Archivio: “Pubblicità”

Questa terza parte è dedicata ad alcuni commenti al libro di Giampaolo Fabris e raccoglie delle note su un intervento di Andrea Illy. Qui la prima e la seconda parte.

Societing è un testo godibilissimo, scritto con la consueta ricchezza semantica a cui Fabris ci ha abituato, senza mai scadere nel dotto fine a se stesso.

I contenuti vanno a coprire a tutto tondo l’argomento del cambiamento del marketing, secondo un inquadramento che, una volta tanto, non è America-centrico ma, anzi, trova sue concrete applicazioni in Italia (anche nei casi e nelle tabelle a corredo del testo).

Sul fronte dell’analisi della comunicazione digitale e della Rete, trovo Societing un’opera incompiuta. Praticamente si ferma sul più bello, ossia nel punto in cui, dopo aver ben fotografato la spallata che le nuove tecnologie stanno dando al modo di fare business – in particolare alla comunicazione d’impresa -, non spinge l’accelleratore nel suggerire un ruolo più rilevante per la Rete nel marketing così ripensato. Atteggiamento comunque comprensibile considerando la prudenza che ha sempre contraddistinto Fabris a proposito di internet, ma ancor più per la limitata reappresentanza nel nostro Paese di quella che Fabris definisce l’enclave del postmoderno e che circoscrive in non più di un terzo della popolazione (ci sarebbe però da riflettere su quanto pesa economicamente questa quota e che trend di crescita sta esprimendo).

Di rilevante è che Societing continua ed estende la sua vita in Rete, in particolare su un apposito blog.

Chiudo con alcuni appunti relativi all’intervento di Andrea Illy, Presidente di Illycaffè, durante la presentazione del libro di Fabris da Ruling Companies l’11 giugno scorso:

  • Oggi gli individui hanno potere di scelta, accesso, connessione. Chiedono relazione alle aziende, ma sono queste a non volerla.
  • Sul tema delle knowledge company: “Chi più insegna più vince”
  • Le nuove forme sociali sono basate su nuove relazioni , più calde, basate sulle passioni. Vanno perdendo slancio molte di quelle tradizionali, ad esempio i sindacati (e qui penso anche a quella che De Rita ha chiamato l’incapacità a connettersi).
  • L’azienda va intesa come un movimento, basata su valori etici, sulle emozioni, sull’unicità, sulle passioni, sull’amore.

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(Societing – prima parte)

Importante la sottolineatura sulla crescente richiesta di autenticià:

Siamo in presenza di un passaggio epocale: da una società di status symbol a scelte di prodotto che siano veritieri segnali sulla propria identità. Ma anche transazione dalla società della massificazione, dell’omologazione, dell’accettazione degli standard medi – la testa, nella metafora di Anderson nella Lunga Cosa – a una dove si può, forse si deve, essere sé stessi.

Naturalmente viene affrontato e contestualizzato il marketing dell’esperienza, conseguente alle stagioni dei bisogni e dei desideri:

Il passaggio ulteriore (…) è verso il nuovo protagonismo dell’esperienza nell’agire di consumo. (…) La nuova cultura del consumatore si nutre di tutto questo non domandandosi più “Cosa posso acquistare che ancora non posseggo?” quanto piuttosto “Cosa posso provare che ancora non ho sperimentato?”.

Dopo la citazione del detto greco “Si impara con l’esperienza” - con cui si sottolinea che ad imparare deve essere sia il consumatore sia l’impresa stessa, Fabris si sofferma su quattro aree cruciali nella creazione di esperienze:

  • La pubblicità, estesa all’area della comunicazione in generale includendo, ad esempio, le tante fonti di eventi che l’impresa e la marca promuovono.
  • Un’intelligente presa in carico della situazione di consumo, auspicando un ruolo attivo dell’utente, un suo coivolgimento.
  • Il punto vendita, simbolo nel rappresentare l’intera situazione di consumo.
  • Gli edifici, siano essi la sede dell’azienda ma anche quelli che Fabris chiama i musei aziendali, declinati come vero e proprio palcoscenico narrativo.

Molto interessante l’approfondimento del marketing tribale e, più in generale, dell’evoluzione delle comunità per forma, dimensione e tipi di aggregazione:

(Le tribù postmoderne) sono aggregazioni sociali aperte che prevedono multiappartenenza, il più delle volte senza un insediamento territoriale, con un elevato tournover ma sovente cementate da sentimenti forti, dalla condivisione di brani importanti di esperienze, da un’elevata frequentazione. (…) Il consumo sostituisce il mondo della produzione anche come matrice di identità e come fattore di aggregazione sociale. Non è certo un caso, quindi, che nuove forme di socialità si formino sovente intorno a oggetti o pratiche di consumo.

E per ragionare sull’approccio del marketing verso queste tribù, Fabris cita Bernard Cova il quale suggerisce di “considerare ogni offerta destinata ai membri della tribù dal punto i vista del valore del legame.

Le nuove tecnologie, e la Rete in particolare, sono affrontate in profondità solo nel penultimo capitolo (Connected marketing), anche se le premesse sanciscono con decisione  l’entità dei cambiamenti portati da internet e dal digitale in genere:

Il digitale diviene il fattore abilitante per la gestione, comunicazione e trasmissione dei contenuti. (…) Le tecnologie elettroniche di massa – dal cellulare, al PC, all’iPod – creano nuovi modi di pensare, di agire, di inter-agire con gli altri.

Ultimo capitolo sull’etica nel marketing, o meglio, sul marketing etico, in cui l’invito è quello di considerare determinati comportamenti virtuosi non solo come accessori cosmetici o tattici rispetto all’attività aziendale, ma elementi fondanti dell’impresa tutta, ove l’attenzione alla responsabilità sociale sia un pilastro strategico. Finale senz’altro condivisibile anche se dichiaratamente utopistico in relazione alla speranza di una sua completa realizzazione.

(Societing – terza parte)

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Societing - Giampaolo Fabris Il marketing va rifondato: parola di Giampaolo Fabris, uno dei maggiori esperti di consumi in Italia da qualche decina di anni, che sviluppa il tema su “Societing”, un libro destinato a diventare un punto di riferimento cruciale nella comprensione dell’evoluzione del marketing.

Fabris è netto nel ritenere che il marketing attuale “batte in testa” (l’espressione motoristica è proprio la sua, manifestata in un recente convegno di Ruling Companies), e ciò diventa molto rilevante non solo per la capacità professionale con cui avvalora il suo auspicio di rinnovamento radicale, quanto per l’influenza che esercita sui marketer italiani da molti anni.

Il libro parte dalla disamina del consumatore postmoderno il quale decreta la crisi di fiducia del progresso costante della società, della crescita infinita. Consumatore che diventa oggi ConsumAutore (produce contenuti), ConsumAttore (è competente e selettivo), ConsumatoRE (è lui che guida il rapporto con le aziende). Il marketing tradizionale si trova difronte ad una crisi di identità e ad una perdita di legittimazione sociale, sempre più assimilato nell’immaginario collettivo a mero sinonimo di pubblicità. E ciò avviene perché le aziende per prime hanno continuato a considerare il marketing come un’area tattica e non strategica e a comunicare solo attraverso al pubblicità:

L’impresa può comunicare con una molteplicità di altri canali che divengono, appunto, medium. (…) L’impresa ha comunicato tramite una quantità di canali senza avere la consapevolezza di stare comunicando. Nella convinzione appunto che la sola forma di comunicazione autentica e legittimata fosse la pubblicità.

Studiare il consumatore odierno richiede nuovi schemi, ben rappresentati da Fabris con l’esempio del pescatore e del biologo, ove il pescatore sa tutto di ami, esche e pesci, ma ignora il mondo marino:

Per comprendere il consumatore postmoderno – nomade, eclettico, esigente, curioso, creativo, prosumer, consapevole del proprio potere – è necessario un approccio diverso, più simile al biologo marino. Che indaga su tutto il mondo ittico, studia specie edibili e no, le relazioni che mettono in atto, le correnti che lo traversano.

Non poteva mancare un riferimento sulla crescente inefficacia della comunicazione basata sul concetto di push e interruzione, così come l’auspicio di un approccio che racconti le marche (il grassetto è mio):

Il consumatore si è sbarazzato di antichi pregiudizi e di anatemi ideologici e considera la comunicazione d’impresa come una necessaria, e sovente affascinante, enciclopedia di pronto accesso e facile consultazione sul significato delle merci. Mostra una nuova disponibilità che non trova il mondo della pubblicità pronto, come dovrebbe, a recepirla.

(Societing – seconda parte)

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Santi giornalisti! Io capisco l’efficacia di fare un po’ di sconquasso però l’intervista che ho rilasciato a Pubblicità Italia va precisata meglio. Il tema è la misurabilità di internet e, tra i discorsi sul campo, c’è quello su Audiweb

Rispondendo alla domanda “Ma Audiweb farà aumentare gli investimenti online?” mi sono sentito di rispondere provocatoriamente che in teoria non dovrebbe essere Audiweb a rilanciare gli investimenti e se succede è solo per miopia degli investitori o di chi li assiste perché hanno bisogno di rassicurazioni formali mentre già oggi la Rete è stra-misurabile per lungo e largo.

Quindi ben venga Audiweb (e come fatto a più riprese, confermo la validità e anche l’innovazione con cui stanno procedendo Gasperini, Iannicelli & Co.), ma sono stanco di vedere attribuita a questa ricerca la veste di spartiacque decisivo nello shift verso il digitale. O meglio, come l’ho definito nell’intervista, sarebbe una bestemmia professionale il fatto che si stia aspettato Audiweb per prendere decisioni strategiche, senza badare invece alle tonnellate di dati quotidiani che indicano la strada già da anni. Insomma, basta alimentare l’alibi Audiweb anche perché, siccome la perfezione non è cosa umana, sono sicuro che anche su questa ricerca ci troveranno da ridire.

Per come la vedo io, non mi sento più di dimostrare quanto internet sia misurabile, ma semplicemente evidenzio quanto lo sia decisamente meno l’altro 94% dei soldi spesi in pubblicità. Intanto mercoledì prossimo ci sarà un’intero seminario dedicato alla misurabilità dei mezzi interattivi organizzato da IAB. Ci vediamo lì.

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Qui la tabella con i consuntivi 2006/2007 e le previsioni per il 2008 del fatturato della pubblicità onlne in Italia, elaborati da IAB Italia.

Pubblicità online in Italia - 2006-2008, IAB Italia

Sul sito IAB il comunicato stampa.

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Qui la tabella con i consuntivi 2006/2007 e le previsioni per il 2008 del fatturato della pubblicità onlne in Italia, elaborati da IAB Italia.

Pubblicità online in Italia - 2006-2008, IAB Italia

Sul sito IAB il comunicato stampa.

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Dell’assemblea annuale di UPA, l’associazione che rappresenta gli spender pubblicitari, che si è tenuta ieri a Milano, ho annotato alcune cose:

  • la parola probabilmemte ripetuta pià volte è stata “cambiamento”;
  • interessante, e speriamo davvero convinto, è stato il richiamo di Sassoli de Bianchi, Presidente di UPA, alla trasparenza del mercato pubblicitario; seppur non citata esplicitamente,  ha espresso una censura del meccanismo delle “over”, ciè quel meccanismo per cui i servizi di pianificazione pubblicitaria vengono praticamente pagati dagli editori e non dagli advertiser, fenomeno presente, anche se in misura meno evidente, anche nell’advertising online;
  • la testimonianza di FIAT è stata un po’ troppo lunga ma un caso di eccellenza del genere merita decisamente la ribalta, sia per le linee strategiche alla base del rilancio della casa torinese, sia per l’evidente uso intelligente della Rete nel straordinario caso della Fiat 500 (su Fiat  torno più avanti per altri pensieri correlati);
  • sono andato via durante lo stucchevole intervento di Jack Trout il quale, seppure meritevole di considerazione per aver inventato il termine “positioning” (ma ciò succedeva decine di anni fa), si è prodigato a perorare la differenziazione come leva strategica di comunicazione come se dovesse spiegarla ad un ragazzo di quindici anni; ho resistito dieci minuti e poi sono andato a sentire Fabris (di cui scriverò in un altro post).

Su Fiat, ed in particolare sulla campagna “500 wants you” sono già state dette molte cose e tutte positive. Ho avuto il piacere di tenere un paio di speech durante il Marketing Forum di fine maggio insieme a Carmen Momo e Matteo Righi di ARC/Leo Burnett. Una delle cose che hanno evidenziato relativamente alla loro collaborazione nel progetto con Fiat, è stata la relazione cliente/agenzia che si è sviluppata su una vera partnership su basi fiduciarie e collaborative, indispensabile per sviluppare il terreno su cui si è auspicata la relazione con gli utenti. Infine: durante l’assemblea UPA, Luca De Meo ha ricordato che ci sono oltre 20 università nel mondo che ne stanno facendo un caso di studio. Ottimo!

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Parliamo di spesa pubblicitaria su internet in Europa.

Devo verificare con un pò più di calma come sono stati elaborati i numeri appena pubblicati da IAB Europe sull’advertising online nel 2007 (qui il post sul blog di IAB Italia) dato che l’anno scorso fecero un po’ di macelli, ma credo che due chart spieghino benissimo la situazione-Italia:

  • La percentuale degli investimenti pubblicitari destinati ad internet rispetto al totale (6,67%) è tra le le più basse in Europa.
  • Non ci batte invece nessuno (è ironia, of course), sulla spesa pubblicitaria per utente internet che è la più bassa in assoluto: 36,9 Euro contro una media Europea di 80.6.
    • Come se gli utenti in Italia valessero meno (e non credo).
    • Come se gli spender italiani (o magari le loro agenzie e centri media) non sapessero valorizzare i risultati delle campagne (e questo mi sa che in parte è vero).
    • Come se occorresse una sveglia di quelle con la più fastidiosa delle suonerie per destare chi è in letargo o magari vorrebbe continuare a poltrire (questo aiuterebbe, ma dubito che succeda a brevissimo).

Online advertising spend as % of total advertising spend in Europe, 2007

Online advertising spend per user in Europe, 2007 

Update: ho visto solo adesso del post di Nereo sui dati di IAB Europe.

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Preparatevi: sta per arrivare il sequel di Bring the Love Back, l’arcinoto video del conftronto tra un pubblicitario ed una consumatrice. Si chiamerà “Inspiration Anyone” e, pare, entreranno in scena un CEO ed un creative director.

Intanto qualche link per prepararsi e ripassare:

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Ormai è ufficiale da qualche giorno il fatto che Steve Ballmer, CEO di Microsoft, sarà a Milano il prossimo 23 Aprile per un evento chiamato The Next Web Now!. Il fatto che l’arrivo del boss :) sia dedicato al web e alla pubblicità, la dice lunga sulle prossime strategie del colosso di Redmond.

Carlo Rossanigo lo presenta simpaticamente su Mclips e Luca Colombo ci informa sul programma. La partecipazione è pubblica e gratuita anche se non dovrebbero esserci rimasti molti posti liberi.

Nelle sessioni del pomeriggio dedicate agli advertiser e alle media agency, sono molto contento di essere stato coinvolto nel tenere lo speech “The Future of Advertising Technology“, stimolante quanto impegnativo. Parlerò di un possibile scenario in cui la tecnologia dovrebbe riuscire a ottimizzare le inefficienze dell’attuale mercato pubblicitario.

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Il bellissimo video di un lui e una lei che rappresentano simbolicamente il pubblicitario e il consumatore, ha ormai più di un anno.

Ieri sera durante un cocktail romano organizzato da Microsoft (da cui poi arriva il video originale), è stata presentata la versione localizzata in… beh, ascoltatela: è tremenamente divertente, mantenendo tuttavia il significato originario.


Video: Bring the Love Back – Italian style

Credits: Luca è stato il primo a postarlo ieri notte, ok, potere di chi gioca in casa e non ha ceduto a lusinge di ogni tipo pur di fare lo scoop…


Trovo una certa correlazione con l’idea dei mille fan per vivere felici che ha ripreso Marco da un post originario di Kevin Kelly, con il concetto del “personal CPM” che arriva invece da Forrester Research.

image Mi intriga parecchio il ragionamento su come e quanto le persone (intese come singoli individui) andranno ad occupare degli spazi (in termini di attenzione e quindi tempo, e quindi anche di denaro) che attualmente sono appaggaggio dei produttori tradizionali dicontenuti.

Charlene Li di Forrester nelle sua presentazione The Future Of Social Networks (via ReadWriteWeb) pensa che ogni persona avrà un proprio CPM personale (per i meno dentro queste cose, per CPM si intende il costo per mille visualizzazioni pubblicitarie sul sito).

Interessante.

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Trovo una certa correlazione con l’idea dei mille fan per vivere felici che ha ripreso Marco da un post originario di Kevin Kelly, con il concetto del “personal CPM” che arriva invece da Forrester Research.

image Mi intriga parecchio il ragionamento su come e quanto le persone (intese come singoli individui) andranno ad occupare degli spazi (in termini di attenzione e quindi tempo, e quindi anche di denaro) che attualmente sono appaggaggio dei produttori tradizionali dicontenuti.

Charlene Li di Forrester nelle sua presentazione The Future Of Social Networks (via ReadWriteWeb) pensa che ogni persona avrà un proprio CPM personale (per i meno dentro queste cose, per CPM si intende il costo per mille visualizzazioni pubblicitarie sul sito).

Interessante.

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Ad un convegno di giovedì scorso, ho stuzzicato con una domanda Pierluigi Bernasconi, Amministratore Delegato di Mediamarket (Mediaworld, Saturn), a proposito del rapporto tra spender pubblicitari e web agency e sul fatto che spesso i clienti si rivolgono direttamente ai publisher e ai motori di ricerca. Bernasconi ha detto di preferire spesso la “via diretta”, essenzialmente per due motivi:

  1. Le agenzie non sempre sono preprarate e aggiornate; ha fatto l’esempio di proposte legate al “web 2.0″ che altro non sono che pianificazioni su network di blog.
  2. Le web agency non hanno la capacità di interfacciarsi col management dei publisher, fatto che ritiene fondamentale per ottenere i risultati migliori.

Non sono molto d’accordo sul punto 2), o meglio, può anche esser vero che non tutte le agenzie hanno relazione con i piani alti, ma se diamo per buono che questa è una condizione necessaria per ottenere risultati, stiamo dicendo che il mercato è ancora immaturo, ed è fatto di relazioni e favoritismi e non di professioni. A me non pare che sia (più) così.

Pienamente in sintonia col punto 1) anche se non è tutta colpa delle agenzie. Le specializzazioni e le competenze d’avanguardia ci sono, basta saperle cercare. Se invece si cerca il nuovo utilizzando partner e procedure consolidate, probabilmente non lo si troverà (almeno per alcuni anni ancora). È di questi giorni una ricerca di TNS Media Agencies che rileva l’impreparazione delle tradizionali agenzie in USA, UK e Francia rispetto ai social media. Cito due commenti relativi a questo studio:

“I think traditional ad agencies have very little contribution to make,” Bryan Simkins, a marketing specialist at FedEx, told TNS. “They are mostly driven by their compensation models which are made for closed media. Those models don’t apply in open media.”

“They put up a good presentation about what social media is, but when you get to implementing campaigns, the day-to-day management skills are not meeting the marketers’ expectations.”

Dice la sua anche Forrester nel report The Connected Agency che Adweek sintetizza scrivendo: Agencies Need to Reboot. Ma cosa significa agenzie connesse? Ecco una sintesi:

What it is calling “the connected agency” would not only know certain communities but also be active members of these groups. Pushing messages would give way to encouraging voluntary engagement, and ongoing conversations would replace time-based campaigns.

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Con un nostro cliente per il quale facciamo l’analisi delle discussioni sui blog che li riguardano, discutevamo oggi a proposito delle reazioni a proposito del lancio di un loro nuovo prodotto.

Commentavamo in particolare l’influenza negativa che ha avuto il passaggio del comunicato stampa che presentava il prodotto, in cui si citava l’ammontare del (sostanzioso) budget pubblicitario destinato al lancio. Ebbene, diversi blog hanno ripreso questa indicazione per sparare a zero sul prezzo, secondo loro troppo alto proprio a causa della corposa spesa promozionale, oppure dichiarandosi delusi dal prodotto dal quale si aspettavano molto di più proprio perché supportato da milioni di Euro di campagna.

Insomma, se forse un tempo sbandierare un budget pubblicitario di un prodotto poteva significare “crederci” e comunque riguardava un’informazione indirizzata e circoscritta agli addeti ai lavori, oggi non è più così. Un’altro dei (tanti) modi di fare comunicazione che occorre aggiornare o quantomeno da argomentare in modo differente.


The end of advertising as we know it - IBM Institute for Business Value “I prossimi 5 anni porteranno un numero di cambiamenti nell’industria della pubblicità maggiori rispetto a quelli avvenuti nei precedenti 50”. Inizia così il report della ricerca The end of advertising as we know it realizzato da IBM Institute for Business Value (via Marco Palombi).

Si tratta di una ricerca basata su interviste fatte a 2400 consumatori ed a 80 advertising executive di tutto il mondo, che non fa che confermare i trend e le indicazioni che emergono ormai prepotenti in ogni occasione. Alcuni spunti presi dall’executive summary:

  • I consumatori avranno sempre più  controllo in quello che vedono e su come interagiscono con la pubblicità, sapendola filtrare in un ambiente che diventa multi-canale.
  • Dilettanti e semi-professionisti stanno creando contenuti pubblicitari a basso costo, trend che continuerà anche per via dei modelli di revenue sharing (es. YouTube, Crackle, Current TV).
  • Due terzi dei professionisti della pubblicità intervistati, ritengono che il 20% dei ricavi in advertising passerà entro tre anni dal modello impression-based al modello impact-based.

Quattro i possibili scenari (vedi figura) individuati da IBM, dove le variabili principali riguarderanno la propensione dei consumatori a controllare il marketing e la composizione dell’offerta (inventory) pubblicitaria.

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The end of advertising as we know it - IBM Institute for Business Value “I prossimi 5 anni porteranno un numero di cambiamenti nell’industria della pubblicità maggiori rispetto a quelli avvenuti nei precedenti 50”. Inizia così il report della ricerca The end of advertising as we know it realizzato da IBM Institute for Business Value (via Marco Palombi).

Si tratta di una ricerca basata su interviste fatte a 2400 consumatori ed a 80 advertising executive di tutto il mondo, che non fa che confermare i trend e le indicazioni che emergono ormai prepotenti in ogni occasione. Alcuni spunti presi dall’executive summary:

  • I consumatori avranno sempre più  controllo in quello che vedono e su come interagiscono con la pubblicità, sapendola filtrare in un ambiente che diventa multi-canale.
  • Dilettanti e semi-professionisti stanno creando contenuti pubblicitari a basso costo, trend che continuerà anche per via dei modelli di revenue sharing (es. YouTube, Crackle, Current TV).
  • Due terzi dei professionisti della pubblicità intervistati, ritengono che il 20% dei ricavi in advertising passerà entro tre anni dal modello impression-based al modello impact-based.

Quattro i possibili scenari (vedi figura) individuati da IBM, dove le variabili principali riguarderanno la propensione dei consumatori a controllare il marketing e la composizione dell’offerta (inventory) pubblicitaria.

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Avevo iniziato a fare un po’ di live blogging da IAB Forum ma è durato lo spazio di tre brevi post, poi il diluvio. Tante persone, tante idee e progetti, tanta euforia e passione. Ancora pochi soldi e convinzione, ma dovrebbe essere questione di tempo: prendere sul serio la Rete non è più una scelta, è una necessità.

image Un commento su sull’evento IAB Forum 2007 lo rimando quando avrò i dati di affluenza e dopo aver raccolto altri feedback. Mi piace comunque constatare che si è sviluppata un po’ di discussione online, che spero continui. Appena possibile si renderanno pure disponibili tutti i video e le presentazioni, ma già c’è parecchia roba in giro.

Nel frattempo, solo due note che ho trovato evidenti  durante le due intensissime giornate:

  • Se è vero che la comunicazione sta cambiando e tutto il bla bla che sappiamo su social network, blog e le altre cose, credo che gli operatori del settore siano oramai in grado di rispondere professionalmente in modo adeguato. Se fino a qualche tempo fa, lamentavo un certo distacco tra domanda e offerta, oggi mi pare di vederlo attenuato. Sarà che buona parte degli operatori può vantare almeno una decade di esperienza.
  • È sempre più difficile isolare la pubblicità online dai relativi progetti di comunicazione di cui fanno parte. Ossia: un qualsiasi flight sulla Rete non è più un prodotto a sé stante (come a volte è stato presentato in passato), ma si trascina dietro implicazioni più ampie. Quindi meno discussioni su formati e technicality varie, ma strategia al primo posto. Ciò complica i discorsi, ma permette di “alzare il livello”, come dicono le società di consulenza. Insomma, più comunicaizone e meno pubblicità.

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Gord Hotchkiss è una di quelle persone con cui mi sono sempre sintonizzato. Lui gestisce Enquiro, una bella agenzia di search marketing, ed è nel board di SEMPO, motivo per il quale abbiamo fatto un po’ di cose assieme in passato.

Con la consueta capacità di contestualizzare gli argomenti, Gord riflette su MediaPost del perché le grandi agenzie di comunicazione snobbano, o comunque sottovalutano, il search marketing. Questi i quattro punti chiave:

  • Search is small. Non nel senso di limitato, ma per il fatto che il search è riferito a tante campagne di micro-nicchia. Ai pubblicitari piace invece pensare in grande, puntano alle killer campaigns, alla creatività più spinta. Il search è un’altra cosa, è granulare, è “mettere milioni di chicchi di sabbia in un cesto, uno alla volta”.
  • Search is measurable. Il search è misurabile in modo dettagliatissimo e, di conseguenza, lo è il lavoro delle persone. Questo “può causare parecchio imbarazzo nei tavoli delle agenzie”.
  • Search is hard. Proprio perché granulare, il search marketing è complicato e non basta fare un semplice brainstorm, anche il più ispirato.
  • Search is utilitarian. Il search è costantemente accusato di non essere sexi. Il punto è che tutte queste menti brillanti che si occupano di pubblicità, non hanno capito la cosa più importante: il search funzona perché sono gli utenti che guidano il processo, non i pubblicitari.

Alcuni anni fa scrissi un’ironica storiella (inpunemente figura qui accanto nella voce “i miei libri”)  che chiamai La pubblicità che ho sognato in cui bistrattavo il modo di pensare di alcune delle grandi agenzie…

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Su RAI Utile oggi si parlerà di pubblicità online. Ci saranno esponenti di primo piano di UPA, Microsoft, RAI, oltre a rappresentanti di altre aziende e pure il sottoscritto.

Andiamo in onda alle 12.30 circa per un’oretta. C’è anche lo streaming in diretta sul web.

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Se rimando ancora di recensire due bei libri letti negli ultimi mesi, rischio di scordarmene definitivamente. Per fortuna che ho mantenuto delle orecchie, ossia con le pieghe fatte alle pagine del libro, in modo che posso riprendere alcune note estratte dal testo.

  • Marketing ReloadedMarketing Reloaded di Boaretto, Noci e Pini. “Il marketing classico non appare più in grado di affrontare le sfide di mercato” principalmente per un’eccessiva enfasi sul prodotto. Nel modello di marketing reloaded, il marketing è parte integrante della strategia complessiva d’impresa e presuppone che il consumatore assuma un ruolo attivo. La marca viene identificata con l’esperienza che il cliente avrà con i molteplici punti di contatto (brand touchpoints), esperienza che assume significati diversi: conoscenza diretta, conoscenza derivata dai sensi, esercizio reiterato, nuove sensazioni e modificazioni interiori. Mentre nell’era industriale il cliente è visto come un obiettivo delle tattiche di informazione delle aziende, c’è invece un ritorno alla co-creazione di valore col cliente, così come avveniva nella società preindustriale in cui il prodotto finale era realizzato su commessa del cliente ad artigiani e bottegai. Cade la visione dei diversi canali di comunicazione come elemento di segmentazione: l’azienda deve invece mettere al centro i bisogni del cliente e raggiungerlo con i canali più adatti per lui.
  • Life after the 30-second spot, Joseph Jaffe Life after the 30-second spot di Joseph Jaffe. L’autore è stato tra gli speaker al Media Agency Days di Microsoft con un intervento che ha ripreso i temi del suo stimolante libro. C’è molta Madison Avenue nel testo, ossia è fortemente orientato al business pubblicitario negli Stati Uniti. Però ci sono spunti interessanti, a partire dalla notazione del ROE (Return on Experiment) che, secondo Jaffe, dovrebbe essere il parametro col quale affrontare i moderni progetti di comunicazione (Andrea, questa è la fonte da cui l’ho preso). Molto diretta l’affermazione che la frequenza pubblicitaria (cioè la ripetizione di un messaggio pubblicitario, detta anche pressione pubblicitaria) è semplicememente un segno di inefficienza, dato che teoricamente un messaggio e un prodotto ben fatti, dovrebbero diffondersi da soli dopo un solo passaggio. Jaffe manda al rogo tutte le note “P” del marketing e le rimpiazza con sette “C”: Content, Commerce, Community, Context, Customization, Conversation, Consumer.

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Se rimando ancora di recensire due bei libri letti negli ultimi mesi, rischio di scordarmene definitivamente. Per fortuna che ho mantenuto delle orecchie, ossia con le pieghe fatte alle pagine del libro, in modo che posso riprendere alcune note estratte dal testo.

  • Marketing ReloadedMarketing Reloaded di Boaretto, Noci e Pini. “Il marketing classico non appare più in grado di affrontare le sfide di mercato” principalmente per un’eccessiva enfasi sul prodotto. Nel modello di marketing reloaded, il marketing è parte integrante della strategia complessiva d’impresa e presuppone che il consumatore assuma un ruolo attivo. La marca viene identificata con l’esperienza che il cliente avrà con i molteplici punti di contatto (brand touchpoints), esperienza che assume significati diversi: conoscenza diretta, conoscenza derivata dai sensi, esercizio reiterato, nuove sensazioni e modificazioni interiori. Mentre nell’era industriale il cliente è visto come un obiettivo delle tattiche di informazione delle aziende, c’è invece un ritorno alla co-creazione di valore col cliente, così come avveniva nella società preindustriale in cui il prodotto finale era realizzato su commessa del cliente ad artigiani e bottegai. Cade la visione dei diversi canali di comunicazione come elemento di segmentazione: l’azienda deve invece mettere al centro i bisogni del cliente e raggiungerlo con i canali più adatti per lui.
  • Life after the 30-second spot, Joseph Jaffe Life after the 30-second spot di Joseph Jaffe. L’autore è stato tra gli speaker al Media Agency Days di Microsoft con un intervento che ha ripreso i temi del suo stimolante libro. C’è molta Madison Avenue nel testo, ossia è fortemente orientato al business pubblicitario negli Stati Uniti. Però ci sono spunti interessanti, a partire dalla notazione del ROE (Return on Experiment) che, secondo Jaffe, dovrebbe essere il parametro col quale affrontare i moderni progetti di comunicazione (Andrea, questa è la fonte da cui l’ho preso). Molto diretta l’affermazione che la frequenza pubblicitaria (cioè la ripetizione di un messaggio pubblicitario, detta anche pressione pubblicitaria) è semplicememente un segno di inefficienza, dato che teoricamente un messaggio e un prodotto ben fatti, dovrebbero diffondersi da soli dopo un solo passaggio. Jaffe manda al rogo tutte le note “P” del marketing e le rimpiazza con sette “C”: Content, Commerce, Community, Context, Customization, Conversation, Consumer.

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Gira su internet da più di due mesi per cui forse l’avrete già visto. Voglio segnalarlo ancora perché lo ritengo una delle cose più intelligenti e divertenti a proposito del mondo della pubblicià oggi. Mi riferisco a “Bring the love back”, realizzato da Microsoft Digital Advertising Solutions, in cui una lei (il consumatore) dice ad un lui (il pubblicitario) che tra loro due non c’è più dialogo.

Alcune battute sono davvero memorabili; finale che fa riflettere con lei che lo lascia definitivcamente e lui che, vanamente, cerca di appellarsi ai vecchi tempi.

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Distributore Erg - Signor Aldo Sulla strada di casa faccio spesso rifornimento al distributore del Signor Aldo a Genzano. Un paio di giorni fa ho notato un nuovo allestimento di tutto l’impianto e, primo su tutti, un gran bel manifesto con al foto del Signor Aldo in persona e con un inequivocabile testo: “Noi di Erg ci mettiamo la faccia. Aldo lavora qui, per voi”.

Complimentandomi col Signor Aldo, mi raccontava che dopo oltre 40 anni che lavora lì, ha ricevuto questa bella sorpresa di verdersi personalizzato il suo impianto.

Non so quanto l’iniziativa di Erg sia estemporanea o è stata applicata ad altri gestori. Certo è che la trovo veramente brillante:

  •  gratifica il gestore, cosa che in quel settore è essenziale e sempre più complicato
  • rappresenta l’azienda petrolifera attraverso l’interfaccia neutra di chi è in prima fila e, spesso, di chi rappresenta l’elemento di fidelizzazione principale da parte dei clienti
  • si tratta di un’iniziativa poco costosa: un paio di paline e magari un set di flyer che con i moderni sistemi digitali si realizzano con poco.
  • e poi… fa parlare dell’iniziativa pure i blog!

Erg GenzanoQualche mese fa ho tenuto una sessione di consulenza presso un’azienda petrolifera proprio per parlare di blog da utlizzare come umanizzazione del rapporto con i propri stakeholder. Una delle cose che mi ero permesso di ventilare, qualcun’altro l’ha realizzata.

Bravi Erg!

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Puntuale come l’incalzare delle stagioni, ancora un articolo che mette in discussione l’efficacia della pubblicità online. Questa volta a firma di Giampaolo Fabris su Affari&Finanza di oggi (l’allegato di Repubblica).

Non sono riuscito a trovare un passaggio che sintetizzi l’articolo di Fabris, per cui provo a riassumerlo arbitrariamente io: la pubblicità sulla Rete è invasiva perchè entra sul PC delle persone e queste ne sottolineano la relativa insofferenza.

Faccio solo due considerazioni:

  • Ditemi una forma di pubblicità che sia apprezzata dai destinatari; ovvio che se chiedi a qualcuno “ma a te piace la pubblicità su internet”, la risposta sia “no”. Pensate invece che se lo chiedete a proposito di TV, radio o stampa le risposte siano “wow, certo! adoro lo spot che interrompe il film”, oppure “non vedo l’ora di sporcarmi le mani di colore su quei paginoni pubblicitari interni al quotidiano”? In sintesi: non esiste una pubblicità che funziona o meno in senso assoluto; dovrebbe essere sempre correlata con le alternative sugli altri mezzi oltre ad accettare il fatto che la pubblicità è invasiva per natura.
  • Continuo ad avere fiducia nelle capacità degli inserzionisti (anche attraverso il supporto delle agenzie) nello spendere in modo sensato i propri soldi. Internet cresce (e in Italia lo fa ancora poco) perché funziona. Punto.

Ok, confesso di aver scritto una bugia: in realtà io adoro la pubblicità che interrompe i film in TV; è il momento migliore per dare un’occhiata alle email o fare la pipì