Privacy International è un’organizzazione inglese che da una quindicina di anni indaga sulle violazioni dei dati privati. Un loro report di inizio giugno (qui il PDF) classifica i meno rispettosi della privacy e, tra questi, Google è al primo posto tra le 22 aziende analizzate.

Chiara Sottocona sul Corriere Economia di oggi (allegato al Corriere della Sera) riprende la ricerca di Privacy International, raccogliendo anche la voce di Google  e quella del sottoscritto. Il virgolettato (non mio) con cui titola l’articolo è forte: “Il vostro motore di ricerca è il vero grande fratello”.

Il mio punto di vista è netto:

  • Mi sembra evidente che la quantità dei dati personali che gestisce Google, inclusi quelli non direttamente lasciati dalle persone ma comunque desumibili, sono tantissimi e probabilmente in quantità e qualità superiore a quelli raccolti da qualsiasi altra azienda.
  • È anche evidente che l’utilizzo di tali informazioni si basa sul rapporto fiduciario tra le persone e Google, rapporto evidentemente ottimo fino a questo punto.
  • Trovo fondamentale che gli individui siano informati e consapevoli di come vengono memorizzati e utilizzati i loro dati, per cui ben vengano le occasione di dibattito come auspicato da Stefano Hesse (PR manager di Google Italia).

Insomma: nessuna corsa a fare dietrologia, ma l’invito a far girare le informazioni. Poi ognuno farà le sue scelte e dovrà essere libero e consapevole di consegnare le informazioni sulla sua vita a qualcuno oppure no.

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Un commento per “Privacy e Google”

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  1. emanuele scrive:

    Non sono un professionista del settore ancora, ma mi interesso molto alle tematiche web. Secondo me, e se sbaglio correggetemi, mi sembra che si stia demonizzando forse un po’ troppo Google, in quanto le informazioni da esso raccolte non sono per nulla differenti da quelle in possesso di alcuni portali che possono tracciare il cammino di un utente come Alice o Libero. Credo che l’accusa di essere il nuovo GF non è rivolta tanto a Google quanto al mezzo internet in sè, di cui Google rappresenta una buona fetta per moltissimi utenti. Credo che i mezzi tradizionali si stanno rendendo conto della quantità/qualità di informazioni che internet può fornire a differenza delle approssimazioni fatte da auditel. Credo che più che voglia di giustizia (che può essere fatta semplicemente informando l’utente del fatto che si stanno raccogliendo dati su di lui) sia la paura a guidare le parole della Sottocona, paura che un giorno (sempre più vicino) internet possa convogliare in sè tutti gli altri media.
    Se i dati venissero usati per ottenere informazioni sugli utenti per tarare meglio la pubblicità su di loro, non so chi se ne potrebbe lamentare, a chi da fastidio una pubblicità che invece di invadere aiuta? perchè è proprio questo quello che fanno le AdWords, il primo passo della pubblicità tarata sulle richieste dell’utente.

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