Archivio: “google”

Un post in stile weekend che prende spunto da Techcrunch. Il personaggio è Sergey Brin, cofondatore di Google, che quando pubblicò il curriculum online, ci infilò una chicca da vero geek.

objects

In pratica, all’interno del codice HTML della pagina web ha infilato i suoi veri obiettivi professionali: un grande ufficio, tanti soldi e poco lavoro. Un benefit potrebbero essere viaggi pagati in luoghi esotici.

Obiettivi che penso abbia raggiuto abbondantemente!

Visto che siamo in vena di cose semi-serie, ripesco quella che fu una mia scoperta casuale, più di dieci anni fa e che riguarda sempre Brin, ossia una sua bella foto vestito da donna.

Ennesima conferma che il web non dimentca… Buona domenica!


Ho raccolto in questo post la segnalazione di quattro recenti ricerche con alcuni elementi in comune: sono indagini fatte su CEO e manager aziendali e riguardano l’impatto attuale e nel breve periodo delle strategie di digital & social marketing.

Partiamo da McKinsey con l’analisi Minding your digital business la quale rileva, tra l’altro, che oltre la metà delle aziende di tutto il  mondo intervistate, considera il digital marketing e i social tools tra le prime 10 priorità.

McKinsey - Minding your digital business

Una delle ragioni per cui i social media ed internet in generale diventano sempre più strategici, è perché sono considerati strumenti che hanno e avranno il maggior impatto nella relazione con i clienti.

IBM - Leading Through Connections

Ed è quanto emerge dalla ricerca  Leading Through Connections di IBM che intervista 1.700 CEO di 64 nazioni diverse.

Tra i dati che emergono, nell’arco di 3-5 anni i social media ed i canali web saranno, dopo il face-to-face, i principali strumenti di engagement con i consumatori. In questa analisi, i media tradizionali slitteranno all’ultimo posto.

Sembra proprio che la consapevolezza dell’impatto strategico dei social media, sia finalmente arrivata anche ai “piani alti”, almeno stando a quanto rileva l’indagine How social technologies drive business success (PDF) realizzata da Millward Brown in Europa per conto di Google. Certo, c’è ancora un gap rispetto agli utilizzatori frequenti, ma due terzi dei senior manager ritiene che i social tools impatteranno sulle strategie  e sul successo di business se impiegati in modo convinto.

Millward Brown - How social technologies drive business success

Chiudiamo questa serie di segnalazione arrivando sul concreto: l’acquisizione di clienti attraverso i social media. È questo uno dei dati che rileva Hubspot nel survey  State of Inbound Marketing a cui hanno partecipato 972 professionals (devo dire che la metodologia della ricerca non mi è chiarissima). Tra i dati che vanno sottolineati c’è la persistenza del canale blog come uno dei maggiori performer in quanto a customer acquisition, sia per business B2C che B2B.

Hubspot - State of Inbound Marketing

Naturalmente all’interno di ognuna delle quattro ricerche qui segnalate, ci sono altri rilievi interessanti… che vi lascio scoprire. Enjoy!


Ho raccolto in questo post la segnalazione di quattro recenti ricerche con alcuni elementi in comune: sono indagini fatte su CEO e manager aziendali e riguardano l’impatto attuale e nel breve periodo delle strategie di digital & social marketing.

Partiamo da McKinsey con l’analisi Minding your digital business la quale rileva, tra l’altro, che oltre la metà delle aziende di tutto il  mondo intervistate, considera il digital marketing e i social tools tra le prime 10 priorità.

McKinsey - Minding your digital business

Una delle ragioni per cui i social media ed internet in generale diventano sempre più strategici, è perché sono considerati strumenti che hanno e avranno il maggior impatto nella relazione con i clienti.

IBM - Leading Through Connections

Ed è quanto emerge dalla ricerca  Leading Through Connections di IBM che intervista 1.700 CEO di 64 nazioni diverse.

Tra i dati che emergono, nell’arco di 3-5 anni i social media ed i canali web saranno, dopo il face-to-face, i principali strumenti di engagement con i consumatori. In questa analisi, i media tradizionali slitteranno all’ultimo posto.

Sembra proprio che la consapevolezza dell’impatto strategico dei social media, sia finalmente arrivata anche ai “piani alti”, almeno stando a quanto rileva l’indagine How social technologies drive business success (PDF) realizzata da Millward Brown in Europa per conto di Google. Certo, c’è ancora un gap rispetto agli utilizzatori frequenti, ma due terzi dei senior manager ritiene che i social tools impatteranno sulle strategie  e sul successo di business se impiegati in modo convinto.

Millward Brown - How social technologies drive business success

Chiudiamo questa serie di segnalazione arrivando sul concreto: l’acquisizione di clienti attraverso i social media. È questo uno dei dati che rileva Hubspot nel survey  State of Inbound Marketing a cui hanno partecipato 972 professionals (devo dire che la metodologia della ricerca non mi è chiarissima). Tra i dati che vanno sottolineati c’è la persistenza del canale blog come uno dei maggiori performer in quanto a customer acquisition, sia per business B2C che B2B.

Hubspot - State of Inbound Marketing

Naturalmente all’interno di ognuna delle quattro ricerche qui segnalate, ci sono altri rilievi interessanti… che vi lascio scoprire. Enjoy!


Sono stati fatti diversi studi su quale sia il numero massimo di relazioni che un individuo può intrattenere con altre persone. Studi correlati più volte alla quantità di “amici” con cui ci si interfaccia nei social network. Ora penso si debba anche iniziare a studiare qual è il numero massimo di social network che è un umano riesce a gestire.

Questi sono i giorni di Google+, il nuovo “ambiente sociale” che vista la portata dei suoi creatori, merita grande attenzione (pur ricordando che Google qualche passo falso l’ha compiuto proprio in questo ambito). Ed il nuovo network fa scattare una serie di inediti interrogativi con i quali ciascuno di noi deve fare i conti, non tanto legati alle funzionalità dello strumento, quanto alla portabilità (o meno) del proprio ambiente di relazioni (o di amicizie, se volete). E’ come se il miglior DJ venisse in città, ma non si sa se alla festa andrà qualcuno che conosci.

Interessante il fatto che l’etica che ciascuno di noi sta autonomamente sviluppando riguardo i social media, è ancora molto fluida e penso non ne verremo mai a capo in modo definitivo. C’è chi è ancora alla fase del collezionismo e che si pesa in funzione del numero di amici, c’è chi è arrivato allo stadio del riflusso ed è alle prese con un bel repulisti di connessioni su Facebook o addirittura riparte come un novello Lazzaro con un immacolato nuovo profilo. In mezzo ci sono quelli alle prese con lo stress da prestazioni, che sfidano le leggi del tempo e della resistenza per tentare di seguire centinaia di persone ed il relativo ciclopico flusso di post, twit, like, check-in, foto e video e così via.

E’ come per la gestione del tempo: esistono suggerimenti generali e regolette “base”, ma poi ogni sistema deve essere costruito sulla propria persona, sul proprio quotidiano, altrimenti non risulta efficiente. Quindi le seguenti indicazioni valgono per me, ma non è detto che siano quelle corrette per chiunque.

  • imageI miei amici su Facebook sono persone che conosco, che ho incontrato almeno una volta; tra loro ho una lista di circa 30 “amici-amici” di cui seguo periodicamente i profili. Due numeri: ho 719 amici e 586 richieste che non ho accettato (e che non accetterò).
  • Su Linkedin sono più “di bocca buona”, nel senso che accetto connessioni con persone che operano nella mio settore, trattandolo quindi come una specie di business directory piuttosto che un social network.
  • Twitter lo sto utilizzando in modo crescente, ed ho creato due gruppi di persone che seguo: uno ristretto (25-30) che effettivamente leggo, un altro più allargato su cui curioso nei momenti di serendipity (stessa sorte che è toccata a Friendfeed su cui capito sempre meno).
  • Altri social network per ora non ne uso, per cui le decine di richieste per Netlog, BranchOut (che noia tutti quegli inviti via Facebook!), Vimeo, ecc. le indirizzo velocemente verso il cestino.

In definitiva, ritengo che se non ci si impone un certo rigore, il rischio è quello di perdersi in meandri digitali che sottraggono tempo e che non sempre restituiscono valore. A proposito, avete un invito per Google+ da girarmi? Occhiolino


Beh, pensando al nuovo social media di Google basato sui circle (tradotto “cerchie” in italiano che suona davvero male), mi è tornata in testa questa splendida canzone di Edie Brickell, che invece suona ancora benissimo. Enjoy!


Torno sulla ricerca “Fattore Internet”, commissionata da Google e realizzata da The Boston Consulting, confermando la prima impressione: si tratta di una ricerca fondamentale per capire il vero impatto della Rete in termini economici e, se non erro, la prima del genere in Italia. Ho anche qualche riserva, ma ne parlo più avanti.

Lo studio rileva che internet vale attualmente 31,6 miliardi di Euro, ossia  il 2% sul PIL italiano, valore destinato a rappresentare tra il 3,3% e il 4,3% del PIL nel 2015. Questo per quanto riguarda l’impatto diretto di internet sull’economia, rappresentato da tre elementi principali:

  • Consumo, ossia l’acquisto di prodotti, servizi e contenuti online
  • Gli investimenti del settore privato, rappresentate principalmente dalla costruzione delle infrastrutture e dall’accesso alla Rete
  • La spesa istituzionale, composta dalle spese ICT legate ad internet sostenute dalla Pubblica Amministrazione

Ma oltre all’impatto diretto sul PIL, lo studio giustamente evidenzia anche l’entità di altre aree direttamente collegate ad internet, tra le quali l’e-Procurement (ossia i beni acquistati online dalla PA), l’infocommerce e la pubblicità online, che aggiungono complessivamente altri 25 miliardi di Euro di valore. Non mancano, correttamente, i riferimenti agli effetti positivi sulla produttività e sugli impatti sociali, la cui stima economica è oggettivamente complessa da definire.

Fattore Internet

Lo studio di carattere complessivo è affiancato da una ricerca verticale sulle PMI italiane, i cui risultati confermano l’impatto positivo della Rete sul loro business. Difatti, le aziende che che sono attive con iniziative online (ossia fanno e-commerce o marketing online) hanno mediamente aumentato i ricavi (le altre registrano trend negativi), assumono con maggior frequenza ed esportano di più.

Un aspetto che avrei messo più in evidenza è la numerosità degli addetti della filiera internet. Nel report si parla di “internet stack” che riporta un dato complessivo di ben 150 mila persone (pur non splittato numericamente per categoria). Penso che sia un parametro importante specie in chiave politico-istituzionale laddove, in luogo di valori economici assoluti, si guarda con favore il numero di “teste” coinvolte. Secondo me, cavalcare il numero degli addetti del settore internet, considerando la rilevanza di tale numero, stimola di più i tavoli governativi piuttosto che qualche miliardo di Euro di peso economico.

Ed è questo un mio pallino che ho cercato di portare avanti già all’interno di IAB relativamente ad una ricerca condotta da Accenture con cui si ambiva a mappare tutti i player del settore, ma che poi sembra aver presto direzioni differenti. I numeri dovrebbero stimolare IAB ad ambire a rappresentare qualcosa di più del miliardo di pubblicità online (che è solo lo 0,02% dell’impatto economico di internet), vista anche la difficoltà di altre organizzazioni a fungere da ombrello alla miriade di operatori e aziende coinvolte in questa industry.

Tornando a Fattore Internet, pur considerando che si tratta della prima edizione (e c’è da auspicare che assuma una periodicità costante), ritengo sia migliorabile in alcune parti. Innanzitutto sconta un’impostazione a tratti un po’ commerciale, facendo trasparire l’intento di “vendere” internet al di là dei dati oggettivi che espone. Lo so, ci scappa a tutti noi operatori del settore: siamo pieni di passione, siamo consapevoli del valore che la rete porta al business; soffriamo però della scarsa considerazione che se ne ha nel Paese e allora assumiamo costantemente le vesti degli evangelizzatori. Ma una ricerca di questa portata dovrebbe essere più asettica e realista, mostrando anche le principali criticità come, ad esempio, i numeri piccoli dell’ecommerce ancora sbilanciati sul fronte dei servizi.

La ricerca include anche delle case history di aziende di piccole-medie dimensioni. Indubbiamente le testimonianze aziendali sono utilissime: trattano casi concreti e aumentano la confidenza da parte dei meno informati. Non le avrei usate però a suffragio dei dati della ricerca (a tratti sembrano inserite per giustificare i valori esposti), ma isolate in un capitolo del tutto distinto.

Ho qualche perplessità infine sulle conclusioni della ricerca, quando riporta le priorità per lo sviluppo dell’Internet economy:

  • Le piccole e medie imprese devono spostarsi online
  • Il mobile offre delle opportunità alle imprese
  • L’educazione dei consumatori è un fondamento della crescita

Magari può non essere il focus dello studio, ma avrei apprezzato che l’enunciazione dei precedenti punti fosse accompagnata da qualche ipotesi di fattibilità e di intervento. Nel merito, il tema dell’educazione (inteso come divulgazione, informazione, ecc.) lo vedo prioritario a livello trasversale, non solo ai consumatori ma ancor prima alle aziende (compresi gli operatori del settore) e alle istituzioni.

Vediamo se sarà recepito da altre iniziative come Agenda Digitale che sta cercando (con fatica) di stimolare delle proposte dalle istituzioni, oppure dal neonato Lamiaimpresaonline.it che ha l’obiettivo di facilitare l’utilizzo del web da parte delle PMI.


Interrompere qualcuno mentre sta parlando è ineducato; farlo pensando di aver capito già quello che intendeva l’altro interlocutore, è anche rischioso (perché si potrebbe non aver compreso davvero) e presuntuoso. Allo stesso modo, un motore di ricerca che dalla prima lettera che digito, si candida ad aver capito ciò che vorrei cercare, mi disturba un po’.

Sono però sicuro che una buona parte degli utenti utilizzerà a piene mani la nuova funzione Google Instant, esaltando ulteriormente l’instant gratification a cui ci ha abituato con il box di ricerca minimalista, e contribuendo alla sensazione di avere disponibile ogni informazione ad una lettera di distanza.

Google enfatizza l’aumento della velocità a cui si potrà accedere alle informazioni, ma andrebbe fatta una riflessioni su “quali informazioni”. Quelle che un software presuppone semplicemente da un paio di lettere? Ma quanto sarà l’inevitabile tempo perso a valutare e poi accedere a siti che invece non c’entrano nulla con ciò che si voleva davvero?

Adoro da sempre la tecnologia, ma quando cerca di aiutarmi non quando pretende di fornirmi delle soluzioni preconfezionate. Mi rendo conto invece che il mondo (o almeno una parte) auspica soluzioni cash and carry, che siano innanzitutto veloci prima che consistenti.

Nota a margine: Google Instant è anche un bel cambio di paradigma per l’intera industria SEO, comprese le metriche con le quali si dimensionano i motori di ricerca, tipicamente basate sulle query. Sarà interessante analizzare nei tool di analytics gli accessi generati da keyword di uno o due caratteri ;-)


Probabilmente è cosa arcinota, ma per caso ho scoperto che se si copia il logo di Google nella pagina dei risultati di ricerca, il risultato dell’incolla è questo qui accanto.

Probabilmente non è un giochino degli sviluppatori (a questo si riferisce il titolo), ma un modo per caricare un’unica immagine e poi utilizzarne i pezzi specifici nei punti in cui servono.


Probabilmente è cosa arcinota, ma per caso ho scoperto che se si copia il logo di Google nella pagina dei risultati di ricerca, il risultato dell’incolla è questo qui accanto.

Probabilmente non è un giochino degli sviluppatori (a questo si riferisce il titolo), ma un modo per caricare un’unica immagine e poi utilizzarne i pezzi specifici nei punti in cui servono.


L’attrazione del TWTRCON è stata Martha Stewart, ma io voglio partire da Danny Sullivan che ho reincontrato dopo tanti anni di Search Engine Strategies. Lui è intervenuto brevemente in una sessione nel pomeriggio ma volevo segnalare un brano della trascrizione che ha fatto della sessione in cui David Berkowitz di 360i ha intervistato Dylan Casey, Search Product Manager di Google, a proposito del Real-Time search (il grassetto è mio):

David: SEO issues?
Dylan: Something everyone is concerned about, especially brand owners. Continue to publish good content. Focus on the frequency and quality. It still matters because way we deliver this type of content in our search results is no different than the way we deliver the other content.

In pratica ribadisce il concetto che l’unico modo delle aziende di presidiare i risultati di ricerca, è quello di pubblicare contenuti interessanti in maniera continuativa. Sembra ovvio, ma vedo ancora molte aziende ancorate ad una concezione del SEO ancora focalizzata sul mettere le mani al sito così com’è senza prevedere affatto un lavoro incrementale a livello di contenti.

L’intervista a Martha Stewart è stata simpatica anche se le modalità d’uso dei social media da parte di un personaggio così popolare, raramente possono essere applicate altrove. Comunque ha impiegato due anni per raggiungere un milione di iscritti ad un suo magazine e solo cinque mesi per raggiungere 2 milioni di follower su Twitter. Anche il suo cane twitta, ma è un’iniziativa sponsorizzata da Purina (mah). Forse più rilevante il fatto che annunciato vuole investire su Twitter.

Nella prima tavola rotonda, da segnalare l’intervento di Marla Erwin, Interactive Art Director di Whole Foods, che ha affermato che i risultati migliori li conseguono nelle operazioni guidate dal “content department” piuttosto che dal marketing o dalle vendite.

Il panel “Right Time, Right Place” ha dimostrato quanto hype c’è in questo momento sul tema dei messaggi location-based. I giovani fondatori di Foursquare e Gowalla si sentono all’avanguardia di quello che sta succedendo in questi mesi. Il primo ha appena fatto un accordo con il NYTimes ed è arrivato a 1,6 milioni di utenti; il secondo ha avviato una partnership con USA Today. Pur con tutte le riserve del caso (espresse anche dal sottoscritto), si tratta sicuramente di un’area effervescente da cui ci si aspettano innovazioni di rilievo.

TWTRCON 2010 NY - DELLMolto concreti e stimolanti gli interventi di Stefanie Nelson (Dell) e di Marty St. George (Jet Blue Airways). La prima ha evidenziato le quattro aree con cui distinguono i diversi canali su Twitter: Inform, Sell, Engage, Support (vedi foto a fianco). Per sintesi riporto una citazione che però ha argomentato molto bene: “Social media has centralize the customer experience”, enfatizzando il concetto di customer support come centrale per le loro strategie. Impressionanti i risultati di JetBlue che ha messo veramente le persone al centro dell’attenzione. Il progetto All You Can Jet ha moltiplicato per 7 il numero delle visite al sito e ha fatto guadagnare in visibilità l’equivalente di oltre 200 milioni di investimenti in pubblicità. Mi è piaciuta l’espressione: “Build the relationship – only then do you the right to monetize”.

Adesso però stacco la spina: dieci ore di convegno più un paio per mettere a posto le idee e scrivere sul blog possono bastare per oggi, no? :)


L’attrazione del TWTRCON è stata Martha Stewart, ma io voglio partire da Danny Sullivan che ho reincontrato dopo tanti anni di Search Engine Strategies. Lui è intervenuto brevemente in una sessione nel pomeriggio ma volevo segnalare un brano della trascrizione che ha fatto della sessione in cui David Berkowitz di 360i ha intervistato Dylan Casey, Search Product Manager di Google, a proposito del Real-Time search (il grassetto è mio):

David: SEO issues?
Dylan: Something everyone is concerned about, especially brand owners. Continue to publish good content. Focus on the frequency and quality. It still matters because way we deliver this type of content in our search results is no different than the way we deliver the other content.

In pratica ribadisce il concetto che l’unico modo delle aziende di presidiare i risultati di ricerca, è quello di pubblicare contenuti interessanti in maniera continuativa. Sembra ovvio, ma vedo ancora molte aziende ancorate ad una concezione del SEO ancora focalizzata sul mettere le mani al sito così com’è senza prevedere affatto un lavoro incrementale a livello di contenti.

L’intervista a Martha Stewart è stata simpatica anche se le modalità d’uso dei social media da parte di un personaggio così popolare, raramente possono essere applicate altrove. Comunque ha impiegato due anni per raggiungere un milione di iscritti ad un suo magazine e solo cinque mesi per raggiungere 2 milioni di follower su Twitter. Anche il suo cane twitta, ma è un’iniziativa sponsorizzata da Purina (mah). Forse più rilevante il fatto che annunciato vuole investire su Twitter.

Nella prima tavola rotonda, da segnalare l’intervento di Marla Erwin, Interactive Art Director di Whole Foods, che ha affermato che i risultati migliori li conseguono nelle operazioni guidate dal “content department” piuttosto che dal marketing o dalle vendite.

Il panel “Right Time, Right Place” ha dimostrato quanto hype c’è in questo momento sul tema dei messaggi location-based. I giovani fondatori di Foursquare e Gowalla si sentono all’avanguardia di quello che sta succedendo in questi mesi. Il primo ha appena fatto un accordo con il NYTimes ed è arrivato a 1,6 milioni di utenti; il secondo ha avviato una partnership con USA Today. Pur con tutte le riserve del caso (espresse anche dal sottoscritto), si tratta sicuramente di un’area effervescente da cui ci si aspettano innovazioni di rilievo.

TWTRCON 2010 NY - DELLMolto concreti e stimolanti gli interventi di Stefanie Nelson (Dell) e di Marty St. George (Jet Blue Airways). La prima ha evidenziato le quattro aree con cui distinguono i diversi canali su Twitter: Inform, Sell, Engage, Support (vedi foto a fianco). Per sintesi riporto una citazione che però ha argomentato molto bene: “Social media has centralize the customer experience”, enfatizzando il concetto di customer support come centrale per le loro strategie. Impressionanti i risultati di JetBlue che ha messo veramente le persone al centro dell’attenzione. Il progetto All You Can Jet ha moltiplicato per 7 il numero delle visite al sito e ha fatto guadagnare in visibilità l’equivalente di oltre 200 milioni di investimenti in pubblicità. Mi è piaciuta l’espressione: “Build the relationship – only then do you the right to monetize”.

Adesso però stacco la spina: dieci ore di convegno più un paio per mettere a posto le idee e scrivere sul blog possono bastare per oggi, no? :)


Martedì si è svolto l’incontro “Next Privacy: il futuro dei nostri dati nell’era digitale” per presentare l’omonimo libro curato dall’Istituto Italiano per la Privacy. C’erano due parlamentari del gruppo interparlamentare sull’argomento e anche lo stesso Francesco Pizzetti, Garante della Privacy (resoconto su 01net).

Nello spazio per le aziende, oltre ai responsabili dei rapporti istituzionali di Microsoft e Google e la co-founder della startup italo-americana Passpack, sono intervenuto brevemente anch’io. Nei dieci minuti ho cercato di dire alcune cose:

  • oltre a normare riguardo la privacy è fondamentale informare le persone in merito ad un uso responsabile e consapevole dei propri dati, specie quando ci riferiamo ai mezzi digitali
  • atteggiamenti di allarme massimo sulle violazioni della privacy tendono ad esagerare il problema, mentre nel contempo gli individui stanno sviluppando autonomamente delle capacità di auto-gestione
  • c’è comunque un cambiamento culturale rispetto a cosa significa un “dato personale”; ogni valutazione dovrebbe essere fatta seguendo le linee di pensiero dell’oggi e non quelle del passato
  • le aziende, piuttosto che partire alla ricerca di dati acquisiti in modo talvolta poco lecito, potrebbero invece iniziare ad ascoltare davvero le persone attraverso l’analisi delle discussioni sui social media che spesso dicono di più e meglio rispetto, ad esempio, a cercare cookies profile in qualche zona grigia del mercato

Una cosa che non ho detto per ragioni di tempo è che non penso ci si debba scandalizzare più di tanto se dopo il denaro e il tempo, anche i dati personali stanno diventando una delle unità di scambio economico. In fondo, da decenni lasciamo informazioni particolarmente sensibili ad istituzioni private (ad esempio le banche o le società che gestiscono carte di credito). Lo facciamo perché ci conviene e perché abbiamo fiducia che queste aziende (e i sistemi di controllo) ne inibiscano usi diversi da quelli leciti. Praticamente è la stessa cosa che facciamo quando lasciamo le nostre email a casa di aziende commerciali, fidandoci che i software che leggono e interpretano i nostri messaggi per mostrare pubblicità contestuale, non siano visti e utilizzati anche da umani. O no?


Secondo me è inopportuno pubblicizzare un browser utilizzando come testo dell’annuncio il dettaglio delle sessioni web di un utente-tipo (via psfk). Sa un po’ di telecamera nascosta in grado di intercettare tutto ciò fa l’utente mentre scorazza per il web. In Google la pensano evidentemente in modo diverso oppure è esattamente ciò che fanno (si fa per dire, eh :) ).

google billboard ad london.jpg


Secondo me è inopportuno pubblicizzare un browser utilizzando come testo dell’annuncio il dettaglio delle sessioni web di un utente-tipo (via psfk). Sa un po’ di telecamera nascosta in grado di intercettare tutto ciò fa l’utente mentre scorazza per il web. In Google la pensano evidentemente in modo diverso oppure è esattamente ciò che fanno (si fa per dire, eh :) ).

google billboard ad london.jpg


I primi i motori di ricerca classificavano le homepage dei siti in ordinate directory. Poi si sono messi a censire tutte le pagine che trovavano di ogni sito web. Quindi immagini, news, blog, video. Fino a fornire direttamente delle risposte, piuttosto che elencare solo link. Ora tocca a Twitter e Facebook finire in questi enormi archivi informativi, grandi e articolati come mai si è visto sulla faccia del pianeta.

Ogni volta si aggiunge un ulteriore un pezzo di tutto quello che l’uomo produce in formato digitale. Adesso è la volta del “real web”, delle conversazioni live. Magari in un prossimo futuro ci saranno dentro anche Messenger, Skype. E perché non anche gli SMS? Delegando la funzione di memoria a pochi ma fornitissimi contenitori tecnologici.

Rischioso e fuorviante analizzare il fenomeno con le metriche del passato. Serve una concezione diversa per attribuire un significato nuovo a diverse parole chiave: contenuto, autore, autorevolezza, senso, tempo, e chissà quante altre.

Sicuramente, nel tempo che hai impiegato a leggere questo post, ci sono stati migliaia di interventi da parte di altrettante persone in ogni parte del globo, che avrebbero potuto interessarti più di questo. Forse ci capiterai un giorno, forse no. Ma potenzialmente ne avevi l’accesso. È il disagio che fornisce l’abbondanza

Ed è uno dei prezzi che vale la pena di pagare. Anche se questo “caos rapido”, per alcuni, diventa (più o meno consapevolmente) una licenza per invitare all’omicidio o inneggiare cause becere e offensive. O solo a produrre stupidate. Scorie inevitabili di un mondo che si digitalizza ed i cui strumenti di accesso e filtro (Google, Bing, Yahoo!), non solo contengono “tutto”, ma iniziano a comprendere “tutti”.


Via Dotcoma noto che nella homepage di Google c’è un bel link pubblicitario. Pur trattandosi di autopromozione (riguarda infatti il cellulare HTC con tecnologia Android venduto da Vodafone), dovrebbe trattarsi di una novità assoluta.

Certo che potevano impegnarsi un po’ meglio sul testo dell’annuncio: che significa “Altre informazioni.” scritto in quel modo? Probabilmente sarebbe stata quella la frase a cui mettere il link, ma presentato così non ha senso. O no?

Pubblicità sull'homepage di Google


Oggi Google ha fatto un annuncio importante per il mondo della pubblicità, ossia DoubleClick Advertising Exchange, una piattaforma tecnologica per far incrociare l’offerta e la domanda di pubblicità online.

Il sistema, seppure ricco di funzionalità e modalità di fruizione (come dettagliato sul blog della stessa DoubleClick, la società acquistata da Google l’anno scorso per 3,2 miliardi di dollari), è praticamente una specie di marketplace in cui i publisher potranno offrire il loro inventory pubblicitario e i marketers (o le loro agenzie) potranno acquistare e pianificare le campagne. Naturalmente il tutto è collegato con AdWords e AdSense, ossia le attuali piattaforme pubblicitarie di Google.

Più di un anno fa, ebbi modo di presentare in anteprima per l’Italia un progetto equivalente di Microsoft, di cui riprendo uno schema qui sotto:

Microsoft Ad Exchange

Il progetto Microsoft era specificatamente votato ad implementare un sistema “aperto”. E qui non parlo solo di API ma di un’infrastruttura simile a quella delle borse valori le quali, pur in presenza di specifiche regole, permettono una negoziazione tra qualsiasi operatore sul mercato. Spero che anche Google applichi davvero una piattaforma di questo tipo perché altrimenti ci si ritroverebbe in situazioni come quelle di AdSense in cui i publisher mettono a disposizione le loro audience ma nulla sanno dei ricavi generati su questa da Google (anche se finalmente lo stesso Schmidt


Oggi Google ha fatto un annuncio importante per il mondo della pubblicità, ossia DoubleClick Advertising Exchange, una piattaforma tecnologica per far incrociare l’offerta e la domanda di pubblicità online.

Il sistema, seppure ricco di funzionalità e modalità di fruizione (come dettagliato sul blog della stessa DoubleClick, la società acquistata da Google l’anno scorso per 3,2 miliardi di dollari), è praticamente una specie di marketplace in cui i publisher potranno offrire il loro inventory pubblicitario e i marketers (o le loro agenzie) potranno acquistare e pianificare le campagne. Naturalmente il tutto è collegato con AdWords e AdSense, ossia le attuali piattaforme pubblicitarie di Google.

Più di un anno fa, ebbi modo di presentare in anteprima per l’Italia un progetto equivalente di Microsoft, di cui riprendo uno schema qui sotto:

Microsoft Ad Exchange

Il progetto Microsoft era specificatamente votato ad implementare un sistema “aperto”. E qui non parlo solo di API ma di un’infrastruttura simile a quella delle borse valori le quali, pur in presenza di specifiche regole, permettono una negoziazione tra qualsiasi operatore sul mercato. Spero che anche Google applichi davvero una piattaforma di questo tipo perché altrimenti ci si ritroverebbe in situazioni come quelle di AdSense in cui i publisher mettono a disposizione le loro audience ma nulla sanno dei ricavi generati su questa da Google (anche se finalmente lo stesso Schmidt


Google ASCII La faccenda è quella di FIEG che ritiene dominante la posizione di Google per cui ha fatto intervenire l'Antitrust e la Guardia di Finanza. Ci sono parecchi angoli di osservazione della vicenda; qui ne riporto alcuni.

Parto da un commento ad un post di Luca De Biase che riprende un brano di un pezzo di Armando Torno su corriere.it, il quale fotografa lo scenario generale del valore dei contenuti: “la retri


Un’estate 2009 calda per il mondo delle tecnologie digitali, fatta di accordi, fusioni e acquisizioni che lasceranno il segno. Tra i più rilevanti, senz’altro l’intesa tra Microsoft e Yahoo! per le ricerche online, l’acquisizione di FriendFeed da parte di Facebook e la più recente intesa tra Microsoft e Nokia sugli applicativi mobili. Come giustamente scrive oggi Luca Tremolada su IlSole24Ore, “si stringe l’assedio attorno a Google”.

Nell’area dei social network stanno avvenendo alcuni dei movimenti più significativi: da una parte il cosiddetto real-time, dall’altra la centralità che iniziano ad assumere le funzioni di ricerca sulle piattaforme emergenti, Twitter e Facebook su tutte. Come scrive Steve Rubel, questo potrebbe significare un cambiamento radicale nel modo in cui usiamo le informazioni, facendoci diventare “source agnostic”.

Sul tema del social search, si conclude anche l’articolo di Federico Ferrazza su L’Espresso in edicola oggi (per qualche giorno si può leggere qui), che approfondisce la varietà dei social network in relazione ad argomenti diversi, professionali e non. L’articolo, che raccoglie anche un paio di mie battute riguardo a Linkedin e al social search, segnala anche una ventina di social network verticali.


Google presenta i Gadget Ads, ossia dei contenuti interattivi racchiusi in un rettangolone su cui è possibile integrare di tutto (video, feed, mappe, ecc.), per poi utilizzarli non solo sul network di Google ma anche su altre piattaforme.

I Gadget Ads sembrano raccogliere perfettamente i suggerimenti dell’ottimo post sul “web decentralizzato” di Steve Rubel. Nicola Mattina ne ha tradotto bene i concetti che qui sintetizzo:

  • Pensate a fare dei web service invece che dei siti
  • Connettete le persone
  • Rendete tutto portabile

I gadget sul web (o widget, se preferite) sono proprio uno degli strumenti per distribuire contenuti e servizi. Rispondendo a Dario che mi chiede se “questi tipi di Widget creeranno confusione o diventeranno uno standard”, penso che la confusione aumenterà senz’altro nella testa di chi non è preparato a questo processo di decentralizzazione. Insomma, il passaggio è dal portale aziendale alla presenza in mille luoghi diversi; dal creare una community sul proprio sito, al partecipare alle community esistenti. In questo processo (che in parte avevo trattato nell’articolo L’approccio Multi-x), i gadget sono una delle ciliegine sulla torta.

Con l’occasione: se c’è un programmatore che sa smanettare sui gadget, mi mi faccia un fischio: abbiamo un paio di progetti da realizzare e ci serve un supporto tecnico.

A proposito di Google, volevo segnalare altre due cose:

  • Franco che si è trovato dei documenti di qualcun’altro dentro il suo Google Docs: urca, un bel security bug!
  • Shared stuff, un servizio ancora in fase di sviluppo che dovrebbe essere la risposta a Delicious; ne scrive più in dettaglio Tiziano su Motoricerca.

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