Archivio: giugno, 2012
L’iniziativa “DigIT@lia for talent” di Fondazione Italiana Accenture e ideaTRE60 merita una segnalazione perché tra i numerosi progetti per stimolare idee innovative e startup, è una di quelle meglio finanziate. Ed il fattore denaro, mi si consenta, rimane un elemento cruciale.
Riprendo dal sito una breve descrizione del concorso che è “dedicato a tutti i giovani talenti con la passione per il digitale e a chiunque abbia nel cassetto un progetto sociale legato al mondo della tecnologia in grado di creare occupazione per i giovani”
Attenzione però perché c’è tempo fino al 10 settembre per partecipare. Ulteriori info anche sul blog di idetaTRE60.
Per tutti gli interessati al binomio internet/turismo, l’appuntamento abituale è con l’evento Web in Tourism che quest’anno ha un formato nuovo con un talk show inziale (nel quale parteciperò anch’io), poi una serie di ingnite (sessioni ultra sintetiche focalizzate su un tema specifico) per chiudere con alcuni workshop nel pomeriggio.
La partecipazione alle sessioni del mattino è gratuita. Appuntamento quindi all’hotel Enterprise a Milano il 27 giugno a partire dalle 9.
Vedo annunci e conferenze stampa di servizi non ancora attivi. Leggo pagine pubblicitarie di agenzie dove trionfa il “noi”. Non ritengo interessante affondare su esempi negativi e allora preferisco segnalare iniziative ben fatte come il Luxury Summit organizzato da IlSole24Ore che si è tenuto la scorsa settimana a Milano.
Le premesse erano buone: un ricco programma, un hashtag finalmente dichiarato all’inizio e free wifi nelle sale. Non ho seguito tutte le sessioni ma la media dei contenuti a cui ho assistito è stata molto buona, a rappresentanza di tutta la filiera del luxury con l’apporto di punti di osservazione diversi.
Online sono già disponibili le chart degli interventi e, dulcis in fundo, stamattina su IlSole24Ore c’è un riquadro con i ringraziamenti ai partecipanti.
Insomma, un evento ben curato prima, durante e dopo. Ne vorrei vedere sempre di più di eventi così.
Il digitale oggi è l’informatica di 30 anni fa. E serve un Chief Digital Officer. Lasciatemi partire però da qualche anno fa.
A 18 anni vissi il momento in cui la banca in cui lavoravo passava dalla gestione a schede cartacee ai terminali video e fu molto stimolante trovarsi nel mezzo di un cambiamento così importante, anche perché mi misero subito a formare i colleghi in giro per le filiali. Fu anche divertente gestire i clienti che non si capacitavano che i loro soldi erano “stampati” dentro uno schermo anziché sulla più tangibile carta.
In quel periodo per molte aziende, e per tutto il mondo della finanza in particolare, l’informatica rappresentò non solo uno strumento per migliorare l’efficienza e la gestione delle informazioni, ma un elemento abilitante e strategico per modellare il business. E non a caso i “Responsabili CED” (per i più giovani, Centro Elaborazione Dati) divennero figure chiave nelle gerarchie di molte organizzazioni.
A distanza di oltre trent’anni, appare chiaro che le tecnologie digitali sono per molte aziende quello che l’informatica rappresentò allora. Forse è un po’ esagerato affermare che Starbucks si sta trasformando in un’azienda tecnologica, ma è un fatto la creazione del Chief Digital Officer, ossia una figura executive a cui fanno capo tutte le attività legate al digital, comprese quelle in-store e la gestione delle iniziative di loyalty.
Penso che il ruolo del CDO verrà introdotto gradualmente da molte grandi aziende e ciò è perfettamente coerente con il mantra che sentiamo sempre più spesso nella mission delle corporation, ossia quello di “mettere il cliente al centro dell’attenzione”. Ebbene, se l’informatica migliorava i processi e strutturava le informazioni, il digital è l’ambito in cui si svolgono le attività cruciali nel moderno business: gestire i molteplici touchpoint con gli stakeholder e governare le relative informazioni (big data).
Il punto è collocare bene il CDO nell’organigramma aziendale. Finché rimane all’interno di una direzione (comunicazione, commerciale o, peggio, IT), allora parliamo di un’altra cosa. Quando risponde all’amministratore delegato allora possiamo definire davvero strategico il suo ruolo in modo da operare in maniera trasversale sul business, perché è questo che “fa” il digitale.
In ogni caso, tra i miei contatti su Linkedin ho solo un Chief Digital Officer italiano su 448 risultati…
Segnalo volentieri che nell’ambito del Corso di Laurea Magistrale in Marketing, consumi e comunicazione organizzato dallo IULM c’è un bel modulo di indirizzo in Digital Marketing Management che mi vede tra i docenti.
Tra qualche giorno sarà pubblicato l’elenco completo dei docenti ma intanto posso anticipare qualche nome: Gianluca Diegoli, Alex Giordano, Nazzareno Gorni, Marco Massara, Mirko Pallera e naturalmente il Prof. Guido Di Fraia.
Dalle interessanti chart di Mary Meeker – State of the Net, ne prendo una solo per una considerazione semplice semplice: ma se gli editori già faticano oggi a valorizzare la pubblicità sul web rispetto a quella su carta o su altri canali analogici, come faranno a gestire il mobile che a sua volta è 5 volte meno remunerativo del web?
La parola che sento sempre ripetere tra i publisher è innovazione. E ci sta. Ho solo l’impressione che alcuni pensano che innovare significhi trovare un modo nuovo e creativo per mantenere le attuali organizzazioni, l’attuale offerta, l’attuale autorevolezza.
Per come la vedo io, i fronti dovrebbero essere:
- Passare ad una logica di servizio con metriche riviste rispetto a quella che oggi viene considerata qualità dei contenuti
- Smontare l’offerta pubblicitaria da vendita di “ad units” per passare a realizzare progetti di comunicazione e content marketing
Ultimi commenti