Archivio: “Numeri”

Basta il primo dato dell’infografica di Unioncamere sul valore dell’internet economy in Italia, per spiegare tutti i ritardi del digital nel nostro paese: 4 imprenditori su 10 ritengono che internet NON serva alla propria impresa.

Rapporto Unioncamere 2015

Per fortuna (o meglio, per la logica con cui si muove il mondo), le aziende che usano internet assumono di più e sono più efficienti. E sul fronte della domanda internet è un riferimento sempre più importante per gli acquisti, online e non.

È quanto emerge dal capitolo “Digital economy e innovazione: la trasformazione dell’economia e dei consumi” del Rapporto Unioncamere 2015 (qui il PDF).

Altra interessante infografica del rapporto è quella su occupazione e competenze digitali.

Rapporto Unioncamere 2015


Secondo una recente indagine realizzata da The Economist Intelligence Unit e che ha coinvolto circa 500 CMO (Chief Marketing Officer), la maggior parte di questi ritiene che nel breve il loro ruolo riguarderà anche governare le vendite.

Riporto qui alcuni grafici della ricerca, mentre lo studio completo può essere scaricato qui.


Linkedin ha commissionato a Millward Brown una ricerca riguardo ai contenuti più apprezzati dai professionisti sui social media. Ovviamente Linkedin è risultato molto rilevante, ma in linea generale mi ritrovo su molte delle considerazioni che emergono dall’analisi (anche se dovrebbe essere riferita solo agli Stati Uniti).

Riprendo una delle tabelle che compara i parametri che influenzano la fiducia riguardo a contenuti pubblicati sui principali social network:

Ricerca Millward Brown Digital / Linkedin


Appena pubblicata la settima edizione della ricerca Wave realizzata da Universal McCann (qui il PDF), che analizza gli Active Internet User (ossia chi usa internet tutti i giorni) di ben 65 nazioni.

In questa Wave 7, denominata “Cracking the social code”, sono stati individuati in particolare cinque fattori chiave che caratterizzano i bisogni delle persone nella relazione con le aziende: Relationship, Diversion, Learning, Progression, e Recognition.

Mi piace sottolineare una frase presa dall’executive summary riguardo alle nuove forme di baratto tra aziende e consumatori:

Consumers are entering into a ‘value exchange’ with brands that meet these needs, they are happy to disclose personal data if it means they receive a better online experience.

Che poi è alla base sulle riflessioni in merito alla fidelizzazione che si facevano a casa di Gianluca.

Tornando alla ricerca di UM, ho notato il dato riguardante l’uso di Twitter, dal quale emerge raddoppiato il numero di utenti italiani rispetto all’anno scorso (superando anche Francia e Germania). Non mi quadra però il dato USA con solo il 32% di utenti Twitter tra quelli online.

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Aiutatemi a capire. Ieri AGCOM fa un comunicato stampa sulla valorizzazione del SIC (Sistema Integrato delle Comunicazioni), nel quale rileva per la pubblicità online un passaggio da 672 milioni nel 2011 a 1.503 milioni di Euro nel 2012.

Evidentemente il fatturato online NON è triplicato in un anno, per cui penso si applichi la nota (un po’ criptica in verità) che dovrebbe stare a significare che nel 2011 alcuni valori non erano stati considerati. Mi domando che senso abbia rappresentare dati così macroscopicamente incongruenti, ma pazienza.

SIC Sistema Integrato delle Comunicazioni 2012

 

Ciò che trovo strano è che l’anno scorso AGCOM pubblicò la prima edizione dell’Osservatorio sulla Pubblicità, in cui stimava per il 2011 tutt’altro valore, ossia 1.578 milioni di Euro (grafico di seguito).

 

AGCOM - Ricavi pubblicitari

 

Più recente invece il documento “Indagine conoscitiva sul settore dei servizi internet e sulla pubblicità online” sempre di AGCOM (dati di seguito), il quale presenta ancora altri numeri per il 2011 (1.408 milioni di Euro) mentre per il 2012 il dato di 1.503 milioni è quello dell’ultimo SIC (evviva!)

 

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Ripensavo al convegno di qualche giorno fa del Politecnico che ha annunciato una collaborazione con IAB per analizzare il valore del mercato della pubblicità online perché finora non si erano mai parlati…

E’ una storia vecchia: sembra che in Italia si faccia di tutto per tirare ad indovinare quando si tratta dei numeri di internet…


Hai presente quando leggi un post che fa accendere una serie di pensieri vaganti fino a quel momento? Ecco, mi è successo con “Within Five Years Call Centres Will Be Run By Marketing” incrociato qualche giorno fa.

Si parte dai temi della consumerizzazione, riprendendo un dato di una ricerca svolta da Accenture nel 2012:

“At the turn of the millennium, companies spent twice as much on IT hardware per employee as consumers spent. By 2008, the two sides had reached parity.”

Solo che le opportunità per le aziende nel relazionarsi con questi “consumatori digitali”, sono complicate dalla multicanalità e da molteplici varianti di customer journey:

No surprises then we’ve invented the language of ‘cross-channel’ and ‘omni-channel’ to point beyond the utter failure of traditional point solutions to keep up. (…) This becomes all the more apparent when we look through the re-architecting eyes of CX (customer experience) professionals who map those wiggly customer journeys across the badlands of functional silos. They know that the mapping part of their mission is the easy bit. Bending the organisation like origami into an outside-in shape is quite another matter!

Situazione che merita una dose di sano realismo:

At the centre of the issue is a set of conflicting beliefs that keep organisations locked into a certain shape and pattern of behaviour. One belief holds there is more money in existing customers. The other bets on finding a constant stream of new ones. The former is what everyone goes to conferences to feel uplifted by; like a good Southern Baptist Sunday morning does for the soul. The latter is what is dictated by the governance of annual planning and the assumptions that sit behind ‘how to make the numbers this year’.

E l’attenzione ai nuovi clienti è suffragata dai dati:

At a global level we invest $500bn in Marketing compared with just $9bn in Service. (source: G-force 2013). And of that marketing budget, organisations spend just 2% on actively maintaining relationships with existing customers (source: Adobe Digital Index)

È Forrester con un report sulla customer experience  del 2013 che riporta l’attenzione sui nuovi customer journey e sulla loro rilevanza:

All those connected devices allow consumers to adopt new patterns of engagement that spread experiences across multiple touch points. However organisations are so behind the curve that consumers are slowed down and limited in their channel options. All of which degrades the brand’s value.  The answer is to plan and deliver seamless experiences starting with real time reporting of these new, multi device, cross channel customer journeys.

Poi l’articolo cita due ricerche (“Foresee Experience Index Q4 2013” e “Amex’s 2012 Global Customer Service Barometer”) che dimostrano quanto una buona customer experience genera un evidente aumento della propensione all’acquisto e dell’advocacy.

Da ciò ne deriva che il marketing deve fare un passo indietro:

Marketers needs to cultivate the habit of listening before talking. A habit that will take some practice before becoming natural since their current instinct is to conduct an ongoing monologue with customers.

Perché, come evidenzia anche lo studio JD Powers Survey svolto negli Stati Uniti (Q1 2013):

So many companies jump to the marketing piece, but consumers are looking more and more to social channels for support.

Ed il marketing può “pescare” dal customer support numerose opportunità e insight, riassunti in tre punti (rimando all’articolo per la loro descrizione):

  1. Customer Inspired Topics
  2. Expectation Management
  3. Service Triggered Stories

Questa la visione per un prossimo futuro:

All customer facing functions will operate under a single plan and budget. As by far the richest and most influential budget holder, Marketing has taken command under the united remit of ‘Customer Engagement’.

Ma se le organizzazioni vogliono davvero arrivare a questo, è adesso che devono iniziare a strutturarsi per abbattere gradualmente i silos, per coordinare i touchpoint interessati dal customer journey, per passare dal CRM al CEM (Customer Experience – o Engagement – Management).

Lo dimostrano anche alcune esperienze che stiamo facendo in OpenKnowledge insieme ai nostri clienti, nelle quali i processi di cambiamento e orientamento al consumatore, richiedono tempi oggettivamente lunghi e piani strategici e di implementazione approfonditi e trasversali rispetto ai dipartimenti dell’azienda. Cose non banali, ma decisamente necessarie.


Un grafico vale più di mille parole:

Global_New_-Product_Visuals_-for_Wire_4


Ho raccolto in questo post la segnalazione di quattro recenti ricerche con alcuni elementi in comune: sono indagini fatte su CEO e manager aziendali e riguardano l’impatto attuale e nel breve periodo delle strategie di digital & social marketing.

Partiamo da McKinsey con l’analisi Minding your digital business la quale rileva, tra l’altro, che oltre la metà delle aziende di tutto il  mondo intervistate, considera il digital marketing e i social tools tra le prime 10 priorità.

McKinsey - Minding your digital business

Una delle ragioni per cui i social media ed internet in generale diventano sempre più strategici, è perché sono considerati strumenti che hanno e avranno il maggior impatto nella relazione con i clienti.

IBM - Leading Through Connections

Ed è quanto emerge dalla ricerca  Leading Through Connections di IBM che intervista 1.700 CEO di 64 nazioni diverse.

Tra i dati che emergono, nell’arco di 3-5 anni i social media ed i canali web saranno, dopo il face-to-face, i principali strumenti di engagement con i consumatori. In questa analisi, i media tradizionali slitteranno all’ultimo posto.

Sembra proprio che la consapevolezza dell’impatto strategico dei social media, sia finalmente arrivata anche ai “piani alti”, almeno stando a quanto rileva l’indagine How social technologies drive business success (PDF) realizzata da Millward Brown in Europa per conto di Google. Certo, c’è ancora un gap rispetto agli utilizzatori frequenti, ma due terzi dei senior manager ritiene che i social tools impatteranno sulle strategie  e sul successo di business se impiegati in modo convinto.

Millward Brown - How social technologies drive business success

Chiudiamo questa serie di segnalazione arrivando sul concreto: l’acquisizione di clienti attraverso i social media. È questo uno dei dati che rileva Hubspot nel survey  State of Inbound Marketing a cui hanno partecipato 972 professionals (devo dire che la metodologia della ricerca non mi è chiarissima). Tra i dati che vanno sottolineati c’è la persistenza del canale blog come uno dei maggiori performer in quanto a customer acquisition, sia per business B2C che B2B.

Hubspot - State of Inbound Marketing

Naturalmente all’interno di ognuna delle quattro ricerche qui segnalate, ci sono altri rilievi interessanti… che vi lascio scoprire. Enjoy!


Ho raccolto in questo post la segnalazione di quattro recenti ricerche con alcuni elementi in comune: sono indagini fatte su CEO e manager aziendali e riguardano l’impatto attuale e nel breve periodo delle strategie di digital & social marketing.

Partiamo da McKinsey con l’analisi Minding your digital business la quale rileva, tra l’altro, che oltre la metà delle aziende di tutto il  mondo intervistate, considera il digital marketing e i social tools tra le prime 10 priorità.

McKinsey - Minding your digital business

Una delle ragioni per cui i social media ed internet in generale diventano sempre più strategici, è perché sono considerati strumenti che hanno e avranno il maggior impatto nella relazione con i clienti.

IBM - Leading Through Connections

Ed è quanto emerge dalla ricerca  Leading Through Connections di IBM che intervista 1.700 CEO di 64 nazioni diverse.

Tra i dati che emergono, nell’arco di 3-5 anni i social media ed i canali web saranno, dopo il face-to-face, i principali strumenti di engagement con i consumatori. In questa analisi, i media tradizionali slitteranno all’ultimo posto.

Sembra proprio che la consapevolezza dell’impatto strategico dei social media, sia finalmente arrivata anche ai “piani alti”, almeno stando a quanto rileva l’indagine How social technologies drive business success (PDF) realizzata da Millward Brown in Europa per conto di Google. Certo, c’è ancora un gap rispetto agli utilizzatori frequenti, ma due terzi dei senior manager ritiene che i social tools impatteranno sulle strategie  e sul successo di business se impiegati in modo convinto.

Millward Brown - How social technologies drive business success

Chiudiamo questa serie di segnalazione arrivando sul concreto: l’acquisizione di clienti attraverso i social media. È questo uno dei dati che rileva Hubspot nel survey  State of Inbound Marketing a cui hanno partecipato 972 professionals (devo dire che la metodologia della ricerca non mi è chiarissima). Tra i dati che vanno sottolineati c’è la persistenza del canale blog come uno dei maggiori performer in quanto a customer acquisition, sia per business B2C che B2B.

Hubspot - State of Inbound Marketing

Naturalmente all’interno di ognuna delle quattro ricerche qui segnalate, ci sono altri rilievi interessanti… che vi lascio scoprire. Enjoy!


Dalle interessanti chart di Mary Meeker – State of the Net, ne prendo una solo per una considerazione semplice semplice: ma se gli editori già faticano oggi a valorizzare la pubblicità sul web rispetto a quella su carta o su altri canali analogici, come faranno a gestire il mobile che a sua volta è 5 volte meno remunerativo del web?

Mary Meeker - The State Of The Web

La parola che sento sempre ripetere tra i publisher è innovazione. E ci sta. Ho solo l’impressione che alcuni pensano che innovare significhi trovare un modo nuovo e creativo per mantenere le attuali organizzazioni, l’attuale offerta, l’attuale autorevolezza.

Per come la vedo io, i fronti dovrebbero essere:

  • Passare ad una logica di servizio con metriche riviste rispetto a quella che oggi viene considerata qualità dei contenuti
  • Smontare l’offerta pubblicitaria da vendita di “ad units” per passare a realizzare progetti di comunicazione e content marketing


Una ricerca tutta da leggere realizzata da Doralab che testimonia quanto sia fondamentale l’analisi dettagliata dei diversi momenti di interazione con un sito e-commerce.

Per come la vedo io, fare test continui e misurare con precisione, sono le attività che sul medio periodo impattano di più sul ROI di un sito (e non solo di e-commerce). Ma non ci sono ricette preconfezionate perché ogni sito ha sue caratteristiche e obiettivi ed in base a questi, va approntato e misurato.

Con l’occasione, segnalo anche che sono disponibili gli atti dell’E-commerce Forum.


Una ricerca tutta da leggere realizzata da Doralab che testimonia quanto sia fondamentale l’analisi dettagliata dei diversi momenti di interazione con un sito e-commerce.

Per come la vedo io, fare test continui e misurare con precisione, sono le attività che sul medio periodo impattano di più sul ROI di un sito (e non solo di e-commerce). Ma non ci sono ricette preconfezionate perché ogni sito ha sue caratteristiche e obiettivi ed in base a questi, va approntato e misurato.

Con l’occasione, segnalo anche che sono disponibili gli atti dell’E-commerce Forum.


Le startup basate sulle nuove tecnologie sono da un po’ di tempo al centro dell’attenzione, comprese le recenti iniziative governative e politiche. Finalmente una boccata d’aria fresca che serve a smuovere il settore del venture capitalism e a sviluppare qualche bella storia di business, posti di lavoro e ricavi.

Serve anche per dare un po’ di stimoli e di fiducia ai giovani, badando però a non limitarci a identificare le startup esclusivamente come “roba per giovani” (a riguardo avevo segnalato un articolo su GigaOm qualche giorno fa).

Vedo però poca attenzione al vero problema: quello delle  centinaia di migliaia di aziende italiane che sono indietro (e parecchio) nell’utilizzo di internet per il loro business. Vi risparmio le numerose ricerche che lo testimoniano appieno.

Non vorrei che l’attenzione alle startup sia una specie di messaggio a gettare la spugna, a rassegnarsi che l’unico modo per crescere sia lasciare le aziende alla mercé della competizione globale e rifondare tutto con tante belle giovani startup, con la speranza che sorga qualche Facebook tricolore guidata da nuovi improvvisi milionari .

Per spiegare a cosa mi riferisco, mi sono divertito ad elaborare i dati ISTAT del 2011 riguardanti l’utilizzo delle tecnologie nelle aziende italiane, suddividendo le imprese secondo i tre livelli di impiego della Rete identificati da The Boston Consulting nel report Fattore Internet, i quali sono:

  • Online-attive: Possiedono un sito ed effettuano attività di marketing virtuali o di e-commerce
  • Online: Dotate di una pagina Web ma non fanno né attività di marketing né di
    e-commerce
  • Offline: Prive persino di un sito (ma possono avere una connessione Internet)

Numero aziende italiane 10-99 dipendenti

Ho isolato le aziende da 10 a 99 addetti, quelle su cui penso sia necessario intervenire maggiormente. Si tratta di 215.000 imprese (il 4,9% delle imprese italiane) che occupano 4,9 milioni di addetti (29,2% del totale) e sviluppano 968 miliardi di € di fatturato (36,5% del totale).

Ebbene solo una piccola parte di queste usa internet in modo attivo. Il resto no.

Continuando l’elaborazione (nota: il mio non è un lavoro scientifico ed ha valore puramente indicativo), applicando i parametri del report Fattore Internet relativi alla differente performance derivante dal loro livello (Online-attive, Online oppure Offline) e ipotizzando che solo un conservativo 10% di quelle Online e di quelle Offline passi al livello superiore, è stimabile un aumento del fatturato complessivo di 2,5 miliardi di Euro l’anno.

Quante startup ci vogliono per raggiungere un risultato simile?

Perché non cerchiamo di fare un RESTART di queste aziende? Pensiamo pure alle startup, ma se vogliamo parlare di crescita del Paese, quella vera, quella urgente, quella diffusa, allora è da queste PMI che dobbiamo ripartire. È qui che occorre implementare l’utilizzo convinto della Rete (che ovviamente non è solo “fare e-commerce”).

Io qualche idea ce l’ho… magari metto su una startup! Occhiolino

Che ne pensate?


Che lavorassi nella industry giusta, l’avevo capito da tempo. Questa analisi di Linkedin lo conferma e mostra che internet è il settore col miglior saldo in termini di addetti (anche se i dati andrebbero un po’ “tradotti” per via dell’utilizzo preferenziale di Linkedin nel settore).

Sarebbe interessante capire il turnover che c’è dietro il valore netto del rapporto lavori acquisiti/persi. Io noto che nella nostra industry digital (come peraltro succede del mondo della comunicazione in genere), la quantità di movimenti professionali continua ad essere molto significativa.

Linkedin Industry Trends


Non si tratta di mettere in competizione i vari media e ovviamente non c’è un canale migliore di un altro in senso assoluto. Però è interessante questa ricerca di Nielsen appena pubblicata relativa ai mercati asiatici che, tra le altre cose, compara il ROI dei vari strumenti pubblicitari.

Della serie “un’immagine vale più di mille parole”:

Media ROI (Asia) - Nielsen

 

La ricerca può essere richiesta gratuitamente da qui.


Non si tratta di mettere in competizione i vari media e ovviamente non c’è un canale migliore di un altro in senso assoluto. Però è interessante questa ricerca di Nielsen appena pubblicata relativa ai mercati asiatici che, tra le altre cose, compara il ROI dei vari strumenti pubblicitari.

Della serie “un’immagine vale più di mille parole”:

Media ROI (Asia) - Nielsen

 

La ricerca può essere richiesta gratuitamente da qui.


Interessante la ricerca di Linkedin sulle parole più utilizzate nei profili professionali correlate alla nazione. A me sembra che le persone vogliano evidenziare quelle caratteristiche tradizionalmente meno frequenti nelle rispettive nazioni. Quindi nei paesi anglosassoni si sottolinea il risvolto creativo, in Spagna quello professionale e in Francia quello dinamico.

In Italia la keyword più gettonata è problem solving. Sarà perché siamo più capaci a risolvere i problemi o perché abbiamo più problemi degli altri e quindi è bene evidenziare questa competenza? Oppure semplicemente perché siamo più pessimisti e abbiamo una visione problema-centrica del business?

Top overused buzzwords in Linkedin Profiles


Entro il 2016 l’interactive marketing rappresenterà un terzo di tutta la spesa pubblicitaria (attualmente è al 19%). Lo stima Forrester in riferimento al mercato USA. La motivazione principale è sintetica ed efficace:

It not only works, you can prove it works

La crescita maggiore riguarderà il Display, il Video e il Mobile advertising mentre il Search, pur in aumento, attenuerà la percentuale di miglioramento riscontrata negli ultimi anni.

La spesa destinata ai Social Media si triplicherà, considerando che in questo caso non parliamo solo di advertising: Forrester li definisce “Social programs — not just social ads”. A tale proposito, interessante la nota su Clickz che segnala il motivo per cui il social media advertising è conveniente:

"Developing owned social assets like a Facebook page could run as much as $1 million, but this is a one-time cost. Compare these fees to a paid search budget for example, which ranges between $500,000 and $3 million per month," the report found.

Certo, non succede proprio molto spesso da queste parti di vedere aziende che investono un milione di dollari sui social media ma prima o poi ci arriveremo, giusto? Occhiolino


Torno sulla ricerca “Fattore Internet”, commissionata da Google e realizzata da The Boston Consulting, confermando la prima impressione: si tratta di una ricerca fondamentale per capire il vero impatto della Rete in termini economici e, se non erro, la prima del genere in Italia. Ho anche qualche riserva, ma ne parlo più avanti.

Lo studio rileva che internet vale attualmente 31,6 miliardi di Euro, ossia  il 2% sul PIL italiano, valore destinato a rappresentare tra il 3,3% e il 4,3% del PIL nel 2015. Questo per quanto riguarda l’impatto diretto di internet sull’economia, rappresentato da tre elementi principali:

  • Consumo, ossia l’acquisto di prodotti, servizi e contenuti online
  • Gli investimenti del settore privato, rappresentate principalmente dalla costruzione delle infrastrutture e dall’accesso alla Rete
  • La spesa istituzionale, composta dalle spese ICT legate ad internet sostenute dalla Pubblica Amministrazione

Ma oltre all’impatto diretto sul PIL, lo studio giustamente evidenzia anche l’entità di altre aree direttamente collegate ad internet, tra le quali l’e-Procurement (ossia i beni acquistati online dalla PA), l’infocommerce e la pubblicità online, che aggiungono complessivamente altri 25 miliardi di Euro di valore. Non mancano, correttamente, i riferimenti agli effetti positivi sulla produttività e sugli impatti sociali, la cui stima economica è oggettivamente complessa da definire.

Fattore Internet

Lo studio di carattere complessivo è affiancato da una ricerca verticale sulle PMI italiane, i cui risultati confermano l’impatto positivo della Rete sul loro business. Difatti, le aziende che che sono attive con iniziative online (ossia fanno e-commerce o marketing online) hanno mediamente aumentato i ricavi (le altre registrano trend negativi), assumono con maggior frequenza ed esportano di più.

Un aspetto che avrei messo più in evidenza è la numerosità degli addetti della filiera internet. Nel report si parla di “internet stack” che riporta un dato complessivo di ben 150 mila persone (pur non splittato numericamente per categoria). Penso che sia un parametro importante specie in chiave politico-istituzionale laddove, in luogo di valori economici assoluti, si guarda con favore il numero di “teste” coinvolte. Secondo me, cavalcare il numero degli addetti del settore internet, considerando la rilevanza di tale numero, stimola di più i tavoli governativi piuttosto che qualche miliardo di Euro di peso economico.

Ed è questo un mio pallino che ho cercato di portare avanti già all’interno di IAB relativamente ad una ricerca condotta da Accenture con cui si ambiva a mappare tutti i player del settore, ma che poi sembra aver presto direzioni differenti. I numeri dovrebbero stimolare IAB ad ambire a rappresentare qualcosa di più del miliardo di pubblicità online (che è solo lo 0,02% dell’impatto economico di internet), vista anche la difficoltà di altre organizzazioni a fungere da ombrello alla miriade di operatori e aziende coinvolte in questa industry.

Tornando a Fattore Internet, pur considerando che si tratta della prima edizione (e c’è da auspicare che assuma una periodicità costante), ritengo sia migliorabile in alcune parti. Innanzitutto sconta un’impostazione a tratti un po’ commerciale, facendo trasparire l’intento di “vendere” internet al di là dei dati oggettivi che espone. Lo so, ci scappa a tutti noi operatori del settore: siamo pieni di passione, siamo consapevoli del valore che la rete porta al business; soffriamo però della scarsa considerazione che se ne ha nel Paese e allora assumiamo costantemente le vesti degli evangelizzatori. Ma una ricerca di questa portata dovrebbe essere più asettica e realista, mostrando anche le principali criticità come, ad esempio, i numeri piccoli dell’ecommerce ancora sbilanciati sul fronte dei servizi.

La ricerca include anche delle case history di aziende di piccole-medie dimensioni. Indubbiamente le testimonianze aziendali sono utilissime: trattano casi concreti e aumentano la confidenza da parte dei meno informati. Non le avrei usate però a suffragio dei dati della ricerca (a tratti sembrano inserite per giustificare i valori esposti), ma isolate in un capitolo del tutto distinto.

Ho qualche perplessità infine sulle conclusioni della ricerca, quando riporta le priorità per lo sviluppo dell’Internet economy:

  • Le piccole e medie imprese devono spostarsi online
  • Il mobile offre delle opportunità alle imprese
  • L’educazione dei consumatori è un fondamento della crescita

Magari può non essere il focus dello studio, ma avrei apprezzato che l’enunciazione dei precedenti punti fosse accompagnata da qualche ipotesi di fattibilità e di intervento. Nel merito, il tema dell’educazione (inteso come divulgazione, informazione, ecc.) lo vedo prioritario a livello trasversale, non solo ai consumatori ma ancor prima alle aziende (compresi gli operatori del settore) e alle istituzioni.

Vediamo se sarà recepito da altre iniziative come Agenda Digitale che sta cercando (con fatica) di stimolare delle proposte dalle istituzioni, oppure dal neonato Lamiaimpresaonline.it che ha l’obiettivo di facilitare l’utilizzo del web da parte delle PMI.


Fattore Internet(via IlSole24Ore) Report molto interessante realizzato da The Boston Consulting Group e commissionato da Google, che prova a stimare il valore complessivo di internet in Italia considerando le sue innumerevoli applicazioni. Il risultato è pari a 32 miliardi di Euro, pari al 2% circa del PIL.

Per ora mi limito a segnalarlo; seguirà sicuramente un commento dopo che avrò letto nel dettaglio le 48 pagine del documento.

Il titolo completo del report è Fattore Internet – Come Internet sta trasformando l’economia italiana ed è disponibile in PDF


Fattore Internet(via IlSole24Ore) Report molto interessante realizzato da The Boston Consulting Group e commissionato da Google, che prova a stimare il valore complessivo di internet in Italia considerando le sue innumerevoli applicazioni. Il risultato è pari a 32 miliardi di Euro, pari al 2% circa del PIL.

Per ora mi limito a segnalarlo; seguirà sicuramente un commento dopo che avrò letto nel dettaglio le 48 pagine del documento.

Il titolo completo del report è Fattore Internet – Come Internet sta trasformando l’economia italiana ed è disponibile in PDF


Audience internet in alcuni paesi, suddivisa per velocità di connessione (Nielsen):

Active Internet Audience by Connection Speed


Audience internet in alcuni paesi, suddivisa per velocità di connessione (Nielsen):

Active Internet Audience by Connection Speed


Una ricerca appena pubblicata (The Effect of Social Networks and the Mobile Web on Website Traffic and the Inevitable Rise of Facebook Commerce – PDF) realizzata da Adgregate Markets insieme a Webtrends evidenzia come le fanpage delle aziende su Facebook continuino a incrementare il loro traffico, mentre i siti corporate di molti comparti (specie quelli non legati all’ecommerce) riscontrano una diminuzione dei visitatori.

Alcune delle evidenze della ricerca:

Among the 44 companies, 18 companies (about 40%) exhibited extremely high traffic to their Facebook page compared to their websites.

Of the 22 categorized as ‘Non-Ecommerce’, 13 companies (about 65%) received more unique visits to their Facebook page compared to their website

Facebook commerce conversion rates ranging from 2% to 4% are on par with Commerce websites.


Una ricerca appena pubblicata (The Effect of Social Networks and the Mobile Web on Website Traffic and the Inevitable Rise of Facebook Commerce – PDF) realizzata da Adgregate Markets insieme a Webtrends evidenzia come le fanpage delle aziende su Facebook continuino a incrementare il loro traffico, mentre i siti corporate di molti comparti (specie quelli non legati all’ecommerce) riscontrano una diminuzione dei visitatori.

Alcune delle evidenze della ricerca:

Among the 44 companies, 18 companies (about 40%) exhibited extremely high traffic to their Facebook page compared to their websites.

Of the 22 categorized as ‘Non-Ecommerce’, 13 companies (about 65%) received more unique visits to their Facebook page compared to their website

Facebook commerce conversion rates ranging from 2% to 4% are on par with Commerce websites.