Archivio: marzo, 2014
Piacevole intervista concessa da Seth Godin a Inc. Non mi entusiasma il punto di partenza giornalistico che parte dagli errori anziché dalle best practices, ma Godin ci mette del suo.
Un piccolo estratto:
What would you say is the greatest mistake that marketers are making today?
Godin: The big mistake is thinking that their job is to spend money to get attention. If they think that that is what their job is, they will never ever succeed in marketing.
How can companies get marketing right?
Godin: Start by understanding that no one cares about them. People care about themselves. Anyone who tweets about a brand or favorites a brand is doing it because it is a symbol of who they are–it is a token, it is a badge. It’s about them, it’s not about the brand.
E ancora:
Commitment is what is required to change minds. We change our minds because we have made a commitment because something moves us.
Un post in stile weekend che prende spunto da Techcrunch. Il personaggio è Sergey Brin, cofondatore di Google, che quando pubblicò il curriculum online, ci infilò una chicca da vero geek.
In pratica, all’interno del codice HTML della pagina web ha infilato i suoi veri obiettivi professionali: un grande ufficio, tanti soldi e poco lavoro. Un benefit potrebbero essere viaggi pagati in luoghi esotici.
Obiettivi che penso abbia raggiuto abbondantemente!
Visto che siamo in vena di cose semi-serie, ripesco quella che fu una mia scoperta casuale, più di dieci anni fa e che riguarda sempre Brin, ossia una sua bella foto vestito da donna.
Ennesima conferma che il web non dimentca… Buona domenica!
Bel post di Giovanni Gentili che suggerisce un quadro a due dimensioni (ICT e Politiche digitali) per l’Agenda Digitale.
Concordo in particolare sul rischio di trasformare l’Agenda Digitale in una lista della spesa di materiale informatico per la PA. Peraltro l’abbiamo già visto fare; ad esempio i finanziamenti per l’e-commerce che in realtà permettevano di acquistare computer…
Scrive Giovanni:
(…) il grosso rischio che corriamo è quello di ridurla ad una semplice questione di "informatizzazione", ovvero introduzione di tecnologie nella PA (primo avviso e-gov) e finanziamenti alle imprese per l’acquisto di "macchinari" informatici.
Chiaro lo schema che propone:
Tuttavia, ho voluto commentato il post con un punto di vista disincantato e non certo ottimista:
(…) Trovo che alcuni degli assi su cui si muovono le istituzioni di questi tempi sono le infrastrutture e quindi l’informatica (muovono tanti soldi) e le startup (probabilmente muovono voti e forniscono il look da innovatori).
Delle PMI NON ancora "abilitata dal digitale" (…) e cioè la maggioranza, sembra non importare molto…
Interessante questo articolo su Forbes sul tema della customer experience da cui ho preso spunto per il titolo del post e di cui riporto le raccomandazioni (riprese a sua volta dal libro Summit di F. Scott Addis):
- Listen to the individual customer
- Exploit your product and service differences
- Demonstrate the value of your offering
- Show your passion and creativity in every solution
- Demonstrate your personal commitment
- Shoot for the customers’ hearts
Alcuni punti sono mero buon senso, altri sono complessi da realizzare in maniera compiuta, specie in determinati settori o per talune classi di prodotti.
Idealmente si dovrebbe riuscire a valutare (e governare) il consumatore rispetto alla somma di esperienze rispetto al brand e non solo analizzando i singoli touchpoint. Perché d’altronde è così che le persone valutano le aziende.
Non a caso, il pezzo su Forbes segnala un articolo dell’anno scorso sull’Harvard Business Review (scritto da due analisti di McKinsey), tutto concentrato sul “customer’s end-to-end journey”. Ne cito un piccolo brano:
Most customers weren’t fed up with any one phone call, field visit, or other interaction—in fact, they didn’t much care about those singular touchpoints. What reduced satisfaction was something few companies manage—cumulative experiences across multiple touchpoints and in multiple channels over time.
Aiutatemi a capire. Ieri AGCOM fa un comunicato stampa sulla valorizzazione del SIC (Sistema Integrato delle Comunicazioni), nel quale rileva per la pubblicità online un passaggio da 672 milioni nel 2011 a 1.503 milioni di Euro nel 2012.
Evidentemente il fatturato online NON è triplicato in un anno, per cui penso si applichi la nota (un po’ criptica in verità) che dovrebbe stare a significare che nel 2011 alcuni valori non erano stati considerati. Mi domando che senso abbia rappresentare dati così macroscopicamente incongruenti, ma pazienza.
Ciò che trovo strano è che l’anno scorso AGCOM pubblicò la prima edizione dell’Osservatorio sulla Pubblicità, in cui stimava per il 2011 tutt’altro valore, ossia 1.578 milioni di Euro (grafico di seguito).
Più recente invece il documento “Indagine conoscitiva sul settore dei servizi internet e sulla pubblicità online” sempre di AGCOM (dati di seguito), il quale presenta ancora altri numeri per il 2011 (1.408 milioni di Euro) mentre per il 2012 il dato di 1.503 milioni è quello dell’ultimo SIC (evviva!)
Ripensavo al convegno di qualche giorno fa del Politecnico che ha annunciato una collaborazione con IAB per analizzare il valore del mercato della pubblicità online perché finora non si erano mai parlati…
E’ una storia vecchia: sembra che in Italia si faccia di tutto per tirare ad indovinare quando si tratta dei numeri di internet…
Il tono con cui Forrester si rivolge ai business leaders è perentorio: “Your company is likely to face an extinction event in the next 10 years. And while you may see it coming, you may not have enough time to save your company”.
L’occasione è il nuovo report “The Future Of Business Is Digital” appena pubblicato da Forrester, in cui si analizza come il mondo degli affari nel sui complesso è trasformato dal digital.
Vorrei sottolineare innanzitutto l’evidente contraddizione tra due affermazioni degli executive intervistati:
- 74% of business executives say their company has a digital strategy (il dato è riportato nel post che annuncia l’analisi)
- 21% say “We have the right people to define our digital strategy” (vedi figura in basso)
Ora mi chiedo: ma allora la digital strategy chi l’ha fatta nel rimanente 79% dei casi?
Presumo (lo spero per le aziende) che si siano avvalsi di consulenti o partner esterni. E qui il primo tema è: quali sono i soggetti giusti per aiutare le aziende (specie le medie e grandi) ad impostare una digital strategy? Che non significa (solo) scegliere i canali web e social da utilizzare, come ci ricorda anche Forrester. Nè riguarda solo come pianificare l’advertisinig online…
Inoltre, solo il 15% dei manager ritiene che in azienda ci siano persone con gli skill necessari per eseguire la digital strategy. Un gap che ritengo sempre meno conveniente risolvere con l’outsourcing, specie per quanto riguarda i contenuti e le relazioni con l’esterno.
Forrester titola uno dei paragrafi del report con un concetto chiave: “Digital Business is a Journey, Not a Destination”. Aggiungo che il journey è un viaggio che non finisce, anzi, che è appena iniziato. E allora non basta un biglietto, serve una mappa, un programma del viaggio e, possibilmente, una buona guida.
Chiudo solo segnalando che anche nel sample della ricerca è possibile trovare degli molti spunti su cui impostare una vera digital strategy, nella quale è centrale il tema della customer experience su cui ho scritto di recente (qui e qui).
Come disse Steve Jobs nell’ispirata lecture a Stanford, si possono unire i punti solo guardando all’indietro, avendo però fiducia che i punti in cui si crede prima o poi si collegheranno.
A me pare che ci sono alcuni temi di business che attualmente non si incrociano del tutto (al massimo si sfiorano) e che invece si dovranno collegare nel breve futuro. Li sintetizzo:
- Customer Satisfaction
- Customer Journey
- Customer Engagement Marketing (che affianca il CRM)
- Content Strategy
Un paio di articoli che connettono questi punti:
- CEM vs CRM: Which Platform Is Better?
- The three Cs of customer satisfaction: Consistency, consistency, consistency
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