advertisers are coming to us rather than Google”

In effetti, qualche volta succede… ;-)

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A Google spesso si attribuisce un’eccessiva produzione di servizi e progetti, alcuni dei quali non vengono sviluppati compiutamente, col rischio di perdere il focus sulle applicazioni core. È il prezzo che si deve pagare quando si sperimenta ed è nella logica delle aziende come Google.

È di oggi l’annuncio che il progetto Google Answers viene abbandonato. E la cosa mi dà da pensare perchè nella mia testa c’è questo tarlo che un giorno un servizio “cash&carry” di filtro sulle informazioni possa avere un mercato. Intanto sembra che Yahoo! Answers continui a crescere… Vedremo.

Sembra invece che a partire ci sia Google Radio, o meglio, Audio Ads o Radio Adwords. Insomma, dopo il web e la stampa, gli inserzionisti di Google potranno utilizzare anche la radio (solo quelle online da quanto ho capito). Ora non posso approfondire, ma già ne scrivono Jacopo e Lele.

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Poster pubblicitario della Toyota beccato all’aeroporto di Newark.

 

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