Sono mesi che Renato Soru, ideatore e capo di una realtà di spessore europeo come Tiscali, va ripetendo la necessità di arginare lo strapotere delle aziende americane nei servizi su internet. L’ultima sua uscita è una lunga intervista sulla Stampa di lunedì.

Il suo ragionamento parte da un dato concreto: il primato di società USA sulla Rete è pressochè assoluto, sia che si tratti di fare ricerche online (Google) che di consultare una directory (Yahoo!) ma anche per eseguire acquisti (Amazon) o partecipare ad aste online (Ebay). E, secondo Soru, per le aziende europee sarebbe impossibile competere con giganti che possono strutturarsi partendo da un mercato ricco e produttivo come quello americano.

È in effetti un discorso molto complesso, che riguarda non solo internet ma il fenomeno della globalizzazione nel suo insieme, argomento che non mi sento di affrontare in questo momento.

Però la voce di Soru tocca un aspetto fondamentale, e cioè la messa in discussione della capacità della Rete di autoregolamentarsi premiando, in un certo senso, le migliori aziende e le migliori idee. Io credo che, pur ridimensionando il sogno romantico di una internet democratica e dove tutti hanno pari opportunità (ma quando mai è esistita?), il successo di aziende come Google dimostra come gli utenti della Rete hanno la capacità di scegliere quello che meglio li soddisfa e che hanno il potere di portare due studenti di Stanford ad essere titolari di uno dei brand più famosi al mondo in soli cinque anni.

Il punto è ricordare che di Google ora notiamo il suo successo ed il suo potere economico, ma spesso si dimentica le altre decine e decine di motori di ricerca di tutto il mondo che hanno tentato nella stessa impresa senza riuscirvi oppure sono sopravvissuti solo un paio di anni. Ed anche per loro c’erano le stesse opportunità, almeno potenzialmente, che hanno avuto i Google, gli Ebay, gli Amazon, ecc.

Se aziende come Google spaventano un imprenditore (Soru lo paragona addirittura a Microsoft ed al suo “monopolio del software”) e se le proposte per arginare il loro successo prevedono delle barriere protezionistiche, rimango davvero perplesso e mi sembra di non essere il solo: Mantellini segnala i numerosi commenti, quasi tutti negativi, comparsi nel forum di Punto Informatico.

Confesso di essere tentato di fare delle facili malignità, perché viene legittimo il sospetto che l’avvicinamento di questi mesi dell’imprenditore sardo ai palazzi romani possa aver stuzzicato l’interesse per accedere a finanziamenti ad hoc, magari pensati per salvare “l’internet europea”. Ora, se spostiamo l’attenzione sui contenuti, posso anche guardare con molta attenzione un intervento economico a sostegno di iniziative nazionali o continentali, ma in questo caso il portavoce di un’istanza del genere non può essere perorata da un imprenditore del settore delle telecomunicazioni. I servizi e le tecnologie dovrebbero essere tenute fuori da barriere protezionistiche e lasciare che la concorrenza ci possa dare i prodotti migliori al prezzo più conveniente.

Nel settore del cinema, ad esempio, esiste una legge che supporta la produzione di film italiani e, seppur rivedibile, ha un senso. Ve l’immaginate invece una legge che limiti l’uso di telecamere giapponesi o di mixer per il montaggio americani solo per favorire dei produttori europei?

Indubbiamente, un imprenditore che opera nel mercato dei servizi internet, deve sapere di agire in un contesto globale. Per alcuni sarà un brutto risveglio, fatto di competizione dura, costante e su più livelli (qualità, supporto, prezzo, ecc.) però, io che sono ottimista, vedo anche le opportunità a disposizione delle aziende migliori.

Magari domani mattina mi accorgo che una mega azienda americana è arrivata in Italia a vendere servizi di posizionamento sui motori di ricerca (è il settore della mia azienda). Ok, significa solo che bisognerà essere ancora più bravi! Non credo che andrei a chiedere di mettere barriere protezionistiche…

Concludo: qualche giorno fa ho scoperto che il servizio più famoso al mondo per la ricerca dei termini più popolari sui motori di ricerca (Wordtracker) è realizzato da un’azienda inglese, mentre il software più utilizzato per l’analisi della densità delle keyword sulle pagine web (GRKda) è prodotto da un’azienda di Torino. Altri due casi in cui emergono i migliori, almeno fino a quando non arriverà qualcuno più capace; e se sarà americano… andrà bene lo stesso.

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