Giovedì scorso è uscito un mio articolo su Nòva, l’inserto de IlSole24Ore, riguardante il rapporto tra blog e pubblicità, argomento al centro di un interessante recente dibattito online. Per quelli che non hanno comprato il giornale – che sia l’ultima volta, mi raccomando :) – riporto il pezzo di seguito; è nella versione originale perché le esigenze di impaginazione mi hanno fatto tagliare qua e la l’articolo che poi è uscito su carta. Spero di non violare qualche copyright, però se già l’ha fatto lui;-) In ogni caso mi accodo a Giuseppe, Cesare e Italo nell’auspicare presto una versione online di Nòva (so che Luca ci si sta lavorando).

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BLOG E PUBBLICITA’

L’incremento esponenziale dei blog per quantità e audience raggiunta, ha inevitabilmente sviluppato la discussione sul rapporto tra la pubblicità e questi nuovi strumenti di comunicazione. È evidente che ove c’è un “spazio” (fisico o multimediale che sia) in grado di guadagnarsi un pubblico, la pubblicità è pronta a sfruttarlo. Tuttavia, il fatto che i blog sono per lo più espressione di un unico editore-autore, ha creato l’inedita figura del singolo individuo come veicolo pubblicitario che mette il suo spazio online a disposizione degli inserzionisti. Inserzionisti procacciati e gestiti però non dal singolo blogger, ma da aziende come Google e Yahoo! i quali si aggiungono in qualità di concessionaria pubblicitaria (attraverso i loro servizi di contextual advertising) alle tre figure usuali dello scenario mediatico: editore, lettore, inserzionista.

Trattando di blog e pubblicità, si tende a guardare il rapporto con gli occhi del blogger (l’editore) o del visitatore del suo sito (il lettore), oppure ci si concentra sulla tecnologia dei network (la concessionaria). Invece, io ritengo più opportuno (ancorché meno romantico) analizzare il fenomeno partendo dal punto di vista degli inserzionisti anche perché, banalmente, senza il loro denaro non ci sarebbe nessun discorso da approfondire.

Ad essere pragmatici, possiamo affermare che se le aziende continuano ad investire in modo crescente nel contextual advertising, significa che lo strumento funziona. Si pagano solo i click effettivamente generati, le campagne possono essere gestite in modo molto flessibile, si misurano in dettaglio i risultati, i siti che ospitano le inserzioni aumentano e, di conseguenza, l’audience complessiva. Va evidenziato come il contextual sia trainato in verità dal “paid search”, ossia le inserzioni correlate direttamente alle ricerche, che generano indubbiamente dei risultati migliori dal punto di vista pubblicitario e sono maggiormente controllabili. La tecnologia del contextual advertising pecca ancora di difetti di gioventù, primo su tutti una corrispondenza ancora approssimativa tra inserzioni e contenuti che le ospitano. Si presta inoltre ad eccessi (ad esempio l’inserimento di riquadri pubblicitari in quantità esagerata), a furberie (come lo sviluppo di contenuti fittizi solo per attirare le inserzioni con i bid più alti, oppure i finti motori di ricerca che in realtà ospitano solo link ad inserzionisti) o addirittura ad azioni illegali che tendono a sviluppare artificialmente click. In ogni modo per gli inserzionisti funziona. Va coordinata e pianificata con attenzione e professionalità, ma funziona.

E per chi ospita i Goooogle-annunci? È vero, come affermato a suo tempo da Larry Page, che Google permetterà all’editoria online di sopravvivere per via dei ricavi dal contextual advertising? A me sembra un’idea utopistica e interessata. Indubbiamente i modelli economici alla base dei contenuti su internet sono da reinventare: se gli altri media generano dei ricavi dalla fruizione dei contenuti, sulla Rete si tende alla gratuità, per cui l’unico modello sostenibile deve basarsi sulla pubblicità.

È però altrettanto vero che non è pensabile che ogni progetto online trovi sempre un suo pubblico in quantità tale da essere un adeguato soggetto pubblicitario. Il limite invalicabile rimarrà sempre il tempo delle persone; e la loro attenzione è una risorsa finita, magari ottimizzabile per via della crescente esperienza dei destinatari e per la disponibilità di tool (come i feed RSS), ma comunque delimitata. Da ciò deriva che l’acquisizione di un’audience adeguata a generare ricavi significativi (o quantomeno capaci di remunerare il tempo-uomo ed i costi), si scontra con una polverizzazione dell’attenzione che non potrà che aumentare, anche perché il territorio dei blog inizia ad essere raggiunto sia dai professionisti (giornalisti e media) che dalle aziende.

La moltitudine di siti affiliati ai vari network, sembrano oggi più simili ad una rete multi-level, dove la maggior parte guadagna pochi spicci, molti non vedranno mai un soldo, e solo “uno su mille ce la fa”. Ovviamente ogni blog può ospitare le inserzioni a sua completa discrezione. E non ha senso distinguere tra blog commerciali e non, anche perché il confine tra i due è sottile e soggettivo. Un’analisi rigorosa classificherebbe come commerciale un blog che, in un modo o nell’altro, gestisce dei denari e, vendendo pubblicità (anche se per tramite di terzi), di fatto rientrerebbe nella sfera business. I blog aziendali dovrebbero essere invece i meno adatti ad accettare inserzioni, sia perché il loro modello economico dovrebbe essere identificato altrove, sia perché un riquadro pubblicitario sul proprio sito fornisce potenzialmente il viatico ad abbandonare la pagina e, per di più, potrebbe mostrare spot di competitor.

Il controllo sulle inserzioni che vengono mostrate è un argomento delicato e che probabilmente ha bisogno di correttivi. È solo per la fiducia che finora ha accompagnato i brand del settore (Google soprattutto) che si è creato una situazione particolare: provate a chiedere ad un editore tradizionale se sarebbe disposto ad ospitare della pubblicità sul suo media: a) senza sapere quali saranno gli inserzionisti; b) senza conoscere le creatività che esporranno (a parte delle generiche guidelines); c) a ricevere compensi secondo dei calcoli e delle verifiche fatte esclusivamente dalla concessionaria.

Chissà come reagiremmo se Microsoft ci proponesse di inserire arbitrariamente delle inserzioni sui documenti Word o Excel che inviamo a terzi e ci promettesse dei ricavi per ogni click secondo calcoli noti solo a lei? Magari a Redmond ci stanno preparando qualcosa del genere, ma in questo caso sarebbe indispensabile avere delle garanzie sui contenuti pubblicitari e sui ricavi prodotti. E perché sul nostro blog non ce ne curiamo?

Probabilmente la direzione potrebbe essere un’altra: un network che funga da vero e proprio marketplace, che permetta agli investitori pubblicitari di entrare in contatto direttamente con i blog che interessano i quali, a loro volta, hanno espressamente autorizzato l’apertura di un canale commerciale con possibili inserzionisti. Uno strumento che dovrebbe funzionare non solo come procacciatore di pubblicità, ma anche per sviluppare sinergie editoriali e professionali. Pare che in qualche posto in California ci stiano già pensando…

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4 commenti per “Blog e pubblicità”

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