Archivio: novembre, 2010

Sono terribilmente indietro con le recensioni dei libri che ho letto recentemente, ma di “Artigiani del digitale” di Andrea Granelli voglio scrivere due righe.

Il libro prende il mondo dell’ICT italiano e lo osserva in modo lucido e disincantato, partendo proprio dal “lato oscuro”della tecnologia fatto di numerose contraddizioni e illusioni che raramente vengono evidenziate e spiegate. Anche per questo, le innumerevoli opportunità della tecnologia digitale (e del sistema economico-sociale da essa generato) necessitano di figure meno tecniche rispetto al passato. Servono artigiani capaci di adattarle ai bisogni reali delle persone, di spiegarle e raccontarle in modo facile e comprensibile (nel 2005 sempre Granelli scrisse “Comunicare l’innovazione”), di inserirle nel tessuto sociale e non solo in quello economico.

Dichiarata ed evidente è l’ispirazione agli insegnamenti di Adriano Olivetti (a cui è dedicato il capitolo finale oltre i rimandi della prefazione di Patrizia Greco, Amministratore Delegato di Olivetti), che pur apparendo utopista in alcuni passi, è estremamente attuale e, a mio parere, profondamente condivisibile.

Artigiani del digitale racchiude anche alcune proposte. Da una parte l’auspicio agli operatori di confezionare i loro prodotti e servizi adattandole meglio ai bisogni reali dei clienti (specie a riguardo delle PMI nostrane), migliorando nel contempo l’attenzione strategica al cliente, cercando di capirlo di più e di offrirgli supporto concreto, facilitandone l’approccio alla tecnologia anziché sofisticarlo continuamente aggiungendo nuovi astrusi acronimi. Dall’altra lo stimolo alle istituzioni, che potrebbero fare la differenza se non si limitassero a slogan di effetto o a iniziative di massa, ma che dovrebbero puntare invece a sviluppare programmi formativi, comunità di pratica e, soprattutto, utilizzare maggiormente la domanda pubblica di ICT come motore dell’innovazione.

Insomma, una rilettura del mercato italiano dell’ICT a cui peraltro è dedicato un omonimo capitolo che segnala sinteticamente parecchi casi di eccellenza italiana, sia dal punto di vista innovativo che creativo. Sicuramente un buon libro, pieno di stimoli e speranze, che prende dal passato insegnamenti importanti e che auspica un futuro in cui la tecnologia digitale sia più vicina agli utilizzatori e più funzionale allo sviluppo sano della società.


Sono terribilmente indietro con le recensioni dei libri che ho letto recentemente, ma di “Artigiani del digitale” di Andrea Granelli voglio scrivere due righe.

Il libro prende il mondo dell’ICT italiano e lo osserva in modo lucido e disincantato, partendo proprio dal “lato oscuro”della tecnologia fatto di numerose contraddizioni e illusioni che raramente vengono evidenziate e spiegate. Anche per questo, le innumerevoli opportunità della tecnologia digitale (e del sistema economico-sociale da essa generato) necessitano di figure meno tecniche rispetto al passato. Servono artigiani capaci di adattarle ai bisogni reali delle persone, di spiegarle e raccontarle in modo facile e comprensibile (nel 2005 sempre Granelli scrisse “Comunicare l’innovazione”), di inserirle nel tessuto sociale e non solo in quello economico.

Dichiarata ed evidente è l’ispirazione agli insegnamenti di Adriano Olivetti (a cui è dedicato il capitolo finale oltre i rimandi della prefazione di Patrizia Greco, Amministratore Delegato di Olivetti), che pur apparendo utopista in alcuni passi, è estremamente attuale e, a mio parere, profondamente condivisibile.

Artigiani del digitale racchiude anche alcune proposte. Da una parte l’auspicio agli operatori di confezionare i loro prodotti e servizi adattandole meglio ai bisogni reali dei clienti (specie a riguardo delle PMI nostrane), migliorando nel contempo l’attenzione strategica al cliente, cercando di capirlo di più e di offrirgli supporto concreto, facilitandone l’approccio alla tecnologia anziché sofisticarlo continuamente aggiungendo nuovi astrusi acronimi. Dall’altra lo stimolo alle istituzioni, che potrebbero fare la differenza se non si limitassero a slogan di effetto o a iniziative di massa, ma che dovrebbero puntare invece a sviluppare programmi formativi, comunità di pratica e, soprattutto, utilizzare maggiormente la domanda pubblica di ICT come motore dell’innovazione.

Insomma, una rilettura del mercato italiano dell’ICT a cui peraltro è dedicato un omonimo capitolo che segnala sinteticamente parecchi casi di eccellenza italiana, sia dal punto di vista innovativo che creativo. Sicuramente un buon libro, pieno di stimoli e speranze, che prende dal passato insegnamenti importanti e che auspica un futuro in cui la tecnologia digitale sia più vicina agli utilizzatori e più funzionale allo sviluppo sano della società.


Oggi ho partecipato come ormai d’abitudine alla tappa romana di Web in Tourism, l’evento dedicato alla relazione tra internet ed il turismo, in particolare quello legato all’ospitalità. Quest’anno le sessioni sono state impostare a mo’ di talk show con il sempre più bravo Emilio De Risi a condurre le danze.

La mia parte è stata quella conclusiva dedicata ai social media, che ho condiviso con Vittorio Deotto, country manager italiano di Trip Advisor. Un’ora intensa, con il fronte degli operatore turistici (albergatori in primis) a sferrare domande e critiche a raffica. La maggior parte lamenta che l’anonimato dei recensori rende incontrollabili i commenti, anche quelli evidentemente “fake” o addirittura riferiti ad altre strutture che non sempre è possibile bilanciare in modo adeguato con le risposte delle strutture.

Premesso che ogni sistema è migliorabile e sicuramente anche Trip Advisor, penso che ci sia accaniti nell’osservare l’argomento dal punto di vista sbagliato: il punto non è Trip Advisor e le sue regole, ma che il mondo è cambiato e vedo parecchi operatori che ancora non se ne sono accorti. Sono consapevole che non suono buone notizie, ma ormai le aziende sono nude e devono affrontare come mai avvenuto prima, un nuovo tipo di relazione con clienti o potenziale tali. Ok, lo diciamo da anni, eppure mi ha sorpreso sentire quasi tutte le numerose domande vertere su come poter limitare i danni derivanti da un commento negativo, piuttosto che domandarsi come generare quelli positivi.

Altri ragionamenti in ordine sparso:

  • Il turismo è uno dei settori economici in cui internet ha sconvolto l’intero business e continua ad essere un ottimo riferimento per capire dove stiamo andando. Il potere delle persone (power to the keyboard, come lo chiamo io) qui è evidente in tutta la sua forza e, naturalmente, anche con le sue contraddizioni ed alcune cosette da sistemare. Non è un caso che, come oggi ha detto De Risi, è probabilmente uno dei settori più trasparenti del mercato.
  • Sistemi come Trip Advisor impattano decisamente sulle prenotazioni. Gestirli è indispensabile (monitorando, rispondendo ai commenti, ecc.) ma questo significa evidentemente competenze e tempo che vanno messe in cantiere.
  • C’è ancora troppa attenzione alle tecnicalities e accanimento sul caso isolato. Il singolo commento negativo, soprattutto quando è sospetto, risulta sicuramente fastidioso. Ma non si può solo confidare nei controlli di Trip Advisor o nell’auspico (mal risposto secondo me) che prima o poi finisca l’anonimato online. le uniche strade sono meritarsi i commenti positivi e cercare quindi di stimolarli.
  • Inoltre, focalizzarsi su Trip Advisor non ha senso. Indubbiamente è importante ma non è l’unico sistema user generated e non sarà certo l’ultimo. Magari il prossimo anno saremo qui ad analizzare i punteggi assegnati alle strutture attraverso Facebook Places e, probabilmente, i numeri saranno ancora più significativi.

Concludo riportando un paio di dati emersi durante il talk show: ci sono 30 giudizi in media per struttura su Trip Advisor e l’80% di questi è positivo.


Giustamente sollecitato da Riccardo, riprendo il discorso su IAB Forum. In effetti qualche cosa mi sono portato a casa dall’evento, su tutto i dieci statement di De Masi anche se alcuni dei trend che lui indica temo non si realizzeranno in modo compiuto (a partire dalla centralità dell’etica che, purtroppo e specie in questo Paese, la vedo cosa lontana).

Riguardo a IAB, come ho detto a Roberto Binaghi, spero che riescano a realizzare gli obiettivi prefissati, soprattutto riguardo alla formazione e all’education.

Chris Anderson è sembrato sfacciatamente un Apple man; giusta l’esaltazione dei tablet, ma è sembrato voler vendere questo concetto piuttosto che contestualizzarlo. Meglio Riccardo Luna il quale, anche a costo di sembrare Don Chisciotte, sta riuscendo a rompere qualche status quo.

Riguardo al mercato in generale, vendo una contraddizione: da una parte si vorrebbe considerare l’industria digitale nel suo complesso (ci proverà Enrico Gasperini con Audiweb e lo ha detto anche Diego Masi riguardo ai servizi di buzz marketing sui quali ora è coinvolto personalmente con Wikio); dall’altra quando si cerca di valutare i fatturati del settore, si scatenano posizioni inclusive o meno di player come Google o ora Facebook che aggiungono confusione al sistema.

Su questo, da sempre, ho un’idea chiara: è indispensabile valutare tutti i fatturati pubblicitari online, sia quelli delle concessionarie che dichiarano i dati, sia quelli delle organizzazioni che non lo fanno (o non lo possono fare per varie leggi anche di tipo sovranazionale). E’ così praticamente in tutto il mondo e solo in Italia ci nascondiamo dietro complessità formali che di fatto sottostimano il mercato. Di più. Ho sempre cercato in IAB di spingere verso una ricerca sull’intero comparto in termini di numero di addetti e di valutazione dell’intera filiera. L’osservatorio Accenture doveva servire a questo ma ho l’impressione che sia stato dirottato sull’elaborazione di metriche sulle audience e sui formati (seppure importanti), piuttosto che sul valutare il mercato digitale. Eppure dovrebbe saltare all’occhio che i 10 mila iscritti a IAB Forum (di cui 2/3 tipicamente operatori del settore) non possono far parte del solo comparto pubblicitario online; la stessa Accenture aveva mappato almeno una quindicina di tipologie di player che formano questo mercato. Ebbene io penso che misurarne complessivamente il peso economico sia strategico e probabilmente solo IAB., ad oggi, potrebbe farsene carico, sempre che voglia rappresentare il comparto nel suo insieme e non solo le principali concessionarie Occhiolino


Nel pomeriggio ho avuto il piacere di partecipare all’incontro “Is the Internet Changing People’s Engagement in Democracy?” tenutosi presso il Centro Studi Americano di Roma.

C’è stata prima una parte in cui Sam Graham-Felsen, il Chief Blogger della campagna elettorale del Presedente Obama, ha incontrato una decina di blogger tra i quali gli amici Mirko Pallera, Antonio Pavolini e Alessio Jacona (gli ultimi due catturati di spalle nella foto). La cosa che più o meno sapevo ma è stata confermata da Sam, è che la totalità dello staff di Obama dedicato alla Rete non aveva esperienza in campagne elettorali. Anzi, che una delle sfide che hanno vinto (probabilmente proprio per la composizione dello staff), è stata quella di coinvolgere moltissimi giovani che invece sono notoriamente “contro” l’establishment.

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Altri aspetti sottolineati sono la grande produttività dell’email come strumento di relazione e mobilitazione e la strategia fortemente orientata allo storytelling. Il mobile sarà uno dei trend che verrà cavalcato in chiave di geolocalizzazione, fino ad arrivare ad un’app che segnala le case a cui andare a bussare per fare proselitismo perché abitate da potenziali interessati.

Io ho posto una domanda riprendendo quanto affermato il giorno prima proprio al Centro Studi Americano dall’ambasciatore David Thorne, ossia che la sconfitta nelle elezioni del Mid-term è in parte dovuta al fatto che i Repubblicani stanno cavalcando anch’essi l’utilizzo spinto di internet e dei social media. Secondo Sam Graham-Felsen è senz’altro vero che la Palin & company hanno messo anche loro la Rete nelle priorità di comunicazione, ma continuano a farlo in maniera autoreferenziale ed in modo unidirezionale. Nella mia domanda ho posto anche il problema della spinta polarizzante di internet che sembra tendere a rafforzare la divisione tra schieramenti piuttosto che sviluppare consapevolezza e reale confronto (proprio Thorne ricordava come il Tea Party ha più fan su Facebook di quanti ne abbiano il partito democratico e quello repubblicano messi insieme). La visione di Sam Graham-Felsen è decisamente ottimista: secondo lui nel lungo periodo le persone utilizzeranno internet in maniera più equilibrata, formando la propria opinione cercando la verità senza schierarsi in modo assoluto. Io non ho la sua stessa speranza ma lui ha 25 anni meno di me e quindi sta a lui avere profonda questa aspettativa.

Poi c’è stata la sessione pubblica a cui ha partecipato anche Beppe Severgnini, piacevole come sempre, a partire dal suo esordio che è stato quello di meravigliarsi retoricamente che non ci fosse in sala nessun esponente di un partito ad ascoltare Sam Graham-Felsen. Quello che Severgnini lamenta è la mancanza cronica di passione da parte dei politici nostrani che, secondo lui, trascina all’indifferenza molta della popolazione italiana; sicuramente quella oltre “il club dei 5 milioni” che ritiene essere la soglia delle persone in grado di formarsi un’opinione consapevole. Apprezzamento invece per IlPost.it di Sofri e, soprattutto, per il lavoro “importante sotto molti aspetti” del programma “Vieni via con me” su Rai3 che proprio attraverso i video online ha rotto la barriera dei 5 milioni suindicata.


Giovedì a Roma e lunedì prossimo a Milano viene presentato il libro “Le Cose Nuove” edito da Lupetti. Se passate da quelle parti ci vediamo là.

Le Cose Nuove


Ancora non mi sembra che sia chiaro alle aziende come districarsi tra media Paid, Earned e Owned, che adesso saltano fuori anche Sold e Hijacked stando al recente report di McKinsey.

In pratica, oltre ai mezzi di comunicazione pagati (tutto l’advertising tradizionale, compreso quello online), quelli posseduti (i cataloghi, il sito web, la pagina su Facebook, ecc.) e quelli guadagnati (il posizionamento nei risultati standard dei motori di ricerca, le recensioni online, ecc.), si possono annoverare anche quelli in cui si vendono spazi ad altri aziende (Sold) e quelli presidiati dai consumatori tipicamente per campagne “contro” l’azienda stessa (Hijacked).

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Francamente queste due nuove categorie mi sembrano un po’ forzate o comunque molto poco frequenti. In ogni caso, il report McKinsey merita una  lettura, compreso lo schemino finale che sintetizza le quattro principali sfide per i marketers:

  • Think strategically about the role of each media type
  • Rebalance time and resources
  • Develop a clear community or social-networking strategy
  • Improve both the art and the science of marketing

Enjoy!


Il secondo dei quattro webinar organizzati da Microsoft a cui collaboro, sarà dedicato alla Pubblica Amministrazione e si terrà martedì prossimo dalle 12 alle 13.30. Si potrà partecipare online gratuitamente iscrivendosi preventivamente.

Questo il programma e i relatori:

Benvenuto
Sabrina Corti, Enterprise Marketing Manager, Microsoft Italia

Esperienze, Suggerimenti e Spunti dal mondo privato
Mauro Lupi, Responsabile area Digital, Ammiro Partners

Testimonianza del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociale
Daniele Lunetta, Dirigente direzione generale per l’innovazione tecnologica

Le tecnologie di Microsoft per attirare, coinvolgere e fidelizzare il cliente online
Riccardo Ciarlo, Microsoft Solutions Specialist Digital Marketing Lead, Microsoft Italia Alberto Masini, Business development manager, Microsoft Italia

Dibattito moderato da Mauro Lupi, Responsabile area Digital, Ammiro Partners


Mi ci vorrà qualche giorno per decifrare tutti i segnali arrivati dallo IAB Forum di quest’anno. Comunque un’edizione interessante e, come al solito, molto ben organizzata. Finalmente una tempistica più rigorosa (il secondo giorno un po’ meno) ma risulta evidente la necessità di gestire meglio i workshop perché in molti sono rimasti fuori dalle aule.

Ho sentito diversi dubbi sull’esigenza di avere ancora un mega evento come questo, perché ormai l’industria è matura, perché sa di fiera, ecc. Io invece continuo a credere che IAB Forum serva come faro per l’intera industry (mi pare che Binaghi abbia usato le stesse parole ed è stato un mio “cavallo di battaglia” quando ero nel Consiglio), a patto che l’associazione sia effettivamente capace di rappresentare adeguatamente tutti gli operatori del settore e le differenti direzioni verso cui va la comunicazione online (e quindi non solo l’aspetto prettamente pubblicitario).

Sui trend e sulle novità che sono venute fuori da IAB Forum… ci devo pensare ancora un attimo Occhiolino


Ci siamo. Anche quest’anno IAB Forum, l’evento clou del settore della comunicazione interattiva, arriva puntuale a Milano. E saremo più di 6 mila a partecipare direttamente, a cui si aggiungeranno coloro che seguiranno le discussioni su Twitter (l’hashtag ufficiale è #iabforum).

Per me sarà il primo anno da ex consigliere IAB e anche il primo in cui non esporrò. Ma questo non vuol dire che mi riposerò del tutto, perché ho accettato molto volentieri di moderare il workshop sul search marketing del 3/11 (domani) alle 15. Ci vediamo lì?