Archivio: “Numeri”
Tutto quello che vorreste chiedere agli utenti internet di Italia, Francia, Spagna, Germania e UK riguardo l’uso che fanno della posta elettronica, l’ha già chiesto Contact Lab a oltre 4.700 persone, producendo una dettagliata ricerca sulle abitudini e sui comportamenti nell'uso di e-mail e newsletter.
Alcune risultanze della ricerca:
- Ogni giorno ogni utente riceve in media 28 messaggi e-mail (20 in Italia), al netto dello spam
- I dispositivi più utilizzati per la lettura delle e-mail sono il PC fisso (78%) e portatile (52%). Interessante la comparsa dei Netbook, un fenomeno che al momento interessa il 7% degli utenti
- L’Italia mostra la più elevata penetrazione di dispositivi mobili di accesso alla Rete nell’utenza Internet (17,7%
- In più di quattro casi su cinque gli utenti Internet caricano le eventuali immagini contenute nelle e-mail
La ricerca completa è scaricabile gratuitamente su sito di Contact Lab.
Il consueto report annuale di Technorati sullo stato della blogosfera analizza, tra l’altro, la tipologia dei blogger (distinguendo analiticamente chi lo fa per hobby o per professione), i modelli di business, la relazione con i brand. Questi ultimi dati confermano l’importanza di monitorare le discussioni sui blog, perché il 70% di questi scrive a proposito dei brand e dei rispettivi prodotti o servizi.
Il documento completo si può leggere qui sotto.
Riprendo una chart elaborata da Andy Atkins-Kr
Ho alcune ricerche da segnalare. Parto dall’Italia (le altre in post successivi) con i dati del rapporto “Gli italiani e le nuove tecnologie” presentato allo scorso Forum PA da Gianni Dominici.
Come anticipa lui, ci sono molti altri documenti validi prodotti per questo evento, il quale peraltro migliora di anno in anno e che ammetto di aver trascurato nell’ultima edizione. Intanto questo rapporto è molto interessante perché fa lo spaccato dell’uso di internet da parte della popolazione adulta italiana.
“La Commissione Ue esorta gli Stati Membri a dare ripetizioni ai propri cittadini perché sono spesso analfabeti digitali”. Parte così l’Ansa di ieri pomeriggio relativa alle raccomandazioni del commissario per i Media e la Società dell’informazione, Viviane Reading, ripresa stamattina da IlSole24Ore il quale aggiunge:
Non sapere usare i social network come Facebook e Twitter ed essere incapaci di usare un motore di ricerca significa essere tagliati fuori dalla società contemporanea
Invece mi sembra che le Istituzioni nostrane abbiano escluso Internet dai loro piani strategici. Ok, c’è tutto il can can sulla banda larga, il wi-fi nelle città, e così via. E a più riprese (penso agli interventi di Gentiloni prima e Romani poi agli ultimi IAB Forum milanesi) il governo ha sottolineato che si concentrerà sulle infrastrutture e basta. Invece l’auspicio della Commissione Europea all’education è netto e riporta anche un dato secco (dal pezzo su IlSole24Ore):
Il 24% dei cittadini UE senza internet a casa afferma di non averlo poiché non sa usarlo
Non si tratta quindi di portare un “attrezzo” a casa delle persone: significa insegnare a capirlo, valorizzarlo ed usarlo. E ciò vale il doppio se pensiamo alle aziende, per le quali la Rete è un elemento competitivo il cui impiego esteso dovrebbe essere obbligatorio per legge! In una società non propriamente veloce nel recepire le nuove tecnologie come quella italiana, l’inesperienza e la disinformazione rischiano di trasformare la disponibilità di internet in un problema anziché in una opportunità.
Talvolta noi del settore additiamo alle aziende l’incapacità di utilizzare la Rete in modo strategico. Indubbiamente ci sono ritrosie e diffidenze frutto di cambiamenti che spaventano, protezione degli status quo, paura di mettersi in gioco. Ma è anche vero che la portata di queste innovazioni necessita una formazione continuativa, un supporto strategico e operativo che è parte stessa dell’innovazione. Se non si coglie questo aspetto, saremo sempre lì a giochicchiare con le mode del momento lasciando le aziende disorientate a scegliere soluzioni apparentemente sicure anziché avventurarsi nella complessità della Rete.
È un argomento a cui tengo molto e sui cui proverò a lavorare nei prossimi mesi. Ben vengano suggerimenti e spunti su cui ragionare.
“La Commissione Ue esorta gli Stati Membri a dare ripetizioni ai propri cittadini perché sono spesso analfabeti digitali”. Parte così l’Ansa di ieri pomeriggio relativa alle raccomandazioni del commissario per i Media e la Società dell’informazione, Viviane Reading, ripresa stamattina da IlSole24Ore il quale aggiunge:
Non sapere usare i social network come Facebook e Twitter ed essere incapaci di usare un motore di ricerca significa essere tagliati fuori dalla società contemporanea
Invece mi sembra che le Istituzioni nostrane abbiano escluso Internet dai loro piani strategici. Ok, c’è tutto il can can sulla banda larga, il wi-fi nelle città, e così via. E a più riprese (penso agli interventi di Gentiloni prima e Romani poi agli ultimi IAB Forum milanesi) il governo ha sottolineato che si concentrerà sulle infrastrutture e basta. Invece l’auspicio della Commissione Europea all’education è netto e riporta anche un dato secco (dal pezzo su IlSole24Ore):
Il 24% dei cittadini UE senza internet a casa afferma di non averlo poiché non sa usarlo
Non si tratta quindi di portare un “attrezzo” a casa delle persone: significa insegnare a capirlo, valorizzarlo ed usarlo. E ciò vale il doppio se pensiamo alle aziende, per le quali la Rete è un elemento competitivo il cui impiego esteso dovrebbe essere obbligatorio per legge! In una società non propriamente veloce nel recepire le nuove tecnologie come quella italiana, l’inesperienza e la disinformazione rischiano di trasformare la disponibilità di internet in un problema anziché in una opportunità.
Talvolta noi del settore additiamo alle aziende l’incapacità di utilizzare la Rete in modo strategico. Indubbiamente ci sono ritrosie e diffidenze frutto di cambiamenti che spaventano, protezione degli status quo, paura di mettersi in gioco. Ma è anche vero che la portata di queste innovazioni necessita una formazione continuativa, un supporto strategico e operativo che è parte stessa dell’innovazione. Se non si coglie questo aspetto, saremo sempre lì a giochicchiare con le mode del momento lasciando le aziende disorientate a scegliere soluzioni apparentemente sicure anziché avventurarsi nella complessità della Rete.
È un argomento a cui tengo molto e sui cui proverò a lavorare nei prossimi mesi. Ben vengano suggerimenti e spunti su cui ragionare.
A guardare la rilevazione di ComScore dei siti web più visitati in Italia, in particolare confrontando la situazione di Giugno rispetto a quella di sei mesi prima, saltano all’occhio alcuni trend evidenti. Non solo lo scatto di Facebook, ma anche la comparsa di Live.come un certo ridimensionamento di portali nazionali come Libero e Leonardo. I due grafici di seguito si riferiscono rispettivamente a Dicembre 2008 e Giugno 2009.
Questi schemi di ComScore fanno parte di una serie di chart che riguardano anche altri paesi (US, UK, Spagna e Francia) ed è disponibile su DocStoc ed è stata anche presentata su TechCrunch. A occhio, mi pare che rispetto alle rilevazioni di Nielsen (e quindi quelle di Audiweb) ci siano delle differenze significative, ma come valori relativi sono comunque dati interessanti.
Merito innanzitutto al titolo di questo studio: “The Silent Click: Building Brands Online”, una ricerca commissionata da OPA (Online Publisher Association), che evidenzia l’efficacia del display advertising sia in termini di branding, sia in riferimento agli acquisti fatti online relativi ai brand in campagna.
La ricerca, che sarà disponibile integralmente dal prossimo 25 giugno sul sito di OPA, sottolinea questi elementi principali (li riporto nella versione originale):
- One in five conduct related searches and one in three visit the brands’ sites
- Users spent over 50% more time than the average visitor to these sites and consumed more pages
- Users spent about 10% more money online overall, and significantly more on product categories related to the advertised brands
- Higher income audiences visited the advertisers sites
Raggruppo alcune segnalazioni di questi giorni:
- Giampaolo mi ha inviato l’interessante “Rapporto su privacy e permission marketing in Italia”, un sondaggio realizzato da Human Highway per conto di Mag-News/Diennea. La ricerca cerca di capire l’atteggiamento degli utenti internet italiani rispetto alla concessione dei propri dati personali. Tra le informazioni che emergono dall’analisi, ho trovato utile l’esame dei campi dei moduli online che scoraggiano maggiormente la loro compilazione. Il rapporto, pubblicato con licenza Creative Commons, è scaricabile qui.
- Riccardo mi segnala invece che lo scorso 12 giugno è stato proclamato il primo laureato dell’Università e-Campus, l’ateneo on line che ha sede a Novedrate e che da luglio aprirà una sede anche a Roma. Sul blog di Cepu(disclaimer: Cepu è nostro cliente) la il commento del neo dottore.
- Perfetta la testimonianza di Davide dell’uso di Twitter da parte delle aziende, attraverso due casi che ha vissuto direttamente in questi giorni.
Qualche giorno fa c’è stato a Milano l’E-commerce Forum organizzato dal consorzio Netcomm. Non ce l’ho fatta a passare, ma le chart con tutti i dati saliente dell’indagine annuale sono disponibili online.
Gli spunti sono tanti e la maggior parte fotografano l’e-commerce B2C come un settore che non genera particolare eccitazione dal mio punto di vista:
- fatturato praticamente piatto nel 2009 (5,9 miliardi di Euro)
- oltre la metà degli acquisti riguardano il turismo
- i primi venti operatori fanno tre quarti delle vendite totali
- solo 3 milioni e poco più gli acquirenti online negli ultimi 3 mesi
A leggere le ragioni che frenano gli acquisti, i tre motivi individuati dall’analisi Eurisko sembrano essere:
- Preferisco vedere di persona le cose che compro e parlare con il negoziante
- Mi diverto di più a fare acquisti con i canali e negozi normali
- Non mi fido a trasmettere il numero della mia carta di credito
Io invece ritengo che la principale responsabilità sia della mancanza di una “vera” offerta: ampia, competitiva e, soprattutto, realizzata attraverso siti web adeguati. Purtroppo, constato ogni giorno quanto sia debole la qualità media dei siti di e-commerce presenti in Italia. Informazioni scarse o poco chiare, servizi di supporto inesistenti, giochini Flash di quelli che fanno belle le web agency e che invece allontanano i visitatori, e via di questo passo. Ovviamente gli utenti online rispondono che il negozio è più divertente: comprare online su siti Italiani spesso è davvero deprimente!
Sia chiaro, non è una critica fine a se stessa. Penso che il mercato offra questo scenario perché per mettere su un progetto e-commerce come si deve (che non è “solo” il sito web, anzi, quello è l’ultima cosa) occorrono investimenti “seri” che attualmente sono certamente difficili da ammortizzare a breve se il target è limitato all’Italia. Ma è l’offerta che andrebbe aiutata a svilupparsi e non solo auspicare la domanda. Mi chiedo che cosa hanno prodotto tutti i finanziamenti pubblici erogati negli ultimi anni per le iniziative di e-commerce…
In fondo concordo con quanto afferma Pepe, che reputa ingessato il settore “Almeno fino a quando i brand smetteranno di avere paura dei consumatori, e non inizieranno a fare il loro dovere”.
Da una news dell’ANSA a proposito di una ricerca commissionata dalla Camera dei Deputati, emerge che:
- Il 58,5% degli italiani utilizza internet
- Chi non utilizza internet lo fa perché non ha le competenze (46%) o perché non gli interessa (43%)
Questo significa che sono più o meno 9 milioni di persone che non usano internet perché non lo sanno usare (o pensano di non saperlo usare). Ecco, è qui che occorrerebbe lavorare. Non solo continuare a sottolineare quanto sia importante la Rete: la maggior parte delle persone questo lo ha capito da un pezzo. Bisognerebbe spiegare concretamente, far “usare” internet per davvero. È qui che vedrei un intervento istituzionale serio, rivolto ad arginare quello che è il nuovo analfabetismo.
Sono sempre diffidente rispetto alle indagini di mercato quando realizzate attraverso domande sulle iniziative future degli intervistati. Nel settore della comunicazione, ad esempio, è frequente imbattersi in survey in cui si chiede agli investitori pubblicitari a proposito delle loro prossime scelte di pianificazione e sull’entità delle stesse. Il rischio è che le risposte siano più che altro degli auspici che non sempre vengono poi confermati.
Le indicazioni di tali ricerche sono comunque utili, specie se i dati sono confermati da più fronti e, quantomeno a livello relativo, offrono degli utili parametri per capire cosa probabilmente avverrà nel medio/breve periodo. È il caso di due indagini appena pubblicate relative a come le aziende andranno ad orientare i loro investimenti relativi ad internet.
La prima ricerca riguarda il Regno Unito ed è condotta annualmente da Guava e Econsultancy. In questo caso, il 45% dei marketers hanno dichiarato che incrementeranno i loro investimenti in paid search (solo l’11% invece li ridurrà), mentre il display advertising vedrà budget incrementati nel 24% dei casi (il 16% li taglierà). Da sottolineare che ben il 55% delle aziende conta di aumentare le risorse per la visibilità nei risultati standard dei motori di ricerca (SEO), contro un 6% che le diminuirà.
L’altra ricerca è quella di EIAA e concerne diversi paesi europei tra cui l’Italia. In questo caso, ben 7 aziende su 10 dichiarano che incrementeranno i loro budget in pubblicità online. Risorse che verranno detratte dalla TV (nel 37% dei casi), quotidiani (32%), riviste (46%). Indagando su quale strumento online verrà accresciuto maggiormente, spicca il paid search (64% degli intervistati).
Speriamo non siano solo auspici!
Sono sempre diffidente rispetto alle indagini di mercato quando realizzate attraverso domande sulle iniziative future degli intervistati. Nel settore della comunicazione, ad esempio, è frequente imbattersi in survey in cui si chiede agli investitori pubblicitari a proposito delle loro prossime scelte di pianificazione e sull’entità delle stesse. Il rischio è che le risposte siano più che altro degli auspici che non sempre vengono poi confermati.
Le indicazioni di tali ricerche sono comunque utili, specie se i dati sono confermati da più fronti e, quantomeno a livello relativo, offrono degli utili parametri per capire cosa probabilmente avverrà nel medio/breve periodo. È il caso di due indagini appena pubblicate relative a come le aziende andranno ad orientare i loro investimenti relativi ad internet.
La prima ricerca riguarda il Regno Unito ed è condotta annualmente da Guava e Econsultancy. In questo caso, il 45% dei marketers hanno dichiarato che incrementeranno i loro investimenti in paid search (solo l’11% invece li ridurrà), mentre il display advertising vedrà budget incrementati nel 24% dei casi (il 16% li taglierà). Da sottolineare che ben il 55% delle aziende conta di aumentare le risorse per la visibilità nei risultati standard dei motori di ricerca (SEO), contro un 6% che le diminuirà.
L’altra ricerca è quella di EIAA e concerne diversi paesi europei tra cui l’Italia. In questo caso, ben 7 aziende su 10 dichiarano che incrementeranno i loro budget in pubblicità online. Risorse che verranno detratte dalla TV (nel 37% dei casi), quotidiani (32%), riviste (46%). Indagando su quale strumento online verrà accresciuto maggiormente, spicca il paid search (64% degli intervistati).
Speriamo non siano solo auspici!
Disponibile gratuitamente l’edizione 2009 dell’Email Marketing Consumer Report, la ricerca condotta ogni anno da ContactLab, che quest’anno estende l’analisi alla Spagna oltre a rilevare i dati relativi all’Italia.
Molti i dati interessanti che fotografano l’utilizzo della posta elettronica:
- Almeno 420 milioni di e-mail ricevute ogni giorno in Italia dagli utenti Web
- 4 milioni di navigatori si collegano all’email anche attraverso device mobili
- Ogni utente è iscritto mediamente a 6,4 newsletter elettroniche
- Le donne ricevono nel giorno medio il 20% di messaggi e-mail in più rispetto agli uomini e sono iscritte a un maggior numero di mailing list
- Prevale la lettura delle email dal Web (80% in Italia, 75% in Spagna) rispetto all’uso di software specifici (tra i quali prevale Outlook)
Disponibile gratuitamente l’edizione 2009 dell’Email Marketing Consumer Report, la ricerca condotta ogni anno da ContactLab, che quest’anno estende l’analisi alla Spagna oltre a rilevare i dati relativi all’Italia.
Molti i dati interessanti che fotografano l’utilizzo della posta elettronica:
- Almeno 420 milioni di e-mail ricevute ogni giorno in Italia dagli utenti Web
- 4 milioni di navigatori si collegano all’email anche attraverso device mobili
- Ogni utente è iscritto mediamente a 6,4 newsletter elettroniche
- Le donne ricevono nel giorno medio il 20% di messaggi e-mail in più rispetto agli uomini e sono iscritte a un maggior numero di mailing list
- Prevale la lettura delle email dal Web (80% in Italia, 75% in Spagna) rispetto all’uso di software specifici (tra i quali prevale Outlook)
Riporto di seguito lo schema che riassume le stime di IAB Italia relative al valore della pubblicità online in Italia diviso per tipologia di strumento. La tabella riporta i dati (espressi in milioni di Euro) dal 2006 al 2009 con le relative variazione anno su anno.
I dati relativi al 2009, appena resi pubblici, sono basati sulle elaborazioni delle rilevazioni di Nielsen e ACP/Assointernet, a cui IAB ha integrato alcuni valori mancanti, in particolare a riguardo del Paid Search e dei Classified. Da segnalare che tale elaborazione è stata realizzata attraverso un confronto che ha coinvolto tutti i principali player del settore.
I dati che mi sento di sottolineare sono la continua crescita del Paid Search così come del Display Advertising (seppure in maniera ridotta), in un mercato pubblicitario generale, non dimentichiamolo, che prevede di chiudere il 2009 in forte regresso. Ancora limitati i volumi di Email advertising e Mobile advertising.
Personalmente ritengo che questi valori siamo quelli che meglio rappresentano il mercato pubblicitario online in Italia e senza dubbio quelli maggiormente comparabili con le rilevazioni fatte nelle altre nazioni. E non lo dico perché faccio parte del Consiglio Direttivo di IAB. Purtroppo, noto invece che molto spesso vengono segnalati dei numeri che rappresentano male o solo in parte i veri valori in campo, come se si volesse circoscrivere il settore su volumi più bassi (in cui magari il proprio market share risulti più marcato) del reale. Non dico certo di fare sovrastime (come ad esempio ho visto fare in altre nazioni assecondando un atteggiamento “grandeur”…) ma di rappresentare correttamente un mercato florido, che continua a crescere ma che ancora non occupa lo spazio adeguato nel marketing mix delle aziende.
Riporto di seguito lo schema che riassume le stime di IAB Italia relative al valore della pubblicità online in Italia diviso per tipologia di strumento. La tabella riporta i dati (espressi in milioni di Euro) dal 2006 al 2009 con le relative variazione anno su anno.
I dati relativi al 2009, appena resi pubblici, sono basati sulle elaborazioni delle rilevazioni di Nielsen e ACP/Assointernet, a cui IAB ha integrato alcuni valori mancanti, in particolare a riguardo del Paid Search e dei Classified. Da segnalare che tale elaborazione è stata realizzata attraverso un confronto che ha coinvolto tutti i principali player del settore.
I dati che mi sento di sottolineare sono la continua crescita del Paid Search così come del Display Advertising (seppure in maniera ridotta), in un mercato pubblicitario generale, non dimentichiamolo, che prevede di chiudere il 2009 in forte regresso. Ancora limitati i volumi di Email advertising e Mobile advertising.
Personalmente ritengo che questi valori siamo quelli che meglio rappresentano il mercato pubblicitario online in Italia e senza dubbio quelli maggiormente comparabili con le rilevazioni fatte nelle altre nazioni. E non lo dico perché faccio parte del Consiglio Direttivo di IAB. Purtroppo, noto invece che molto spesso vengono segnalati dei numeri che rappresentano male o solo in parte i veri valori in campo, come se si volesse circoscrivere il settore su volumi più bassi (in cui magari il proprio market share risulti più marcato) del reale. Non dico certo di fare sovrastime (come ad esempio ho visto fare in altre nazioni assecondando un atteggiamento “grandeur”…) ma di rappresentare correttamente un mercato florido, che continua a crescere ma che ancora non occupa lo spazio adeguato nel marketing mix delle aziende.
Sulla rivista cartacea del SES c’è un’intervista a John Gerzema, Chief Insights Officer di Young & Rubicam Group, il quale cita una non meglio specificata survey riguardo ai brand che ha coinvolto 2.500 aziende. Ebbene, ecco qualche numero:
- La brand awareness diminuisce del 20%
- La stima per i brand cala del 12%
- La percezione della brand equity scende del 24%
- Crolla del 50% la fiducia nei brand
Urgh!
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