Più di dieci anni fa qualcuno definì internet come la più grande biblioteca mai realizzata, in cui però qualcuno si è divertito a buttare giù tutti i libri dagli scaffali. L’affermazione continua a rappresentare abbastanza bene la Rete dei nostri giorni, considerando però che i concetti di “abbondanza” e “disordine” continuano ad amplificarsi. Riguardo alla quantità dei contenuti generati e disponibili online, è impressionante constatarne il trend esponenziale di crescita, dovuto anche al fatto che crescono gli autori, i formati, ed i canali di pubblicazione e distribuzione.

Mentre di fronte a questa dirompente cascata di nuovi contenuti non possiamo far altro che constatarne la portata, per quanto concerne il tema del “disordine” vanno indubbiamente registrati svariati strumenti che stanno evolvendosi per aiutare gli individui a gestire anche questa “biblioteca” in cui i libri non solo aumentano, ma sono sempre più sparpagliati.

Il tema del disordine digitale è da anni ben descritto e analizzato da David Weinberger, a partire dal suo libro Everything Is Miscellaneous. In un recente convegno a Venezia, ha suggerito di abbandonare il concetto di gerarchia e di fonti che offrono la risposta perfetta: meglio pensare ad una risposta “abbastanza buona”. Che poi è la chiave per plasmare il concetto di “trasparenza” che sulla Rete va a sostituire quello di “obiettività” dei media tradizionali.

Gianni Degli Antoni, in un articolo su Epolis, auspica una competenza per sopravvivere alla complessità del mondo d’oggi: “capire i nessi fra i frammenti che ci pervengono. La conoscenza sui nessi ci aiuterà a deframmentare ciò che i media frammentano”. Maurizio Goetz, ha ripreso il pensiero di Degli Antoni collegandolo all’interessante definizione dei “generalisti creativi”.

Il problema è che le competenze per districarsi in questa mole di informazioni e sollecitazioni, non le insegna nessuno e sono lasciate all’istinto, al buon senso o all’intuizione dei singoli. L’esperienza conta poco, anzi, il maggior disagio è in casa dei meno giovani semplicemente perché hanno più cose da disimparare.

L’unico modo per affrontare una situazione la quale, se giudicata con metriche del passato, possiamo tranquillamente definire “di perenne approssimazione”, è prenderne atto. Se oggi ci sorprendono le migliaia di commenti gergali sui social network, o il cambiamento pressoché costante dei risultati di ricerca di Google, oppure la facilità con la quale fenomeni “virali” nascono, esplodono e muoiono, ebbene possiamo solo rassegnarci al fatto che sono situazioni che potranno solo amplificarsi ulteriormente nel futuro.

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2 commenti per “Ancora su disordine e approssimazione digitale”

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  1. cosimo scrive:

    Ciao Mauro,
    ho letto con interesse quanto hai scritto. Proverei a cercare di bilanciare i discorsi su caoticità, disordine e approssimazione digitali (discorsi che hanno, certamente, una loro valenza) con un’idea che mi sta a cuore e, vale a dire, la necessità di avviare una riflessione sugli strumenti e le competenze disciplinari necessarie per comprendere (e, se mai gestire) questi contesti, al di là della semplice rassegnazione o presa d’atto suggerita. Sarà il mio background filosofico-teorico, ma per me è rilevante la necessità di capire come e perché, da un lato, si producono i cd. “disordini” informazionali digitali di rete e, per altro verso, però, come si producono anche i nuovi “ordini” di knowledge management (KM) prodotti, tra gli altri, da motori di ricerca, sistemi di raccomandazioni, aggregatori e agenti, politiche di hyperlink, tecnologie sociali persuasive, misure di popolarità autorappresentate nei siti di video sharing, ecc. Mi sembra anche che i discorsi sul disordine siano legati, nella vulgata più tradizionale, più all’impiego (come giustamente ricordi) di analogie e metafore oramai non solo poco efficaci, ma oramai direi deleterie, piuttosto che alla loro effettiva natura e costituzione. Se, per esempio, continuiamo a parlare di “contenuto” (ad esempio con tutto il suo carico semantico) e non di “performance” o di altro termine a scelta, è chiaro che ne emerge l’idea che intorno si agiti il caos (che come ha insegnato il fisico Prigogine ha, per altro, le sue leggi). Tra l’altro, ricordo che “autore” è un’invenzione e un concetto molto recente, che ad es. il copyright all’origine tutelava il lettore e acquirente e non l’ “autore”.. e così via). Sarebbe come voler interpretare con le categorie di “libro”, di “lettura”, di “pubblicazione” emerse con l’arrivo della tecnologia di stampa, le esperienze antropologiche della civiltà medioevale con i suoi manoscritti e codici, le attività di diffusione pubblica a voce dei giullari girovaghi e le loro interpretazioni performative dei contenuti dei manoscritti e così via. Nulla di più fuorviante. Per altro verso poi, emerge poco, nei discorsi sulla caoticità, che questo disordine (come giustamente suggerisci) è, oggi, governato da culture e pratiche algoritmiche di varia natura i cui meccanismi dovremmo anche cominciare a indagare per comprendere meglio, proprio appunto, l’”ordine” (o gli ordini) che emergono da questo “caos”. Quindi non solo comprendere i nessi tra i frammenti (tra l’altro, il frammento presuppone l’esistenza di un tutto unitario esistente da qualche parte, ma … dove si troverebbe poi?), ma gli ordini locali che emergono entro i nuovi territori del “caos”con le rispettive politiche di gatekeeping e gatewatching. Quello che manca, mi sembra, è leggere in prospettiva e in maniera “situata” la nostra attuale condizione immaginandola non semplicemente come caotica, ma come effettivamente nuova e differente e demitizzando (che di mitologie si tratta) le risposte perfette, obiettività, precisione, ecc dei cd. vecchi media. ..ciaoo ;-)

  2. Mauro Lupi scrive:

    Ciao Cosimo e grazie per l’intervento. Giustissimo porsi le domande su chi e come possano (debbano?) analizzare in profondità questi nuovi contesti, cercando di non portarsi dietro zavorre concettuali.
    Il punto è che “le competenze disciplinari necessarie per comprendere (e, se mai gestire) questi contesti”, non sono d’uso comune nella maggioranza della popolazione, anche guardando solo quella che usa la Rete.
    Certo, i più giovani sono più “agili” intellettualmente e ciò pare facilitarli, ma trovo sempre più necessario un kit di prima assistenza da destinare a coloro che oggettivamente soffrono questa nuova complessità come un ostacolo insormontabile.

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