Archivio: dicembre, 2010
Un anno che sta per finire un po’ così, con qualche cosa andata di traverso proprio sul finire. Meno male che ci sono un bel po’ di iniziative e progetti pronti per partire per un 2011 “come si deve”.
Quella che si dimostrata una certezza quest’anno è stata MIA, la newsletter del gruppo Ammiro (PDF 1,9 Mb) di cui è appena uscito l’ultimo numero dedicato al marketing della cultura (e un po’ anche alla cultura del marketing).
Tra i vari interventi, doveroso sottolineare quelli di Henry Jenkins e Jaron Lanier. Il grande Daniele Bologna, che di MIA ne è il curatore e coordinatore, mi ha fatto un bel regalo di Natale incastrando il mio articolo con Bruce Springsteen sullo sfondo: scusate ma proprio non resisto a postarla qua sotto (peraltro io a Babbo Natale ho chiesto il nuovo cofanetto del Boss…).
Lo ripeto ormai da troppi anni: il vero salto culturale rispetto ad internet lo faremo quando non lo tratteremo più come “informatica”. Eppure ancora stamattina su IlSole24Ore ecco qua il titolo riguardo all’e-commerce nelle aziende, identificato come “informatica”. Con tutto il rispetto per IT e EDP, vendere online è roba di marketing, sales, comunicazione che poi “usa” la tecnologia più opportuna. O no?

Stimolato da un’arguta riflessione di Andrea sulla formazione in azienda, volevo fare due ragionamenti su quali competenze professionali possono essere migliorate per affrontare in modo adeguato i tempi che corrono.
Anni fa si iniziò a distinguere tra l’insegnare il “sapere” e il “saper fare”, ove quest’ultimo risultava sempre più utile e richiesto. Tutt’oggi la formazione ha sempre più sbocchi operativi, perché determinate competenze si acquisiscono facilmente e velocemente sul campo piuttosto che su un manuale.
Tuttavia il “saper fare” non basta più. O meglio, forse non si riesce più a trasmettere tutto quello che ci sarebbe da fare. Scrive Andrea:
Mi sono chiesto cosa dovrebbe lasciarci di valido e duraturo un corso ben fatto. Probabilmente non una quantità più o meno consistente di informazioni ma un metodo per capire e analizzare lo scenario nel quale ci troviamo,il desiderio e l’interesse che ci spingeranno a restare sempre aggiornati e curiosi, la voglia e la caparbietà di trovare soluzioni non convenzionali che possano fare la differenza.
Secondo me la formazione oggi dovrebbe insegnare (anche) a “saper cambiare”, considerando aspetti che sono trasversali rispetto alle varie discipline ed aree di business. Qui ne lancio alcuni, ma la lista è senz’altro più ampia.
- Velocità. Si tratta di imparare non solo a gestire il tempo in modo più efficiente e pragmatico (compreso il tempo fuori dal lavoro), ma di rivedere la definizione delle priorità e la capacità di adattarsi a mutamenti anche repentini.
- Beta perenne. Molti dei cambiamenti che governiamo o nei quali siamo coinvolti, avvengono (ed è giusto così) senza un rigoroso piano strategico e operativo. Si prova, si misurano e analizzano i risultati, si perfeziona e poi si ri-misura e ri-analizza, e così via, in un loop che genera poche certezze nel lungo periodo, ma che va vissuto quasi alla giornata.
- Technology servant. In quasi ogni ambito professionale, la tecnologia è diventata un elemento cruciale, abilitante, differenziale. Tuttavia, occorre inquadrarla in quanto strumento, “attrezzo del mestiere” e non come fine, considerando anche il fatto che l’unica certezza offerta dai tool e dagli strumenti tecnologici è che saranno superati da lì a pochi mesi.
- Momentum. Saper cambiare, ok, ma quando è il momento giusto? Le tentazioni innovative ci arrivano da ogni parte, ma quali sono quelle che producono valore e quando è il momento giusto per applicarle o adottarle?
Naturalmente, è relativamente semplice capire quali sono i temi su cui potrebbe vertere un piano formativo moderno, più complicato è individuare chi è capace ad erogarlo.
L’occasione mi sembra buona per segnalare il recente IBM Global CEO Study proprio focalizzato sulla complessità del business moderno e su come valorizzarla, il cui Summary Report si apre evidenziando che:
La complessità è destinata ad aumentare e oltre la metà dei CEO dubita di essere in grado di gestirla.
per poi riassumere le linee d’azione che emergono dai 1541 CEO intervistati in questo modo:


Questo sito/blog è la mia casa digitale in cui, generalmente, tratto di comunicazione, marketing e tecnologia (ossia 


Ultimi commenti