A casa di Stefano si sta sviluppando un bel dibattito sul tema giornalismo e blog, o meglio, tra giornalisti e blogger. Il tutto nasce da un confronto senza peli sulla lingua tra un “amico giornalista” (che poi si svela e interviene nei commenti) e Stefano e altri colleghi blogger (termine che qui uso per praticità, ma ribadisco che non considero i blogger una categoria).

Per ragioni di tempo non ce la faccio ad intervenire nella discussione, ma sto maturando un pensiero riguardo a quello che a me sembra il punto centrale, ossia l’evoluzione del concetto di “contenuti”. Se continuiamo a ragionare dal lato dei produttori dei contenuti, e quindi sui ruoli professionali o amatoriali, sulle motivazioni di chi scrive per lavoro o per fare PR, allora rischiamo di perdere di vista chi ha in mano il pallino, ossia il lettore.

Noi possiamo sbellicarci a giudicare se il lavoro dei giornalisti sia privilegiato o meno, se i blogger siano dilettanti allo sbaraglio e meno e così via (e sono temi su cui ci si arrovella da tanti

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Un commento per “Il valore dei contenuti”

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  1. Boh/Orientalia4All scrive:

    sono d’accordissimo, nell’editoria e su Internet: prevalgono i contenuti, ma non nel senso della qualità dei contenuti.
    Tutto deve essere spiritoso, veloce, fruibile. I libri lunghi non più di 200 pagine, gli articoli che sparano cose e informazioni, spesso riutilizzando le agenzie senza un minimo di approfondimento, i post brevi, veloci e sempre e comunque spiritosi a ogni costo, su tutto. Linkabili da tutti.
    Il prezzo scende per un motivo principale: perché tutti scrivono, e tutti lo farebbero anche gratis, pur di esserci (e magari di usarlo per aumentare la credibilità: in sunto, per aumentare l’onorario: vedi avvocati, dottori, gente del marketing, grafici e liberi professionisti vari).
    E scrive anche chi farebbe meglio a dedicarsi ad altri (e ben più proficui) lavori.

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