Archivio: “Tools”

Feedster Durante l’ultima sessione per oggi qui al SES di Chicago, Scott Johnson, fondatore e CEO di Feedster ha annunciato una nuova versione del popolare motori di ricerca di feeds (blog e non solo). Dovrebbe essere online dal prossimo venerdì. Le modifiche che sono state evidenziate, sono:

  • selezione della lingua
  • search zoom
  • suddivisione automatica dei risultati tra blog, news e podcast
  • possibilità di inserire tag ovunque
  • spam report

Durante la sessione, c’è stata una bella discussione riguardo i tag, a cui hano contribuito Bob Wyman di PubSub e Nathan Stoll di Google. Il punto è capire se e quanto i tag aiutino nel migliorare la classificazione delle informazioni digitali e, di conseguenza, se siano effettivamente di supporto nella ricerca. Ebbene, una considerazione comune è che l’efficacia è abbastanza dubbia, anche per il virulento attacco degli spammers di ogni ridda e per la difficoltà oggettiva di definire in modo univoco i contenuti, ma che l’input dei tag potrà essere regolato, o meglio, orientato in futuro per migliorarne la rilevanza.

Update: avevo dimenticato di segnalare che, come ormai tradizione, RustyBrick Bio: Barry Schwartz di RustyBrick ha fatto un ottimo coverage della sessione e l’ha postata… 6 minuti prima di me ;-)


Feedster Durante l’ultima sessione per oggi qui al SES di Chicago, Scott Johnson, fondatore e CEO di Feedster ha annunciato una nuova versione del popolare motori di ricerca di feeds (blog e non solo). Dovrebbe essere online dal prossimo venerdì. Le modifiche che sono state evidenziate, sono:

  • selezione della lingua
  • search zoom
  • suddivisione automatica dei risultati tra blog, news e podcast
  • possibilità di inserire tag ovunque
  • spam report

Durante la sessione, c’è stata una bella discussione riguardo i tag, a cui hano contribuito Bob Wyman di PubSub e Nathan Stoll di Google. Il punto è capire se e quanto i tag aiutino nel migliorare la classificazione delle informazioni digitali e, di conseguenza, se siano effettivamente di supporto nella ricerca. Ebbene, una considerazione comune è che l’efficacia è abbastanza dubbia, anche per il virulento attacco degli spammers di ogni ridda e per la difficoltà oggettiva di definire in modo univoco i contenuti, ma che l’input dei tag potrà essere regolato, o meglio, orientato in futuro per migliorarne la rilevanza.

Update: avevo dimenticato di segnalare che, come ormai tradizione, RustyBrick Bio: Barry Schwartz di RustyBrick ha fatto un ottimo coverage della sessione e l’ha postata… 6 minuti prima di me ;-)


Prima di utilizzare il nuovo Google Base, ho letto alcuni dei primi commenti usciti. Sarà che era stato annunciato come il killer di eBay, la maggior parte delle recensioni si è orientata a descrivere gli scenari di mercato nei quali Google Base si va ad inserire, in particolare quello dei classified. Io vorrei far un passo indietro e cercare di analizzare quello è che Google Base: senz’altro permette di inserire anche annunci, ma è solo una delle cose che è in grado di gestire.


In pratica, Google Base è una specie di archivio open source, ove l’alimentazione dei dati ma anche il formato col quale vengono organizzati, è gestito totalmente da chi ne richiede il loro inserimento. Il contenuto che finisce in Google Base può essere linkato ad una pagina web oppure riportare direttamente tutti i dati necessari. Tutto ciò allarga enormemente il campo di azione: non solo annunci ma articoli, siti, ricette, eventi, e qualsiasi cosa ci venga in mente.


Visto così sembra un tool dirompente, ma ci vorranno ancora un po’ di mesi per capire se la sua portata sarà davvero rivoluzionaria. Scrive giustamente Danny Sullivan:


I’ve got no doubt we’re about to see a significant number of site owners start submitting and tagging their information in Google Base, in hopes they’ll do better with Google itself. I suspect the result will be a lot of waste time and Google Base getting overrun with spam. But perhaps I’m wrong, and time will tell.

Ecco, uno dei temi che solleva Danny è proprio quello dello spam derivante dell’autonomia nel descrivere e classificare i contenuti aggiunti a Google Base. È un discorso già affrontato tante volte a proposito dei tag e della capacità di rendere efficace un database alimentato senza regole né filtri. Non me la sento di fare previsioni; abbiamo visto in diverse occasioni la capacità della Rete di autogovernarsi, così come riscontriamo quotidianamente le storture che derivano da un sistema aperto: dalle mail non desiderate, ai risultati truccati dei motori di ricerca.


Altro elemento critico (anche questo vecchio come la storia dei database) è la clusterizzazione dei risultati, ossia l’attribuzione di un significato o di una descrizione ad un determinato contenuto. Alcuni sono più facilmente classificabili di altri, ma anche l’inserimento di un’offerta di lavoro, ad esempio, può contenere elementi soggettivi nel catalogare il ruolo richiesto, il settore in cui opera l’azienda, ecc.


In ogni caso, tra gli ultimi tool sfornati dall’azienda californiana, Google Base è quello che mi incurioscisce di più. Sarà che ha stimolato i miei vecchi trascorsi a giocare su dBase e Clipper, strumenti per la gestione di database in epoca DOS.


Ci sono molte domande che per ora non trovano risposta. La prima che viene in mente è il modello di business. Google dice che non ha previsto di sviluppare ricavi attraverso Google Base. Vi sembra credibile? Io penso invece che ci siano le basi per costruire un’altra macchina da soldi. La variabile fondamentale sarà l’accettazione da parte di entrambi i lati della medaglia: chi inserisce i contenuti e chi li cerca. Servono ambedue, contemporaneamente.


Altro aspetto molto intrigante, potrebbe essere l’uso di Google Base come piattaforma di sviluppo di applicazioni di ogni tipo. A questi livelli si inizia a pensare come Microsoft e lo dico in senso positivo.


Una cosa che invece riguarda le aziende che si occupano di web marketing come Ad Maiora, è che Google Base è praticamente “un altro Google” e questo apre senz’altro un’ulteriore opportunità di visibilità per i nostri clienti.


Una battuta finale: le etichette con le quali si definiscono in contenuti, Google le chiama “labels”. Se una cosa del genere l’avesse fatta Yahoo! o ancor peggio Microsoft, sai le orde di puristi scatenati a rivendicare il primato del termine “tags”…

Technorati tags: ,


Steve Rubel di Micropersuasion fa una bella lista di utilizzi e applicazioni di Technorati. Tra l’altro mi ha fatto conoscere ecto che è un tool per pubblicare blog che sembra promettere bene; in una di queste notti, lo proverò.


Credo sia attivo già da tempo ma l’ho scoperto solo ora: HTML.it, sicuramente la migliore risorsa italiana per i webmaster, ha aperto un blog collaborativo su tutti gli argomenti curati dal portale: linguaggio HTML, programmazione web, tools e tutte quele robe tecniche che non cito così evito di dire stupidaggini. Una cosa che mi piace è che il loro feed RSS ripropone i post quando si sono aggiunti dei commenti.

Ritengo che ogni webmaster italiano, professionista o dilettante che sia, debba qualcosa a HTML.it perché da quasi 10 anni svolge il ruolo di guida del settore sotto la competente supervisione di Massimiliano Valente (hi Max!).


Qualcuno si ricorda di quando gli alzacristalli elettrici nelle automobili erano un optional? Beh, io immagino che nel giro di uno o due anni, ogni piattaforma per la pubblicazione di blog avrà i link sponsorizzati “di serie”.

Attualmente chiunque può attivarsi AdSense di Google, Content Match di Yahoo!/Overture o il più recente TextLinkAds. Ma si tratta di un procedimento di una certa complessità, sia nell’attivare il servizio con il network pubblicitario prescelto, sia per quanto riguarda l’inserimento degli annunci all’interno del sito o blog.

TypePad, la popolare piattaforma di blog publishing, da oggi permette ai suoi clienti del pacchetto “Pro” di attivare i box pubblicitari con un paio di click. In pratica, TypePad ha fatto un accordo con Kanoodle (uno dei cosiddetti network “second tier”) ed ha preimpostato l’inserimento dei link sponsorizzati alla stregua delle altre classiche aree di cui si compone un blog. Si scelgono font, colori ed il numero di box (da 1 a 5) e poi si piazzano nella struttura del sito. Tempo totale: 10 minuti al massimo. Poi si aspetta l’autorizzazione di Kanoodle, prevista in 24 ore, e si inizia a guadagnare qualche soldino.

Per ora l’ho provato su un nostro blog interno (sul mio evito, per ora, di mettere pubblicità). C’è solo un formato disponibile con i box testuali in verticale. Si possono selezionare le categorie di inserzionisti (da una lista di una ventina) ma non mi pare che la pubblicità sarà contestuale. Certo, Kanoodle ha senso, per ora, solo per utenti nordamericani, in quanto ha pochi inserzionisti internazionali e c’è da aspettarsi di vedere esposti sul proprio blog solo pubblicità a siti di lingua inglese.

Comunque la direzione è evidente: i link sponsorizzati stanno diventando una componente standard dei blog e, perché no, dei siti in genere. I soldi generati dalla funzione che attiva TypePad vanno a scalare il costo del rinnovo del servizio e quelli eccedenti vengono versati su un account PayPal. Formule di questo tipo ne vedremo sempre più spesso.

UPDATE:

L’inserimento degli sponsorend links sul blog non è stata accettata da Kanoodle. Non è specificato un motivo preciso ma, tra le ragioni probabili del diniego c’è il caso dei "weblog that is in a foreign language". A parte  il fatto che non capisco il "foreign" nei confronti di chi? (siamo alle solite, per gli yankee il mondo è diviso in due: US e outside-US), e poi potevano dirlo subito! Spero che in Europa facciano un accordo con qualcuno più smart.


Qualcuno si ricorda di quando gli alzacristalli elettrici nelle automobili erano un optional? Beh, io immagino che nel giro di uno o due anni, ogni piattaforma per la pubblicazione di blog avrà i link sponsorizzati “di serie”.

Attualmente chiunque può attivarsi AdSense di Google, Content Match di Yahoo!/Overture o il più recente TextLinkAds. Ma si tratta di un procedimento di una certa complessità, sia nell’attivare il servizio con il network pubblicitario prescelto, sia per quanto riguarda l’inserimento degli annunci all’interno del sito o blog.

TypePad, la popolare piattaforma di blog publishing, da oggi permette ai suoi clienti del pacchetto “Pro” di attivare i box pubblicitari con un paio di click. In pratica, TypePad ha fatto un accordo con Kanoodle (uno dei cosiddetti network “second tier”) ed ha preimpostato l’inserimento dei link sponsorizzati alla stregua delle altre classiche aree di cui si compone un blog. Si scelgono font, colori ed il numero di box (da 1 a 5) e poi si piazzano nella struttura del sito. Tempo totale: 10 minuti al massimo. Poi si aspetta l’autorizzazione di Kanoodle, prevista in 24 ore, e si inizia a guadagnare qualche soldino.

Per ora l’ho provato su un nostro blog interno (sul mio evito, per ora, di mettere pubblicità). C’è solo un formato disponibile con i box testuali in verticale. Si possono selezionare le categorie di inserzionisti (da una lista di una ventina) ma non mi pare che la pubblicità sarà contestuale. Certo, Kanoodle ha senso, per ora, solo per utenti nordamericani, in quanto ha pochi inserzionisti internazionali e c’è da aspettarsi di vedere esposti sul proprio blog solo pubblicità a siti di lingua inglese.

Comunque la direzione è evidente: i link sponsorizzati stanno diventando una componente standard dei blog e, perché no, dei siti in genere. I soldi generati dalla funzione che attiva TypePad vanno a scalare il costo del rinnovo del servizio e quelli eccedenti vengono versati su un account PayPal. Formule di questo tipo ne vedremo sempre più spesso.

UPDATE:

L’inserimento degli sponsorend links sul blog non è stata accettata da Kanoodle. Non è specificato un motivo preciso ma, tra le ragioni probabili del diniego c’è il caso dei "weblog that is in a foreign language". A parte  il fatto che non capisco il "foreign" nei confronti di chi? (siamo alle solite, per gli yankee il mondo è diviso in due: US e outside-US), e poi potevano dirlo subito! Spero che in Europa facciano un accordo con qualcuno più smart.


Forse ho trovato l’editor ideale per il blog. Si chiama w.bloggar ed è gratuito.

Più o meno un anno fa avevo iniziato ad utilizzare BlogJet, un programma per preparare ed inviare i post su molteplici piattaforme di blogging. Non mi aveva convinto del tutto e quindi non lo comprai.

Poi per caso ho scoperto w.bloggar e ha tutte quelle cosette che cercavo da tempo; gestisce TypePad perfettamente, incluse le categorie e la modifica dei vecchi post. Ha tutti i tag html e consente anche di impostare tag personalizzati. Ha un’interfaccia che mi piace e permette anche di postare contemporaneamente su più blog.

W.bloggar è gratis ma il suo creatore accetta donazioni con PayPal; io ho inviato una ventina di euro, più o meno quanto costava una anno fa BlogJet che nel frattempo è passato a 39.95.


L’annuncio di Yahoo! Mindset e le voci del TrustRank in sostituzione del PageRank su Google, fanno ermergere una constatazione che a me pare evidente: per ottenere dei risultati di ricerca pertinenti e puliti da spam di vario tipo, occorre l’intervento degli utenti perché la tecnologia da sola non basta. Ma andiamo con ordine e partiamo dalle ultime novità.

Yahoo! Mindset è una funzione che consente di effettuare una ricerca indicando su un cursore se si desidera ottenere dei risultati più orientati allo shopping piuttosto che al researching. A differenza di quanto già visto con i selettori di MSN Search con i quali si impostano i livelli di aggiornamento, popolarità e corrispondenza, il cursore di Yahoo! Mindset aggiorna immediatamente la lista dei siti mostrati.

La funzione è interessante e semplice da usare. Non ho fatto test approfonditi (è comunque in versione beta) ma sembra che orientando il cursore verso shopping vengano evidenziati i siti con le keyword “store”, “shop”, ecc., mentre researching dà preferenza alle pagine che contengono termini quali “help”, “resources”, “information”, ecc. Una differenza sostanziale nella graduatoria sembra esserci, anche se la rispondenza dei siti non collima ancora con l’una o l’altra impostazione.

Il punto è che è difficile caratterizzare con esattezza una ricerca online. Chi vuole fare shopping, in realtà ha bisogno anche di info sul prodotto, del parere di altri utenti, delle modalità di utilizzo. Insomma: la scelta tra shopping o researching mi sembra troppo assoluta e comunque insufficiente. L’idea del cursore è ottima, ma ne inserirei almeno altri due o tre che possano definire meglio il contesto della richiesta inoltrata. Insomma, è ora che i motori di ricerca… inseriscano alcuni comandi sul volante, come quando sono comparsi i tasti dell’hifi sul volante delle automobili.

Altra funzione che aggiungerei è che al variare del tipo di ricerca, cambino di conseguenza anche gli advertiser. Pensando a Yahoo! Mindset, ad esempio, il cursore su researching potrebbe privilegiare gli inserzionisti con dominio ORG o EDU oppure inserzioni la cui descrizione contiene termini quali “guida”, “informazioni”, ecc.

Arriviamo a TrustRank, un marchio registrato da Google che si pensa potrà dare il nome alla tecnologia per catalogare i siti in base alla fiducia (trust, appunto) espressa dagli utenti per le singole pagine web; il TrustRank andrebbe così a sostituire il PageRank (proprio in questi giorni apparentemente scomparso) sostituendo di fatto il valore dei link con quello delle opinioni delle persone.

È indubbiamente presto per immaginare l’impatto di queste funzioni ancora tutte da implementare e sperimentare, però ritengo che sarà decisivo l’intervento dei singoli utenti online nei meccanismi che regolano il ranking dei motori di ricerca. Sia attraverso l’impostazioni di semplici parametri di ricerca, sia mediante il loro giudizio sui siti. Solo in questo modo la tecnologia potrà effettivamente arginare l’ondata di spam che ha inondato la testa dei risultati.

Di fatto, un aiuto a restituire risultati pertinenti è sempre arrivato dalle agenzie SEO, almeno quelle serie e concentrate nell’incrociare i contenuti dei siti web delle aziende con keyword rilevanti e coerenti. Purtroppo, quando alcuni interpretano il SEM come search engine manipulation, allora tutto appare lecito e si vedono nascere quotidianamente vere e proprie fornaci di pagine web senza senso, finti search engine che in realtà sono affiliati agli stessi motori di ricerca, pagine civetta che portanto a contenuti diametralmente opposti a quelli cercati, ecc.

Ok, ogni tanto anche i professional SEO usano qualche trucchetto (negli ultimi anni molti meno, in verità), ma se l’esperienza dell’utente è soddisfatta, il risultato è che sono proprio queste agenzie che aiutano i motori di ricerca a presentare delle graduatorie efficaci, almeno per le ricerche business. Per le altre… si devranno far aiutare dagli utenti. Mica possiamo fa’ tutto noi dentro ‘sta casa (cifr. Corrado Guzzanti).


Una delle anteprime più interessanti che ho potuto vedere a Seattle da Microsoft facendo parte del programma MSN Search Champs, è un tool per Explorer chiamato Community Bar (non è sicuro che il nome rimanga questo, ma sembra buono). Oggi ho avuto via libera a poterne parlare, anche se non esistono (per ora) screenshot.

Si tratta di una serie di funzioni attivabili nella parte sinistra di Internet Explorer, per capirci quella che può mostrare la Cronologia, i Preferiti, ecc.

La Community Bar permette innanzitutto di commentare i siti web su cui si sta navigando. Lo so, esistono altri tool del genere, però questo è integrato in Explorer e consente di assegnare anche una valutazione complessiva dei siti. Beh, tra le cose che pensavo di proporre a Seattle, c’era proprio un sistema universale di commenti ai siti; quando ci hanno annunciato un’anteprima ed ho visto proprio quello che avevo in mente io (e qualcosa in più), è stato un mix di soddisfazione (vuoi vedere che è una buona idea) ma anche di sconforto (ci hanno già pensato). Comunque un bell’effetto che mi ha spianato la strada per proporre diverse implementazioni.

Io credo che uno dei tanti motivi alla base del crescente successo dei weblog sia proprio la presenza dei commenti, non solo per l’ovvia interattività che genera tra blogger e lettori, ma per l’opportunità di “dire la propria opinione”. Trovo quindi intrigante immaginare cosa potrà succedere con la possibilità di commentare qualsiasi sito o pagina web che incrociamo online. Probabilmente è un’esigenza che hanno molti utenti online e che non è ancora soddisfatta, ed il sito che ha messo su un sistema di commenti agli articoli sul New York Times (qui il link) lo dimostra.

Altra funzione cool è la possibilità di entrare in chat con altri visitatori di un determinato sito che si trovano a passare da quelle parti. Significa che un giorno potremmo dire “ci troviamo alle 16 su www.quellochevipare.it; dovrebbero esserci anche un po’ di amici”.

La Community Bar fa altre cose che neanche ricordo tutte. Non si sa ancora quando verrà rilasciata ma spero presto: a me sembra una cosa che potrebbe cambiare il web come lo conosciamo adesso.


Molto interessante l’annuncio dell’acquisizione di Urchin da parte di Google. In Ad Maiora utilizziamo Urchin per i nostri clienti da almeno un paio di anni con grande soddisfazione. È un’applicazione molto funzionale, veloce e con un’interfaccia che si apprezza già dal primo uso. Conosco due persone del management di Urchin, Scott e Brett Crosby, molto in gamba e sempre disponibili, con il loro aspetto tipicamente californiano. Sono contento per questo loro deal (si parla di 30 milioni di dollari), bravi!

E adesso cosa ne farà Google di Urchin? Probabilmente lo integrerà nella piattaforma di analisi del traffico generato da AdWords. Anche Overture aveva acquisito Keylime Software nel 2003, una piccola società che produceva software per l’analisi del traffico dei siti web.

Questa acquisizione non fa che confermare l’importanza degli analytics per gli advertisers (ne avevo scritto l’anno scorso, con tanto di commento di un’analista di JupiterResearch), ma sottolinea anche la necessità dei search engines di fare loro da traino nello spingere le aziende ad analizzare in dettaglio i risultati delle loro campagne di search. Daltronde, la competizione e la complessità crescono, il click medio continua ad aumentare, per cui diventa indispensabile l’uso dei tool di analisi per gestire al meglio le azioni di advertising sui motori di ricerca.

Contemporaneamente all’annuncio dell’accordo Google/Urchin, passa di mano anche WebTrends, produttrice di uno dei tool più popolari nel settore degli analytics. Ad acquisirla è una società di investimenti, la Francisco Partners.

Sarà ora il turno di WebSideStory?


Nooo, adesso anche le indicazioni sul traffico


Yahoo! Local è uno dei motivi che indicherei tra i principali nel caso decidessi di venire a vivere negli Stati Uniti. Qui lo ZIP number (il codice postale, per capirci) è il codice magico per accedere a qualsiasi informazione locale.


Ad esempio, è possibile cercare una tipologia di negozi in una determinata città, visualizzarli su una mappa ed aggiungere altre attività o altri servizi (bancomat, parcheggi, ecc.) in modo da avere un quadro completo della specifica zona potendo selezionare le attività per categoria, rating qualitativo, ecc.


La ricerca di un ristorante è fantastica: ci sono informazioni dettagliate sugli orari, sui servizi offerti, sull’atmosfera del locale, sulla disponibilità di parcheggio, ecc. Quasi tutti sono accompagnati anche da una recensione della guida Gayot. Di alcuni ristoranti si può vedere il menu, di altri è possibile anche prenotare un tavolo. E poi ci sono i giudizi degli utenti, il link all’eventuale sito, la mappa su come arrivare. In questa settimana ho trovato su Yahoo! Local un ottimo giapponese (ho lasciato anche un mio commento sulla relativa scheda) ed una fantastica steak house qui a Chicago.


Da notare che i proprietari delle attività censite su Yahoo! Local, possono inserire gratuitamente i dettagli della loro azienda o del negozio e, per 9,95 dollari al mese possono aggiungere maggiori informazioni, foto e ricevere le statistiche sugli accessi.


Per favore, che qualcuno aiuti i portali o le pagine gialle a trovare un modello economico sostenibile per arrivare a questo anche in Italia.


callkeyUn paio di settimane fa negli Stati Uniti ho scoperto CallKey, una serie di strumenti di telecomunicazione innovativi e decisamente interessanti. Si tratta di una piattaforma tecnologica molto evoluta abbinata a servizi di fonia, che consente la gestione di telefonate da apparecchi fissi o mobili, sia per conversazioni singole che in audio-conferenza. Le tariffe internazionali sono molto convenienti, un po’ meno quelle locali.

CallKey racchiude molte funzioni, ma il suo utilizzo è semplice ed estremamente pratico, tanto che risulta più facile vederlo all’opera che spiegarlo. Comunque ci provo.

Sul pannello on-line del sistema, si indica il numero di telefono presso cui si è raggiungibili (sia esso fisso o mobile), quindi si digita il numero del destinatario con cui si vuole parlare. A questo punto il sistema chiama il proprio numero e, appena si risponde, avvia la connessione con il destinatario. In pratica si tratta dell’evoluzione del funzionamento delle calling card già operative da una decina d’anni, ma con una base tecnologica capace di sfruttare le moderne tecnologie e quindi di ampliarne la versatilità: vediamo in che modo.

CallKey permette di definire una chiamata (sempre col meccanismo per cui CallKey chiama il proprio telefono e mette in contatto con l’interlocutore desiderato) sia dal panello online, sia mandando una mail ad un indirizzo specifico, sia inoltrando un SMS che riporta il numero che ci interessa. Ad ogni destinatario (o ad un gruppo di nominativi) può inoltre essere abbinato un nickname in modo da velocizzare ulteriormente le operazioni. Ma non è finita: selezionando più destinatari, CallKey genera automaticamente un’audio-conferenza, chiamando tutti i rispettivi telefoni richiesti.

Interessante è anche un tool per Outlook che permette di inviare le email con una specifica icona che consente al destinatario del messaggio di cliccare sull’icona e avviare automaticamente una conversazione dal telefono che vuole; la telefonata sarà addebitata al mittente della mail. Una cosa simile è inseribile anche in un sito web.

Le tariffe applicate da CallKey sono molto convenienti per la maggior parte delle chiamate internazionali. Ad esempio, una chiamata dall’Italia negli USA tra telefoni fissi costa 5 centesimi di dollaro al minuto; da un cellulare italiano sempre verso gli USA (fisso o mobile) si pagano 30 centesimi, mentre per gli ulteriori utenti in audio-conferenza si pagano solo 6 centesimi al minuto.

Le chiamate nazionali non sono invece competitive. Da mobile a fisso costa 31 centesimi di dollaro al minuto (ma 7 centesimi per gli utenti aggiuntivi). Da mobile a mobile si arriva a 56.

Da notare che il sistema funziona sulle reti di telecomunicazioni standard (quindi non è un VOIP) che assicurano una qualità ottima. Inoltre, le tariffe non prevedono scatti alla risposta e sono indipendenti dall’orario della chiamata.

Questo è solo un breve overview di CallKey; mille sono le altre funzionalità del sistema e le possibilità di integrazione in contesti sia business che privati. Sono ormai diversi giorni che la uso di continuo e funziona perfettamente. Personalmente la scoperta di CallKey è stato una specie di flash back, dato che prima di fondare Ad Maiora nel 1997 mi occupavo proprio di servizi di fonia internazionale. E, da allora, non mi era mai capitato di imbattermi in una tecnologia di questo tipo così innovativa quanto semplice, conveniente e funzionale.

Disclaimer: non so se e come si evolveranno i rapporti con l’azienda che produce tale sistema, ma Ad Maiora potrebbe essere coinvolta in futuro nello sviluppo del business di CallKey in Europa.


Finalmente ho trovato un programma che trasforma il Treo 600 in un registratore vocale.

Si tratta di una di quelle funzioni che pagheresti a peso d’oro solo nei rari momenti in cui ti serve, ad esempio quando devi assolutamente annotare un’idea, un nome, un’intuizione che altrimenti rischia di sfuggire un secondo dopo per sempre. Invece, con un registratore vocale a portata di mano, puoi registrare ogni genialata che ti passa per la testa, per poi scoprire, quando la riascolti, che non era proprio tutta questa gran cosa…
Comunque può servire.

Il programma si chiama SoundRec è gratis, ma l’autore accetta donazioni via PayPal; io ho mandato qualche dollaro anche perché ho sempre ammirato l’approccio shareware, specie quando l’autore, come in questo caso (ad esempio sul forum di Treocentral), condivide con i suoi beta tester l’evoluzione del programma.

Per far funzionare SoundRec occorre che il Treo 600 sia aggiornato all’ultima revisione del firmware che si può scaricare sul sito di PalmOne. La procedura esegue il backup dei dati e poi li ripristina, ma alcune applicazioni vanno istallate nuovamente e/o riconfigurate.

SoundRec funziona bene ma è decisamente spartano. Per chi ha esigenze più sofisticate c’è un programma di Audacity che costa 29 dollari; non l’ho provato, ma nei forum sembra se ne parli bene.


Nonostante le aggregazioni degli ultimi mesi, il mondo dei motori di ricerca rimane ingarbugliato. Ubik segnala un simpatico tool che consente di capire le relazioni tra i vari search engine. Vediamo se riusciranno ad aggiornarlo con la velocità con la quale continua a muoversi il mercato.


Iniziano a comparire dei tools per la gestione ed il tracking dei feed RSS. Un esempio è FeedBurner che ha qualche funzione interessante pur essendo ancora in versione pre-alfa e da una prima prova al volo non gestiste le lettere accentate. Come già scritto, siamo solo all’inizio ma ne vedremo delle belle.


Un paio di giorni fa TypePad, l’applicazione che uso per questo blog, ha funzionato male con pesanti rallentamenti e momentanei blocchi.

I ragazzi della Six Apart (gli stessi della popolare piattaforma Movable Type), hanno fatto un bel post: non solo spiegano cosa è successo e come pensano di risolverlo, ma hanno prolungato di tre giorni i contratti in essere, sia quelli annuali a pagamento, sia quelli in prova.

Altro buon esempio di customer support, come quello di Bloglines giorni fa. Però ragazzi, adesso i server facciamoli funzionare, eh?


bloglines_plumberDella serie: quando anche un disservizio diventa simpatico. Bloglines, l’ottimo aggregatore RSS, segnala così la momentanea disattivazione del sito. Quasi quasi spero che ogni tanto sia down per vedere se chiamano il falegname, l’elettricista o il muratore.

 
 
 


Nel 1996 c’erano pochi punti fermi sulla scena del marketing online italiano, e uno di questi era sicuramente IMLI, la Internet Marketing List Italiana. Sono molto affezionato ad IMLI, non solo perché “è sempre bello ricordare i vecchi tempi”, ma perché è stata una delle prime esperienze di reale condivisione di informazioni e punti di vista professionali in Italia.

Guidata come sempre da Max Bancora, oggi IMLI ritorna sotto forma di blog collaborativo ed è una notizia che mi ha davvero rallegrato. Ho subito aggiornato i miei useful links.


Nel 1996 c’erano pochi punti fermi sulla scena del marketing online italiano, e uno di questi era sicuramente IMLI, la Internet Marketing List Italiana. Sono molto affezionato ad IMLI, non solo perché “è sempre bello ricordare i vecchi tempi”, ma perché è stata una delle prime esperienze di reale condivisione di informazioni e punti di vista professionali in Italia.

Guidata come sempre da Max Bancora, oggi IMLI ritorna sotto forma di blog collaborativo ed è una notizia che mi ha davvero rallegrato. Ho subito aggiornato i miei useful links.


Orkut è un nome che suona proprio male. Però ha alle spalle Google e allora due parole bisogna dedicargliele. Praticamente si tratta di un sito su cui conoscere gente, che in inglese viene indentificato con social network, settore che sta incontrando un enorme successo in tutto il mondo. L’ennesima versione di Friendster (che pare Google abbia cercato di acquistare l’anno scorso), Meetic o il nostrano Incontri.

Un bell’articolo su Orkut e su cosa aspettarsi da Google in futuro, l’ha appena pubblicato Alessio Balbi su Repubblica.it (c’è anche una mio commento).

Mi piace l’iniziativa di Google che permette ai suoi collaboratori di dedicare un giorno alla settimana ai propri progetti personali, in cambio di un’opzione sul progetto stesso. Anche Google News è nato così ed ora è il turno di Orkut. A volte penso che gli Usa rimangano ancora una land of opportunities…


Succede sempre così. Quando ti metti ad approfondire qualcosa legato ad internet, ti ritrovi con mille opportunità diverse. Non solo hanno già inventato quello che cercavi da tempo, ma ne esistono svariate versioni.

Nei giorni scorsi, ho trovato qualche momento per giocare con alcuni add-on di Internet Explorer. Ho scoperto Avant Browser (ne parlo qui), poi gomitolo mi suggerisce Slim Browser, mentre sisko mi consiglia Mozilla Firebird che in effetti avevo visto tempo fa ma poi mi è passato di mente.

Use a Better BrowserMi sembra quindi giusto segnalare l’iniziativa “Use a Better Browser” che invita ad utilizzare browser alternativi ad Internet Explorer. L’idea mi sembra intelligente ed equilibrata. Non è la solita campagna contro “Microsoft la cattiva”, ma un’idea che parte dalla constatazione che l’azienda di Bill Gates abbia praticamente smesso di sviluppare Explorer. Quindi spazio alle alternative: magari si riaccende una vera competizione sui browser.


Grazie al suggerimento di Filippo (grazie!) ho provato per qualche giorno Avant Browser e, per ora, rappresenta il miglior complemento di Explorer che ho trovato.

A differenza di NetCaptor che usavo prima, Avant Browser accetta altre toolbar (ad esempio quella di Google) ed è più flessibile. Comoda la gestione dei Gruppi per poter aprire contemporaneamente una serie di siti e molto utile l’integrazione con RoboForm, un sistema per memorizzare in modo sicuro i codici per l’accesso ai siti mediante account e password.


deskbar2.gifE mentre tutti aspettano che Microsoft integri la funzione di ricerca nel sistema operativo, Google sforna una nuova idea, Google Deskbar, che consente di avviare il programma dalla barra di Windows e non solo dal browser.

A differenza di quanto si legge in giro, il programma necessita comunque che sul PC sia installato Internet Explorer. Però funziona in una finestra indipendente, richiamabile facilmente anche mentre si utilizzano altri programmi. Esempio: si evidenzia un testo su un qualsiasi programma, si preme Ctrl-Alt-G e Invio et voilà, Google Deskbar apre la sua finestrella con il risultato della ricerca.

L’applicazione è abbastnza personalizzabile e, per ora, funziona solo su Windows. A me è comoda perché utilizzo NetCaptor (un programma che aggiunge un po’ di funzionalità al browser) e su cui però non funziona la Google Toolbar.


Con i capelli bianchi ho imparato ad attenuare l’entusiasmo, o meglio, a dormirci su un paio di nottate. Così quando scopro qualcosa di esaltante, cerco di emettere giudizi positivi solo dopo aver approfondito un’esperienza diretta.

Oggi mi va di parlare di tre applicazioni legate ad internet che non esito a definire eccellenti. Le utilizzo io e la mia azienda da un po’ per cui sono state spremute come si deve. Va premesso che un paio di queste sono in qualche modo correlate ai servizi erogati da Ad Maiora, ma ritengo giusto evidenziarne le qualità oggettive.

Urchin
È un’applicazione per l’analisi del traffico dei siti web. Legge i dati dei log files, e poi li scrive su un database. È consistente, stabile, veloce, e completa. I report sono chiari, con tutte le informazioni necessarie, senza fronzoli o amenità, ma con tutto quello che serve.

ContactLab
Splendida soluzione per l’email marketing. L’applicazione web based gestisce tutto il processo: dalla gestione delle liste dei destinatari, all’impostazione e all’inoltro delle e-mail, compreso l’eccellente controllo sui risultati.

TypePad
Il risultato generato da TypePad ce l’hai davanti adesso: si tratta del sistema che utilizzo per la gestione di questo weblog. Economica ma professionale, è un’applicazione con la quale mi sono sentito subito a casa (ne ho parlato anche qui). Mi piace sottolineare anche il loro customer support: perfetto, disponibile e pure simpatico.

C’è una cosa che accomuna Urchin, ContactLab e TypePad: l’utilizzo della tecnologia come strumento e non come fine. Lo so, sono un po’ fissato con questo argomento, ma tali applicazioni dimostrano l’assoluta attenzione all’utilizzatore piuttosto che esprimere i vezzi del programmatore. E non è cosa comune.