Archivio: “Marketing”

Oltre al convegno sul content marketing di giovedì 12, segnalo l’incontro Dal CRM al Digital Marketing organizzato da SOIEL che si terrà sempre a Milano venerdì 13 alle 9.20 e mi sembra presenti un ottimo programma.

Io introdurrò la sessione “Dall’analisi all’azione: campaign management, engagement e loyalty” con l’intervento “Interactive Marketing Multicanale” dedicato alla digital marketing automation.

Dal CRM al DIGITAL MARKETING


Come ben sintetizza il report “The Customer Experience in 2020” di Gartner, tra cinque anni i clienti non tollereranno le aziende che non li riconoscono automaticamente e non ricordano le loro preferenze.

Per gestire queste relazioni one-to-one occorrono tre cose:

  • Un atteggiamento di apertura e di ascolto nei confronti di tutti gli stakeholder dell’organizzazione, ossia lo stra-citato auspicio di “mettere il consumatore al centro dell’attenzione”. La metafora che uso da un po’ è quella di sostituire gli specchi dentro l’azienda con porte e finestre.
  • Una tecnologia abilitante, tipicamente identificata come Digital Marketing Automation, in grado di intercettare i profili online delle persone ed i loro comportamenti multicanale e di memorizzarne in modo efficiente le caratteristiche. In pratica lo stesso concetto della telecamera sui siti rappresentata dagli analytics di cui scrivevo una dozzina di anni fa (yep!), ma con una potenza di trattamento dei dati senza precedenti.
  • Un set di contenuti personalizzati che incrocino desideri e bisogni dei clienti in base ai loro gusti e alla fase del customer journey in cui si trovano rispetto alla relazione con l’azienda.

Stiamo quindi passando dalla fase in cui abbiamo imparato ad ascoltare ed interpretare i contenuti generati dagli utenti, ad una situazione nella quale gli User Generated Content insieme alle User Generated Actions guideranno il marketing delle aziende.

Che ne pensi?


image Da un riassunto dei temi affrontati nel Marketo Marketing Nation Summit, riprendo quattro punti facili facili, ma in realtà ricchi di valore e complessità, che dovrebbe affrontare il marketing delle aziende:

  • Marketing must transform from a cost center to a revenue source
  • Marketing must lead the customer experience
  • Marketing must adopt a customer engagement mindset
  • Digital and data must dominate investment

Sono punti citati da Jeff Pundyk dell’Economist, che ha anche riportato i dati di una loro ricerca globale sui marketing executives: l’80% di loro ritiene che si debba ristrutturare il marketing ed il 29% pensa che si debba fare urgentemente.

Quindi: “Digital Transformation Now!”


Secondo una recente indagine realizzata da The Economist Intelligence Unit e che ha coinvolto circa 500 CMO (Chief Marketing Officer), la maggior parte di questi ritiene che nel breve il loro ruolo riguarderà anche governare le vendite.

Riporto qui alcuni grafici della ricerca, mentre lo studio completo può essere scaricato qui.


Al Social Business Forum di quest’anno ho portato una riflessione riguardo al flessibilità che deve avere il Marketing per guidare la Digital Transformation nelle aziende.

La cattiva notizia è che le aree di cambiamento sono più d’una e piuttosto complesse; la buona è che ritengo sia il Marketing il dipartimento chiave per realizzare i processi di rinnovamento.

Nelle prossime settimane sarà disponibile anche la registrazione video dell’intervento.

 


Questo è il video del mio intervento al convegno di qualche giorno fa durante ForumPA, nel quale ho cercato di raccontare alcuni dei principali cambiamenti che le aziende stanno affrontando (specie per il marketing), provando anche a suggerire una roadmap di intervento. (Se non si visualizzasse il video in questo post, è visibile direttamente sul sito InnovaYV)

 

Le chart integrali le avevo già pubblicate in un post precedente.

Sul sito di InnovaTV sono disponibili tutti i video degli altri interventi del panel.


Customer journeyUn paio di giorni fa ho incrociato l’articolo Marketing Can No Longer Rely on the Funnel sul blog dell’Harvard Business Review.

Correttamente, gli autori mettono in discussione alcuni concetti centrali del marketing degli ultimi anni, ossia il Funnel ma anche il Customer Decision Journey proposto da McKinsey omai nel 2009. Riporto un paio di passaggi molto interessanti dell’articolo:

One of the most critical weaknesses of the Customer Decision Journey is the connection between purchase and advocacy. Almost every marketer we spoke to described how social media has disconnected advocacy from purchase. (…)

In today’s marketing landscape, people can experience a brand in many ways other than purchase and usage of a product. These include live events, content marketing, social media, and word-of-mouth. (…) In today’s digital age, advocates aren’t necessarily customers. Marketers who think that advocacy comes after purchase are missing the new world of social influence.

L’articolo suggerisce nuovi modelli, tra i quali il Customer Engagement Journey utilizzato da Visa. Ricordo che anche Brian Solis aveva elaborato un intelligente Dynamic Customer Journey già due anni fa.

Eppure vedo molti marketers elaborare le loro strategie facendo ancora riferimento a modelli piatti, lineari, in cui non vedono altro che un percorso cronologico che va dalla fase di consideration a quelle della loyalty e dell’advocacy. Evidentemente non è più così: il customer journey è dinamico, fluido, anche molto differente in funzione dei diversi tipi di consumatori.

Una cosa è certa: ogni strategia di marketing e comunicazione non può che partire dalla mappatura del customer journey e, per ogni touchpoint del journey, andranno realizzati contenuti verticali e iniziative coerenti con la fase in questione.


Rise of the Marketing Platform è un articolo che alla fine pubblicizza la piattaforma di un vendor, però contiene una buona analisi delle opportunità offerte dalle moderne tecnologie a supporto del marketing.

Riporto uno schema sintetico ma efficace sulla trasformazione del marketing.

Rise of the Marketing Platform

Ma cosa dovrebbe fare una moderna piattaforma di marketing?

UNDERSTAND: Track customer identity, contacts, and context across every digital, social, and mobile channel — then organize this information into a single, open data repository.

ORCHESTRATE: Design and coordinate engaging customer experiences and continuous conversations that take each customer on a personal journey over time – and do this in an organized, automated way.

PERSONALIZE: Deliver relevant, personalized content and messages across channels and devices.

MANAGE: Support the operational aspects of running a marketing department. Plan the marketing calendar, coordinate content, track investments, and tie the marketing budget directly to results.

OPTIMIZE: Measure and maximize marketing ROI across channels. Attribute outcomes to each marketing experience, regardless of which application handled the interaction.  Support data-driven decision making at the speed of marketing.

LEARN: The pace of change in marketing isn’t slowing down, so the platform also needs to give guidance, best practices, and knowledge to help marketers keep up.


Seth Godin

Piacevole intervista concessa da Seth Godin a Inc. Non mi entusiasma il punto di partenza giornalistico che parte dagli errori anziché dalle best practices, ma Godin ci mette del suo.

Un piccolo estratto:

What would you say is the greatest mistake that marketers are making today?

Godin: The big mistake is thinking that their job is to spend money to get attention. If they think that that is what their job is, they will never ever succeed in marketing.

How can companies get marketing right?

Godin: Start by understanding that no one cares about them. People care about themselves. Anyone who tweets about a brand or favorites a brand is doing it because it is a symbol of who they are–it is a token, it is a badge. It’s about them, it’s not about the brand.

E ancora:

Commitment is what is required to change minds. We change our minds because we have made a commitment because something moves us.


Condivido il pensiero di Michael Maoz, un analista di Gartner, quando afferma:

Marketing has done a good job of seeing the power of Social Media, and ran fast to seize the initiative andengage customers in new ways. (…) And now something else is happening. As marketing engages more deeply with customers, you move beyond the ‘dating phase’ and sort of settle into a relationship. Who picks up the laundry, and did you take the dog to the vet?

Esperienza personale recente: ho passato il mio cellulare da un operatore (Vodafone) ad un altro (TIM). Ben fatta la procedura tutta online, ma la portabilità del numero non sembrava andata a buon fine. Beh, non sono riuscito a trovare un telefono, una mail, un indirizzo a cui chiedere cosa fare. Allora ho scritto ad uno dei canali di customer care che ha TIM su Twitter ed il giorno dopo la procedura è andata a buon fine.

Tutto a posto dunque? Ho qualche dubbio. Penso a chi non sa neanche cosa sia Twitter (dovrebbe essere a spanne il 90% della popolazione italiana); oppure a chi Twitter proprio non gli viene in mente dato che in nessuna parte dell’area “Assistenza Clienti” è segnalato.

Mi rendo conto che è complicato servire clienti sempre più informati, esigenti, influenti (e pure rompiscatole, a volte). Ma saper gestire bene il customer care non più che essere un asset strategico per chiunque. Occorre raccordare marketing e customer care, bisogna unificare le informazioni sul cliente e sviluppare piattaforme (tecnologiche e organizzative) di Social CRM. E poi, naturalmente, saper risolvere i problemi!

Chiudo ancora con Maoz che riporta un commento di un ipotetico utente:

“I told you that I was unhappy with your service on Twitter, but when I called in, or logged in, there was no knowledge of my Tweet. What’s up? Or, you saw my post on Facebook (or in a forum, or in a community), and you said how sorry you were, but the same problem is still there. What are you doing about it?”


Interessante questo articolo su Forbes sul tema della customer experience da cui ho preso spunto per il titolo del post e di cui riporto le raccomandazioni (riprese a sua volta dal libro Summit di F. Scott Addis):

  • Listen to the individual customer
  • Exploit your product and service differences
  • Demonstrate the value of your offering
  • Show your passion and creativity in every solution
  • Demonstrate your personal commitment
  • Shoot for the customers’ hearts

Alcuni punti sono mero buon senso, altri sono complessi da realizzare in maniera compiuta, specie in determinati settori o per talune classi di prodotti.

Idealmente si dovrebbe riuscire a valutare (e governare) il consumatore rispetto alla somma di esperienze rispetto al brand e non solo analizzando i singoli touchpoint. Perché d’altronde è così che le persone valutano le aziende.

Non a caso, il pezzo su Forbes segnala un articolo dell’anno scorso sull’Harvard Business Review (scritto da due analisti di McKinsey), tutto concentrato sul “customer’s end-to-end journey”. Ne cito un piccolo brano:

Most customers weren’t fed up with any one phone call, field visit, or other interaction—in fact, they didn’t much care about those singular touchpoints. What reduced satisfaction was something few companies manage—cumulative experiences across multiple touchpoints and in multiple channels over time.


Il tono con cui Forrester si rivolge ai business leaders è perentorio: “Your company is likely to face an extinction event in the next 10 years. And while you may see it coming, you may not have enough time to save your company”.

L’occasione è il nuovo report “The Future Of Business Is Digital” appena pubblicato da Forrester, in cui si analizza come il mondo degli affari nel sui complesso è trasformato dal digital.

Vorrei sottolineare innanzitutto l’evidente contraddizione tra due affermazioni degli executive intervistati:

  • 74% of business executives say their company has a digital strategy (il dato è riportato nel post che annuncia l’analisi)
  • 21% say “We have the right people to define our digital strategy” (vedi figura in basso)

Ora mi chiedo: ma allora la digital strategy chi l’ha fatta nel rimanente 79% dei casi?

Presumo (lo spero per le aziende) che si siano avvalsi di consulenti o partner esterni. E qui il primo tema è: quali sono i soggetti giusti per aiutare le aziende (specie le medie e grandi) ad impostare una digital strategy? Che non significa (solo) scegliere i canali web e social da utilizzare, come ci ricorda anche Forrester. Nè riguarda solo come pianificare l’advertisinig online…

Forrester data on digital readiness

Inoltre, solo il 15% dei manager ritiene che in azienda ci siano persone con gli skill necessari per eseguire la digital strategy. Un gap che ritengo sempre meno conveniente risolvere con l’outsourcing, specie per quanto riguarda i contenuti e le relazioni con l’esterno.

Forrester titola uno dei paragrafi del report con un concetto chiave: “Digital Business is a Journey, Not a Destination”. Aggiungo che il journey è un viaggio che non finisce, anzi, che è appena iniziato. E allora non basta un biglietto, serve una mappa, un programma del viaggio e, possibilmente, una buona guida.

Chiudo solo segnalando che anche nel sample della ricerca è possibile trovare degli molti spunti su cui impostare una vera digital strategy, nella quale è centrale il tema della customer experience su cui ho scritto di recente (qui e qui).

Forrester - The Future Of Business Is Digital


Hai presente quando leggi un post che fa accendere una serie di pensieri vaganti fino a quel momento? Ecco, mi è successo con “Within Five Years Call Centres Will Be Run By Marketing” incrociato qualche giorno fa.

Si parte dai temi della consumerizzazione, riprendendo un dato di una ricerca svolta da Accenture nel 2012:

“At the turn of the millennium, companies spent twice as much on IT hardware per employee as consumers spent. By 2008, the two sides had reached parity.”

Solo che le opportunità per le aziende nel relazionarsi con questi “consumatori digitali”, sono complicate dalla multicanalità e da molteplici varianti di customer journey:

No surprises then we’ve invented the language of ‘cross-channel’ and ‘omni-channel’ to point beyond the utter failure of traditional point solutions to keep up. (…) This becomes all the more apparent when we look through the re-architecting eyes of CX (customer experience) professionals who map those wiggly customer journeys across the badlands of functional silos. They know that the mapping part of their mission is the easy bit. Bending the organisation like origami into an outside-in shape is quite another matter!

Situazione che merita una dose di sano realismo:

At the centre of the issue is a set of conflicting beliefs that keep organisations locked into a certain shape and pattern of behaviour. One belief holds there is more money in existing customers. The other bets on finding a constant stream of new ones. The former is what everyone goes to conferences to feel uplifted by; like a good Southern Baptist Sunday morning does for the soul. The latter is what is dictated by the governance of annual planning and the assumptions that sit behind ‘how to make the numbers this year’.

E l’attenzione ai nuovi clienti è suffragata dai dati:

At a global level we invest $500bn in Marketing compared with just $9bn in Service. (source: G-force 2013). And of that marketing budget, organisations spend just 2% on actively maintaining relationships with existing customers (source: Adobe Digital Index)

È Forrester con un report sulla customer experience  del 2013 che riporta l’attenzione sui nuovi customer journey e sulla loro rilevanza:

All those connected devices allow consumers to adopt new patterns of engagement that spread experiences across multiple touch points. However organisations are so behind the curve that consumers are slowed down and limited in their channel options. All of which degrades the brand’s value.  The answer is to plan and deliver seamless experiences starting with real time reporting of these new, multi device, cross channel customer journeys.

Poi l’articolo cita due ricerche (“Foresee Experience Index Q4 2013” e “Amex’s 2012 Global Customer Service Barometer”) che dimostrano quanto una buona customer experience genera un evidente aumento della propensione all’acquisto e dell’advocacy.

Da ciò ne deriva che il marketing deve fare un passo indietro:

Marketers needs to cultivate the habit of listening before talking. A habit that will take some practice before becoming natural since their current instinct is to conduct an ongoing monologue with customers.

Perché, come evidenzia anche lo studio JD Powers Survey svolto negli Stati Uniti (Q1 2013):

So many companies jump to the marketing piece, but consumers are looking more and more to social channels for support.

Ed il marketing può “pescare” dal customer support numerose opportunità e insight, riassunti in tre punti (rimando all’articolo per la loro descrizione):

  1. Customer Inspired Topics
  2. Expectation Management
  3. Service Triggered Stories

Questa la visione per un prossimo futuro:

All customer facing functions will operate under a single plan and budget. As by far the richest and most influential budget holder, Marketing has taken command under the united remit of ‘Customer Engagement’.

Ma se le organizzazioni vogliono davvero arrivare a questo, è adesso che devono iniziare a strutturarsi per abbattere gradualmente i silos, per coordinare i touchpoint interessati dal customer journey, per passare dal CRM al CEM (Customer Experience – o Engagement – Management).

Lo dimostrano anche alcune esperienze che stiamo facendo in OpenKnowledge insieme ai nostri clienti, nelle quali i processi di cambiamento e orientamento al consumatore, richiedono tempi oggettivamente lunghi e piani strategici e di implementazione approfonditi e trasversali rispetto ai dipartimenti dell’azienda. Cose non banali, ma decisamente necessarie.


I trend per orientare le aziende ai consumatori partendo dal CRMHo sempre pensato che il CRM sia una delle aree cruciali all’interno delle organizzazioni, sia quando ci si riferisce al caring e al customer support, sia quando lo si intente come database di marketing e vendite.

Per cui i punti della lista “Top Trends For CRM in 2014” elaborata dagli analisti di Forrester, possono essere considerati un’utile riferimento per il business complessivo dell’azienda e non solo per il  CRM in senso stretto.

Qui riporto alcuni dei 10 punti indicati d Forrester, ossia quelli su cui ritengo debbano focalizzarsi le organizzazioni moderne:

Trend 1: Companies Strive To Be Experience Driven.

Trend 6: Social Will Connect At All Stages Of The Customer Life Cycle

Giusto partire dal consumatore, dalla sua esperienza complessiva in tutte le fasi del customer journey. Questo approccio va però abbinato ad una gestione nuova dei touchpoint (digitali o meno), non più pensata per singolo canale (es. “faccio il post per Facebook”) ma che parte dagli obiettivi e poi declina i contenuti sui canali più opportuni.

Trend 2: Enterprises Will Embrace Tools That Create An Outside-In Perspective.

Trend 7: Rapid Adoption Of CRM SaaS Solutions Will Continue.

Si moltiplicano le soluzioni tecnologiche che abilitano modelli nuovi ed efficienti per gestire le relazioni con clienti e prospect. Gli strumenti più moderni considerano non solo il classico profilo anagrafico, ma aggiungono:

  • le informazioni social relative al profilo digitale dei singoli ed al loro social graph
  • la gestione dei contenuti e delle relazioni multi-piattaforma: dai workflow al publishing, dai commenti sui canali social alla gestione delle campagne online.

Tendo sempre di più a pensare che anche le organizzazioni più complesse e articolate hanno sempre meno alibi per non affrontare il cambiamento. Le esperienze ed i modelli ci sono, le tecnologie pure, ed il momento è “adesso”.


 Master Universitario Online in Digital L’ho anticipato riprendendo un tweet di Davide ma la news penso meriti un post: gli amici di BizUp insieme ad Unicusano (una delle maggiori università telematiche in Italia) hanno elaborato il primo Master Universitario Online in Digital Marketing.

Il master rientra nell’offerta didattica della Web Marketing Ecademy (WME).

Sono molto contento di dare anche il contributo al programma didattico che mi sembra completo e ben articolato. Così come mi merita sottolineare la presenza di un bel corpo docenti.

Da segnalare anche che il Master WME si configura come un vero e proprio master universitario con rilascio di crediti formativi e attribuzione di un titolo di studio post-laurea con valore legale a livello comunitario.

Tutte le info sul master sono sul sito WME.


Pensavo ad alcune delle affascinanti mappe che provano a rappresentare il mondo del digital marketing, ad esempio la Digital Marketing Transit Map realizzata da Gartner) oppure il Conversation Prims di Brian Solis da poco aggiornato.

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A me pare che ogni mappa che cerchi di rappresentare il complesso del digitale, diventi necessariamente (e inutilmente) complessa (il gioco di parole è voluto). La cosa appare ancora più evidente nelle edizioni aggiornate di questi schemi, che ogni anno aggiungono spicchi alle torte e nuove icone e logotipi; e alla fine: a cosa ci serve?

È più interessante semmai prendere spunto da queste rappresentazioni della complessità per affrontare il confronto fra il ruolo del CIO rispetto a quello del CMO, argomento sempre più attuale nelle aziende. Da leggere a proposito l’articolo su Forbes di un paio di giorni fa, ma anche le chart dello spassoso confronto tra Ray Wang e Esteban Kolsky al Social business Forum di quest’anno.


Sono tempi in cui anche i produttori di computer come Dell si propongono come social media strategist. E allora faccio una cosa che non mi è consueta, ossia una bella lista di suggerimenti per il 2013 riguardo l’utilizzo dei social media nelle aziende (che prende spunto da un post su memeburn).

  1. Cercate di far gestire i canali sui social media dalle persone dell’azienda. Fatevi pure aiutare da consulenti competenti, ma ponetevi sempre l’obiettivo di coordinare direttamente quelli che sono dei punti di contatto col mondo esterno.
  2. Se i vostri dipendenti hanno ancora bloccato l’accesso ai social media, questo è l’anno in cui questa barriera dovrà cadere. Se non vi fidate di loro, pensate quanto loro possano fidarsi dell’azienda per cui lavorano.
  3. Lasciate stare i guru. E lo dice uno di oltre 50 anni che si definisce "esperto". I guru sono quelli che pontificano, che passano tonnellate di tempo sui social media e ti chiedi quando lavorino. Gli esperti invece possono servire, specie quando trasferiscono competenze e valore tangibili.
  4. I social media devono far capo al marketing: non sono un mero strumento di comunicazione o di PR. Nel contempo va considerato sempre l’effetto che  producono su altri dipartimenti: customer care, vendite, human resources, ecc. Spesso i social media mettono alla luce del sole se siete davvero un’azienda integrata (o meno).
  5. Se avete un dipartimento legal non troppo antiquato, condividete anche con loro la vostra strategia sui social media e fatevi aiutare a predisporre una buona social media policy.
  6. La classica scusa rispetto al non impiego dei social media è "non ho tempo". La realtà è che non si dedica tempo a voler capire i social media, perché alla fine sono un canale di comunicazione decisamente poco complicato. Certo, se poi si trovasse un po’ di tempo per usarli davvero, se ne scoprirebbero pure i numerosi vantaggi.
  7. Fatevi un favore e smettetela di arrovellarvi sul ritorno sull’investimento (ROI). A meno che dimostriate che state già misurando il ritorno investimento dell’uso che fate in azienda dell’email o del telefono. I social media sono in prima battuta un ulteriore (e necessario) strumento di relazione con l’esterno.

Ovviamente sono temi che qui ho riportato in modo sintetico e generalista. E sono solo alcuni tra quelli alla base di una buona social media strategy. Però possono essere uno spunto di discussione. Che ne dite?


Qualche giorno fa mi ha scritto una persona chiedendomi un consiglio: in pratica vorrebbe lanciare un e-commerce nel settore high-tech rivenduti in dropshipping, puntando su ricchezza di catalogo, cura estetica del sito, consegna entro 48 ore. Il punto è che il budget di comunicazione di cui si dispone è di 250 Euro al mese.

Fare marketing online con 250 euro al meseLo so, qualche collega del settore storcerà il naso, anzi, si è già voltato da un’altra parte. La mia posizione è quella di comprendere la richiesta, penso stimolata anche dalla faciloneria con cui in molti raccontano internet.

Ecco cosa ho risposto:

Capisco le tue perplessità, ma anche internet ha le sue regole di mercato. Ti faccio un esempio in un altro ambito: se voglio aprire un negozio di scarpe, non basta concentrarsi su buoni prodotti, una commessa gentile ed una bella vetrina: occorre il negozio! Purtroppo, trovare un locale in centro in una grande città costa un occhio della testa!

La Rete è così: potenzialmente è globale e ha una soglia di ingresso bassa, ma ciò è vero per nicchie di mercato o settori verticali. Se vai su settori competitivi, l’investimento richiesto è molto alto.

Aggiungo: chiaramente anche le opportunità possono essere notevoli sul mercato globale e su settori ampi e ricchi, ma l’asticella dell’investimento iniziale si alza di conseguenza.


Social Business ForumArrivato alla quinta edizione, il Social Business Forum di quest’anno si preannuncia ancora più ricco di contenuti e con speaker di spessore.

Organizzato da Open Knowledge, prevede sessioni gratuite ed altre a pagamento, per quello che è diventato sicuramente uno dei momenti di riferimento italiani (e non solo) in ambito marketing online, enterprise 2.0, social media, collaborazione online, ecc.

Appuntamento quindi a Milano il 4 e 5 giugno.


Come al solito Randy di Seomoz è diretto e pragmatico e sempre piacevole da leggere. Si tratta del concetto mai-ripetuto-abbastanza del “partire da obiettivi e strategia” (ormai mi annoio io stesso a ribadirlo continuamente), che tuttavia non è stato metabolizzato da molte aziende.

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Talvolta è utile semplificare al massimo i concetti, tanto poi a complicare le cose e ad aggiungere fuffa si fa sempre in tempo Occhiolino


Le Cose Nuove - Odoardo Ambroso, Paolo RomitiLe cose nuove è bello già nel titolo. Scritto da Odoardo Ambroso e Paolo Romiti, i fondatori di Ammiro Partner (azienda nella quale lavoro dall’anno scorso), va ad analizzare i cambiamenti in atto nel marketing, con un occhio particolare a come oggetti e prodotti assumeranno una nuova condizione in quanto oggetti connessi (“internet delle cose”). Leit motiv del libro sono Gingilli e Spime, ispirato al pensiero di Bruce Sterling, che identifica con i due termini il passaggio da relazioni semplici alle moderne strutture a network. Mia è invece la postfazione.

Storyselling - Andrea FontanaNon male Storyselling di Andrea Fontana, un libro dedicato a come il “raccontar storie” aiuti a vendere. Storytelling è a mio avviso una delle parole chiave dei nostri tempi; da sempre aiuta la comunicazione, ma in epoca di guerra dell’attenzione, le storie avvicinano contenuti e persone in modo naturale, coinvolgente, stimolante. E se è vero che prima di vendere qualcosa a qualcuno, occorre stabilire una relazione e poi sviluppare un’esperienza, lo storytelling contribuisce a predisporre il terreno e, spesso, la chiave iniziale di contatto si trasforma nell’elemento che identifica definitivamente il prodotto.

Paolo Iabichino - InvertisingPaolo Iabichino con Invertising ci porta invece nel mondo della pubblicità. L’advertising che cerca (più o meno faticosamente e consapevolmente) di stringere patti con i destinatari dei messaggi, anziché continuare a considerarli solo bersagli come è avvenuto negli ultimi decenni. Nel libro c’è autocritica relativamente alla professione del pubblicitario ma ci sono stimoli a non finire per chi vuole adeguare il mestiere a quello che richiedono le persone (e non più o non solo gli advertiser).

Eretici digitali - Massimo Russo, Vittorio ZambardinoEretici digitali è un libro indispensabile per capire internet nel suo complesso, comprese le minacce continuamente reiterate da parte di vari poteri più o meno forti nel mettere bavagli, restrizioni o per asservimenti a business poco trasparenti. Non sono d’accordo su alcune posizioni degli autori i quali, ad esempio, sembrano sposare la proposta che fece nel 2009 Carlo De Benedetti di tassare le connessioni internet per pagare i produttori d contenuti. Per il resto, le 10 tesi eretiche espresse nel libro, regalano punti di osservazioni profondi che ci costringono a guardare internet in maniera disincantata, contraddizioni e compromessi compresi.


Le Cose Nuove - Odoardo Ambroso, Paolo RomitiLe cose nuove è bello già nel titolo. Scritto da Odoardo Ambroso e Paolo Romiti, i fondatori di Ammiro Partner (azienda nella quale lavoro dall’anno scorso), va ad analizzare i cambiamenti in atto nel marketing, con un occhio particolare a come oggetti e prodotti assumeranno una nuova condizione in quanto oggetti connessi (“internet delle cose”). Leit motiv del libro sono Gingilli e Spime, ispirato al pensiero di Bruce Sterling, che identifica con i due termini il passaggio da relazioni semplici alle moderne strutture a network. Mia è invece la postfazione.

Storyselling - Andrea FontanaNon male Storyselling di Andrea Fontana, un libro dedicato a come il “raccontar storie” aiuti a vendere. Storytelling è a mio avviso una delle parole chiave dei nostri tempi; da sempre aiuta la comunicazione, ma in epoca di guerra dell’attenzione, le storie avvicinano contenuti e persone in modo naturale, coinvolgente, stimolante. E se è vero che prima di vendere qualcosa a qualcuno, occorre stabilire una relazione e poi sviluppare un’esperienza, lo storytelling contribuisce a predisporre il terreno e, spesso, la chiave iniziale di contatto si trasforma nell’elemento che identifica definitivamente il prodotto.

Paolo Iabichino - InvertisingPaolo Iabichino con Invertising ci porta invece nel mondo della pubblicità. L’advertising che cerca (più o meno faticosamente e consapevolmente) di stringere patti con i destinatari dei messaggi, anziché continuare a considerarli solo bersagli come è avvenuto negli ultimi decenni. Nel libro c’è autocritica relativamente alla professione del pubblicitario ma ci sono stimoli a non finire per chi vuole adeguare il mestiere a quello che richiedono le persone (e non più o non solo gli advertiser).

Eretici digitali - Massimo Russo, Vittorio ZambardinoEretici digitali è un libro indispensabile per capire internet nel suo complesso, comprese le minacce continuamente reiterate da parte di vari poteri più o meno forti nel mettere bavagli, restrizioni o per asservimenti a business poco trasparenti. Non sono d’accordo su alcune posizioni degli autori i quali, ad esempio, sembrano sposare la proposta che fece nel 2009 Carlo De Benedetti di tassare le connessioni internet per pagare i produttori d contenuti. Per il resto, le 10 tesi eretiche espresse nel libro, regalano punti di osservazioni profondi che ci costringono a guardare internet in maniera disincantata, contraddizioni e compromessi compresi.


Un anno che sta per finire un po’ così, con qualche cosa andata di traverso proprio sul finire. Meno male che ci sono un bel po’ di iniziative e progetti pronti per partire per un 2011 “come si deve”.

Quella che si dimostrata una certezza quest’anno è stata MIA, la newsletter del gruppo Ammiro (PDF 1,9 Mb) di cui è appena uscito l’ultimo numero dedicato al marketing della cultura (e un po’ anche alla cultura del marketing).

Tra i vari interventi, doveroso sottolineare quelli di Henry Jenkins e Jaron Lanier. Il grande Daniele Bologna, che di MIA ne è il curatore e coordinatore, mi ha fatto un bel regalo di Natale incastrando il mio articolo con Bruce Springsteen sullo sfondo: scusate ma proprio non resisto a postarla qua sotto (peraltro io a Babbo Natale ho chiesto il nuovo cofanetto del Boss…).

MIA Marketing Digital Advice by Ammiro


Giovedì a Roma e lunedì prossimo a Milano viene presentato il libro “Le Cose Nuove” edito da Lupetti. Se passate da quelle parti ci vediamo là.

Le Cose Nuove


Prendo in prestito un paio delle considerazioni fatte ieri da Irene Rosenfeld, CEO di Kraft Foods durante il Nielsen’s Consumer 360 (altri dettagli qui):

  • Yesterday – Brands were teachers: Brands had a one directional lesson to teach consumers.
    Today – Brands are students: We need to sit back listen and learn; ask consumers to help create the stories.
  • Yesterday – It’s all about me: Brands were marketed toward individuality.
    Today – It’s all about us: It isn’t about “I”; it’s about “we.” Successful brand’s help build relationships with friends and families.
  • Yesterday – They need us: Brands told consumers why they needed the brand.
    Today – We need them: Brands need consumers more than consumers need brands.
  • In coda alla giornata di ieri qui al Digital Marketing Days c’è stato il panel  Battle Direct, impostato a mo’ di processo con difesa, accusa e testimoni, dibattendo sul tema direct o digital marketing. Da una parte (sintetizzo) chi vede un’evoluzione del direct mantenendone l’impostazione attuale, chi ne vede necessaria una rifondazione. Una delle domande su cui si è incentrato il dibattito (considerando che tra i relatori c’era anche un manager della Pepsi) è stata: “ora che hai un milione di fan su Facebook, cosa ci fai?”

    Secondo me la domanda è sbagliata perché parte da un assunto superato, ossia che da una parte ci sono le aziende che scatenano le loro attività (direct o digital che siano), dall’altra ci sono i consumatori che reagiscono e che poi si misurano come fossero scimmiette in laboratorio. La vera domanda è “Cosa fanno di te il milione di fan su Facebook?” e ancora meglio, “cosa sei in grado di fare te per il milione di fan su Facebook?”. Si perché quando parliamo di social media, parliamo di canali che sono di proprietà delle persone e non di “media” gestiti da aziende (sia come publisher che come marketers).

    Alla fine, il giochino del “processo” come quello del panel di ieri, mi pare mancasse del protagonista principale: le persone.