Archivio: “google”
Un post in stile weekend che prende spunto da Techcrunch. Il personaggio è Sergey Brin, cofondatore di Google, che quando pubblicò il curriculum online, ci infilò una chicca da vero geek.
In pratica, all’interno del codice HTML della pagina web ha infilato i suoi veri obiettivi professionali: un grande ufficio, tanti soldi e poco lavoro. Un benefit potrebbero essere viaggi pagati in luoghi esotici.
Obiettivi che penso abbia raggiuto abbondantemente!
Visto che siamo in vena di cose semi-serie, ripesco quella che fu una mia scoperta casuale, più di dieci anni fa e che riguarda sempre Brin, ossia una sua bella foto vestito da donna.
Ennesima conferma che il web non dimentca… Buona domenica!
Torno sulla ricerca “Fattore Internet”, commissionata da Google e realizzata da The Boston Consulting, confermando la prima impressione: si tratta di una ricerca fondamentale per capire il vero impatto della Rete in termini economici e, se non erro, la prima del genere in Italia. Ho anche qualche riserva, ma ne parlo più avanti.
Lo studio rileva che internet vale attualmente 31,6 miliardi di Euro, ossia il 2% sul PIL italiano, valore destinato a rappresentare tra il 3,3% e il 4,3% del PIL nel 2015. Questo per quanto riguarda l’impatto diretto di internet sull’economia, rappresentato da tre elementi principali:
- Consumo, ossia l’acquisto di prodotti, servizi e contenuti online
- Gli investimenti del settore privato, rappresentate principalmente dalla costruzione delle infrastrutture e dall’accesso alla Rete
- La spesa istituzionale, composta dalle spese ICT legate ad internet sostenute dalla Pubblica Amministrazione
Ma oltre all’impatto diretto sul PIL, lo studio giustamente evidenzia anche l’entità di altre aree direttamente collegate ad internet, tra le quali l’e-Procurement (ossia i beni acquistati online dalla PA), l’infocommerce e la pubblicità online, che aggiungono complessivamente altri 25 miliardi di Euro di valore. Non mancano, correttamente, i riferimenti agli effetti positivi sulla produttività e sugli impatti sociali, la cui stima economica è oggettivamente complessa da definire.
Lo studio di carattere complessivo è affiancato da una ricerca verticale sulle PMI italiane, i cui risultati confermano l’impatto positivo della Rete sul loro business. Difatti, le aziende che che sono attive con iniziative online (ossia fanno e-commerce o marketing online) hanno mediamente aumentato i ricavi (le altre registrano trend negativi), assumono con maggior frequenza ed esportano di più.
Un aspetto che avrei messo più in evidenza è la numerosità degli addetti della filiera internet. Nel report si parla di “internet stack” che riporta un dato complessivo di ben 150 mila persone (pur non splittato numericamente per categoria). Penso che sia un parametro importante specie in chiave politico-istituzionale laddove, in luogo di valori economici assoluti, si guarda con favore il numero di “teste” coinvolte. Secondo me, cavalcare il numero degli addetti del settore internet, considerando la rilevanza di tale numero, stimola di più i tavoli governativi piuttosto che qualche miliardo di Euro di peso economico.
Ed è questo un mio pallino che ho cercato di portare avanti già all’interno di IAB relativamente ad una ricerca condotta da Accenture con cui si ambiva a mappare tutti i player del settore, ma che poi sembra aver presto direzioni differenti. I numeri dovrebbero stimolare IAB ad ambire a rappresentare qualcosa di più del miliardo di pubblicità online (che è solo lo 0,02% dell’impatto economico di internet), vista anche la difficoltà di altre organizzazioni a fungere da ombrello alla miriade di operatori e aziende coinvolte in questa industry.
Tornando a Fattore Internet, pur considerando che si tratta della prima edizione (e c’è da auspicare che assuma una periodicità costante), ritengo sia migliorabile in alcune parti. Innanzitutto sconta un’impostazione a tratti un po’ commerciale, facendo trasparire l’intento di “vendere” internet al di là dei dati oggettivi che espone. Lo so, ci scappa a tutti noi operatori del settore: siamo pieni di passione, siamo consapevoli del valore che la rete porta al business; soffriamo però della scarsa considerazione che se ne ha nel Paese e allora assumiamo costantemente le vesti degli evangelizzatori. Ma una ricerca di questa portata dovrebbe essere più asettica e realista, mostrando anche le principali criticità come, ad esempio, i numeri piccoli dell’ecommerce ancora sbilanciati sul fronte dei servizi.
La ricerca include anche delle case history di aziende di piccole-medie dimensioni. Indubbiamente le testimonianze aziendali sono utilissime: trattano casi concreti e aumentano la confidenza da parte dei meno informati. Non le avrei usate però a suffragio dei dati della ricerca (a tratti sembrano inserite per giustificare i valori esposti), ma isolate in un capitolo del tutto distinto.
Ho qualche perplessità infine sulle conclusioni della ricerca, quando riporta le priorità per lo sviluppo dell’Internet economy:
- Le piccole e medie imprese devono spostarsi online
- Il mobile offre delle opportunità alle imprese
- L’educazione dei consumatori è un fondamento della crescita
Magari può non essere il focus dello studio, ma avrei apprezzato che l’enunciazione dei precedenti punti fosse accompagnata da qualche ipotesi di fattibilità e di intervento. Nel merito, il tema dell’educazione (inteso come divulgazione, informazione, ecc.) lo vedo prioritario a livello trasversale, non solo ai consumatori ma ancor prima alle aziende (compresi gli operatori del settore) e alle istituzioni.
Vediamo se sarà recepito da altre iniziative come Agenda Digitale che sta cercando (con fatica) di stimolare delle proposte dalle istituzioni, oppure dal neonato Lamiaimpresaonline.it che ha l’obiettivo di facilitare l’utilizzo del web da parte delle PMI.
Interrompere qualcuno mentre sta parlando è ineducato; farlo pensando di aver capito già quello che intendeva l’altro interlocutore, è anche rischioso (perché si potrebbe non aver compreso davvero) e presuntuoso. Allo stesso modo, un motore di ricerca che dalla prima lettera che digito, si candida ad aver capito ciò che vorrei cercare, mi disturba un po’.
Sono però sicuro che una buona parte degli utenti utilizzerà a piene mani la nuova funzione Google Instant, esaltando ulteriormente l’instant gratification a cui ci ha abituato con il box di ricerca minimalista, e contribuendo alla sensazione di avere disponibile ogni informazione ad una lettera di distanza.
Google enfatizza l’aumento della velocità a cui si potrà accedere alle informazioni, ma andrebbe fatta una riflessioni su “quali informazioni”. Quelle che un software presuppone semplicemente da un paio di lettere? Ma quanto sarà l’inevitabile tempo perso a valutare e poi accedere a siti che invece non c’entrano nulla con ciò che si voleva davvero?
Adoro da sempre la tecnologia, ma quando cerca di aiutarmi non quando pretende di fornirmi delle soluzioni preconfezionate. Mi rendo conto invece che il mondo (o almeno una parte) auspica soluzioni cash and carry, che siano innanzitutto veloci prima che consistenti.
Nota a margine: Google Instant è anche un bel cambio di paradigma per l’intera industria SEO, comprese le metriche con le quali si dimensionano i motori di ricerca, tipicamente basate sulle query. Sarà interessante analizzare nei tool di analytics gli accessi generati da keyword di uno o due caratteri
Probabilmente è cosa arcinota, ma per caso ho scoperto che se si copia il logo di Google nella pagina dei risultati di ricerca, il risultato dell’incolla è questo qui accanto.
Probabilmente non è un giochino degli sviluppatori (a questo si riferisce il titolo), ma un modo per caricare un’unica immagine e poi utilizzarne i pezzi specifici nei punti in cui servono.
Probabilmente è cosa arcinota, ma per caso ho scoperto che se si copia il logo di Google nella pagina dei risultati di ricerca, il risultato dell’incolla è questo qui accanto.
Probabilmente non è un giochino degli sviluppatori (a questo si riferisce il titolo), ma un modo per caricare un’unica immagine e poi utilizzarne i pezzi specifici nei punti in cui servono.
Martedì si è svolto l’incontro “Next Privacy: il futuro dei nostri dati nell’era digitale” per presentare l’omonimo libro curato dall’Istituto Italiano per la Privacy. C’erano due parlamentari del gruppo interparlamentare sull’argomento e anche lo stesso Francesco Pizzetti, Garante della Privacy (resoconto su 01net).
Nello spazio per le aziende, oltre ai responsabili dei rapporti istituzionali di Microsoft e Google e la co-founder della startup italo-americana Passpack, sono intervenuto brevemente anch’io. Nei dieci minuti ho cercato di dire alcune cose:
- oltre a normare riguardo la privacy è fondamentale informare le persone in merito ad un uso responsabile e consapevole dei propri dati, specie quando ci riferiamo ai mezzi digitali
- atteggiamenti di allarme massimo sulle violazioni della privacy tendono ad esagerare il problema, mentre nel contempo gli individui stanno sviluppando autonomamente delle capacità di auto-gestione
- c’è comunque un cambiamento culturale rispetto a cosa significa un “dato personale”; ogni valutazione dovrebbe essere fatta seguendo le linee di pensiero dell’oggi e non quelle del passato
- le aziende, piuttosto che partire alla ricerca di dati acquisiti in modo talvolta poco lecito, potrebbero invece iniziare ad ascoltare davvero le persone attraverso l’analisi delle discussioni sui social media che spesso dicono di più e meglio rispetto, ad esempio, a cercare cookies profile in qualche zona grigia del mercato
Una cosa che non ho detto per ragioni di tempo è che non penso ci si debba scandalizzare più di tanto se dopo il denaro e il tempo, anche i dati personali stanno diventando una delle unità di scambio economico. In fondo, da decenni lasciamo informazioni particolarmente sensibili ad istituzioni private (ad esempio le banche o le società che gestiscono carte di credito). Lo facciamo perché ci conviene e perché abbiamo fiducia che queste aziende (e i sistemi di controllo) ne inibiscano usi diversi da quelli leciti. Praticamente è la stessa cosa che facciamo quando lasciamo le nostre email a casa di aziende commerciali, fidandoci che i software che leggono e interpretano i nostri messaggi per mostrare pubblicità contestuale, non siano visti e utilizzati anche da umani. O no?
Secondo me è inopportuno pubblicizzare un browser utilizzando come testo dell’annuncio il dettaglio delle sessioni web di un utente-tipo (via psfk). Sa un po’ di telecamera nascosta in grado di intercettare tutto ciò fa l’utente mentre scorazza per il web. In Google la pensano evidentemente in modo diverso oppure è esattamente ciò che fanno (si fa per dire, eh ).
Secondo me è inopportuno pubblicizzare un browser utilizzando come testo dell’annuncio il dettaglio delle sessioni web di un utente-tipo (via psfk). Sa un po’ di telecamera nascosta in grado di intercettare tutto ciò fa l’utente mentre scorazza per il web. In Google la pensano evidentemente in modo diverso oppure è esattamente ciò che fanno (si fa per dire, eh ).
I primi i motori di ricerca classificavano le homepage dei siti in ordinate directory. Poi si sono messi a censire tutte le pagine che trovavano di ogni sito web. Quindi immagini, news, blog, video. Fino a fornire direttamente delle risposte, piuttosto che elencare solo link. Ora tocca a Twitter e Facebook finire in questi enormi archivi informativi, grandi e articolati come mai si è visto sulla faccia del pianeta.
Ogni volta si aggiunge un ulteriore un pezzo di tutto quello che l’uomo produce in formato digitale. Adesso è la volta del “real web”, delle conversazioni live. Magari in un prossimo futuro ci saranno dentro anche Messenger, Skype. E perché non anche gli SMS? Delegando la funzione di memoria a pochi ma fornitissimi contenitori tecnologici.
Rischioso e fuorviante analizzare il fenomeno con le metriche del passato. Serve una concezione diversa per attribuire un significato nuovo a diverse parole chiave: contenuto, autore, autorevolezza, senso, tempo, e chissà quante altre.
Sicuramente, nel tempo che hai impiegato a leggere questo post, ci sono stati migliaia di interventi da parte di altrettante persone in ogni parte del globo, che avrebbero potuto interessarti più di questo. Forse ci capiterai un giorno, forse no. Ma potenzialmente ne avevi l’accesso. È il disagio che fornisce l’abbondanza
Ed è uno dei prezzi che vale la pena di pagare. Anche se questo “caos rapido”, per alcuni, diventa (più o meno consapevolmente) una licenza per invitare all’omicidio o inneggiare cause becere e offensive. O solo a produrre stupidate. Scorie inevitabili di un mondo che si digitalizza ed i cui strumenti di accesso e filtro (Google, Bing, Yahoo!), non solo contengono “tutto”, ma iniziano a comprendere “tutti”.
Via Dotcoma noto che nella homepage di Google c’è un bel link pubblicitario. Pur trattandosi di autopromozione (riguarda infatti il cellulare HTC con tecnologia Android venduto da Vodafone), dovrebbe trattarsi di una novità assoluta.
Certo che potevano impegnarsi un po’ meglio sul testo dell’annuncio: che significa “Altre informazioni.” scritto in quel modo? Probabilmente sarebbe stata quella la frase a cui mettere il link, ma presentato così non ha senso. O no?
La faccenda è quella di FIEG che ritiene dominante la posizione di Google per cui ha fatto intervenire l'Antitrust e la Guardia di Finanza. Ci sono parecchi angoli di osservazione della vicenda; qui ne riporto alcuni.
Parto da un commento ad un post di Luca De Biase che riprende un brano di un pezzo di Armando Torno su corriere.it, il quale fotografa lo scenario generale del valore dei contenuti: “la retri
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