Archivio: “Libri”

Se rimando ancora di recensire due bei libri letti negli ultimi mesi, rischio di scordarmene definitivamente. Per fortuna che ho mantenuto delle orecchie, ossia con le pieghe fatte alle pagine del libro, in modo che posso riprendere alcune note estratte dal testo.

  • Marketing ReloadedMarketing Reloaded di Boaretto, Noci e Pini. “Il marketing classico non appare più in grado di affrontare le sfide di mercato” principalmente per un’eccessiva enfasi sul prodotto. Nel modello di marketing reloaded, il marketing è parte integrante della strategia complessiva d’impresa e presuppone che il consumatore assuma un ruolo attivo. La marca viene identificata con l’esperienza che il cliente avrà con i molteplici punti di contatto (brand touchpoints), esperienza che assume significati diversi: conoscenza diretta, conoscenza derivata dai sensi, esercizio reiterato, nuove sensazioni e modificazioni interiori. Mentre nell’era industriale il cliente è visto come un obiettivo delle tattiche di informazione delle aziende, c’è invece un ritorno alla co-creazione di valore col cliente, così come avveniva nella società preindustriale in cui il prodotto finale era realizzato su commessa del cliente ad artigiani e bottegai. Cade la visione dei diversi canali di comunicazione come elemento di segmentazione: l’azienda deve invece mettere al centro i bisogni del cliente e raggiungerlo con i canali più adatti per lui.
  • Life after the 30-second spot, Joseph Jaffe Life after the 30-second spot di Joseph Jaffe. L’autore è stato tra gli speaker al Media Agency Days di Microsoft con un intervento che ha ripreso i temi del suo stimolante libro. C’è molta Madison Avenue nel testo, ossia è fortemente orientato al business pubblicitario negli Stati Uniti. Però ci sono spunti interessanti, a partire dalla notazione del ROE (Return on Experiment) che, secondo Jaffe, dovrebbe essere il parametro col quale affrontare i moderni progetti di comunicazione (Andrea, questa è la fonte da cui l’ho preso). Molto diretta l’affermazione che la frequenza pubblicitaria (cioè la ripetizione di un messaggio pubblicitario, detta anche pressione pubblicitaria) è semplicememente un segno di inefficienza, dato che teoricamente un messaggio e un prodotto ben fatti, dovrebbero diffondersi da soli dopo un solo passaggio. Jaffe manda al rogo tutte le note “P” del marketing e le rimpiazza con sette “C”: Content, Commerce, Community, Context, Customization, Conversation, Consumer.

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Immagini e linguaggi del digitale - Granelli/Sarno Di Andrea Granelli avevo letto Comunicare l’innovazione e l’avevo apprezzato. Con Immagini e linguaggi digitali, scritto insieme a Lucio Sarno, abbiamo un altro ottimo lavoro che va ad esplorare i cambiamenti (alcuni radicali) nei comportanenti dell’uomo per via della digitalizzazione dei contenuti. Non si parla solo di tecnologia, anzi, il contributo di Sarno che è un noto psicoanalista, si fa sentire e regala approfondimenti scientifici sulle nuove forme di espressione che stanno emergendo, principalmente attraverso il web.

Ho letto questo libro utilizzando come segnalibro un biglietto di Andrea Granelli che me l’ha donato con su scritto “Spero che la lettura ti intrighi”. Potendo contare su questo segnalibro, ho fatto delle piccole pieghe alle pagine per aiutarmi a tornare sui tratti che mi hanno maggiormente interessato. Come risultato, almeno una ventina di pieghe per fissare i molti elementi di riflessione e gli spunti… intriganti. Qui ne appunto alcuni.

  • L’importanza dell’analisi delle avanguardie, al fine di capire meglio cosa sta succedendo. Interessanti i richiami ai legami tra arte figurativa e linguaggio scritto, che arrivano a trasformare le frasi in pittura. Collegato a questo, c’è un’attenta riflessione su quanto il graffitismo popolare riesce a rappresentare alcune delle modalità di comunicazione dei giovani.
  • La ripresa della tesi mcluhaniana, secondo cui i media moderni sono sinestetici perché attivano diversi sensi proprio perchè “freddi” e quindi richiedono un intervento attivo del fruitore.
  • Le nuove topologie della mente (spunti che gli autori suggeriscono a fronte di una ricerca qualitativa anch’essa dettagliata nel libro): velocità, sincretismo, posizione attiva, estensione dell’orizzonete informativo, desiderio di inviare e ricevere messaggi, espressione della propria identità, memoria.
  • Lo sviluppo di forme di intimità condivisa virtualmente, prende il posto dell’intimità reale; dall’ignorarsi nel reale all’intimità nel virtuale.
  • Le nuove tecnologie digitali potenziano l’uomo nelle sue facoltà intellettive e relazionali ed in questo contesto i siti personali saranno un elemento chiave. Un dato correlato: già nel 2000, nei soli Stati Uniti la quantità di film amatoriali è stata doppia rispetto ai programmi sviluppati per la televisione.
  • Uno dei problemi che deriva dai sistemi digitali è la tutela e la salvaguardia del patrimonio culturale digitale, a tal punto che l’Unesco, già dal 2004, la ritene una delle urgenze del nostro tempo, considerando che ormail il 90% dell’informazione nasce digitale.

Il 23 maggio il libro sarà presentato a Milano durante un Meet The Guru. Segnalo anche la recensione di Luca De Biase e il pezzo dello stesso Granelli su 7th Floor in cui lo stesso autore auspica un dialogo che “arrivi a definire una nuova metodologia per la comprensione e l’uso consapevole (ed efficace) dei nuovi media digitali”.

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Mi è capitato spesso di lavorare il primo di maggio. Quest’anno no. Giornata bucolica la mattina a vedere un concorso equestre. Ho incontrato vecchi amici con la quale abbiamo scoperto non solo di avere in comune il fatto di aver lavorato nella stessa banca, ma anche di averla lasciata, pur se in epoche diverse. Io feci da apripista e a cosa fece un certo scalpore: parliamo di vent’anni fa e la mobilità non era una faccenda usuale.

Playlist di Luca Sofri Pranzo in una trattoria del paesello e pomeriggio di relax ad ascoltare vecchia musica rock, aiutato da Playlist di Luca Sofri. Se mi metto a giocare col libro di Sofri al “ce l’ho, ce l’ho, mi manca” di fanciullesca memoria, faccio passo solo su qualche artista più oscuro, ma per il resto li conosco tutti. Playlist mi ha ricordato quando mi divertivo proprio a fare “le cassette”, ossia delle selezioni di brani prese dai dischi miei o da quelli che giravano in radio (ho mai detto che facevo il deejay? ok, ora l’ho detto).

Playlist mi piace perché racconta i brani come si farebbe con un amico, cercando di trasportare emozioni e suggestioni senza fare critica musicale. Certo qualcosa manca e invece non si capisce bene che c’azzeccano alcuni artisti vicino a leggende musicali, però è il bello della soggettività, no?

Leggendo Playlist, mi è anche venuto in mente di non aver ancora copiato sull’iPod alcuni CD messi in uno scaffale separato da dove tengo tutti gli altri perché di formato diverso. E così è rispuntato il cofanetto con una copia per collezionisti dello splendido Luck of The Draw di Bonnie Raitt con la straordinaria I Can’t Make You Love Me.

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Luci e ombre di Google - IppolitaMi aspettavo un libro diverso per via del titolo che, secondo me, tradisce il vero contenuto di Luci e Ombre di Google disponibile su Ippolita.net. Il testo non scopre nessun particolare segreto riguardo Google e neanche graffia pià di tanto, tuttavia approfondisce alcuni temi importanti. Tra questi, i problemi che derivano dall’accentramento di informazioni nelle mani di un player principale e, soprattutto, il potere qualitativo che viene assegnato all’ordinamento dei risultati di ricerca.

Diciamo che quasi tutte le crtitiche addotte a Google, in realtà potrebbero riguardare tutti i motori di ricerca e molti altri servizi online. Chiaramente il focus su Google deriva dalla sua netta posizione dominante nel mercato e nell’immaginario collettivo, oltre al fatto che in molti (hacker compresi) sono stati sedotti da un’azienda indubbiamente affascinante che poi si è semplicemente rivelata un’azienda che fa business.

Il libro, edito da Feltrinelli e disponibile anche online con licenza Creative Commons di tipo copyleft, contribuisce al dibattito sul limite fiduciario che è giusto assegnare ad una media-technology company come Google e, in definitiva, mi sembra che esorti all’attenzione e stimoli la consapevolezza che non esiste (e forse non esisterà mai) un “motori di ricerca perfetto”, in cui l’accezione “perfetto” si riferisce non solo al servizio di ricerca ma all’azienda stessa ed ai suoi principi morali ed etici.

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La parte abitata della Rete - Sergio Maistrello Nulla da dire: “La parte abitata della Rete” di Sergio Maistrello è un libro da leggere. Chiaramente chi è già avvezzo di blog, social networking e web 2.0 si troverà a casa sua, senza però mai incontrare ovvietà o sensazionalismi. Invece, i neofiti potranno scoprire o approfondire temi articolati e, a volte, complessi ma sempre trattati con spirito divulgativo usando un plain italian.

Per quanto mi riguarda, leggere la bibliografia e la sitografia è una specie di gioco al “cel’ho, cel’ho, mi manca” e nasconde qualche bella sorpresa.

Magari Sergio ci rimane male  ma il capitolo che vorrei segnalare come top è l’ultimo, chiamato per l’appunto Conclusioni, ed in particolare la parte che racconta e si interroga del fatto che sul suo blog ha condiviso la nascita di suo figlio. Bellissimo! Passionale ma tremendamente saggio. Sarà che mi sono trovato anch’io a farmi certe domande (anzi, nel mio caso… me l’hanno poste direttamente i miei ragazzi).

Buona lettura!

P.S. mi ero dimenticato di augurare che il libro arrivi presto alle seconda edizione, sia perché lo merita, sia perché… magari sarà possibile correggere una citazione ad un mio post (che ovviamente mi fa molto piacere) fatta però a Mario Lupi  

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Il precedente libro di Jonas Ridderstrale e Kjell Nordstr


Alberto Alesina insegna ad Harvard, Francesco Giavazza alla Bocconi; entrambi sono autori di numerosi saggi, libri, articoli. Giavazzi è stato anche consigliere economico del governo D’Alema (1998-2000). Queste note per inquadrare gli autori di questo testo importante e, purtroppo, realistico.

Goodbye Europa” è un libro snello, essenziale, che esprime indicazioni che a me paiono concrete. Il saluto all’Europa deriva dalla schietta e documentata rappresentazione di un evidente declino economico e politico del nostro continente, in cui peraltro l’Italia fa la parte di quelli messi peggio.

Ho avuto modo di ascoltare gli autori in un incontro oragnizzato da Ruling Companies (ne avevo parlato qui) che ho scoperto essere stato registrato integralmente da Radio Radicale.

I punti essenziali approfonditi nel libro sono riassunti nell’appello agli europei che conlude il lavoro:

  1. Liberalizzazione dei mercati e dei servizi
  2. Liberalizzazione del mercato del lavoro
  3. Immigrazione (Green Card Europea)
  4. Università e ricerca (rette per gli studenti e più borse di studio, privatizzazione)
  5. Sistemi giudiziari e i costi per aprire un’impresa
  6. Conti pubblici (taglio della spesa pubblica)

Gli assunti da cui partono gli autori sono evidentemente riconducibili ad un moderno capitalismo, che prende spunto in primis dall’esempio americano. Lo fanno in modo disincantato e senza curarsi del fatto che per molti, basta il solo termine “america” per ricondursi esclusivamente agli sterotipi del Bush-pensiero. 

In un certo senso, “Goodbye Europa” si contrappone al bellissimo Il sogno europeo  di Jeremy Rifkin nel quale l’autore (americano) guarda all’Europa come esempio in grado di ambire alla felicità delle persone piuttosto che al PIL. Solo che in questa fragile Europa, i saggi ma anche utopici propositi ci stanno portando al declino, almeno per cono sono applicati. Il risultato è un welfare state insostenibile, un dirigismo antistorico, garanzie esagerate sul lavoro e sulle rendite delle corporazioni, scarsa propensione all’innovazione e al rischio d’impresa, ecc.

Non oso semplificare e credere che le tesi di Alesina e Giavazzi possano risolvere tutti i nostri problemi, però “Goodbye Europa” fornisce una semplice lista delle priorità senza perdersi in chiacchiere retoriche. Qualcuno le saprà/vorrà ascoltare?

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Qualche segnalazione accumulatasi in questi giorni:

  • Per cavalleria inziamo da Charlene Li, la nota analista di Forrester, che insieme a Josh Bernoff ha iniziato a scrivere un libro. Sembra ormai diventata normale la seguente prassi: a) si decide di scrivere un libro, b) si apre un blog specifico, c) si annuncia la cosa in gran pompa, d) si avviano le prenotazioni su Amazon. Ah, si, poi bisogna pure scriverlo
    Il titolo del libro dichiara sapentiemente il suo contenuto: “The Groundswell: how people with social technologies are changing everything”.
  • Il 19 gennaio a Roma ci sarà l’incontro “Il Web 2.0 e lo scenario italiano- a che punto siamo” presso la FNSI (Federazione Nazionale della Stampa). Partecipazione libera e aperta a tutti. Interessante l’elenco rei relatori. Cercherò di passare anch’io: mi lamento spesso che la maggior parte degli eventi sulla comunicazione si fa a Milano e, per uno che si tiene a Roma non mi posso permettere di mancare
  • Alla ricerca della Torino Wireless è un lavoro che sta curando Vittorio Pasteris per La Stampa; utilizzando Google Maps, hanno mappato i punti wi-fi nella città: cool!
  • Lele Dainesi si lancia nel video iniziando una serie di quattro puntate che racconterà il 2006 sul blog di Nòva. L’apertura della serie è dedicata ai video più importanti circolati online. Superata da tempo immemore l’umana “paura del microfono”, Lele inizia a trovarsi a suo agio anche davanti alla telecamera: se solo fermasse le mani…


A prima vista questo libro si presenta come una semplice raccolta di interviste; in effetti i due autori di Blog! hanno proposto una serie di testimonianze di altrettanti personaggi i quali, in un modo o nell’altro, hanno a che fare con i blog.

Man mano che si legge, si percepisce invece un progetto d’insieme, un’alternanza di voci che non sono state chiamate a testimoniare a favore della “causa blog” ma a riportare invece un punto di vista specifico.

Ecco, l’abilità degli autori è stata quella di cogliere le diverse inquadrature dei blog, catturate da punti di osservazioni differenti. 25 le interviste tra le quali quelle a Joe Ito, Jonathan Schwartz e John Battelle nel capitolo Economia e Finanza,  Arianna Huffington e Jeff Jarvis in Media e Cultura.

Tra i pensieri che mi sono annotato c’è quello di Paul Saffo, direttore dell’Institute for the Future, per cui ”leggere i blog è come possedere una sfera di cristallo”. Saffo si sofferma sulla classica critica fatta alla blogosfera riguardo la presenza di molti contenuti di poca qualità. Facendo una retrospettiva di alcuni differenti momenti storici, propone una serie di esempi ricordando, ad esempio, che ai tempi di Mozart e Salieri c’erano anche pessimi compositori; ci siamo scordati di loro perché erano semplicemente autori scadenti. Saffo in pratica ritiene che sia inevitabile la presenza di rumore nell’ambito di una proliferazione dei contenuti come quella che sta riguardando la blogosfera; il punto è soffermarsi su quanto di buono e originale viene prodotto, rispetto a quanto verrà presto dimenticato.

Merita la segnalazione anche un passaggio dell’intervista a Jason Calcanis, in particolare sull’argomento “a quali aziende può essere utile un blog?” Schietto come sempre, Calcanis risponde:

“Se i vostri clienti vi odiano, il vostro blog sarà come un alcolista che cerca di fare terapia di gruppo quando è ubriaco. Terrificante.”

Molto interessante un piccolo saggio di uno degli autori, David Kline, che cerca di individuare i perché delle persone a bloggare. Secondo Kline, le motivazioni principali sono da cercare nel rapporto che ha l’individuo con la società moderna, “nel senso di alienazione, nella mancanza di potere, nello schiacciante anonimato che soverchia la vita quotidiana“. Con i blog esprimiamo noi stessi. “Bloggo quindi sono”, conclude Kline.

In definitiva, Blog! è davvero un buon libro con spunti interessanti e concreti sul significato e sull’importanza dei blog. Per questo, l’unica nota stonata è l’introduzione di Beppe Grillo, che  ho trovato fuori luogo proprio perchè tutta protesa ad affermare enfaticamente che nel mondo c’è una rivoluzione in atto per via dei blog, che i vecchi media sono finiti, ecc. Mah!

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Questo post parla di libri. Libri regalati, presentati, pubblicizzati, pubblicati. Insomma, ce n’è per tutti.

Libri regalati/1 – L’avevo già accennato del fatto che Luca Conti mi ha gentilmente donato e autografato "Motori di ricerca al 100%", libro scritto insieme a Tiziano Fogliata. In questi giorni ho saputo che dietro la casa editrice che ha pubblicato questo libro, c’è Fausto Gimondi, che conobbi tanti anni fa quando era il responsabile editoriale di Virgilio (qui un’intervista del 1998). In realtà Fausto, da quello che ho capito, dovrebbe coordinare tutte le attività del gruppo RGB, tra cui gli interessanti Scritto Misto e Area51.

Libri regalati/2 – Qualche giorno fa mi è anche arrivato il libro di Marco Fontebasso di Biquadra, pubblicato da Tecniche Nuove. Spiega tutto il titolo: "Come si fa a promuovere con Google". Ottimo che il libro sia accompagnato da un sito (con estratti di alcuni capitoli) e da un blog. Per i non addetti ai lavori, il titolo potrebbe sembrare strano: se capitasse nelle mani di un insegnante potrebbe pensare che adesso serve Google (anche) per promuovere gli alunni ;-)

Libri presentati – La scorsa settimana sono stato alla presentazione organizzata da Ruling Companies del libro "Goodbye Europa", un testo importante, ambizioso, che si pone di indicare "le strategie per arrestare il declino europeo". Gli autori, Alberto Alesina e Francesco Giavazzi, sono due economisti molto autorevoli e scrittori affermati; il primo insegna ad Harvard, l’altro alla Bocconi. Ho iniziato a leggere da poco il libro (peraltro in contemporanea con altri due) ed emergono i temi affrontati nella serata di presentazione: ricette semplici ma interessanti che si contrappongono alla complessa e praticamente irrealizzabile Agenda di Lisbona, attraverso l’esame dei motivi che caratterizzano alcune nazioni virtuose, almeno sul piano della crescita, come gli Stati Uniti ed alcuni paesi del nord Europa.

Libri pubblicizzati – Una simpatica mail mi annuncia il blog SevenFishesblog.com che prende spunto dal libro Feast of the Seven Fishes che intende pubblicizzare. E’ un testo a fumetti per grandi, dedicato alle tradizioni culinarie delle famiglie italo-americane, argomento trattato anche dal blog. Non mi intendo di cucina, specie quando è scritta in inglese, però sembra interessante e divertente. Di certo, la mail che mi hanno inviato è un ottimo esempio di come chiedere una citazione in modo originale e azzeccato. Ed infatti… ha funzionato!

Libri pubblicati – In realtà non si tratta di un libro in particolare, ma mi piaceva segnalare il nuovo blog della casa editrice Hoepli che ho scoperto attraverso Mlist. Durante IAB Forum ho conosciuto Matteo Ulrico Hoepli che poi mi ha mandato una bella email. Grazie!


“La Società Digitale ”, l’ultimo libro di Giuseppe Granieri, l’ho terminato sotto l’obrellone di una spiaggia del Gargano in qualche giorno dello scorso agosto, un momento che sembra così lontano temporalmente ma soprattutto distante dal quotidiano che sta schiacciando l’accelleratore…

Questo per dire due cose: a) non sono riuscito finora a recensire il libro di Giuseppe e, per fortuna, b) mi ritrovo in gran parte con la profonda analisi di ZetaVu, per cui mi sono il lavoro già fatto ;-)

Vorrei però non limitarmi ad un semplice rimando alla recensione di Vittorio, per cui aggiungo due parole legate al mio tradizionale punto di osservazione: il rapporto tra i network digitali ed il mondo delle aziende.

Mi sono posto una semplice domanda: se regalassi “La Società Digitale ” ai miei clienti (potenziali e non), aumenterei o meno le probabilità di sensibilizzarli ai blog, agli user generated content, ecc.? Non ho dubbi: la reazione tipica potrebbe essere “Lupi, grazie del pensiero, l’argomento è interessante… solo che la mia azienda è così indietro…”. Voglio dire che siamo ancora a trattare le robe legate ad internet guardando solo quello che sta per succedere. Questo poteva andare 5 o 10 anni fa: oggi internet è già tra noi. Si evolverà ancora, naturalmente, ed anche in modo radicale. Ma le aziende vogliono sentir parlare innanzitutto di quello che c’è oggi, compresi i problemi, le difficoltà, i rischi, le vere dimensioni in termini di audience e di influenza dei network. Le opportunità sono già qui, anche per le aziende che credono di “essere indietro”…

Insomma, è unlibro da leggere,ma occhio a chi lo regalate! ;-)

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“La Società Digitale ”, l’ultimo libro di Giuseppe Granieri, l’ho terminato sotto l’obrellone di una spiaggia del Gargano in qualche giorno dello scorso agosto, un momento che sembra così lontano temporalmente ma soprattutto distante dal quotidiano che sta schiacciando l’accelleratore…

Questo per dire due cose: a) non sono riuscito finora a recensire il libro di Giuseppe e, per fortuna, b) mi ritrovo in gran parte con la profonda analisi di ZetaVu, per cui mi sono il lavoro già fatto ;-)

Vorrei però non limitarmi ad un semplice rimando alla recensione di Vittorio, per cui aggiungo due parole legate al mio tradizionale punto di osservazione: il rapporto tra i network digitali ed il mondo delle aziende.

Mi sono posto una semplice domanda: se regalassi “La Società Digitale ” ai miei clienti (potenziali e non), aumenterei o meno le probabilità di sensibilizzarli ai blog, agli user generated content, ecc.? Non ho dubbi: la reazione tipica potrebbe essere “Lupi, grazie del pensiero, l’argomento è interessante… solo che la mia azienda è così indietro…”. Voglio dire che siamo ancora a trattare le robe legate ad internet guardando solo quello che sta per succedere. Questo poteva andare 5 o 10 anni fa: oggi internet è già tra noi. Si evolverà ancora, naturalmente, ed anche in modo radicale. Ma le aziende vogliono sentir parlare innanzitutto di quello che c’è oggi, compresi i problemi, le difficoltà, i rischi, le vere dimensioni in termini di audience e di influenza dei network. Le opportunità sono già qui, anche per le aziende che credono di “essere indietro”…

Insomma, è unlibro da leggere,ma occhio a chi lo regalate! ;-)

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Generazionemilleeuro Uno degli ultimi weekend passati sotto un’ombrellone è stato l’occasione per leggere tutto d’un fiato “Generazione mille euro”, scritto da Antonio Incorvaia e Alessandro Rimassa. È una lettura semplice di per sé, che però mi ha ricordato il realismo del miglior cinema italiano: storie che fotografano la realtà quasi a sembrar banali e che invece aiutano, anzi costringono, a riflettere su argomenti non da poco.

Qui si descrive la precarietà professionale nel settore dei servizi, in particolare in quello legato alla comunicazione pubblicitaria. Chiunque lavori in questo ambiente potrà sicuramente riconoscere nei quattro personaggi del libro molti colleghi, amici o magaro loro stessi.

Le storie sembrano così vere da apparire autobiografiche. Per cui calza a pennello anche il blog (adesso in vacanza) mantenuto da Claudio, Rossella, Alessio e Matteo, i quattro protagonisti di “Generazione mille euro”.

Di questo libro avevo letto velocemente qualcosa alcuni mesi fa (ha avuto anche un eco internazionale). Mi è tornato in mente durante l’ultima selezione per una posizione in Ad Maiora, durante la quale praticamente l’80% dei candidati che ho conosciuto aveva un co.co.co. o simile. A volte neanche quello… Sia chiaro, come imprenditore sono favorevole ad una certa flessibilità nel lavoro, solo che non condivido né apprezzo quelle aziende che fanno del turnover di stageur e precari la loro strategia sul personale. E poi si vantano pure di avere uno staff decine di collaboratori… Mah.

Non approfondisco il discorso perché non ho competenze per valutare il mondo del lavoro nel suo complesso. Inoltre cerco di applicare sul campo determinati punti di vista. E poi questa doveva essere una recensione di un libro… ;-)

Libro che consiglio senz’altro. Anche il sito è simpatico.


Il Sole24Ore di oggi riporta i primi risultati di una ricerca svolta da un gruppo di economisti e commissionata dall’Associazione Italiana Editori, che sembra dimostrare come la lettura dei libri rafforzi lo sviluppo complessivo del Paese e quindi il PIL.


Sappiamo che l’Italia non è messa molto bene come indice di lettura. Spendiamo in media 65 Euro pro-capite l’anno in libri e, in Europa, ci battono quasi tutti gli altri: Norvegia (208 Euro), Germania (185), Finlandia (155), Svezia (123), Regbo Unito (112), Spagna (92), Francia (72).


Sul lato business la faccenda è sconcertante: dirigenti e liberi professionisti destinano solo lo 0,6% del proprio reddito in libri e oltre la metà di loro non ha letto nessun libro negli ultimi 12 mesi. Paolo lo chiama “Gutemberg divide”.


L’AIE sta per proporre una serie di iniziative al Governo per favorire e incentivare la lettura dei libri. Ottima cosa.


In Ad Maiora, alcuni anni fa, ho ideato un’iniziativa chiamata “Leggere è benessere”. Ne ho già parlato ma ci torno sopra perché spero possa essere da esempio ad altre aziende che vogliano favorire la lettura di libri. Funziona così: ogni collaboratore Ad Maiora può richiedere che l’azienda compri qualsiasi libro gli interessi, a condizione che:

  • almeno la metà dei libri da acquistare riguardi argomenti attinenti al business dell’azienda

  • prima di ordinare un altro libro, è necessario aver scritto una dettagliata recensione di quello letto

A conti fatti, l’investimento complessivo è abbastanza contenuto, la biblioteca che si è sviluppata è ricca e interessante, la stimolazione alla lettura c’è stata veramente, pur con alcuni distinguo. Chi legge libri abitualmente è ovviamente molto contento dell’iniziativa. Quelli che non leggono mai nulla, probabilmente continueranno così (purtroppo). Il vero obiettivo è motivare le persone a cui serve il classico calcio nel sedere; magari non saranno ottimi recensori e leggeranno i testi che altri hanno già descritto, ma l’importante è stimolare la lettura.


Ok, noi siamo un’azienda piccola (26 persone) ed è stato facile organizzare “Leggere è benessere”. Però credo che un’applicazione su team più grandi possa risultare ugualmente interessante. Perché non ci pensate per la vostra azienda? No, no, non chiedo royalty, però fatemi sapere se sviluppate qualcosa.


Blogmarketing Se vi piacciono le guide pragmatiche e poco chiacchierose, Blog Marketing è un buon libro che analizza tutti i principali argomenti legati ai business blog, soprattutto quelli di tipo tattico (“come fare”) piuttosto che strategico, e qui sta la migliore caratteristica del testo. Si va subito al sodo: come usare un blog per l’azienda, i tipi di blog che funzionano meglio, gestire i commenti negativi, alimentare la partecipazione, ecc.

Giusto nel capitolo sulla classificazione dei blog l’autore se ne va per metafore un po’ forzate (c’è il blog-barbiere, il blog-ponte, il blog-pub e così via), ma per il resto si tratta di un libro ordinato e scritto in plain english.


Nakedconversations Chiunque si occupa di comunicazione in azienda dovrebbe leggere questo libro. Non solo perchè copre la maggior parte degli aspetti legati ai blog visti in ottica business, ma perché lo fa in modo disincantato e attraverso molti casi concreti e testimonianze da tutto il mondo.

Il testo di Scoble e Israel risponde anche ad alcune delle domande classiche sui rischi connessi ad aprire un business blog e alla gestione degli eventuali commenti negativi. Indubbiamente i due autori sono molto entusiasti dei blog e Scoble in particolare è uno dei più noti ed influenti blogger al mondo, ma Naked Conversations è equilibrato e riporta anche svariate opinioni contrarie a quelle degli autori.

Il tema della “cultura” ritorna spesso nel libro, sia quella aziendale (se la “cultura” d’impresa è chiusa è meglio non aprire un blog), sia quella territoriale quando si fa riferimento, ad esempio, ai numerosi casi francesi rispetto ai più rari nel resto dell’Europa.

Interessante una delle riflessioni conclusive, nella quale affermano che l’indicazione ricevuta da molte delle cento persone ascoltate nel preparare il libro è quella di considerare i blog come un fenomeno evolutivo e non rivoluzionario e, inizialmente, si sono attenuti a questa linea; tuttavia, proprio analizzando l’esperienza di tanti casi aziendali, hanno potuto verificare che i blog stanno davvero rivoluzionando il modo di porsi delle aziende nei confronti del mercato tutto.

Non so se è una specie di deformazione professionale, ma leggendo Naked Conversations mi è sembrato di cogliere proprio lo stile ed il mood dei migliori blogger: semplice, efficace, schietto. Così come il modo di porsi non è assolutista ma piuttosto orientato ad offrire un contributo, un punto di vista. Ed è trasparente che il lavoro di Scoble e Israel nasce da un confronto sul campo con decine di persone diverse per cultura e professione, dalle quali scaturiscono testimonianze concrete su quanto già oggi sono cruciali i blog per le aziende.

Consigliatissimo il libro, così come il sito.

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Hewitt è un personaggio molto noto negli Stati Uniti: conduce un popolare programma radiofonico, scrive per il New Yok Times, ha ricevuto tre Emmys… insomma, uno di quelli che se apre un blog puoi scommetterci che diventa subito molto popolare. Ed in effetti così è stato, ed il suo hughhewitt.com ha decine di migliaia di visitatori al giorno.

Blog - Hugh Hewitt Siccome Hewitt scrive anche libri, ne ha realizzato naturalmente uno sui blog, ma con un risultato che non mi è sembrato gran che. Metà del libro è incentrato nel descrivere come i blog diffondono e amplificano il pensiero politico negli Stati Uniti, con un minuzioso dettaglio delle discussioni tra i pricipali blogger democratici e repubblicani. Altro spazio esagerato è dedicato all’inquadrare i blog come evoluzione della scrittura, facendo tutavia un piccolo trattato storico attorno all’invenzione di Gutemberg. Vada per inquadrare l’argomento in un contesto, ma qui si è esagerato.

Insomma, metà del libro è ripetitivo e, almeno per i miei interessi, piuttosto inutile. Il resto è una celebrazione dei blog fatta da un’autore sicuramente “votato alla causa” ed entusiasta dello strumento, ma che risolve la questione in un semplice “ognuno di noi deve aprire un blog, adesso!”. Hewitt scrive da signore di mezza età (abbondante) e le sue conclusioni sembrano più delle pacche sulle spalle che dei ragionamenti razionali e illuminati.

L’unica parte interessante, riprende un’intuizione di Sifry di Technorati, sul fatto che anche i blog non popolarissimi possono essere considerati parte di un una coda che si muove di concerto con tanti altri blog e che, vista come insieme, assume un rilievo ed un’importanza fondamentale.

Intanto ho iniziato a leggere Naked Conversation ed tutta un’altra musica.


Avevo terminato di leggere questo libro già da qualche settimana, ma preso da altri testi e da un backlog niente male, non avevo ancora avuto modo di recensirlo. Ora mi sono deciso.

LevostreideeLe vostre idee cambieranno tutto!” è un bel nome ed anche il sottotitolo non è male: "Il valore delle piccole idee". Il libro, scritto da Isaac Getz e Alan G.Robinson, tratta in dettaglio i Sistemi di Management delle Idee (SMI), ossia quelle procedure aziendali che gestiscono le idee dei dipendenti e del management. Dal modo con cui stimolarle a come incentivarle, a come valutarne l’efficacia.

Alla base di uno SMI dovrebbero esserci alcuni elementi chiave: il coinvolgimento della direzione, la rapidità nell’applicazione delle idee, la realizzazione e la gratificazione degli ideatori. Gli autori descrivono diversi casi aziendali e di come uno SMI è stato implementato bene o male. Si tratta di esempi soprattutto di strutture industriali, mentre alle società di servizi è riservato poco spazio perché, a detta degli autori, è meno facile strutturare un sistema aticolato per la gestione delle idee per chi eroga servizi.

Il libro ha delle indicazioni interessanti e descrive alcuni modi di stimolare e organizzare le idee che non conoscevo. L’ho trovato però troppo razionale e pragmatico nel ricondurre la gestione delle idee ad un processo totalmente definito. Lo so, noi latini associamo la parola #147;idea” a “creatività”; per gli anglosassoni è invece “l’indicazione per migliorare un prodotto o un processo”. Ad ogni modo, nel testo ho trovato qualche spunto per capire meglio come stimolare le idee o, ancor meglio, a come renderle action piuttosto che ipotesi astratte.

Condivido l’opinione degli autori nel mettere in guardia da quello che chiamano il “jackpot dell’innovazione”, ossia la continua ricerca “dell’idea del secolo” in luogo di lavorare sulle idee che permettono, molto più concretamente, dei miglioramenti incrementali sui prodotti attuali.

Bruttina la traduzione del libro; c’è addirittura un intero paragrafo con tutti gli articoli errati. Probabilmente chi di dovere pensava al jackpot e non a migliorare il suo lavoro quotidiano ;-)


Search MeSearch Me è un piccolo libro che tratta di Google dal punto di vista del brand. L’autore è inglese e ha lavorato per Interbrand a Londra prima di avviare una sua agenzia. Il testo non è male: è interessante per analizzare Google dal punto di vista del valore e dell’impatto del brand in senso lato. Quindi l’aspetto emozionale fino al lettering del logo. In qualche modo risponde alla domanda che ci si fa quando si cerca di analizzare l’incredibile successo di Google in così poco tempo, e cioè quanto sia dovuto al fatto di “essere Google” piuttosto che al valore intrinseco dei suoi servizi.

Nel libro si trovano alcune riflessioni abbastanza scontate ancorché veritiere (“Non puoi avere un grande brand senza avere un prodotto che vuole la gente”), ma anche delle conclusioni ben argomentate che potrebbero essere di utilità a molte aziende, ad esempio la testimonianza che il "word of mouth" è meglio della pubblicità, oppure l’importanza di espletare in modo chiaro e comprensibile i valori che si vuole associare ad un brand.

L’autore evidenza anche qualche alert e qualche perplessità su un paio di fattori: l’eccessiva identificazione di Google con il triunvitato che la guida (i due founder più il CEO) e la rischiosa diversificazioni in mille servizi e applicazioni non sempre collegate tra loro e coerenti con la mission iniziale, situazione che potrebbe diluire il valore di Google in termini di percezione del brand e di associazione ad elementi positivi.

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The Search - John BattelleIl sottotitolo di The Search ne spiega piuttosto bene il contenuto: “come Google e i suoi rivali hanno riscritto le regole del business e trasformato la nostra cultura”. Sembra un incipit enfatico e votato al sensazionale, ed invece c’è da concordare con Battelle: i motori di ricerca hanno mutato l’accesso alle informazioni e, di conseguenza, a tutto il business basato su di esse (cioè praticamente qualsiasi business). Il testo non segue un percorso schematico ma è senz’altro piacevole da leggere; non dimentichiamo che Battelle è stato l’editor di Wired ed il fondatore di The Industry Standard, e The Search conferma senz’altro che è uno che sa scrivere.


Un misto di soddisfazione e stupore mi ha colto leggendo The Database of Intentions, il capitolo col quale si apre il libro e nel quale Battelle descrive l’impressionante mole di informazioni che piovono sui motori di ricerca. Sono le “intenzioni” espresse dagli utenti ogni volta che fanno un’interrogazione; e ogni query rappresenta un bisogno, un interesse. Beh, realizzare analisi di mercato attraverso lo studio delle query, è una cosa che in Ad Maiora abbiamo iniziato a fare dal 2002 e che continuiamo a perfezionare. In questi anni mi sono sempre chiesto se ero matto io oppure se ero solo un po’ in anticipo sui tempi. Vedendo anche l’eco che iniziano a suscitare i vari Google Zeigeist e Yahoo! Buzz, opterei per la seconda ;-) E pensare che il precursore, Lycos 50, esiste da quasi sette anni e non se lo sono mai filato gran che. Però il 2006 è l’anno buono e vedrete che anche noi tireremo fuori qualcosa di “importante” nell’analisi del Database of Intentions. Ma torniamo al libro.


Oltre a descrivere i meccanismi che, usando le parole di Tim Armstrong di Google, hanno trasformato il search da un centro di costo ad un centro di profitto, Battelle prova ad immaginare le possibili applicazioni future di quello che oggi chiamiamo “search”, confermando l’opinione diffusa di un’evoluzione che supererà i confini del web e si sposterà su device e contesti diversi.


Interessante la riflessione secondo cui l’informazione (indipendentemente dal modo in cui vi si accede) inizia ad essere valida solo se condivisibile all’istante con altre persone. Il “link” diventa quindi un attributo che ne caratterizza l’accettazione e l’utilizzo. L’autore chiaramente segnala che questo sconvolge i meccanismi che attualmente regolano i media, e in particolare chi gestisce le “news”, ma daltronde sembra un processo irreversibile.


Da segnalare infine un esaustivo percorso cronologico della storia dei motori di ricerca, soprattutto dal momento in cui GoTo (oggi Overture/Yahoo!) inventò il mercato del keyword advertising. Un po’ di amarcord per chi quegli anni li ha vissuti intensamente.

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Strategia Oceano BluAvevo sentito parlare da tempo del clamoroso successo internazionale di “Strategia Oceano Blu”; poi ho avuto modo di ascoltare Renée Mauborgne (coautrice del libro insieme a W. Chan Kim) durante il World Business Forum lo scorso settembre e l’acquisto del libro è stato immediato.


Sono particolarmente attratto dalle analisi di punti di osservazione innovativi riguardo al business ed in genere a tutto quello che gli americani chiamano il pensare “out of the box”. Mi ha sempre aiutato (e non solo professionalmente) forzarmi a guardare le cose partendo da angoli diamentralmente opposti a quelli abituali. A volte si ritorna al punto d’origine, a volte si scoprono idee interessanti e innovative o semplicemente aspetti diversi da quelli canonici. Ed è questo il principio base che anima il libro: lo stimolo a guardare oltre le normali consuetudini di business.


La maggior parte delle aziende opera in un Oceano Rosso, fatto di competizione diretta con le altre aziende, nel quale le leve competitive utilizzate sono il prezzo, le migliorie sul prodotto, la pubblicità, ecc. Modelli tradizionali sui quali si guerreggia ognuno nel suo mercato. Gli autori hanno invece strutturato una strategia in base alla quale, le aziende possono andare verso un Oceano Blu, creando di fatto un nuovo scenario competitivo.


In pratica, il modello suggerisce di analizzare le “innovazioni di valore” che possano contribuire a posizionare l’azienda su un livello differente rispetto agli altri competitor. Vanno inoltre studiati i confini del mercato attuale, per verificare se è possibile operare in mercati attigui o correlati.


Uno degli esempi citati che meglio rende l’idea, è quello del Cirque du Soleil che ha rivoluzionato il settore dei circhi negli Stati Uniti, un settore peraltro in crisi da tempo. L’idea vincente è stata quella di togliere quello che creava ostacoli (ad esempio, gli animali) ed inserire elementi nuovi che hanno allargato la sfera di interesse dei clienti andando ad acquisirli anche da altri settori (il teatro in questi caso).


La teoria può sembrare ovvia, ma l’esame dei casi di successo presentati nel libro, testimonia che non sono poi molte le aziende che hanno creato un Oceano Blu. La maggior parte continua ad operare in un Oceano Rosso ove i margini continuano a ridursi e di consueguenza le certezze per un futuro roseo.


Il libro è molto piacevole, lineare nell’analisi di tutte le fasi della costruzione e del mantenimento di un Oceano Blu ed è scritto senza particolari tecnicismi di management. Vivamente consigliato.

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Comunicarelinnovazione_1 Ho iniziato a leggere Comunicare l’innovazione, il libro curato da Andrea Granelli, proprio in un periodo in cui sto seguendo con attenzione le nuove modalità di produzione dei contenuti da parte delle aziende. E mi è stato di conforto constatare come alcune idee che mi son fatto su come stanno andando le cose, trovano molte conferme in questo libro.

Si parte da un assunto, sintetizzato già nell’introduzione da Luca Cordero di Montezemolo: “Un’impresa competitiva è un’impresa che innova”. Ma l’innovazione da sola non basta e, nel breve saggio introduttivo di Granelli (che da solo vale il libro, a mio modo di vedere), si sottolinea che:

“La comunicazione dell’innovazione non è separabile dall’innovazione stessa, ma anzi ne rappresenta un aspetto assolutamente costitutivo. Autentico innovatore non è colui che ha le idee o possiede le tecniche, ma chi le traduce in fatti concreti e utili e soprattutto le diffonde, e quindi in un certo senso le "comunica". In questo aspetto sta la differenza fra invenzione – fatto tecnico – e innovazione – fatto economico, sociale ma anche culturale.”

e ancora:

“La diffusione di nuovi prodotti è sempre legata alla capacità dei consumatori di comprenderne il valore d’uso e di acquisirne le logiche modalità di funzionamento”

ed infine:

“Comunicare l’innovazione richiede a sua volta innovazione negli strumenti stessi del comunicare”

Anche se nel libro si parla di innovazione soprattutto a riguardo di quella tecnologica e scientifica, è indubbio che anche in altre situazioni aziendali è forte la necessità di divulgare opportunamente le novità introdotte. Ma come ribadito a più riprese nel testo, i documenti tradizionali (annual report, comunicati stampa, ecc.) non riescono più a svolgere questo compito, anche perché non basta più il valore informativo ma è necessario anche quello formativo, come indica Riccardo Ruggiero, Amministartore Delegato di Telecom Italia. Riporto una frase dell’intervento di Diego Biasi di Business Press:

“Uno di concetti più affascinanti della comunicazione collegata all’innovazione è la possibilità di catalizzare in un prodotto o in un servizio la visione del futuro che sta alla base dell’invenzione.”

I numerosi interventi presenti nel libro stati coordinati dalla Fondazione Cotec ed alcuni di questi sono frutto di un lavoro di ricerca svolto in Spagna. Gli interventi italiani mi sono sembrati comunque più aggiornati e calzanti. Tra questi, anche quello di Luca De Biase sul rapporto tra giornalismo e innovazione.


La pubblicità diventa comunicazione Marzio Bonferroni ha raccolto in questo libro (sottotitolo: "Il nuovo trend multidisciplinare nel rapporto tra impresa e mercato") una serie di interessanti interventi su comunicazione e pubblicità, il cui confine diventa sempre più sfumato specie ora che le aziende stanno evolvendo significativamente il loro rapporto con i media. Alcuni dei contributi presenti nel testo affrontano il tema della della comunicazione d’impresa in senso lato, arrivando spesso a trattare il “fare azienda” in generale, a testimonianza di quanto la comunicazione vada a caratterizzare in maniera sempre più marcata il modo di fare business.

Tra gli elementi comuni a molti degli interventi, emerge l’attenzione ad un approccio olistico, multidisciplinare del comunicare, pubblicitariamente parlando e non. Il consumatore, sempre più rappresentato come “persona”, va raggiunto non solo con messaggi ma attraverso rapporti. Dinnanzi a contenuti pubblicitari sempre più urlanti, appiattendo di fatto l’attenzione dei destinatari, emerge la necessità di instaurare un dialogo. Per fare questo non serve agire solamente attraverso differenti canali (a volte con “approccio olistico” si intende in modo limitativo il mero utilizzo di media differenti, peraltro fondamentale), ma sviluppare un rapporto nuovo col cliente, bidirezionale e maggiormente responsabile. Illuminante, a tale proposito, uno spunto di Ferdinando Pillon a riguardo della fedeltà dei clienti:

Quali sono gli elementi che un’azienda può considerare alla base del concetto di fedeltà? Il più importante dovrebbe essere di non concentrarsi sul concetto di consumatore fedele, ma di rovesciare questo in: come l’azienda dimostra di essere fedele al consumatore? È la fedeltà dell’azienda che lega il consumatore, non è garantibile l’inverso perché gli elementi che subentrano nel concetto di fedeltà travalicano quelli che sono alla base del “rapporto” fra azienda e consumatore.

Numerosi gli altri interventi degli di nota, tra i quali segnalo quelli di Fabio d’Angelantonio (Merloni Elettrodomestici), Patrizia Musso (Un.Cattolica Milano) e Simonetta Caresano.


La pubblicità diventa comunicazione Marzio Bonferroni ha raccolto in questo libro (sottotitolo: "Il nuovo trend multidisciplinare nel rapporto tra impresa e mercato") una serie di interessanti interventi su comunicazione e pubblicità, il cui confine diventa sempre più sfumato specie ora che le aziende stanno evolvendo significativamente il loro rapporto con i media. Alcuni dei contributi presenti nel testo affrontano il tema della della comunicazione d’impresa in senso lato, arrivando spesso a trattare il “fare azienda” in generale, a testimonianza di quanto la comunicazione vada a caratterizzare in maniera sempre più marcata il modo di fare business.

Tra gli elementi comuni a molti degli interventi, emerge l’attenzione ad un approccio olistico, multidisciplinare del comunicare, pubblicitariamente parlando e non. Il consumatore, sempre più rappresentato come “persona”, va raggiunto non solo con messaggi ma attraverso rapporti. Dinnanzi a contenuti pubblicitari sempre più urlanti, appiattendo di fatto l’attenzione dei destinatari, emerge la necessità di instaurare un dialogo. Per fare questo non serve agire solamente attraverso differenti canali (a volte con “approccio olistico” si intende in modo limitativo il mero utilizzo di media differenti, peraltro fondamentale), ma sviluppare un rapporto nuovo col cliente, bidirezionale e maggiormente responsabile. Illuminante, a tale proposito, uno spunto di Ferdinando Pillon a riguardo della fedeltà dei clienti:

Quali sono gli elementi che un’azienda può considerare alla base del concetto di fedeltà? Il più importante dovrebbe essere di non concentrarsi sul concetto di consumatore fedele, ma di rovesciare questo in: come l’azienda dimostra di essere fedele al consumatore? È la fedeltà dell’azienda che lega il consumatore, non è garantibile l’inverso perché gli elementi che subentrano nel concetto di fedeltà travalicano quelli che sono alla base del “rapporto” fra azienda e consumatore.

Numerosi gli altri interventi degli di nota, tra i quali segnalo quelli di Fabio d’Angelantonio (Merloni Elettrodomestici), Patrizia Musso (Un.Cattolica Milano) e Simonetta Caresano.


Sempre sul numero del San Francisco Chronicle di domenica (di cui ho parlato anche in un podcast), c’è una pagina che riporta alcuni dati molto interessanti sui cambiamenti in atto nell’industria libraria negli ultimi 10 anni (che mi sono divertito a mettere su un paio di chart). Praticamente, aumentano gli editori ed il numero di titoli pubblicati, mentre il numero di libri venduti è rimasto praticamente inviariato (tutti i numeri si riferiscono al mercato USA).

La considerazione è sempre più evidende: mentre l’ammontare dell’attenzione di ogni individuo è ha un limite fisiologico, la quantità di contenuti (off e on-line) continua a crescere. E’ ora di cambiare il noto proverbio "il tempo è denaro" in "l’attenzione è denaro".

dati dal San Francisco Chronicle - 14 ago 05