Archivio: “Comunicazione”

L’abbiamo capito: siamo dentro la recessione. Probabilmente sarà molto complicata e durerà almeno per tutto questo 2009. Alla parola “recessione” ne associo altre quattro, che condividono l’iniziale “R” e che sono pensate per reagire (altra parola con “R”) alla crisi, per delineare la strategia più adatta e, perché no, per cogliere l’occasione di rinnovarsi davvero. Penso quindi a Riflessione, Reset, Rilancio, Risultati, da considerare più o meno con questa cronologia.

  • Riflessione. Vanno ripensate le strategie di comunicazione. Non è più sufficiente proseguire le comode logiche di adattamento, perché sono ormai troppe le fratture con il passato (anche quello più recente) per continuare ad evolversi sulle basi del vissuto.
  • Reset. Come per gli apparecchi elettronici che se vanno in tilt possono tornare a funzionare spegnendoli e accendendoli di nuovo, occorre rinnovare il modo di utilizzare gli strumenti di comunicazione, rompendo con coraggio e realismo alcuni status quo e l’inerzia decisionale.
  • Rilancio. È il momento di promuovere nuovi valori, concreti, che parlano la lingua delle persone e non quella della persuasione. Vanno esaltate le professionalità individuali delle aziende, la loro capacità di rappresentare i brand e di esternare le passioni che li motivano, così da aprire realmente la conversazione con i mercati. E anche se è naturale durante crisi come questa di essere tentati da atteggiamenti difensivi e conservativi, è indispensabile enfatizzare gli asset reali e promuoverli adeguatamente.
  • Risultati. Mi auguro che la contingenza economica farà emergere il fatto che la comunicazione digitale è quella che offre i parametri di misurabilità più flessibili e precisi. Ed è anche quella che consente di pianificare consapevolmente gli investimenti monitorandone in tempo reale gli effetti. Comprese le attività più orientate al branding e allo sviluppo della relazione.

Quindi internet. Che per taluni sembra ancora così complicata e tecnologica. Il punto è che internet è complessa per chi cerca un altro “semplice” media, per chi si aspetta di pianificare con i GRP; per chi ama pontificare ma non ascolta i mercati. Per molti altri, invece, è piena di opportunità e di produttività. E a voi da che parte vi interessa stare?

Articolo pubblicato sul numero 3/2009 di Pubblicità Italia.


Basta, non riesco più a sentir ripetere di “cose lette su Facebook”, oppure di “quello che ho visto sui blog”, come se si trattasse di ambienti unici, uniformi, standardizzati. È forse questo il principale equivoco che genera la disinformazione a proposito di internet e dei social network.

Non c’è “un Facebook”, così come non ci sono “i blog”. Ci sono tanti singoli individui che, grazie a Dio, sono diversi e che scrivono, fotografano, filmano, cose diversissime. Con obiettivi, stili e risultati altrettanto differenti. Che poi stringono le loro relazioni digitali secondo molteplici strumenti e consuetudini.

In questo momento sono circa sei milioni gli italiani iscritti a Facebook, con il quale gestiscono la loro piccola casa virtuale, invitano gli amici che vogliono, scrivono e fotografano ciò che gli pare.

Riferirsi a Facebook stigmatizzandone i suoi contenuti è come affermare di poter capire un’intera città passeggiando in una decina di strade. O come disquisire dei contenuti della stampa periodica in generale sfogliando qualche rivista in un’edicola, magari fermandosi nel settore dei fumetti.

Il punto è sempre lo stesso. Si continua a identificare internet alla stregua dei media tradizionali, i quali sono sempre prodotti da un numero finito e ben indentificato (anche professionalmente) di persone. La Rete è invece uno spazio in cui gli ambienti digitali come Facebook sono solo strumenti e non media: loro ospitano e aggregano tanti singoli individui, per cui non possono che rappresentare migliaia di facce ed espressioni differenti e non un’identità unitaria come semplicisticamente in molti tendono a pensare e, quindi, a giudicare.


Articolo di Mauro Lupi per il pamphlet IAB 2008Un altro articolo da segnalare: nel consueto pamphlet annuale di IAB Italia sulla pubblicità interattiva (qui il PDF integrale), ho scritto un articolo dal titolo “La Rete è lo strumento migliore per gestire il cambiamento nel rapporto azienda-consumatore”.

Si tratta di un pezzo volutamente “basic” ma che evidenza alcuni dei cambiamenti sostanziali nel modo di interpretare e capitalizzare la comunicazione online. Buona lettura :)

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Lo scorso weekend dicevo a David Weinberger che rimango stupito davanti ad alcuni degli statement del Cluetrain Manifesto (un testo di cui è coautore) pensando che sono stati scritti nel 1999. Lui si è schernito dicendo che probabilmente alcuni punti potrebbero risultare ingenui o esagerati rileggendoli adesso. Eppure ci sono delle affermazioni illuminanti, un paio delle quali le andrò a riprendere velocemente nel workshop per IAB Forum a proposito dei contenuti generati dalle aziende. Ecco un’anteprima di una chart:

Dal Cluetrain Manifesto

Dopo aver raccolto qualche indiscrezione sul Cluetrain Manifesto (che ho promesso di non riportare) la chiacchierata con David si è spostata sulle persone, protagoniste assolute del nostro tempo, pronte ad impossessarsi degli strumenti tecnologi, dei brand, della pubblicità, per farne ciò che gli pare. Mi diceva come negli Stati Uniti un’applicazione che facilita la scrittura degli SMS, converte la parola “cool” con un’altra (mi pare “boat”, ma non la ricordo adesso con sicurezza): ebbene, ormai la parola suggerita è diventata sinonimo di “cool” e viene usata regolarmente al suo posto.

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Lo scorso weekend dicevo a David Weinberger che rimango stupito davanti ad alcuni degli statement del Cluetrain Manifesto (un testo di cui è coautore) pensando che sono stati scritti nel 1999. Lui si è schernito dicendo che probabilmente alcuni punti potrebbero risultare ingenui o esagerati rileggendoli adesso. Eppure ci sono delle affermazioni illuminanti, un paio delle quali le andrò a riprendere velocemente nel workshop per IAB Forum a proposito dei contenuti generati dalle aziende. Ecco un’anteprima di una chart:

Dal Cluetrain Manifesto

Dopo aver raccolto qualche indiscrezione sul Cluetrain Manifesto (che ho promesso di non riportare) la chiacchierata con David si è spostata sulle persone, protagoniste assolute del nostro tempo, pronte ad impossessarsi degli strumenti tecnologi, dei brand, della pubblicità, per farne ciò che gli pare. Mi diceva come negli Stati Uniti un’applicazione che facilita la scrittura degli SMS, converte la parola “cool” con un’altra (mi pare “boat”, ma non la ricordo adesso con sicurezza): ebbene, ormai la parola suggerita è diventata sinonimo di “cool” e viene usata regolarmente al suo posto.

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Riprendo la frase conclusiva di Giuseppe Granieri in un suo post a proposito dell’impatto dei media sulla percezione dell’attuale crisi economica:

“I media andrebbero "serviti" con un’educazione alla comprensione dei media, che dovrebbe essere materia di insegnamento nelle scuole”

Se è vero che la fruizione dei media in generale andrebbe insegnata, penso sia sempre più necessario aiutare le persone non solo ad interpretare i contenuti ma a saperli cercare, filtrare, elaborare e condividere. E questo vale soprattutto a proposito dei contenuti digitali.

Ribadisco un concetto a proposito dell’ormai classico disagio delle persone verso la quantità eccessiva di informazioni che ci si trova da gestire: io spero che le informazioni disponibili aumentino ancora! Il vero obiettivo è quello di riuscire a filtrare e organizzare queste informazioni e qui penso che abbiamo tutti ancora tanto da capire e imparare

Di fatto ci viene richiesta una maggiore proattività nei confronti dei media, ma anche delle competenze tecnologiche (i giusti tool, ad esempio, per filtrare le informazioni) e operative (saper gestire il proprio tempo, organizzare i documenti, ecc.). Hey, chi se la sente di impostare un percorso accademico all’uopo?

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Deborah Meyer, ChryslerÈ tempo che l’awareness ceda lo scettro all’opinione. Il marketing, per noi, è finalmente entrato nell’era della


A tutte le persone che in azienda si occupano di capire come sta cambiando il rapporto tra aziende e individui (interni ed esterni), suggerisco di:

  1. recarsi sul blog di Luca De Biase;
  2. leggere il suo post Carrefour e le persone;
  3. ripartire dal punto 2. fino a che non si definisce una strategia operativa per poter affrontare e gestire questa nuova relazione.

Il caso Carrefour dimostra alcune cose:

  • Le opinioni delle persone si alimentano indipendentemente da quello che piace alle aziende e, talvolta, coinvolgono i brand molto più di quanto sia dovuto (su questo caso specifico sono d’accordo con Enrico).
  • Occorre ricordare quanto tali opinioni si sviluppino velocemente per mezzo della Rete e quanto siano influenti.
  • I dipendenti o collaboratori di un’azienda sono l’azienda stessa; si dà (giustamente) per scontato che rappresentino i valori del gruppo per cui lavorano.

Se qualcuno decidesse di fare la task list a cui accennavo prima, propongo un paio di punti:

  • Aprire un canale di comunicazione vero. Adesso. Che sia un blog, una community online, un forum (in casa Carrefour, ad esempio, mi è sembrato utile e tempestivo un intervento sul forum), ecc. Ma fa fatto adesso. Pensate se Carrefur (così come le altre aziende interessate) avessero avuto un adeguato canale già aperto: senz’altro avrebbero potuto affontare la situazione molto meglio (pur rimanendo, ovviamente, di fronte ad un fatto grave e negativo)
  • Se è vero, come detto prima, che i dipendenti sono l’azienda, occorre farglielo sapere! Occorre farglielo sentire.

Fin qui le chiacchiere da uno che si occupa di comunicazione. Come individuo posso solo esprimere tutta la mia solidarietà a Barbara. In una sola frase che gli è stata detta c’è tanta di quella superficialità e, direi, cattiveria, che continua ad insinuarsi nella società d’oggi.

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Non penso che siano poi molte le conferenze stampe dove si spenga la luce per fare l’intervento principale accompagnato da un video in sottofondo. Questo ha fatto Marco Montemagno ieri durante la conferenza stampa di presentazione del progetto Codice Internet, ideato e sviluppato insieme a Marco Masieri.

Ho già segnalato la mia totale condivisione del progetto e proverò a collaborare anch’io in qualche modo. Dicevo ad una giornalista ieri a proposito di Codice Internet che si tratta di costruire un ponte tra i “non connessi” e tutti noi “della Rete”. È un ponte che serve alla società italiana e alla sua economia.

Come ogni ponte che si vuole costruire servono molte cose: un progetto (l’attuale Srl si trasformerà in fondazione), le autorizzazioni (pare che le istituzioni stiano già rispondendo attivamente), il denaro (ieri Masieri ha accennato a circa 5 milioni solo per le iniziative di quest’anno), un team che lavora (e qui penso alla comunità della Rete che già si è mossa).

A volte anche i ponti si trascinano polemiche e più o meno giustificate (guarda Messina o al più recente caso Calatrava a Venezia). E temo che anche Codice Internet potrà andare incontro alla – purtroppo – classica abitudine italiana di guardare scetticamente le iniziative con finalità “di sistema” solo perché tipicamente si è abituati a pensare solo ai propri interessi o a guardare non oltre il proprio naso.

Io penso che se il progetto riuscirà a mantenere integra la sua impostazione di fondo, potrà acquisire quell’autorità e quella reputazione che gli consentiranno di svilupparsi a dovere. Servirà sdoganare la Rete in ambienti che faranno impazzire i puristi, occorrerà andare da Costanzo o ascoltare qualche starlet che racconterà le sue chat. Non è proprio bellissimi dirlo, ma è questo che serve: un grande can can che amplifichi il messaggio in ogni dove. Go on!

UPDATE: Caterina di Blogosfere ha pubblicato alcune interviste (ta cui quella a cui facevo riferimento) raccolte ieri

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Questa terza parte è dedicata ad alcuni commenti al libro di Giampaolo Fabris e raccoglie delle note su un intervento di Andrea Illy. Qui la prima e la seconda parte.

Societing è un testo godibilissimo, scritto con la consueta ricchezza semantica a cui Fabris ci ha abituato, senza mai scadere nel dotto fine a se stesso.

I contenuti vanno a coprire a tutto tondo l’argomento del cambiamento del marketing, secondo un inquadramento che, una volta tanto, non è America-centrico ma, anzi, trova sue concrete applicazioni in Italia (anche nei casi e nelle tabelle a corredo del testo).

Sul fronte dell’analisi della comunicazione digitale e della Rete, trovo Societing un’opera incompiuta. Praticamente si ferma sul più bello, ossia nel punto in cui, dopo aver ben fotografato la spallata che le nuove tecnologie stanno dando al modo di fare business – in particolare alla comunicazione d’impresa -, non spinge l’accelleratore nel suggerire un ruolo più rilevante per la Rete nel marketing così ripensato. Atteggiamento comunque comprensibile considerando la prudenza che ha sempre contraddistinto Fabris a proposito di internet, ma ancor più per la limitata reappresentanza nel nostro Paese di quella che Fabris definisce l’enclave del postmoderno e che circoscrive in non più di un terzo della popolazione (ci sarebbe però da riflettere su quanto pesa economicamente questa quota e che trend di crescita sta esprimendo).

Di rilevante è che Societing continua ed estende la sua vita in Rete, in particolare su un apposito blog.

Chiudo con alcuni appunti relativi all’intervento di Andrea Illy, Presidente di Illycaffè, durante la presentazione del libro di Fabris da Ruling Companies l’11 giugno scorso:

  • Oggi gli individui hanno potere di scelta, accesso, connessione. Chiedono relazione alle aziende, ma sono queste a non volerla.
  • Sul tema delle knowledge company: “Chi più insegna più vince”
  • Le nuove forme sociali sono basate su nuove relazioni , più calde, basate sulle passioni. Vanno perdendo slancio molte di quelle tradizionali, ad esempio i sindacati (e qui penso anche a quella che De Rita ha chiamato l’incapacità a connettersi).
  • L’azienda va intesa come un movimento, basata su valori etici, sulle emozioni, sull’unicità, sulle passioni, sull’amore.

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(Societing – prima parte)

Importante la sottolineatura sulla crescente richiesta di autenticià:

Siamo in presenza di un passaggio epocale: da una società di status symbol a scelte di prodotto che siano veritieri segnali sulla propria identità. Ma anche transazione dalla società della massificazione, dell’omologazione, dell’accettazione degli standard medi – la testa, nella metafora di Anderson nella Lunga Cosa – a una dove si può, forse si deve, essere sé stessi.

Naturalmente viene affrontato e contestualizzato il marketing dell’esperienza, conseguente alle stagioni dei bisogni e dei desideri:

Il passaggio ulteriore (…) è verso il nuovo protagonismo dell’esperienza nell’agire di consumo. (…) La nuova cultura del consumatore si nutre di tutto questo non domandandosi più “Cosa posso acquistare che ancora non posseggo?” quanto piuttosto “Cosa posso provare che ancora non ho sperimentato?”.

Dopo la citazione del detto greco “Si impara con l’esperienza” - con cui si sottolinea che ad imparare deve essere sia il consumatore sia l’impresa stessa, Fabris si sofferma su quattro aree cruciali nella creazione di esperienze:

  • La pubblicità, estesa all’area della comunicazione in generale includendo, ad esempio, le tante fonti di eventi che l’impresa e la marca promuovono.
  • Un’intelligente presa in carico della situazione di consumo, auspicando un ruolo attivo dell’utente, un suo coivolgimento.
  • Il punto vendita, simbolo nel rappresentare l’intera situazione di consumo.
  • Gli edifici, siano essi la sede dell’azienda ma anche quelli che Fabris chiama i musei aziendali, declinati come vero e proprio palcoscenico narrativo.

Molto interessante l’approfondimento del marketing tribale e, più in generale, dell’evoluzione delle comunità per forma, dimensione e tipi di aggregazione:

(Le tribù postmoderne) sono aggregazioni sociali aperte che prevedono multiappartenenza, il più delle volte senza un insediamento territoriale, con un elevato tournover ma sovente cementate da sentimenti forti, dalla condivisione di brani importanti di esperienze, da un’elevata frequentazione. (…) Il consumo sostituisce il mondo della produzione anche come matrice di identità e come fattore di aggregazione sociale. Non è certo un caso, quindi, che nuove forme di socialità si formino sovente intorno a oggetti o pratiche di consumo.

E per ragionare sull’approccio del marketing verso queste tribù, Fabris cita Bernard Cova il quale suggerisce di “considerare ogni offerta destinata ai membri della tribù dal punto i vista del valore del legame.

Le nuove tecnologie, e la Rete in particolare, sono affrontate in profondità solo nel penultimo capitolo (Connected marketing), anche se le premesse sanciscono con decisione  l’entità dei cambiamenti portati da internet e dal digitale in genere:

Il digitale diviene il fattore abilitante per la gestione, comunicazione e trasmissione dei contenuti. (…) Le tecnologie elettroniche di massa – dal cellulare, al PC, all’iPod – creano nuovi modi di pensare, di agire, di inter-agire con gli altri.

Ultimo capitolo sull’etica nel marketing, o meglio, sul marketing etico, in cui l’invito è quello di considerare determinati comportamenti virtuosi non solo come accessori cosmetici o tattici rispetto all’attività aziendale, ma elementi fondanti dell’impresa tutta, ove l’attenzione alla responsabilità sociale sia un pilastro strategico. Finale senz’altro condivisibile anche se dichiaratamente utopistico in relazione alla speranza di una sua completa realizzazione.

(Societing – terza parte)

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Societing - Giampaolo Fabris Il marketing va rifondato: parola di Giampaolo Fabris, uno dei maggiori esperti di consumi in Italia da qualche decina di anni, che sviluppa il tema su “Societing”, un libro destinato a diventare un punto di riferimento cruciale nella comprensione dell’evoluzione del marketing.

Fabris è netto nel ritenere che il marketing attuale “batte in testa” (l’espressione motoristica è proprio la sua, manifestata in un recente convegno di Ruling Companies), e ciò diventa molto rilevante non solo per la capacità professionale con cui avvalora il suo auspicio di rinnovamento radicale, quanto per l’influenza che esercita sui marketer italiani da molti anni.

Il libro parte dalla disamina del consumatore postmoderno il quale decreta la crisi di fiducia del progresso costante della società, della crescita infinita. Consumatore che diventa oggi ConsumAutore (produce contenuti), ConsumAttore (è competente e selettivo), ConsumatoRE (è lui che guida il rapporto con le aziende). Il marketing tradizionale si trova difronte ad una crisi di identità e ad una perdita di legittimazione sociale, sempre più assimilato nell’immaginario collettivo a mero sinonimo di pubblicità. E ciò avviene perché le aziende per prime hanno continuato a considerare il marketing come un’area tattica e non strategica e a comunicare solo attraverso al pubblicità:

L’impresa può comunicare con una molteplicità di altri canali che divengono, appunto, medium. (…) L’impresa ha comunicato tramite una quantità di canali senza avere la consapevolezza di stare comunicando. Nella convinzione appunto che la sola forma di comunicazione autentica e legittimata fosse la pubblicità.

Studiare il consumatore odierno richiede nuovi schemi, ben rappresentati da Fabris con l’esempio del pescatore e del biologo, ove il pescatore sa tutto di ami, esche e pesci, ma ignora il mondo marino:

Per comprendere il consumatore postmoderno – nomade, eclettico, esigente, curioso, creativo, prosumer, consapevole del proprio potere – è necessario un approccio diverso, più simile al biologo marino. Che indaga su tutto il mondo ittico, studia specie edibili e no, le relazioni che mettono in atto, le correnti che lo traversano.

Non poteva mancare un riferimento sulla crescente inefficacia della comunicazione basata sul concetto di push e interruzione, così come l’auspicio di un approccio che racconti le marche (il grassetto è mio):

Il consumatore si è sbarazzato di antichi pregiudizi e di anatemi ideologici e considera la comunicazione d’impresa come una necessaria, e sovente affascinante, enciclopedia di pronto accesso e facile consultazione sul significato delle merci. Mostra una nuova disponibilità che non trova il mondo della pubblicità pronto, come dovrebbe, a recepirla.

(Societing – seconda parte)

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Osvaldo Adinolfi racconta una delle relazioni dell’ Edelman Summer School, in particolare quella di Rick Murray, presidente di Edelman Digital. Condivido i tre concetti espressi:

  • Continuità: la comunicazione digitale (e non solo quella, aggiungo io) va pensata per durare nel tempo e non strutturata come un flight pubblicitario)
  • Centralità dei contenuti prima che della creatività
  • Diffusione di una “cultura digitale” in luogo del “reparto digitale”

Che poi a dirlo è facile mentre applicarlo sulle realtà aziendali, specie quelle più grandi e complesse, è un’altra storia. E qui sta la vera sfida: non solo comprendere il cambiamento (che sarà sempre di più un’attività on-going), ma saperlo applicare.

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Osvaldo Adinolfi racconta una delle relazioni dell’ Edelman Summer School, in particolare quella di Rick Murray, presidente di Edelman Digital. Condivido i tre concetti espressi:

  • Continuità: la comunicazione digitale (e non solo quella, aggiungo io) va pensata per durare nel tempo e non strutturata come un flight pubblicitario)
  • Centralità dei contenuti prima che della creatività
  • Diffusione di una “cultura digitale” in luogo del “reparto digitale”

Che poi a dirlo è facile mentre applicarlo sulle realtà aziendali, specie quelle più grandi e complesse, è un’altra storia. E qui sta la vera sfida: non solo comprendere il cambiamento (che sarà sempre di più un’attività on-going), ma saperlo applicare.

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Preparatevi: sta per arrivare il sequel di Bring the Love Back, l’arcinoto video del conftronto tra un pubblicitario ed una consumatrice. Si chiamerà “Inspiration Anyone” e, pare, entreranno in scena un CEO ed un creative director.

Intanto qualche link per prepararsi e ripassare:

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Bell’articolo di Noha Elkin sulla newsletter di SearchEngineWatch: The Shifting Power of Words, la crescita dell’importanza delle parole.

La riflessione è che saper analizzare come vengono fatte le richerche online, fornisce indicazioni importanti su come comunicare con le persone. Si rinnova quindi l’auspicio all’ascolto da parte delle aziende e questa volta non solo per capire bisogni ed esigenze dei propri stakeholder, ma anche per cogliere come le persone “chiamano le cose”.

Ormai lo ripeto da un bel po’ di anni (anche perché in Ad Maiora ci occupiamo anche di questo, eh eh): i motori di ricerca sono il più grande focus group che sia mai esistito e riuscire ad analizzarne il significato è una grande opportunità per le aziende e le istituzioni.


Trovo una certa correlazione con l’idea dei mille fan per vivere felici che ha ripreso Marco da un post originario di Kevin Kelly, con il concetto del “personal CPM” che arriva invece da Forrester Research.

image Mi intriga parecchio il ragionamento su come e quanto le persone (intese come singoli individui) andranno ad occupare degli spazi (in termini di attenzione e quindi tempo, e quindi anche di denaro) che attualmente sono appaggaggio dei produttori tradizionali dicontenuti.

Charlene Li di Forrester nelle sua presentazione The Future Of Social Networks (via ReadWriteWeb) pensa che ogni persona avrà un proprio CPM personale (per i meno dentro queste cose, per CPM si intende il costo per mille visualizzazioni pubblicitarie sul sito).

Interessante.

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Trovo una certa correlazione con l’idea dei mille fan per vivere felici che ha ripreso Marco da un post originario di Kevin Kelly, con il concetto del “personal CPM” che arriva invece da Forrester Research.

image Mi intriga parecchio il ragionamento su come e quanto le persone (intese come singoli individui) andranno ad occupare degli spazi (in termini di attenzione e quindi tempo, e quindi anche di denaro) che attualmente sono appaggaggio dei produttori tradizionali dicontenuti.

Charlene Li di Forrester nelle sua presentazione The Future Of Social Networks (via ReadWriteWeb) pensa che ogni persona avrà un proprio CPM personale (per i meno dentro queste cose, per CPM si intende il costo per mille visualizzazioni pubblicitarie sul sito).

Interessante.

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Ci sono un paio di importanti motivi alla base della riunione di questi giorni di IAB Europe: la prima è un’evoluzione della struttura organizzativa e della mission di IAB Europe, l’altra riguarda l’inizio dei lavori per mettere su Interact 2008, ossia IL convegno europero sull’e-makgeting che quest’anno si terrà proprio a Berlino (save the date: 2/3 Giugno).

Stimolante come sempre il confronto con gli altri colleghi IAB delle numerose nazioni presenti a cui si sono aggiunti alcuni manager europei di aziende del settore tra le quali Yahoo!, AdLink, Ebay, DoubleClick, e Microsoft.

Mi porto a casa un paio di pensieri in particolare:

  • Tra i nomi che si pensa di invitare a Interact, c’è un ministro tedesco, nella fattispecie il Federal Minister of Economy & Technology. Ho fatto un sogno: nel governo italiano che spunterà dopo prossime le elezioni, qualche incosciente e rivoluzionario cambia nome e missione del Ministero delle Attività Produttive che diventa Ministero dell’Economia e delle Tecnologie… 
  • Sempre a proposito di Interact, ci si è preoccupati di identificare sia il target dell’evento che i suoi contenuti, ritrovandosi sul voler rappresentare l’e-marketing e i media digitali. La riflessione che mi è scattata è che i media digitali non sono più solo il web o la Rete (TV e radio sono di fatto digitali da tempo), così come dietro il marketing elettronico c’è l’intero mondo della comunicazione in fase di sconquasso. Ho concluso che non vedo quale possa essere di questi tempi un settore miglore di internet in cui valga la pena di lavorare.

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Normalmente non partecipo ai meme, ossia alle catene che rimbalzano tra i blogger, però Max mi ha infilato in un giro semplice e veloce, che invita a rispondere in 140 caratteri alla domanda:

What is marketing doing (in 2008)?

Vado con la risposta, non sicurissimo che la forma inglese sia quella giusta:

Trying to understand how to adapt itself to the new communication world

Quindi passo la palla a Andrea Barcode (voglio vedere come ti metti con 140 caratteri, eh eh) e ad Andrea Andreutti.


Con un nostro cliente per il quale facciamo l’analisi delle discussioni sui blog che li riguardano, discutevamo oggi a proposito delle reazioni a proposito del lancio di un loro nuovo prodotto.

Commentavamo in particolare l’influenza negativa che ha avuto il passaggio del comunicato stampa che presentava il prodotto, in cui si citava l’ammontare del (sostanzioso) budget pubblicitario destinato al lancio. Ebbene, diversi blog hanno ripreso questa indicazione per sparare a zero sul prezzo, secondo loro troppo alto proprio a causa della corposa spesa promozionale, oppure dichiarandosi delusi dal prodotto dal quale si aspettavano molto di più proprio perché supportato da milioni di Euro di campagna.

Insomma, se forse un tempo sbandierare un budget pubblicitario di un prodotto poteva significare “crederci” e comunque riguardava un’informazione indirizzata e circoscritta agli addeti ai lavori, oggi non è più così. Un’altro dei (tanti) modi di fare comunicazione che occorre aggiornare o quantomeno da argomentare in modo differente.


Avevo iniziato a fare un po’ di live blogging da IAB Forum ma è durato lo spazio di tre brevi post, poi il diluvio. Tante persone, tante idee e progetti, tanta euforia e passione. Ancora pochi soldi e convinzione, ma dovrebbe essere questione di tempo: prendere sul serio la Rete non è più una scelta, è una necessità.

image Un commento su sull’evento IAB Forum 2007 lo rimando quando avrò i dati di affluenza e dopo aver raccolto altri feedback. Mi piace comunque constatare che si è sviluppata un po’ di discussione online, che spero continui. Appena possibile si renderanno pure disponibili tutti i video e le presentazioni, ma già c’è parecchia roba in giro.

Nel frattempo, solo due note che ho trovato evidenti  durante le due intensissime giornate:

  • Se è vero che la comunicazione sta cambiando e tutto il bla bla che sappiamo su social network, blog e le altre cose, credo che gli operatori del settore siano oramai in grado di rispondere professionalmente in modo adeguato. Se fino a qualche tempo fa, lamentavo un certo distacco tra domanda e offerta, oggi mi pare di vederlo attenuato. Sarà che buona parte degli operatori può vantare almeno una decade di esperienza.
  • È sempre più difficile isolare la pubblicità online dai relativi progetti di comunicazione di cui fanno parte. Ossia: un qualsiasi flight sulla Rete non è più un prodotto a sé stante (come a volte è stato presentato in passato), ma si trascina dietro implicazioni più ampie. Quindi meno discussioni su formati e technicality varie, ma strategia al primo posto. Ciò complica i discorsi, ma permette di “alzare il livello”, come dicono le società di consulenza. Insomma, più comunicaizone e meno pubblicità.

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Everything is miscellaneous - David Weinberger Un libro da gustare poco alla volta, che parte lento e poi ti spara senza indugi gli elementi che stanno cambiando il mondo, almeno tutto quello legato all’informazione e alla comunicazione. La prima parte mi ha lasciato perplesso: per spiegare l’evoluzione di come ordiniamo le cose, Weinberger parte raccontando come rimette a posto le stoviglie dopo cena. Insomma, ci sono alcuni discorsi che girano un po’ su sé stessi. Poi diventa tutto chiaro: l’obiettivo sembra essere quello di rappresentare l’impatto sulla società da parte della Rete partecipata, spiegandolo attraverso le cose che ci girano attorno.

Riporto alcuni dei pensieri di Everything is miscellaneous che ho trovato più intriganti e ben esposti, tradotti liberamente dal sottoscritto non in modo letterale.

Le limitazioni fisiche sul come venivano organizzate le informazioni, non solo hanno limitato il nostro modo di vedere, ma hanno dato maggior potere a chi controlla l’organizzazione delle informazioni rispetto a chi invece le crea. Ora torniamo a rovesciare l’ordine.

L’abbondanza delle informazioni è un valore. I vecchi paradigmi che imponevano dei filtri, ad esempio, per risparmiare sui costi di stampa, oggi sono superati. Non ha più senso limitare la diffusione delle informazioni. “Filter on the way out, not on the way in”.

Everything is metadata and everything can be a label

Ci sono evidenti cambiamenti nelle conoscenze sociali: con tutti che guardavano gli stessi giornali e gli stessi notiziari, esisteva un’esperienza comune sulla quale potevamo contare. Oggi, apparteniamo a quei frammenti di cultura che Nicholas Negroponte ha definito The Daily Me.

La fiducia che riponiamo in fonti come l’Enciclopedia Britannica ci trasformano in lettori passivi. Viceversa, siti come Wikipedia prevedono che il lettore sia coinvolto attivamente offrendogli molteplici possibilità di intervento.

La logica che ordina i prodotti negli scaffali basata su regole predefinite è superata. Lasciamo che siano le persone a taggare le cose. Non ha più senso assegnare un solo posto alle cose, perche queste appartengono spesso a più di un posto.

Nell’ordine miscellaneo, un topic è qualsiasi cosa interessi chiunque. I topic perdono i confini che permettono di capire quando sono stati impostati e perdono anche un po’ della dignità che gli abbiamo sempre attribuito. Non c’è più un topic giusto e uno sbagliato, ma ci sono delle rappresentazioni dipunti di vista differenti. Topic quindi come espressione delle passioni, non più solo delle conoscenze.

Nel ricordare che Weinberger sarà tra i relatori del prossimo IAB Forum (gli ho chiesto di parlare di marketing, tagging, distribuzione dei contenuti digitali), segnalo anche la bella recensione di Chiara di TSW e, naturalmente, il sito del libro. Proprio giovedì scorso, Weinberger ha firmato l’articolo di copertina di Nòva.

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Se rimando ancora di recensire due bei libri letti negli ultimi mesi, rischio di scordarmene definitivamente. Per fortuna che ho mantenuto delle orecchie, ossia con le pieghe fatte alle pagine del libro, in modo che posso riprendere alcune note estratte dal testo.

  • Marketing ReloadedMarketing Reloaded di Boaretto, Noci e Pini. “Il marketing classico non appare più in grado di affrontare le sfide di mercato” principalmente per un’eccessiva enfasi sul prodotto. Nel modello di marketing reloaded, il marketing è parte integrante della strategia complessiva d’impresa e presuppone che il consumatore assuma un ruolo attivo. La marca viene identificata con l’esperienza che il cliente avrà con i molteplici punti di contatto (brand touchpoints), esperienza che assume significati diversi: conoscenza diretta, conoscenza derivata dai sensi, esercizio reiterato, nuove sensazioni e modificazioni interiori. Mentre nell’era industriale il cliente è visto come un obiettivo delle tattiche di informazione delle aziende, c’è invece un ritorno alla co-creazione di valore col cliente, così come avveniva nella società preindustriale in cui il prodotto finale era realizzato su commessa del cliente ad artigiani e bottegai. Cade la visione dei diversi canali di comunicazione come elemento di segmentazione: l’azienda deve invece mettere al centro i bisogni del cliente e raggiungerlo con i canali più adatti per lui.
  • Life after the 30-second spot, Joseph Jaffe Life after the 30-second spot di Joseph Jaffe. L’autore è stato tra gli speaker al Media Agency Days di Microsoft con un intervento che ha ripreso i temi del suo stimolante libro. C’è molta Madison Avenue nel testo, ossia è fortemente orientato al business pubblicitario negli Stati Uniti. Però ci sono spunti interessanti, a partire dalla notazione del ROE (Return on Experiment) che, secondo Jaffe, dovrebbe essere il parametro col quale affrontare i moderni progetti di comunicazione (Andrea, questa è la fonte da cui l’ho preso). Molto diretta l’affermazione che la frequenza pubblicitaria (cioè la ripetizione di un messaggio pubblicitario, detta anche pressione pubblicitaria) è semplicememente un segno di inefficienza, dato che teoricamente un messaggio e un prodotto ben fatti, dovrebbero diffondersi da soli dopo un solo passaggio. Jaffe manda al rogo tutte le note “P” del marketing e le rimpiazza con sette “C”: Content, Commerce, Community, Context, Customization, Conversation, Consumer.

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Se rimando ancora di recensire due bei libri letti negli ultimi mesi, rischio di scordarmene definitivamente. Per fortuna che ho mantenuto delle orecchie, ossia con le pieghe fatte alle pagine del libro, in modo che posso riprendere alcune note estratte dal testo.

  • Marketing ReloadedMarketing Reloaded di Boaretto, Noci e Pini. “Il marketing classico non appare più in grado di affrontare le sfide di mercato” principalmente per un’eccessiva enfasi sul prodotto. Nel modello di marketing reloaded, il marketing è parte integrante della strategia complessiva d’impresa e presuppone che il consumatore assuma un ruolo attivo. La marca viene identificata con l’esperienza che il cliente avrà con i molteplici punti di contatto (brand touchpoints), esperienza che assume significati diversi: conoscenza diretta, conoscenza derivata dai sensi, esercizio reiterato, nuove sensazioni e modificazioni interiori. Mentre nell’era industriale il cliente è visto come un obiettivo delle tattiche di informazione delle aziende, c’è invece un ritorno alla co-creazione di valore col cliente, così come avveniva nella società preindustriale in cui il prodotto finale era realizzato su commessa del cliente ad artigiani e bottegai. Cade la visione dei diversi canali di comunicazione come elemento di segmentazione: l’azienda deve invece mettere al centro i bisogni del cliente e raggiungerlo con i canali più adatti per lui.
  • Life after the 30-second spot, Joseph Jaffe Life after the 30-second spot di Joseph Jaffe. L’autore è stato tra gli speaker al Media Agency Days di Microsoft con un intervento che ha ripreso i temi del suo stimolante libro. C’è molta Madison Avenue nel testo, ossia è fortemente orientato al business pubblicitario negli Stati Uniti. Però ci sono spunti interessanti, a partire dalla notazione del ROE (Return on Experiment) che, secondo Jaffe, dovrebbe essere il parametro col quale affrontare i moderni progetti di comunicazione (Andrea, questa è la fonte da cui l’ho preso). Molto diretta l’affermazione che la frequenza pubblicitaria (cioè la ripetizione di un messaggio pubblicitario, detta anche pressione pubblicitaria) è semplicememente un segno di inefficienza, dato che teoricamente un messaggio e un prodotto ben fatti, dovrebbero diffondersi da soli dopo un solo passaggio. Jaffe manda al rogo tutte le note “P” del marketing e le rimpiazza con sette “C”: Content, Commerce, Community, Context, Customization, Conversation, Consumer.

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