Da oltre un anno la search è l’argomento più caldo nel settore dell’advertising online e del web marketing. Nel contempo, la corsa frenetica verso la monetizzazione del listing sta producendo un drastico cambiamento nelle strategie di alcuni motori di ricerca. Yahoo, in particolare, ha appena presentato il nuovo inclusion program Site Match, venduto tramite la sua controllata Overture, che definisce come poter comparire nei risultati delle ricerche a fronte di un bel po’ di denaro.

In pratica, per essere censiti da Yahoo occorre pagare un costo annuale per ogni pagina (49$ per la prima, 29$ dalla seconda alla decima, 10$ per le successive) a cui va aggiunto un costo per ogni visita generata (da 0,15$ a 0,30$ in relazione alla categoria del sito). Ad esempio, registrare 100 pagine web di un sito di turismo che generano 2.000 click al mese ha un costo annuale di 8.410 dollari. A questo importo, va ovviamente aggiunta l’attività di ottimizzazione delle pagine per renderle idonee a figurare nei primi posti dei risultati.

Il fee annuale serve per avere la certezza di un rapido inserimento nell’indice di Yahoo (ma con nessuna garanzia di posizionamento) ed un refresh periodico delle pagine. Nel caso di registrazione di oltre 1.000 pagine, il fee annuale non viene calcolato.

Si tratta in effetti di un servizio di inclusion simile a quelli già erogati in passato da Altavista, FAST/AllTheWeb e Inktomi (tutte società ora del gruppo Yahoo) ma, in questo caso, la caratteristica peculiare è che il modello di prezzo riguarda sia l’inserimento nell’indice (a costi comunque molto più alti), sia i click generati.

Proprio questo doppio criterio mi sembra del tutto inopportuno, come già evidenziato in passato, e ora proverò a spiegarne in dettaglio le molteplici ragioni.

Dal punto di vista dell’inserzionista Site Match è rischioso: non si può stimare preventivamente il traffico che si riceverà (come invece avviene per il keyword advertising) e non c’è sicurezza di comparire solo sulle keywords desiderate, con la conseguenza di ricevere (e pagare) visite anche su argomenti non attinenti al sito.

Il meccanismo è anche esposto a possibili azioni fraudolente che potrebbero puntare a far comparire un sito competitor nelle posizioni di testa su termini inopportuni, così da generare del traffico non adeguato ma comunque fonte di costo. Ed i numerosi casi di Google bombing hanno dimostrato la facilità con cui è possibile effettuare queste azioni.

Il problema non è nel pagare per essere presenti nell’indice, perché ha senso che questo servizio sia remunerato (anche se è giusto ricordare che Google è da sempre gratuito), ma nell’aggiungere un costo per ogni visita generata da quello che dovrebbe essere il lato editoriale dei motori di ricerca. È come se le yellow pages facessero pagare i siti elencati per ogni chiamata arrivata al loro call center.

Capisco Yahoo che vede nel search il boom del momento e che cerca di portare a casa più dollari possibile. Specie quando analisti come Safa Rashtchy predicono che il click medio pagato negli USA, attualmente 0,45 dollari, raddoppierà nei prossimi due anni. E con un mercato che chiede click click click, naturalmente l’offerta può permettersi di osare. Posso immaginare quali business plan fantastici siano usciti fuori programmando servizi come Site Match.

Però Yahoo deve capire che, anche se i suoi clienti sono i siti web e le agenzie SEM/SEO, che peraltro non può spremere come un limone, il suo business si regge sui visitatori di Yahoo stesso. Perché il problema cruciale è: come reagiranno gli utenti della rete sapendo che nei risultati standard ci sono dei siti che pagano per le visite generate?

Danny Sullivan nel suo intervento al SES di New York ha proposto che accanto agli indirizzi dei siti censiti con Site Match compaia un dot, un piccolo punto che evidenzi la natura di quel link. Può bastare? Davvero gli utenti non avranno il sospetto che quei link possano essere privilegiati nel listing in quanto generatori di ricavi? E come reagiranno le organizzazioni come la Federal Trade Commission che già in passato si sono pronunciate per una corretta visualizzazione dei box pubblicitari sui motori di ricerca?

Ci sono molte risposte che dovranno essere date. E Yahoo stessa sembra aver lanciato Site Match con un approccio “learn by doing”, che sa un po’ di approssimativo, ma che forse gli permetterà di correggere il tiro più avanti. Non a caso, alcuni rappresentanti di Yahoo partecipano attivamente alle discussioni sui forum online (fatto peraltro encomiabile) e che proprio in base all’acceso dibattito, l’azienda ha ripristinato il servizio di registrazione gratuita che era scomparso.

Però non è ancora chiaro che trattamento avranno i siti nella directory di Yahoo (la cui registrazione è anch’essa a pagamento), che rapporto avrà Site Match con l’archivio di Inktomi (che continua ad alimentare, tra l’altro, le ricerche di MSN), che programmi verranno applicati nelle versioni regionali di Yahoo, ecc.

Ad ogni modo, il trend è irreversibile: You wanna play? You gotta pay! Hai un sito e vuoi figurare nei risultati delle ricerche? Devi pagare! Questo allontanerà molti siti piccoli e con risorse economiche limitate che troveranno una barriera d’ingresso sempre più alta; e ciò è una perdita anche per il valore editoriale del motore di ricerca.

E se l’unico criterio di considerazione di un sito web da parte di Yahoo è quello di vederlo di fatto come un inserzionista, molte aziende opteranno esclusivamente per i servizi di keyword advertising che offrono maggiori garanzie in termini di posizionamento, una migliore coerenza tra visite e costi, e possono risultare più economici per molti siti.

In ogni caso, da parte delle aziende è necessario sviluppare a fondo le conoscenze e gli strumenti per analizzare il valore delle visite generate al sito ed il loro ritorno sugli investimenti. Si tratta di accendere la telecamera sul sito, studiare la provenienza e della tipologia dei visitatori, calcolare l’efficacia dei risultati prodotti. Il problema è che sono ancora poche le aziende, specie in Italia, che sanno valutare con precisione il ROI del loro sito web. E non a caso, i tool introdotti da Google ed Overture recentemente (l’ho chiamata l’inizio dell’era del ROI), sono stati introdotti proprio per dimostrare alle aziende quanto valgono le visite e… motivandole a pagarle sempre di più!

Ma se Google sembra aver capito l’importanza editoriale dei normal results, Yahoo pare stia pensando principalmente a come monetizzarli. Non vorrei che questa strategia si rivelasse efficace solo nel breve periodo e che possa essere il secondo grande regalo che Yahoo fa a Google dopo averlo, di fatto, aiutato in passato a diventare quello che è oggi.

Concludo con una provocazione. Considerando che la funzione di ricerca online può esistere solo se ci sono siti da censire, e che milioni di utenti usano i portali ed i motori di ricerca proprio per accedere a questo archivio permettendo loro di esporre la pubblicità che li fa guadagnare tanto bene, non dovrebbero essere Yahoo & Co. a pagare per avere i contenuti dei siti? Danny Sullivan parla di “pay per partecipation”, ove le pagine web pagano per partecipare alla generazione degli archivi. Ma se i benefici di questa partecipazione sono comuni (il sito riceve valore dalle visite, il portale genera denaro dagli inserzionisti), non dovrebbero essere condivisi? Sarebbe una specie di contextual advertising a rovescio.

Tim Cadogan, responsabile del search di Yahoo, ha dichiarato a proposito di Site Match in un’intervista a SearchEngineWatch una cosa che trovo sbagliata nel principio: “We’re also using this as a quality discipline. That pricing helps them help us make the results more relevant”. A me suona come: le aziende ci possono aiutare a migliorare la qualità dei risultati; chi paga di più ci aiuta meglio. A me non quadra.

UPDATE

Alcuni link sul controverso argomento Site Match:

  • Un articolo su Ad Age che, senza mezzi termini, afferma: “Disguising Ads as Normal Search Results Is Wrong”
  • Un’intervista alla cara Dana Todd su ClickZ che a proposito di Site Match afferma: “That’s my big problem. They’ve got this flat fee they’re shoving down people’s throats”
  • I motori di ricerca ripensano l’inclusion (25 giugno 2004)
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4 commenti per “Un altro regalo di Yahoo a Google?”

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  1. Jacopo scrive:

    Ciao Mauro (spero possa darti del tu!) sono pienamente daccordo con questa analisi, e mi stupisce che Yahoo!, uno di quei motori che dovrebbe avere più esperienza cada in questa contraddizione, sembra che abbia scelto la via del “meglio la gallina oggi…”. Credo che nel web il passaparola valga più di ogni cosa e se questo trend non viene corretto Yahoo rischia di diminuire ulteriormente la propria credibilità.

  2. stark scrive:

    Bellissimo articolo, si passa sopra anche all’apostrofo di troppo nel titolo :) . In rete sono gli utenti a decretare il successo o meno di qualsiasi cosa, e non credo che Yahoo non lo sappia. Di certo l’uovo oggi sarà stato decisamente sostanzioso, e questo giustifica (seppur in minima parte) anche la patetica intervista di cui a fine post. Saluti.

  3. Mauro Lupi scrive:

    Corretto l’apostrofo, grazie ;-)
    Ero tutto preso a decidere se scrivere Yahoo con o senza il punto esclamativo (l’avevo sempre scritto con l’esclamazione, per cui è stata una scelta sofferta) che ho soprasseduto sulla grammatica italiana :) )

  4. manutenzione gruppi elettrogeni scrive:

    12 anni dopo questo articolo è ancora attualissimo!
    Comunque google stravince e detta il buono e cattivo tempo, nel bene e nel male.

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