Franco Folini ha raccolto una bella intervista su blog di Novedge a Andrew Keen, l’autore di “The Cult of the Amateur”. Con il suo libro, Keen ha messo in discussione la qualità e l’autorevolezza complessiva dei blog, attirandosi parecchi strali polemici.

In effetti il suo libro è in lista tra quelli che contavo di leggere, soprattutto perché volevo capire un punto di vista piuttosto diverso dal mio. La conversazione di Keen con Franco è interessante e ci sono delle riflessioni che condivido, ma in linea generale trovo che il suo approccio sia sbagliato perché, rispetto ai blog, si pone i soliti due problemi di chi guarda solo la superfice del fenomeno:

  1. la qualità media dei blog è penosa
  2. la quasi totalità dei blog non ha un modello economico sostenibile

Risposta sintetica con un doppio: “e allora?”.

Chi si preoccupa della qualità dei blog, semplicemente non apprezza il fatto che ne esistono migliaia decisamente validi ed interessanti (a me bastano questi, il problema semmai è per gli altri blog), non conosce la capacità delle persone di fungere da filtri in grado di evidenziare solo quello che funziona, non capisce la necessità di sviluppare un approccio più disincantato verso i contenuti: ce ne sono tantissimi e questa è un’ottima cosa (almeno rispetto alla situazione contraria), per cui la preoccupazione deve essere quella di saper scovare le informazioni utili e ignorare velocemente tutto il resto.

Sulla sostenibilità economica dei blog, ci sono ormai fior di considerazioni sull’economia del dono per cui non mi dilungo. Spero solo che possano esserci sempre più individui che abbiano voglia di tenere un blog e che lo facciano senza preoccuoparsi (solo) di farci soldi. Ne voglio tanti, di qualsiasi tipo, scritti da teenager e da novantenni, scrittori professionisti e aculturati illitterato. Sento semplicemente il bisogno di ascoltare le persone e non più semplicemente i media.

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15 commenti per “Qualità dei blog e modello economico: e allora?”

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  1. roberto dadda scrive:

    Condivido tutto e aggiungo che considerare un fatto negativo la non presenza di un business model sostenibile dietro ogni blog vuole dire non avrere capito NULLA del mondo dei blog e delle sue motivazioni.
    E’ un poco come considerare negativo il fatto che la stragrande maggioranza dei telescopi amatoriali sono meno potenti di quello di monte Palomar o che la radio del radioamatore medio non è sofisticata come quelle installate sulle navi della Quinta flotta.
    Hai ragione tu la risposta sta nel milanesissimo “e alura?” che gli inglesi ci hanno copiato nel loro “so what?”!
    bob

  2. Massimiliano scrive:

    I blog, come sostiene anche un famoso ‘blogger’ italiano – Beppe Grillo – è un’ottima alternativa alla comunicazione ‘pilotata’ proveniente dai media, dando voce anche a chi non possiede testate editoriali o tv pubbliche/private.
    Non è un caso che Beppe Grillo abbia abbandonato (…costretto o meno..) la Tv per divulgare il proprio ‘verbo’ via Blog.
    Poi, come ogni strumento nuovo, ha bisogno di rodaggio, aggiustamenti in corsa, migliorie.
    Sulla sostenibilità economica ci sarebbero tanti discorsi da fare, ma credo che riguardino più i corporate blog che non i veri e propri diari personali.

  3. Franco Folini scrive:

    Mauro, condivido gli appunti che tu fai alle “teorie” di Andrew Keen.
    Avendo letto il libro e speso una mattinata a chiaccherare con Andrew, vorrei per un attimo chiarire il Keen-pensiero (non il mio): l’esplosione dei blog sta “uccidendo” i media tradizionali. Mentre i media tradizionali costituivano un modello di raccolta e distribuzione informazione consolidato e funzionante (sebbene imperfetto), i blog per ora non hanno ancora dimostrato di essere una valida alternativa. I blog sono, se bene interpreto le parole di Keen, efficaci nel distribuire le informazioni ma non hanno un business model atto a sostenere costi connessi all’attivita’ di “acquisizione informazione”. Per fare il commentatore basta una connessione Internet, per fare il giornalista servono soldi (qualcuno deve pure andare in Iraq per raccontaci cosa sta succedendo). E i blogger notoriamente soldi non ne fanno.
    La mia personale opinione e’ che l’evoluzione di Internet potrebbe portare ad una sociata’ con fortissimi contrasti. La “classe-culturale-media” tendera’ a scomparire. Sopravviveranno un esercito di pecoroni che leggeranno le “news piu’ votate” e guarderanno la TV spazzatura, mentre solo una piccola minoranza di persone abbastanza smart e illuminate sara’ capace e avra’ la volonta’ di andare a cercarsi le informazioni “vere” e “importanti” scavando nell’infinita monnezza generata da Internet (siamo tutti daccordo che le perle ci sono, sebbene siano seppellite sotto montagne di immondizia).

  4. Mauro Lupi scrive:

    Il rischio che si andrà a creare una frattura tra classi di pecoroni e elite di smart guys è reale. Mi torna in mente il mio vecchio pensiero del “personal searcher”, ossia qualcuno che aiuti a muoversi “nel” e “con il” mare di contenuti digitali disponibili.
    Il problema è che dovremmo evolvere il concetto di digital divide che quasi sempre viene associato solo all’uso operativo delle tecnologie e non all’utilizzo “mentale” dei nuovi strumenti e device digitali.

  5. Gianni Dominici scrive:

    Apprezzo molto la specificazione di Follini che amplia la discussione. Keen ha scritto il suo libro in modo molto, probabilmente troppo, provocatorio per cui spesso ci si ferma ai paradossi senza apprezzare alcuni ragionamenti, a mio avviso molto seri, che la lettura del libro solleva.
    Uno dei problemi che Keen evidenzia è il fatto che l’incredibile diffusione dei blog sta portando ad uno scenario per cui molti “parlano” e pochi ascoltano appagati, i primi, da una sorta di egocentrismo mediatico. In più, coloro che parlano sono coloro che per condizioni economiche, culturali e geografiche sono abilitati a farlo. La rete rischia di portare ad una sovrarappresentazione di questi “pensieri” e di ignorarne di altri. Esempio banale: si parla troppo di Iphone e poco di Africa.

  6. aCulturato scrive:

    Anche a me piacerebbe leggere blogger colti, perfino acculturati.. ma aculturati proprio no. ;-)

  7. gianfalco scrive:

    Boh…
    Credo che ormai l’unica cosa veramente non più sostenibile sia l’obbligatorietà di rispondere innanzitutto a criteri economici.
    E’ proprio la libertà da impegni anche economici che favorisce la crescita dei blog, e quindi di comunicazione, scambio, proposizione al di fuori dei circuiti obbligati.
    Poi ci sono mille livelli, come in ogni espressione, ma la velocità della rete permette di selezionare subito.
    Per fortuna.

  8. donatella scrive:

    Mi è stato segnalato questo blog e già dopo un giorno trovo una riflessione interessante…vi presento il mio caso: sono una “brava” utente di pc che non avrebbe però mai saputo e potuto crearsi uno o più siti; con una piattaforma già impostata ho imparato velocemente e ho già creato due blog: uno personale e uno per la mia scuola di decorazione floreale. Avremo la possibilità di farci conoscere ma non avremmo potuto permetterci certo di spendere migliaia di euro per un sito proprio..!! Non è già una bella ricchezza !!??

  9. Eugenio La Mesa scrive:

    La forza dei blog è l’economia del dono, e il fatto che chi scrive è di solito molto competente nella sua materia e non lo fa’ per soldi.
    Proprio l’essere liberi da vincoli economici (vedi pubblicità) da’ massima libertà editoriale, che nei mezzi tradizionali non sempre c’è.

  10. Maurizio Goetz scrive:

    Mauro hai perfettamente ragione, per questo smettiamo di parlare di digital divide e cominciamo a diffondere il concetto di divario culturale .
    Ci si lamenta della qualità generale dei blog, ma abbiamo la grande opportunità di potere scegliere i contenuti che apprezziamo e poi se le blogstar continuano a fare i giochetti con i link, o a promuovere polemiche sterili non lo vedo come un problema. Ognuno è libero di partecipare e usare il suo tempo come crede, scegliendo i blog che preferisce. L’aggregatore serve proprio per selezionare le perle e lasciare fuori la spazzatura. Il bello è che ognuno può giudicare che cosa ritiene essere una perla e cosa no.

  11. Paolo Ferrara scrive:

    Premetto che non ho letto il libro di Keen e in genere non mi piace commentare per sentito dire. Certo è che se il ragionamento è stato svolto arrivando alle conclusioni che Mauro riporta, l’unico commento più che un “e allora?” sarebbe “e chi se ne f…!”. Non voglio neanche entrare nei discorsi sull’economia del dono (ne ho fatto la mia professione, in qualche modo, della logica dello scambio non corrispettivo) mi attengo semplicemente a quanto ho imparato in questi primi mesi da blogger. Il mio blog non ha pubblicità, non intendo inserirla, non penso di scrivere libri e sono affezionato al lavoro “dall’interno” per cui non penso che diventerò, almeno nei prossimi anni un consulente. Eppure grazie al blog ho conosciuto decine di professionisti di tutto il mondo, tanti appassionati e forse qualche amico. Tutto questo ha un valore economico? Per me potrebbe anche averlo, grazie alla forza del network (ma non parliamo di social networking, appunto?), di certo però ha arricchito la mia vita di nuove relazioni e di nuove competenze e fortunatamente io, come migliaia di altri blogger, posso anche vivere senza monetizzare tutto.
    Grazie mille per il post e per la bella discussione.

  12. Laura* scrive:

    Un blog é sempre rilevante, sia o non sia di un certo spessore.

  13. Mauro Lupi scrive:

    Ho corretto aculturato con illitterato (da contrapporre a “scrittori professionisti”) che era il concetto che volevo esprimere. Grazie a aCulturato per la segnalazione ;-)

  14. La_Sposa scrive:

    Grazie.
    Interessante e veramente democratico concetto.
    Raro a leggersi.

  15. Diomede scrive:

    Sono d’accordo che la “qualità media” non sia un problema, per quanto riguarda l’”economia del dono” ritengo che il ritorno per chi scrive un blog non sia il solo piacere di essere utile, vanno aggiunti i benefici di fare parte di una comunità ed all’interno di questa soddisfare i bisogni basilari di sentirsi importanti.
    Ma esistono anche vantaggi esclusivamente intimi quali il tenere traccia della propria vita, delle proprie esperienze, un po come un album fotografico (nessuno fa le foto di famiglia per guadagnarci un domani!), costringersi a tenere allenata la propria creatività, spirito di analisi, sintesi e capacità di scrittura.
    Costringersi perchè c’è un pubblico la fuori, allo stesso tempo gli strumenti di oggi permettono di fare un buon lavoro, di revisionarlo, di crescere insieme al blog perché spinti a fare ricerche su ciò di cui si parla, di organizzare il tutto e stoccarlo per SEMPRE.
    Non è un diario segreto di cui ci si dimentica e che si perde o deteriora.
    Approposito, chi scriveva il proprio diario aveva un modello economico?

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