Archivio: maggio, 2009

Mentre preparavo la presentazione per il convegno di IAB durante l’Omnicom Expo tenutosi la settimana scorsa, ho predisposto uno schema sintetico che cerca di rispondere a una domanda complicata che mi sento porre spesso (seppur declinata in modo diverso): “cosa ci fa un’azienda con internet?”.

Il mio punto di vista, l’ho già espresso in un recente post a proposito del fatto che la Rete è utile (e talvolta indispensabile) in diversi contesti: l’importante è che li si utilizzi in modo selettivo seppur coordinato. Alla fine, la spiegazione scritta del mio pensiero non mi ha convinto del tutto e allora ho impostato il seguente schema.

IAB-Lupi-Omnicom09

Naturalmente la sovrapposizione dei diversi reparti aziendali rispetto alle classi di utilizzo, è da considerarsi come indicativa ma, spero, renda bene l’idea dell’orizzontalità della Rete nella struttura aziendale. Che ne pensate? Ho scordato qualcosa?

Per quanto riguarda le chart complete del convegno, sono già disponibili quelle del mio intervento (PDF) e a giorni ci saranno anche quelle degli altri relatori.


Si, è successo pure a me di fare spam. Oggi. O meglio, non proprio spam nel senso di messaggi inviati a destinatari sconosciuti. Ma una email che è stata spedita ad una serie di contatti aziendali in una forma un po’ troppo commerciale e impersonale. La fretta di promuovere un nuovo servizio e un misunderstanding interno hanno fatto partire delle email ad un database sbagliato e con un messaggio non adatto. Tra i destinatari anche qualche collega e amici che giustamente mi prendono in giro… Mi sa che avrò un po’ di caffè da pagare…


Sarò retrogrado ma l’educazione ed il rispetto dovrebbero venir prima delle tecnologie… Per cui se siamo in un meeting o al telefono, penso sia giusto pretendere la reciproca attenzione anziché inseguire e rimbalzare tra i trilli degli SMS, i campanelli di Messenger, gli status dei social network, i ding dong delle email in arrivo e così via.

Tentare di sfoggiare questo svolazzamento tra device e applicazioni in contemporanea, non fa altro che dimostrare quanto si è gestiti dalle tecnologie e dagli eventi (e non invece il contrario). Io penso che l’inefficienza (ed il conseguente stress) siano direttamente proporzionali alla quantità di interruzioni a ciò che si sta facendo.

Siamo nella Settimana Nazionale della Sicurezza in Rete, Virgilio propone una Netiquette 2.0, ma poi tocca constatare che è la buona educazione quella che manca… (Che si è capito che di recente ho partecipato ad una riunione “storta”?)

Proprio mentre stavo scrivendo queste note, il buon Luca segnalava su un lungo articolo sul New York Magazine intitolato The Benefits of Distraction and Overstimulation. Da leggere per chi si interessa di come sta cambiando l’attenzione e la capacità di concentrazione del genere umano.


Giovedì mattina sarò a Sondrio per il convegno pubblico “La visibilità delle aziende su internet” organizzato dalla Confesercenti, il quale si potrà seguire anche in diretta. Io ho l’ultimo speech e cercherò di sintetizzare non solo i principali strumenti di visibilità online, ma l’impostazione strategica che mi sento di suggerire nell’utilizzo della Rete per la comunicazione attraverso internet.

Venerdì e sabato a Milano presso lo IULM, si terrà l’evento “Duemilanove, la tv altrove”, il secondo meeting delle micro web tv dei cittadini, organizzato nell’ambito dell’iniziativa “Paese che vai”. Purtroppo non sarò a Milano in quei giorni ma, facendo parte della giuria, ho visto diversi lavori molto interessanti.


Giovedì mattina sarò a Sondrio per il convegno pubblico “La visibilità delle aziende su internet” organizzato dalla Confesercenti, il quale si potrà seguire anche in diretta. Io ho l’ultimo speech e cercherò di sintetizzare non solo i principali strumenti di visibilità online, ma l’impostazione strategica che mi sento di suggerire nell’utilizzo della Rete per la comunicazione attraverso internet.

Venerdì e sabato a Milano presso lo IULM, si terrà l’evento “Duemilanove, la tv altrove”, il secondo meeting delle micro web tv dei cittadini, organizzato nell’ambito dell’iniziativa “Paese che vai”. Purtroppo non sarò a Milano in quei giorni ma, facendo parte della giuria, ho visto diversi lavori molto interessanti.


Qualche giorno fa c’è stato a Milano l’E-commerce Forum organizzato dal consorzio Netcomm. Non ce l’ho fatta a passare, ma le chart con tutti i dati saliente dell’indagine annuale sono disponibili online.

Gli spunti sono tanti e la maggior parte fotografano l’e-commerce B2C come un settore che non genera particolare eccitazione dal mio punto di vista:

  • fatturato praticamente piatto nel 2009 (5,9 miliardi di Euro)
  • oltre la metà degli acquisti riguardano il turismo
  • i primi venti operatori fanno tre quarti delle vendite totali
  • solo 3 milioni e poco più gli acquirenti online negli ultimi 3 mesi

A leggere le ragioni che frenano gli acquisti, i tre motivi individuati dall’analisi Eurisko sembrano essere:

  • Preferisco vedere di persona le cose che compro e parlare con il negoziante
  • Mi diverto di più a fare acquisti con i canali e negozi normali
  • Non mi fido a trasmettere il numero della mia carta di credito

Io invece ritengo che la principale responsabilità sia della mancanza di una “vera” offerta: ampia, competitiva e, soprattutto, realizzata attraverso siti web adeguati. Purtroppo, constato ogni giorno quanto sia debole la qualità media dei siti di e-commerce presenti in Italia. Informazioni scarse o poco chiare, servizi di supporto inesistenti, giochini Flash di quelli che fanno belle le web agency e che invece allontanano i visitatori, e via di questo passo. Ovviamente gli utenti online rispondono che il negozio è più divertente: comprare online su siti Italiani spesso è davvero deprimente!

Sia chiaro, non è una critica fine a se stessa. Penso che il mercato offra questo scenario perché per mettere su un progetto e-commerce come si deve (che non è “solo” il sito web, anzi, quello è l’ultima cosa) occorrono investimenti “seri” che attualmente sono certamente difficili da ammortizzare a breve se il target è limitato all’Italia. Ma è l’offerta che andrebbe aiutata a svilupparsi e non solo auspicare la domanda. Mi chiedo che cosa hanno prodotto tutti i finanziamenti pubblici erogati negli ultimi anni per le iniziative di e-commerce…

In fondo concordo con quanto afferma Pepe, che reputa ingessato il settore “Almeno fino a quando i brand smetteranno di avere paura dei consumatori, e non inizieranno a fare il loro dovere”.


Un veloce flash per segnalare che da ieri è iniziata la Settimana della Sicurezza in Rete, una campagna nazionale di sensibilizzazione per la protezione e la sicurezza online. Molti i partner dell’iniziativa tra cui tutti i principali social network.

Questa è la seconda edizione della Settimana della Sicurezza in Rete. Mi sembra un’ottima dimostrazione di come le aziende del settore possano fornire informazioni utili e concrete senza cadere nel facile allarmismo che, purtroppo, tanto piace a numerosi soggetti (alcuni anche seduti in Parlamento, sigh) per poi usarlo in maniera forzatamente strumentale.

Tra le iniziative previste, anche un sondaggio sulle abitudini di contatto in Rete condotto tra gli utenti dei social network, i cui risultati saranno presentati martedì prossimo in una conferenza stampa a Roma a cui sarò lieto di partecipare qualità di moderatore. Poi vi racconterò.

Ora si tratta di stimolare i miei ragazzi a guardarsi qualcuno dei video ove si spiega di virus, chat e cyberbullismo, provando a fargli capire che non è detto che sappiano già tutto…


Penso che a molti professionisti che si occupano di internet gli sia stato chiesto almeno una volta: “Ma cosa posso fare con internet?”, naturalmente declinato nelle varie forme: “Come posso vendere su Facebook?”, “Come posso fare un video virale?”, fino all’irresistibile “Come faccio a far parlare i blogger dei miei prodotti?”

L’avranno già scritto in tanti, ma va parafrasata per l’ennesima volta la nota frase di John F. Kennedy: non chiedere cosa internet può fare per te, ma cosa puoi fare te per internet!


Da una news dell’ANSA a proposito di una ricerca commissionata dalla Camera dei Deputati, emerge che:

  • Il 58,5% degli italiani utilizza internet
  • Chi non utilizza internet lo fa perché non ha le competenze (46%) o perché non gli interessa (43%)

Questo significa che sono più o meno 9 milioni di persone che non usano internet perché non lo sanno usare (o pensano di non saperlo usare). Ecco, è qui che occorrerebbe lavorare. Non solo continuare a sottolineare quanto sia importante la Rete: la maggior parte delle persone questo lo ha capito da un pezzo. Bisognerebbe spiegare concretamente, far “usare” internet per davvero. È qui che vedrei un intervento istituzionale serio, rivolto ad arginare quello che è il nuovo analfabetismo.


Io continuo a credere al valore strategico dei blog aziendali. Inizio così un articolo che, come usa scrivere Massimo, era novo ieri, ossia è uscito ieri su Nòva, l’allegato de IlSole24Ore.

Nell’articolo sottolineo come un blog sia una delle migliori palestre per allenare le (persone delle) aziende alla relazione con gli individui (e non con i target), alla conversazione, all’uso intelligente e adeguato dei social media. Certo, non basta un blog per far trasformare un’azienda (il titolo del pezzo è proprio “Se bastasse un blog”), ma può essere un ottimo punto di partenza.

Buona lettura!


Io continuo a credere al valore strategico dei blog aziendali, anche se indubbiamente fanno riflettere le recenti chiusure di quelli di Mandarina Duck e Samsung Italia e il blackout per due mesi di popolare Desmblog della Ducati. Così come c’è da valutare l’ulteriore proliferazione di luoghi online (Twitter e Facebook in primis) che tentano l’esplorazione di altre piattaforme. In questo articolo cercherò di spiegare perché penso che i blog siano comunque una delle basi da cui partire per rinnovare la comunicazione da parte delle aziende.


Oltre alle evidenze numeriche (sono oltre 9 milioni gli italiani che leggono i blog ogni mese secondo Nielsen), il blog è l’estensione più naturale della presenza online delle aziende. Spesso viene utilizzato efficacemente come area news, dato che si presta perfettamente a raccogliere contenuti periodici. Nel contempo è lo strumento più facilmente gestibile per avviare un canale di comunicazione bidirezionale, attività questa che risulta ancora complicata per molte organizzazioni e che un blog permette di affrontare in modo graduale e consapevole.


Considerando che in definitiva il blog è un sito web, il suo impiego è in grado di soddisfare obiettivi differenti: il lancio di un prodotto (www.quellichebravo.it di Fiat), la gestione dell’area recruiting (joinus.maxmarafashiongroup.it di Max Mara), il confronto sull’innovazione (lab.vodafone.it di Vodafone), uno spazio informale di comunicazione (village.cepu.it di CEPU), l’area per raccontare l’azienda e le sue storie attraverso la voce del titolare o di un manager (www.wineislove.it di Zonin).


E se è evidente che l’evoluzione del rapporto tra aziende e consumatori, cruciale ma altresì abbastanza complicata, passa per una comunicazione orientata ad un rapporto tra persone, e quindi più informale e trasparente, il blog è un ottima palestra ove esercitare questa attività. Un luogo che da una parte costringe ad aprirsi all’informalità e a risultare credibili, dall’altra che tende a premiare le passioni e ad esaltare quei contenuti di valore che le aziende spesso celano o trasformano in messaggi pubblicitari. Altro effetto è quello di stimolare più o meno naturalmente l’interesse a guardarsi attorno e individuare altre community, altre persone da ascoltare e con cui sviluppare relazioni.


Naturalmente un progetto di blog aziendale richiede una pianificazione attenta e degli obiettivi nel medio termine. Insomma, si tratta di un elemento che deve divenire parte della strategia di comunicazione e non un’operazione tattica di tipo prettamente promozionale. Prendiamo il caso di successo del blog italiano di Playstation (blog.playstationplanet.it): il progetto, nato nel 2006, ha richiesto almeno un anno per maturare, per esprimere tutta la sua potenzialità, per sincronizzarsi con la blogosfera, ma oggi è uno dei capisaldi della comunicazione dell’azienda. Tra l’altro, il blog di Playstation è stato il primo blog al mondo avviato dalla multinazionale, un primato che ha visto distinguersi il nostro paese anche in altre occasioni, ad esempio col blog collettivo di Microsoft Italia (www.mclips.it) oppure con il blog di Google Italia (googleitalia.blogspot.com) che è stato il primo in assoluto tra quelli del gruppo ad abilitare i commenti.


Ad aprire un blog ci si impiega un attimo, sostenendo costi limitatissimi. Ma quello su cui occorre investire è il rinnovamento dell’approccio dell’azienda al mondo esterno. E questo è complesso e non accade automaticamente implementando un tool web 2.0 o aprendo una pagina su Facebook. Serve una strategia e un percorso graduale. Ecco, un blog permette di partire in modo scalabile, senza particolari rischi, come un olio salutare che pian piano pervade orizzontalmente l’organizzazione. Quando aprite il vostro?


Mauro Lupi


Pubblicato su Nòva/IlSole24Ore il 7 Maggio 2009


Stamattina presto ho trovato un attimo di tempo per scrivere una testimonianza per un un libro sui web analytics che sta scrivendo un mio amico e che uscirà giugno (faccio il misterioso solo perché non so se la cosa sia ancora riservata o meno). Poi arrivato in ufficio, nel quarto d’ora dedicato all’aggregatore dei feed RSS, ho scorto un post di Fabris sui sondaggi di opinione che ho stampato e letto con calma solo adesso. Il j’accuse di Fabris riguarda l’uso spregiudicato dei sondaggi e l’approssimazione professionale dei sondaggisti.

Ho trovato questo post collegato al tema dei web analytics i quali, in fondo, sono sondaggi sull’utilizzo dei siti piuttosto che della fruizione delle campagne di advertising, svolti però analizzando dei dati oggettivi anziché svolgendo delle interviste. Continuo ad essere convinto non solo che la Rete sia il più grande focus group mai esistito, ma che gli strumenti ad uso delle ricerche di mercato, saranno sempre più orientati ad osservare e ascoltare le persone in base ai loro contenuti generati online, piuttosto che andarle a intervistare.

Magari in questo modo anche gli attuali sondaggi di opinione potrebbero risultare maggiormente verificabili…


Ieri, dopo la conferenza stampa in cui è stato presentato Omnicom Expo, uno studente di Scienze della Comunicazione mi ha posto alcune domande. Ha chiesto dei temi del convegno IAB, e quindi sull’integrazione tra media tradizionali e internet, e poi ha virato sui temi che, mi è parso, gli interessassero (giustamente) di più: quali opportunità offre la Rete ai giovani dal punto di vista professionale?

Ho provato a difendere in qualche modo la necessità di una formazione accademica (anche IAB messo in piedi un Master assieme all’Università Cattolica di Milano), ma è evidente lo “stacco” che questi ragazzi si trovano a dover affrontare quando poi entrano in contatto con le aziende. E mi rendo conto non è del tutto confortante sapere che ormai “l’autoformazione” è una componente essenziale dalle parti della Rete

Professioni e internet è peraltro l’argomento di un’intervista che va in onda oggi su Radio24 (alle 13.50 e poi alle 22.05) in cui ho accennato ad alcune delle figure professionali che mi sembra godano di buone prospettive.

E sempre a proposito di formazione e giovani (molto giovani, in questo caso), ripropongo qua un video già segnalato da Stefano, in cui si esalta il punto di vista di alcuni studenti di dodici anni. I miei figli ormai sono quasi quindicenni, ma ritrovo nel video alcune delle loro tipiche istanze.


Mercoledì prossimo a Roma nell’ambito di Omnicom Expo abbiamo organizzato come IAB il convegno Comunicazione via internet: l'altra metà dei “mezzi”. L’obiettivo sarà quello di verificare come la Rete si va ad integrare con gli altri media e non solo ad affiancarli.

In realtà avevo pensato inizialmente ad un titolo più provocatorio o ironico, del tipo “Internet: la metà che manca agli altri mezzi”. Ma non volevo cadere nell’errore che facciamo talvolta noi del settore, di metterci a comparare i diversi strumenti di comunicazione cercando di promuoverne uno rispetto agli altri. La logica delle aziende è invece necessariamente quella dell’integrazione tra i mezzi ed è su questo terreno che cercheremo di sviluppare il convegno.

Ancora devo preparare le mie chart, ma pensavo di partire da un’osservazione generale su “a cosa serve internet in azienda” che dovrebbe far incrociare la Rete con i diversi settori delle organizzazioni e i differenti strumenti di comunicazione. Se avete argomenti da suggerire, sono tutt’orecchi :)

Insieme a me ci saranno Salvatore Ippolito di Microsoft, Gianluca Stazio di RaiNet, Serena Belloni di Neo@Ogilvy e Luca Bordin di Nielsen Online. Appuntamento quindi mercoledì 13 alle ore 10.


Mercoledì prossimo a Roma nell’ambito di Omnicom Expo abbiamo organizzato come IAB il convegno Comunicazione via internet: l'altra metà dei “mezzi”. L’obiettivo sarà quello di verificare come la Rete si va ad integrare con gli altri media e non solo ad affiancarli.

In realtà avevo pensato inizialmente ad un titolo più provocatorio o ironico, del tipo “Internet: la metà che manca agli altri mezzi”. Ma non volevo cadere nell’errore che facciamo talvolta noi del settore, di metterci a comparare i diversi strumenti di comunicazione cercando di promuoverne uno rispetto agli altri. La logica delle aziende è invece necessariamente quella dell’integrazione tra i mezzi ed è su questo terreno che cercheremo di sviluppare il convegno.

Ancora devo preparare le mie chart, ma pensavo di partire da un’osservazione generale su “a cosa serve internet in azienda” che dovrebbe far incrociare la Rete con i diversi settori delle organizzazioni e i differenti strumenti di comunicazione. Se avete argomenti da suggerire, sono tutt’orecchi :)

Insieme a me ci saranno Salvatore Ippolito di Microsoft, Gianluca Stazio di RaiNet, Serena Belloni di Neo@Ogilvy e Luca Bordin di Nielsen Online. Appuntamento quindi mercoledì 13 alle ore 10.


L' onda anomala. Charlen Li, Josh BernoffLa rivoluzione in atto nel mondo della comunicazione e nel rapporto tra persone e aziende, può essere ben sintetizzata con la denominazione “Onda anomala” che titola questo libro (“Groundswell” nella versione originale, già tradotta in una dozzina di lingue). Charlen Li e Josh Bernoff sono due analisti di Forrest Research, tra i primi a studiare in profondità i social media e più volte citati da queste parti.

Questo L’onda anomala è un buon libro, impostato in una logica consulenziale e quindi col giusto pragmatismo che interessa alle aziende. Non nasconde l’appartenenza degli autori, anzi la esalta laddove è spunto per presentare numerose case history. È solo troppo evidente il continuo riferimento al tool Technographics Profile di casa Forrester per l’identificazione dei profili degli utenti dei social media, tanto da apparire piuttosto promozionale.

Si tratta comunque di uno strumento intelligente e utile. Recentemente (e qui apro una piccola parentesi) con questo tool è stata elaborata una ricerca sull’uso dei social media da parte dei cosiddetti baby-boomers, ossia color che hanno tra i 43 e i 63 anni. Beh, l’Italia svetta a livello europeo in quanto a numero di Creatori di contenuti tra gli Young Boomers (43-52 anni). Interessante.

Tornano al libro e cercando di sintetizzarne il concetto di fondo, l’idea di base è che l’Onda anomala riguarda il protagonismo del consumatore il quale, non solo va messo al centro dell’attenzione, ma va a condizionare sempre di più le scelte e l’intera organizzazione delle aziende. Prenderanno peso i customer manager, piuttosto che gli attuali product manager.

Come ogni buon testo made in USA, anche qui non mancano le liste di suggerimenti. Ne vado a estrapolare alcuni punti tra quelli dedicati a come affrontare e gestire al meglio l’Onda anomala:

  • Partite in piccolo. Siate pazienti.
  • Preparate i vostri dirigenti.
  • Scegliete le persone e i partner giusti. In merito i partner (agenzie pubblicitarie e partner IT): se non capiscono a fondo l’Onda anomala, fate in modo che investano tempo e risorse nella questione, oppure cambiate fornitore.
  • L’Onda anomala è legata alle attività interpersonali. Ciò significa che dovete essere pronti a relazionarvi con individui che non avete mai conosciuto.
  • Siate flessibili, collaborativi, umili.

Alcuni link utili per chi volesse approfondire:

Come scrissi qualche mese fa, l’unico modo per affrontare l’onda non è scappare o costruire argini ma… imparare a fare surf!


L' onda anomala. Charlen Li, Josh BernoffLa rivoluzione in atto nel mondo della comunicazione e nel rapporto tra persone e aziende, può essere ben sintetizzata con la denominazione “Onda anomala” che titola questo libro (“Groundswell” nella versione originale, già tradotta in una dozzina di lingue). Charlen Li e Josh Bernoff sono due analisti di Forrest Research, tra i primi a studiare in profondità i social media e più volte citati da queste parti.

Questo L’onda anomala è un buon libro, impostato in una logica consulenziale e quindi col giusto pragmatismo che interessa alle aziende. Non nasconde l’appartenenza degli autori, anzi la esalta laddove è spunto per presentare numerose case history. È solo troppo evidente il continuo riferimento al tool Technographics Profile di casa Forrester per l’identificazione dei profili degli utenti dei social media, tanto da apparire piuttosto promozionale.

Si tratta comunque di uno strumento intelligente e utile. Recentemente (e qui apro una piccola parentesi) con questo tool è stata elaborata una ricerca sull’uso dei social media da parte dei cosiddetti baby-boomers, ossia color che hanno tra i 43 e i 63 anni. Beh, l’Italia svetta a livello europeo in quanto a numero di Creatori di contenuti tra gli Young Boomers (43-52 anni). Interessante.

Tornano al libro e cercando di sintetizzarne il concetto di fondo, l’idea di base è che l’Onda anomala riguarda il protagonismo del consumatore il quale, non solo va messo al centro dell’attenzione, ma va a condizionare sempre di più le scelte e l’intera organizzazione delle aziende. Prenderanno peso i customer manager, piuttosto che gli attuali product manager.

Come ogni buon testo made in USA, anche qui non mancano le liste di suggerimenti. Ne vado a estrapolare alcuni punti tra quelli dedicati a come affrontare e gestire al meglio l’Onda anomala:

  • Partite in piccolo. Siate pazienti.
  • Preparate i vostri dirigenti.
  • Scegliete le persone e i partner giusti. In merito i partner (agenzie pubblicitarie e partner IT): se non capiscono a fondo l’Onda anomala, fate in modo che investano tempo e risorse nella questione, oppure cambiate fornitore.
  • L’Onda anomala è legata alle attività interpersonali. Ciò significa che dovete essere pronti a relazionarvi con individui che non avete mai conosciuto.
  • Siate flessibili, collaborativi, umili.

Alcuni link utili per chi volesse approfondire:

Come scrissi qualche mese fa, l’unico modo per affrontare l’onda non è scappare o costruire argini ma… imparare a fare surf!