Se riesco, conto di scrivere più tardi sul tema del “codice dei blog” che alimenta la discussione in questi giorni.

Intanto, sollecitato/solleticato dal confronto con alcune aziende, riprendo una frase di Maurizio Sala (VP Gruppo Armando Testa) che sintetizza perfettamente l’attuale fermento attorno al marketing virale:

“Oggi in Italia il marketing virale non è una pratica diffusa: è una pratica di cui si parla molto. La differenza è sostanziale.”

Da leggere anche il resto dell’intervento di Maurizio su Spotx, nel quale analizza concretamente le opportunità del settore ma anche le cautele con cui affrontarlo. Lui lo fa nel modo elegante che gli si confà, mentre io a suo tempo avevo etichettato questa viral-mania con un più romanesco Famolo virale.

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3 commenti per “Il marketing virale di cui si parla”

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  1. Enrico Bianchessi scrive:

    Sono assolutamente d’accordo con te quando etichetti la viral-mania come un approccio di forma e di “etichetta”, appunto, appiccicata a cose che non hanno ne’ capo ne’ coda, spesso non sono viral, ma chiamarle così ti permette di dire che sei al marketing 2.0, etc etc. Credo la stessa cosa accada ormai quotidianamente nel mondo delle relazioni pubbliche, dove se spammi senza ritegno i blogger più seguiti con dei comunicati stampa aziendali, ai tuoi clienti poi dici che fai comunicazione “attenta ai social media” e sei “capace di immergere il brand nella blogosfera”. La mamma dei ciarlatani è sempre incinta ( e di parti plurigemellari a quanto sembra)

  2. Kawakumi scrive:

    Come dice Sala, uno dei problemi (a mio parere quello fondamentale) è l’inadeguatezza delle tecniche di misurazione delle campagne virali (soprattutto quelle online). Le aziende vogliono dati, numeri… bisogna correre verso la misurazione virale 2.0

  3. markingegno scrive:

    C’e’ da dire anche che qualcuno pare che abbia confuso il termine virale con economico: virale e’ bello perche’ lo si puo’ fare con budget ridotti.
    Ma sara’ vero? :-

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