Archivio: “Tecnologia”

Mio caro PC, è ora che te lo dica chiaramente: io con te non riesco a parlare.

Ci conosciamo ormai da 35 anni e in tutto questo tempo abbiamo migliorato parecchio il modo di comunicare. Forse la prima cosa che ti ho detto (pardon, scritto) è stata DIR per capire cosa avevi entro. E a suon di tasti, piano piano ci siamo capiti sempre meglio.

Lo so, un po’ te la sei presa perché ad un certo punto andai a trovare quelli della mela ed il mondo WIMP (windows, icon, mouse, pointer), ma poi hai capito anche te che era un sistema migliore e così, oltre ai tasti, ho iniziato a spiegarti le mie intenzioni anche con il mouse.

Però al click del mouse (nonché al touchpad del notebook) preferisco ancora quello della tastiera, per cui sono sempre a caccia delle delle scorciatoie di tastiera di tutti i programmi o i servizi online, perché così posso chiederti più velocemente le cose da fare.

Adesso mi chiedi di parlarti, suggerendomi di darti del Cortana. Boh, la cosa non mi quadra.

Sarà che abbiamo instaurato da troppi anni un rapporto silente, che produceva al massimo un po’ di click. E poi, vuoi mettere il fatto che se qualche comando non produceva i risultati voluti poteva dipendere solo da me, mentre ora mi chiedi di aggiungere l’incertezza della tua capacità di capire cosa dico.

Non te la prendere, nulla di personale, ma continuerò a parlarti con tastiera e mouse. Certo, un giorno sarai in grado di ascoltare e comprendere questo post mentre lo leggo; e magari mi risponderai pure con cognizione di causa. Però intanto preferisco continuare ad usare la tastiera.

Che poi, è già abbastanza complicato farsi capire a voce dal resto del mondo umano…


Ho scritto un breve articolo dedicato a come gestire tempo, informazioni e tecnologie, ossia i tre elementi che si incrociano (talvolta si scontrano) nel nostro quotidiano complicandoci un po’ le cose.

Abbiamo la percezione di avere sempre meno tempo, mentre di sicuro aumentano le informazioni e gli strumenti tecnologici per gestirle. Come gestiamo tutto questo?

Le mie riflessioni sul post ospitato dal blog Storyboard.
Che ne dite?


Rise of the Marketing Platform è un articolo che alla fine pubblicizza la piattaforma di un vendor, però contiene una buona analisi delle opportunità offerte dalle moderne tecnologie a supporto del marketing.

Riporto uno schema sintetico ma efficace sulla trasformazione del marketing.

Rise of the Marketing Platform

Ma cosa dovrebbe fare una moderna piattaforma di marketing?

UNDERSTAND: Track customer identity, contacts, and context across every digital, social, and mobile channel — then organize this information into a single, open data repository.

ORCHESTRATE: Design and coordinate engaging customer experiences and continuous conversations that take each customer on a personal journey over time – and do this in an organized, automated way.

PERSONALIZE: Deliver relevant, personalized content and messages across channels and devices.

MANAGE: Support the operational aspects of running a marketing department. Plan the marketing calendar, coordinate content, track investments, and tie the marketing budget directly to results.

OPTIMIZE: Measure and maximize marketing ROI across channels. Attribute outcomes to each marketing experience, regardless of which application handled the interaction.  Support data-driven decision making at the speed of marketing.

LEARN: The pace of change in marketing isn’t slowing down, so the platform also needs to give guidance, best practices, and knowledge to help marketers keep up.


Finalmente sono riuscito a leggere l’ottimo “Dai Social Media ai Media Intelligenti” di Giuseppe Granieri su La Stampa.

L’articolo sottolinea l’ampliamento del perimetro dei canali digitali, che passano dall’abilitare la relazione tra individui (e quindi i Social Media), all’inclusione della tecnologia come elemento attivo. Vale per “le cose”, sempre più oggetti connessi, ma anche per gli algoritmi che scatenano processi definibili sommariamente come “intelligenti”.

Fondamentale allora porsi degli interrogativi, valutare qual è il prezzo che dobbiamo pagare ospitando la tecnologia in ogni situazione di relazione. Scrive Giuseppe:

Ma tutte queste nuove tecnologie portano con sé delle scelte etiche importanti. In che mondo vogliamo vivere? I dati ci aiutano a trovare soluzioni intelligenti, ma quanto controllo perdiamo sulla nostra vita (e sulle nostre informazioni personali)?

Come al solito Giuseppe è prodigo di valide segnalazioni di approfondimento. Da una di queste, ossia Teaching Ethics in the Age of Technology, riprendo un’immagine che riassume alcuni degli aspetti chiave sui quali è giusto interrogarsi.

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Puntuale come al solito, Robin Good apre un capitolo nuovo nel valutare le piattaforme per gestire e organizzare i siti web. Si tratta dei cosiddetti CMS (content management systems) che hanno un compito sensibilmente diverso rispetto a qualche anno fa.

imageOggi difatti, il compito delle moderne piattaforme non può essere focalizzato solo sul sito web, ma deve preoccuparsi di organizzare e gestire tutti gli asset e canali digitali (web, social, email, ecc.), tenendo conto peraltro dei differenti device (pc, smartphone, tablet, smart-TV, ecc.).

Le moderne piattaforme, come sottolinea Robin, curano elementi differenti e tutti rilevanti: dalla gestione di canali digitali multipli, al supporto della content curation; dal governo degli strumenti di monetizzazione, alla programmazione della pubblicazione dei contenuti.

Per quello che vedo io nelle organizzazioni più strutturate, dove il digital sta investendo tutti i dipartimenti, le aree funzionali più innovative (e che abitano nuovi modelli organizzativi) sono quelle che riguardano la collaborazione ed il controllo dei workflow. Quindi la gestione di calendari editoriali condivisi, dei ruoli e delle autorizzazioni legate alla pubblicazione, fino ad arrivare a sistemi di social networking pensati appositamente a supporto del content marketing.

Tonando all’articolo su MasterNewMedia, oltre alle numerose piattaforme segnalate, vorrei aggiungerne alcune più orientate a soluzioni enterprise e quindi di maggior complessità, ed in particolare Sprinklr (molto completa ma anche con pricing a partire da 70 mila dollari l’anno), Kapost (ottimo per la gestione dei calendari editoriali) e Falcon Social (una piattaforma tuttofare compreso un tool di listening delle conversazioni online).

Naturalmente anche i big player non stanno a guardare (penso in particolare a Microsoft, IBM e Oracle), molti dei quali stanno via via integrando un set di funzionalità e piattaforme per governare “il digital” a 360°.

Chiudo mettendo benzina su una discussione che genera fuoco ormai da tempo: la scelta e l’implementazione di queste piattaforme nelle organizzazioni, sono nel territorio del CMO o del CTO?


I trend per orientare le aziende ai consumatori partendo dal CRMHo sempre pensato che il CRM sia una delle aree cruciali all’interno delle organizzazioni, sia quando ci si riferisce al caring e al customer support, sia quando lo si intente come database di marketing e vendite.

Per cui i punti della lista “Top Trends For CRM in 2014” elaborata dagli analisti di Forrester, possono essere considerati un’utile riferimento per il business complessivo dell’azienda e non solo per il  CRM in senso stretto.

Qui riporto alcuni dei 10 punti indicati d Forrester, ossia quelli su cui ritengo debbano focalizzarsi le organizzazioni moderne:

Trend 1: Companies Strive To Be Experience Driven.

Trend 6: Social Will Connect At All Stages Of The Customer Life Cycle

Giusto partire dal consumatore, dalla sua esperienza complessiva in tutte le fasi del customer journey. Questo approccio va però abbinato ad una gestione nuova dei touchpoint (digitali o meno), non più pensata per singolo canale (es. “faccio il post per Facebook”) ma che parte dagli obiettivi e poi declina i contenuti sui canali più opportuni.

Trend 2: Enterprises Will Embrace Tools That Create An Outside-In Perspective.

Trend 7: Rapid Adoption Of CRM SaaS Solutions Will Continue.

Si moltiplicano le soluzioni tecnologiche che abilitano modelli nuovi ed efficienti per gestire le relazioni con clienti e prospect. Gli strumenti più moderni considerano non solo il classico profilo anagrafico, ma aggiungono:

  • le informazioni social relative al profilo digitale dei singoli ed al loro social graph
  • la gestione dei contenuti e delle relazioni multi-piattaforma: dai workflow al publishing, dai commenti sui canali social alla gestione delle campagne online.

Tendo sempre di più a pensare che anche le organizzazioni più complesse e articolate hanno sempre meno alibi per non affrontare il cambiamento. Le esperienze ed i modelli ci sono, le tecnologie pure, ed il momento è “adesso”.


Pensavo ad alcune delle affascinanti mappe che provano a rappresentare il mondo del digital marketing, ad esempio la Digital Marketing Transit Map realizzata da Gartner) oppure il Conversation Prims di Brian Solis da poco aggiornato.

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A me pare che ogni mappa che cerchi di rappresentare il complesso del digitale, diventi necessariamente (e inutilmente) complessa (il gioco di parole è voluto). La cosa appare ancora più evidente nelle edizioni aggiornate di questi schemi, che ogni anno aggiungono spicchi alle torte e nuove icone e logotipi; e alla fine: a cosa ci serve?

È più interessante semmai prendere spunto da queste rappresentazioni della complessità per affrontare il confronto fra il ruolo del CIO rispetto a quello del CMO, argomento sempre più attuale nelle aziende. Da leggere a proposito l’articolo su Forbes di un paio di giorni fa, ma anche le chart dello spassoso confronto tra Ray Wang e Esteban Kolsky al Social business Forum di quest’anno.


Il digitale oggi è l’informatica di 30 anni fa. E serve un Chief Digital Officer. Lasciatemi partire però da qualche anno fa.

A 18 anni vissi il momento in cui la banca in cui lavoravo passava dalla gestione a schede cartacee ai terminali video e fu molto stimolante trovarsi nel mezzo di un cambiamento così importante, anche perché mi misero subito a formare i colleghi in giro per le filiali. Fu anche divertente gestire i clienti che non si capacitavano che i loro soldi erano “stampati” dentro uno schermo anziché sulla più tangibile carta.

In quel periodo per molte aziende, e per tutto il mondo della finanza in particolare, l’informatica rappresentò non solo uno strumento per migliorare l’efficienza e la gestione delle informazioni, ma un elemento abilitante e strategico per modellare il business. E non a caso i “Responsabili CED” (per i più giovani, Centro Elaborazione Dati) divennero figure chiave nelle gerarchie di molte organizzazioni.

A distanza di oltre trent’anni, appare chiaro che le tecnologie digitali sono per molte aziende quello che l’informatica rappresentò allora. Forse è un po’ esagerato affermare che Starbucks si sta trasformando in un’azienda tecnologica, ma è un fatto la creazione del Chief Digital Officer, ossia una figura executive a cui fanno capo tutte le attività legate al digital, comprese quelle in-store e la gestione delle iniziative di loyalty.

Penso che il ruolo del CDO verrà introdotto gradualmente da molte grandi aziende e ciò è perfettamente coerente con il mantra che sentiamo sempre più spesso nella mission delle corporation, ossia quello di “mettere il cliente al centro dell’attenzione”. Ebbene, se l’informatica migliorava i processi e strutturava le informazioni, il digital è l’ambito in cui si svolgono le attività cruciali nel moderno business: gestire i molteplici touchpoint con gli stakeholder e governare le relative informazioni (big data).

Il punto è collocare bene il CDO nell’organigramma aziendale. Finché rimane all’interno di una direzione (comunicazione, commerciale o, peggio, IT), allora parliamo di un’altra cosa. Quando risponde all’amministratore delegato allora possiamo definire davvero strategico il suo ruolo in modo da operare in maniera trasversale sul business, perché è questo che “fa” il digitale.

In ogni caso, tra i miei contatti su Linkedin ho solo un Chief Digital Officer italiano su 448 risultati…


Volevo rimettere in odine alcuni pensieri a margine del Summit italiano sui media digitali che si è tenuto nella sala executive dello stadio San Siro martedì scorso. Vorrei partire proprio dallo stadio vuoto che ho fotografato in questa occasione, perché l’evento mi ha restituito una sensazione di vuoto di idee. Stadio San Siro

La lista delle difficoltà e dei problemi è arrivata puntuale e corposa: i big player internazionali sono favoriti, il sistema italiano non favorisce l’impresa perché burocratico e oneroso fiscalmente, e via cantando. Tutto giusto per carità, ma in particolare dai big player degli operatori industriali (telco, media e agenzie) mi aspettavo qualche spunto propositivo e innovativo piuttosto che una specie di caccia all’alibi.

Non condivo in particolare l’indice puntato su problemi globali che si vorrebbero risolvere con soluzioni locali (evidentemente senza riuscirci). E’ sempre la stessa storia. Quasi dieci anni fa Soru si lamentava che i motori di ricerca sono solo americani; dalla Francia (e dove sennò) parti il progetto Quaero che praticamente non è mai esistito. Molte delle problematiche digitali vanno affrontate a livello sovranazionale (interessante lo specifico approfondimento del libro La tempesta perfetta che sto leggendo), evitando solamente di lamentarsi di quei problemi che all’estero cercano di risolvere o semplicemente affrontano innovando.

Sintomatico che dalle web company è arrivato il messaggio semplice di dover comunque prendere atto del sistema attuale e di generare  valore con questo sistema. Senza aspettare, senza proteggere le posizioni guadagnate fino a ieri.

La relazione iniziale del Summit di Enrico Gasperini di Digital Magics ha colto alcuni di questi aspetti propositivi auspicando, tra l’altro, la nascita di sistemi di filiera; l’unica mia considerazione è che tali sistemi funzionano se hanno una componente di innovazione all’interno e non solo una logica di industrializzazione di piattaforme tecnologiche.

Chiudo con la solita metafora dell’onda che sta arrivando, verso la quale non serve alzare barriere o scappare: occorre fare surf e quindi usare una buona tavola, conoscere il mare, prendersi dei rischi. In parallelo si può anche pensare agli argini e alla canalizzazione dell’acqua (government e regole). Meglio organizzare corsi su come fare surf, aiutando chi sa nuotare e chi no (alfabetizzazione, education continuativa). L’unica certezza è che l’onda sta arrivando.


Audience internet in alcuni paesi, suddivisa per velocità di connessione (Nielsen):

Active Internet Audience by Connection Speed


Audience internet in alcuni paesi, suddivisa per velocità di connessione (Nielsen):

Active Internet Audience by Connection Speed


Sono terribilmente indietro con le recensioni dei libri che ho letto recentemente, ma di “Artigiani del digitale” di Andrea Granelli voglio scrivere due righe.

Il libro prende il mondo dell’ICT italiano e lo osserva in modo lucido e disincantato, partendo proprio dal “lato oscuro”della tecnologia fatto di numerose contraddizioni e illusioni che raramente vengono evidenziate e spiegate. Anche per questo, le innumerevoli opportunità della tecnologia digitale (e del sistema economico-sociale da essa generato) necessitano di figure meno tecniche rispetto al passato. Servono artigiani capaci di adattarle ai bisogni reali delle persone, di spiegarle e raccontarle in modo facile e comprensibile (nel 2005 sempre Granelli scrisse “Comunicare l’innovazione”), di inserirle nel tessuto sociale e non solo in quello economico.

Dichiarata ed evidente è l’ispirazione agli insegnamenti di Adriano Olivetti (a cui è dedicato il capitolo finale oltre i rimandi della prefazione di Patrizia Greco, Amministratore Delegato di Olivetti), che pur apparendo utopista in alcuni passi, è estremamente attuale e, a mio parere, profondamente condivisibile.

Artigiani del digitale racchiude anche alcune proposte. Da una parte l’auspicio agli operatori di confezionare i loro prodotti e servizi adattandole meglio ai bisogni reali dei clienti (specie a riguardo delle PMI nostrane), migliorando nel contempo l’attenzione strategica al cliente, cercando di capirlo di più e di offrirgli supporto concreto, facilitandone l’approccio alla tecnologia anziché sofisticarlo continuamente aggiungendo nuovi astrusi acronimi. Dall’altra lo stimolo alle istituzioni, che potrebbero fare la differenza se non si limitassero a slogan di effetto o a iniziative di massa, ma che dovrebbero puntare invece a sviluppare programmi formativi, comunità di pratica e, soprattutto, utilizzare maggiormente la domanda pubblica di ICT come motore dell’innovazione.

Insomma, una rilettura del mercato italiano dell’ICT a cui peraltro è dedicato un omonimo capitolo che segnala sinteticamente parecchi casi di eccellenza italiana, sia dal punto di vista innovativo che creativo. Sicuramente un buon libro, pieno di stimoli e speranze, che prende dal passato insegnamenti importanti e che auspica un futuro in cui la tecnologia digitale sia più vicina agli utilizzatori e più funzionale allo sviluppo sano della società.


Sono terribilmente indietro con le recensioni dei libri che ho letto recentemente, ma di “Artigiani del digitale” di Andrea Granelli voglio scrivere due righe.

Il libro prende il mondo dell’ICT italiano e lo osserva in modo lucido e disincantato, partendo proprio dal “lato oscuro”della tecnologia fatto di numerose contraddizioni e illusioni che raramente vengono evidenziate e spiegate. Anche per questo, le innumerevoli opportunità della tecnologia digitale (e del sistema economico-sociale da essa generato) necessitano di figure meno tecniche rispetto al passato. Servono artigiani capaci di adattarle ai bisogni reali delle persone, di spiegarle e raccontarle in modo facile e comprensibile (nel 2005 sempre Granelli scrisse “Comunicare l’innovazione”), di inserirle nel tessuto sociale e non solo in quello economico.

Dichiarata ed evidente è l’ispirazione agli insegnamenti di Adriano Olivetti (a cui è dedicato il capitolo finale oltre i rimandi della prefazione di Patrizia Greco, Amministratore Delegato di Olivetti), che pur apparendo utopista in alcuni passi, è estremamente attuale e, a mio parere, profondamente condivisibile.

Artigiani del digitale racchiude anche alcune proposte. Da una parte l’auspicio agli operatori di confezionare i loro prodotti e servizi adattandole meglio ai bisogni reali dei clienti (specie a riguardo delle PMI nostrane), migliorando nel contempo l’attenzione strategica al cliente, cercando di capirlo di più e di offrirgli supporto concreto, facilitandone l’approccio alla tecnologia anziché sofisticarlo continuamente aggiungendo nuovi astrusi acronimi. Dall’altra lo stimolo alle istituzioni, che potrebbero fare la differenza se non si limitassero a slogan di effetto o a iniziative di massa, ma che dovrebbero puntare invece a sviluppare programmi formativi, comunità di pratica e, soprattutto, utilizzare maggiormente la domanda pubblica di ICT come motore dell’innovazione.

Insomma, una rilettura del mercato italiano dell’ICT a cui peraltro è dedicato un omonimo capitolo che segnala sinteticamente parecchi casi di eccellenza italiana, sia dal punto di vista innovativo che creativo. Sicuramente un buon libro, pieno di stimoli e speranze, che prende dal passato insegnamenti importanti e che auspica un futuro in cui la tecnologia digitale sia più vicina agli utilizzatori e più funzionale allo sviluppo sano della società.


E con questo siamo a 5 “cosi” Apple a casa Lupi. Oltre ai tre iPod per la musica, un iPad che ho regalato alla moglie (e che ha apprezzato molto) ed ora un bel iPhone4 fresco fresco per me, catturato ieri all’Apple Store di Roma dopo un’oretta di fila.

Ora il problema è che l’aggiornamento del software impiega tre ore ed il rischio è di passarle su iTunes a scoprire altre decine di app da scaricare…

Tornando ad Apple: non nascondo che sento tornare un po’ del tarlo della mela che mi colpì quando comprai uno dei primi Mac arrivati in Italia (era l’85, giusto?), scatenando la proverbiale passione degli utenti Apple (fui pure presidente del primo Mac Club Italia, tanto per dire).

In effetti, l’azienda di Jobs sta interpretando benissimo le esigenze di una parte considerevole di persone, applicando scelte nette e decise secondo una logica che condivido. Penso che in un mondo in cui l’evoluzione tecnologica e l’overload di di informazioni sono vissuti come un problema da parte di molti individui, aggeggi che semplificano la vita (pur limitando alcune funzionalità) siano proprio quello che serve.


Il futuro della rete - BAIAUltimamente sono un po’ latitante verso le iniziative di BAIA (Business Association Italy America), ma per fortuna il gruppo va avanti e continua a organizzare momenti di networking e confronto.

Tra questi, segnalo l’incontro Il Futuro della Rete. Dall’accesso universale alle reti intelligenti che si terrà alla Camera dei Deputati a Roma il prossimo 23 Febbraio.


Il futuro della rete - BAIAUltimamente sono un po’ latitante verso le iniziative di BAIA (Business Association Italy America), ma per fortuna il gruppo va avanti e continua a organizzare momenti di networking e confronto.

Tra questi, segnalo l’incontro Il Futuro della Rete. Dall’accesso universale alle reti intelligenti che si terrà alla Camera dei Deputati a Roma il prossimo 23 Febbraio.


New Device Converts Wi-Fi Signal To Power Non sapevo che il Wi-Fi facesse viaggiare energia. Eppure sembra siano riusciti a fare uno scatolotto che in presenza di una rete Wi-Fi accumula energia per ricaricare, ad esempio, un telefono.