Stimolato dai commenti ad un post precedente, vorrei condividere un pensiero che mi porto dietro tanti anni, probabilmente da quando, più o meno ventenne, portai il mio Mac nella banca in cui lavoravo dove si usavano solo i mainframe.

Occuparsi professionalmente di tecnologia (e questo può valere anche per i new media) significa, secondo me, sapere di dover fare education allo stesso tempo. E fin qui credo che lo si è capito tutti. Quello che non condivido è la preoccupazione per le aziende che "non sono pronte", "non capiscono", ecc. Lo sentivo a dire a proposito dei PC, poi per i siti web, oggi per i blog, domani per chissà cos’altro.

Invece, l’abilità di un’azienda o un professionista nei settori legati al "nuovo", è saper scovare e motivare quelle "quasi pronte". Non credo che sia solo ottimismo: io dico che ce ne sono tante; poi l’abilità deve essere quella di saper stimolare nel modo giusto e portare valore concreto – ma questo è un’altro discorso.

Sapete la vecchia storia della ditta che voleva vendere scarpe in Africa? No? Ok, cerco di riassumerla. Un produttore di scarpe vuole espandersi in Africa e manda due agenti a sondare quel mercato. Dopo una settimana torna uno dei due sconsolato: “Ragazzi, qui non vedo nessuna possibilità, girano tutti scalzi”. Dell’altro agente nessuna notizia fino a quando arriva un fax dall’Africa: “Urgente! Inviate un grosso quantitativo di scarpe. Qui girano tutti scalzi!” ;-)

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10 commenti per “Vendere scarpe in Africa”

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  1. Giorgio Taverniti scrive:

    Ciao Mauro, vado OT,
    La storiella dell’Africa l’ho letta su un libro di Kotler, o Norman, non ricordo e c’era un terzo commerciante che tornava dal capo con la proposta di regalare delle scarpe alle persone più carismatiche del villaggio…:D
    Il capo li aveva inviati per vedere chi assumere…
    Però potrei sbagliarmi, scusa per l’Ot ma non ho resistito, sono troppo curioso.

  2. Maurizio Goetz scrive:

    Caro Mauro, cosa succede quando alcune aziende sono prontissime mentre le loro agenzie di comunicazione non lo sono?
    Molto spesso parlo con impenditori molto consapevoli, che si lamentano invece di non avere interlocutori che li comprendono.
    Che ne dici?

  3. Mauro Lupi scrive:

    Si, sento anch’io lamentele del genere. Ma più che comprensione, le aziende chiedono solo di proposte che siano di supporto al loro business e non regole auree, né tantomeno scenari rivoluzionari a cui le aziende dovrebbero adeguarsi nel giro di due mesi.

  4. Maurizio Goetz scrive:

    Lo sforzo deve essere duplice. Da una parte le agenzie devono comprendere le reali esigenze delle aziende e adeguare le loro proposte di comunicazione in modo che esse producano dei risultati concreti per le aziende stesse.
    Dall’altra parte le aziende non possono pretendere di utilizzare mezzi relazionali se non sono disposti a modificare il loro processo organizzativo. Se si progetta ad esempio un blog e ammesso che si voglia veramente ascoltare i propri pubblici, poi non si può continuare come prima, altrimenti è assolutamente controproducente.
    La realtà è che in Italia sono pochissimi che sono disposti a fare ricerca e sviluppo sulla comunicazione. Tu lo sai bene, visto che sei uno dei pochi che lo fa. E’ innegabile che nel marketing, nella comunicazione e nel servizio ai clienti c’è un gap enorme tra la situazione italiana e quella ad esempio del resto dell’Europa (tranne rari casi). Non credo di sbagliarmi.

  5. federico riva scrive:

    Riallacciandomi alla storiella delle scarpe, vorrei fare notare che la maggior parte delle societa’ (piccole o grandi) andava a piedi nudi, poi ha comprato scarpe strette (agenzie che vendono a carissimo prezzo consulenze di livello infimo, e mi riferisco soprattutto ai SEO/SEM)e adesso torna a camminare a piedi nudi. E’come la storiella dell’acqua. Chi si e’ scottatto con quella calda, poi teme anche quella fredda. In giro vendono quasi tutti …acqua calda :)

  6. GaetanoAnzisi.com scrive:

    @Mauro – Hai ragione il nostro mestiere prevede la formazione del cliente prima per spiegargli che lavoro facciamo e poi se riusciamo a svlipuppare qualcosa insieme al cliente gli si insegna ad usare i nuovi strumenti di comunicazione. Il più delle volte ci si ferma al primo ‘modulo’ di formazione.
    E sai xchè? Il cliente rielabora ciò che gli hai spiegato riguardo al tuo mestiere e decide che può farlo da solo. In Italia manca la cultura dei nuovi media (basta vedere la situazione della televisione italiana). Manca la cultura significa non riconoscere fino in fondo le nostre professionalità. Noi non siamo avvocati, falegnami, calzolai…e il più delle volte siamo identificati come informatici, programmatori, qualcuno azzarda dicendo che siamo dei creativi. Questo non è per forza negativo, io lo trovo estremamente stimolante. Siamo dei pioneri alla conquista di un nuovo mondo anche se certe volte mi sembra più di essere un profeta che racconta ai popoli ciò che verrà :-) Oggi fa proprio caldo e ho dormito poco…Si vede? Cmq ritornando al post iniziale: l’altro ieri non si usavano i pc ora tutte le aziende hanno dotato di una ‘macchina computazionale’ i propri dipendenti; ieri è arrivato internet e ora in molti sono online. La questione è il modo in cui questo processo è avvenuto fin’ora in Italia. I PC ci sono, è vero ma sono usati per fare data entry su SAP o su altri software gestionali. I progetti ad esempio delle Intranet delle maggiori Aziende Italiane sono stati sviluppati interamente dalle divisioni ICT o da strani team improvvisati…Io sto aspettando il giorno in cui NON mi chiederanno più di risolvergli il problema della stampante che NON stampa il documento word :-) Mi stanno venendo in mente troppe cose. Mi fermo qui.

  7. Filippo Giotto scrive:

    Prendo spunto dal saggio quesito posto da Maurizio: e cosa fare quando solo parte della struttura aziendale preposta allo sviluppo del canale internet è pronta ma il resto dell’azienda “non ci sente” ?
    Se parliamo di blog aziendale comprendo le perplessità di un’azienda che arriccia il naso all’idea di aprire una piazza in cui nomi e cognomi sono esposti a commenti.
    Ma se accendiamo la luce troviamo tante occasioni ed opportunità non colte, spesso per motivi più “burocratici” che altro… mi verrebbe da parlare delle classiche “altre priorità”. :-|

  8. Mauro Lupi scrive:

    Mi piace il post (http://tinyurl.com/f88gq) di Alberto dalla Norvegia, che conclude: “Insomma, perchè ci lamentiamo noi? Fa tutto parte del nostro lavoro, anche se spesso vorremmo la pappa pronta.”

  9. Alessandro Sportelli scrive:

    Credo che si renda necessario uno sforzo da parte di tutti in questo particolare momento per far comprendere a quante più aziende possibile l’importanza della comunicazione per mezzo dei “newmedia”.
    Credo che per noi sia ormai ovvio che un blog ben progettato può produrre un interessante “vantaggio competitivo”….il problema è in prima battuta “spiegarlo” ad i nostri interlocutori e poi possibilemnte “dimostrarlo” con dei fatti.
    Ci sono migliaia di imprese che hanno conseguito una certificazione di qualità (es.: ISO 9001).
    Sappiamo tutti che una certificazione di qualità si basa principlamente sull’attenzione al cliente e dà notevole importanza anche ai feedback negativi….
    Mi auguro che con un simile esempio molte imprese riescano a comprendere che un commento negativo di un cliente postato sul blog azinedale in alcuni casi può rappresentare uno stimolo a migliorarsi….
    Tra le altre cose dobbiamo rendere consapevole il nostro cliente che non realizzare un blog non vuol dire evitare commenti negativi….;)
    Ciao

  10. spiritoso deluca scrive:

    Lo scherzo finale è di cattivo gusto!

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