Articolo pubblicato giovedì 11 ottobre 2007 su Nòva/IlSole24Ore
Il fatto che da qualche anno internet ospiti un fiume di contenuti generati dalle persone, alimenta il dibattito sulla relazione tra user generated content e media tradizionali e, più insistentemente, sulla apparente scarsa qualità di tali contenuti. I più allarmati, o semplicemente i meno attenti, provano a leggere una ventina di blog e ne traggono la conclusione che internet è diventato patria della sottocultura, crocevia della superficialità, destinazione dei mancati professionisti della scrittura. Ma le cose stanno diversamente e qui evidenziamo tre fattori per meglio interpretare la situazione.
Spazio ai non-professionisti. È comprensibile il disagio di fronte a blog, social network o forum: da sempre i contenuti sono stati prodotti essenzialmente da professionisti, con l’obiettivo di essere venduti oppure di ospitare pubblicità. Oggi la situazione è cambiata. Nelle discussioni sui business model dei contenuti digitali, è forte l’imbarazzo nel constatare la crescente competizione con i lavori prodotti da singoli individui, i quali sembrano non avere un evidente modello economico sottostante. Il fatto è che i rapporti sociali tra persone e le conseguenti forme di comunicazione, trovano sempre più spazio sulla Rete e qui attraggono l’attenzione di altri soggetti e di conseguenza catturano il loro tempo. Pur non avendo ragioni di business sottostanti, l’impatto per i professionisti della comunicazione è evidente.
La qualità è soggettiva. Per favore, non dite che le foto dei miei figli che ho messo su un social network sono di scarsa qualità: per me sono la cosa più bella del mondo! Insomma, prima di discriminare sul valore di un elemento di comunicazione, occorrerebbe riflettere sul significato che rappresenta per l’autore e per i destinatari, seppur limitati. Inoltre, si è sempre socializzato senza badare in modo rigoroso alla qualità dei contenuti prodotti. Anzi, l’informalità e la tolleranza sulla forma, comprese sgrammaticature di ogni genere, sono elementi che distinguono in senso positivo determinate forme di comunicazione. Ecco, la Rete oggi dimostra che c’è voglia di leggere e ascoltare le persone, con la consapevolezza che le peculiarità espressive dei singoli non sono quelle dei media e che proprio per questo vengono apprezzate.
User filtered content. È noto che la quantità è sempre stata inversamente proporzionale alla qualità. L’enorme mole di contenuti digitali continuamente riversati su internet è oggettivamente difficile da decifrare, tanto che l’occhio distratto ne vede solo i tratti più deleteri e la difficoltà nel reperire degli elementi interessanti. È altresì inconfutabile che solo in un contesto dove non ci sono vincoli di ingresso, è maggiore la probabilità che emergano contenuti di spessore. Il punto quindi non è il marasma di contenuti, ma la capacità di saper utilizzare i filtri (e ce ne sono moltissimi) capaci di evidenziare le espressioni di valore. L’impegno nel conoscere ed applicare tali filtri, è il prezzo da pagare per poter estendere possibilità di accesso ad un bacino di milioni di produttori di contenuti, tra i quali peraltro, possiamo individuare la nostra nicchia specifica di interesse, notoriamente non soddisfatta da nessun media professionale.
Internet sta mantenendo la promessa di dare uno spazio espressivo a chiunque, in un processo che sta costruendo le sue regole ed i suoi confini man mano che l’umanità collegata alla Rete ne coglie le opportunità e ne individua il senso. Di sicuro, la logica di qualificazione applicata finora, basata su valori assoluti di audience e diritto di pubblicazione riservato a professionalità specifiche, ha fatto il suo tempo.
Mauro Lupi
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