Archivio: giugno, 2009

Dopo la Settimana Internet (di cui ci sono tutti video e un po’ di interviste online su Codice Internet), tra poco più di due settimane torna a Roma IAB Forum di cui è stato appena divulgato il programma.

Sarà il momento per fare il punto sulle crescenti attività di IAB Italia (ci penserà Fabiano Lazzarini) e sullo stato del mercato (Layla Pavone).

La presenza istituzionale dell'Onorevole Paolo Romani sarà seguita dall’intervento “di scenario” di Gartner che penso risulterà molto interessante per i temi che abbiamo individuato, così come la ricerca “TV + internet: Better Together” che verrà presentata (per la prima volta in Italia, mi pare) da Guy Phillipson, CEO di IAB UK.

Io modererò una delle due tavole rotonde, quella dedicata al rapporto tra la TV e internet, insieme a investitori e concessionarie. L’altra tavola rotonda vedrà un inedito confronto tra centri media e concessionarie. La sorpresa della giornata sarà Enrico Bertolino, noto ai più come comico di Zelig, ma in realtà abile consulente di aziende e organizzazioni sui temi della comunicazione.

Le iscrizioni a IAB Forum Roma sono attive: ci vediamo il 15 luglio!


È stata una bella sorpresa scoprire che uno dei temi degli esami di maturità riguarda i social network. Questa la traccia (via Mantellini):

Internet ed i social Network. Alla luce della recente evoluzione dei social network a livello mondiale, ripercorrere l’evoluzione sociologica dei sistemi di comunicazione di massa. Porre l’accento sul cambiamento formale e sostanziale nei rapporti interpersonali: il concetto di privacy mantiene il suo significato originale? E’ richiesto l’apporto di esempi concreti.

A voler essere pignoli, ritengo ci sia una contraddizione nella contestualizzazione che viene sollecitata, ossia quella dei “sistemi di comunicazione di massa”. Penso che i social network siano invece figli della comunicazione interpersonale, quindi semmai sono l’evoluzione delle feste di compleanno, delle bevute con gli amici, del passaparola verbale, ecc. piuttosto che dei mezzi di massa. O no?

La cosa comunque non mi sorprende: è lo stesso atteggiamento delle aziende che vorrebbero declinare gli spot radio e TV o le paginone sui giornali con una fan page su Facebook…


Settimana Internet @ Roma - martedì 23 giugno Internet e ImpreseCi vediamo stasera a Internet@Roma? Si tratta di uno degli eventi nell’ambito della settimana organizzata in collaborazione con Codice Internet, in questo caso dedicato al rapporto tra internet e imprese.

Dopo l’introduzione di Nicola Zingaretti, Presidente della Provincia di Roma, ci sarà l’intervento di Emilio Carelli, direttore di Sky Tg24, per poi lasciare spazio ad alcuni esponenti delle imprese, tra i quali Pier Luigi Del Pino di Microsoft, Luca Ascani di GoAdv e il sottoscritto. La serata vedrà anche protagonista Marco Monty Montemagno e sarà condotta da Fabrizio Falconi, giornalista di Mediaset.

Appuntamento alle ore 20.30 presso Palazzo Valentini a Roma, sede della Provincia di Roma.


Il grande inganno del Web 2.0 - Fabio Metitieri Sono decisamente in imbarazzo nello scrivere queste note perché, purtroppo, l’autore è scomparso recentemente proprio dopo aver pubblicato questo Il grande inganno del Web 2.0. Per di più, il fatto che mi trovi in quasi totale disaccordo con i concetti espressi, non mi facilità il compito. Avrei davvero tanto sperato nel poter sviluppare un contraddittorio con Metitieri il quale nel libro esplode il suo pensiero critico su blog e web 2.0, peraltro già ripetutamente esposto negli anni attraverso i suoi interventi su alcuni dei principali blog nostrani.

Ho comunque sempre osservato con attenzione le persone “fuori dal coro”: aiutano a sbirciare lì dove si presume non ci sia nulla, a porsi domande mai pensate prima. Magari, dopo un confronto del genere, ci si ritrova a pensarla esattamente come prima, ma i “bastian contrario” sono una manna per stimolare la riflessione. E questo è il primo merito di questo libro che, a parer mio, ne colleziona pure un altro, di cui ne parlerò più avanti. Ora passo alle mie di critiche.

I limiti dell’intero Metitieri-pensiero sono di voler generalizzare su alcune categorie di persone a cui lui attribuisce i peggiori mali del mondo internet, in primis quel gruppo di blogger popolari che proprio non sopporta (i VIB, very important blogger). Si tratta di un’impostazione che i fatti stanno dimostrando evidentemente inesatta, sia perché la fluidità della Rete fa nascere e morire star digitali nello spazio di pochi mesi e chi rimane alla ribalta è solo perché continua a guadagnarsi credito. Sia perché l’individualismo dei blogger tanto odiato da Metitieri, specie quando confrontato con i professionisti della comunicazione, non è rappresentativo di un gruppo omogeneo, ma di una serie di persone che semplicemente generano contenuti in un modo inedito almeno rispetto a qualche anno fa.

Ed è proprio l’attaccamento forzato a vecchie regole di analisi, l’altro punto di partenza del libro che non condivido affatto. In pratica si cerca di tradurre un mondo della comunicazione che vive mille stravolgimenti da diversi anni, con logiche evidentemente superate, a partire dai criteri di gestione e classificazione delle biblioteche che facevano parte del bagaglio professionale di Metitieri. Su questo argomento specifico mi sarebbe davvero piaciuto un confronto: anch’io venti anni fa circa mi sono occupato di biblioteche, sviluppando programmi per PC, ed oggi non posso che ammettere che è inutile e forviante rimanere su quei paradigmi e su quelle metriche per analizzare l’oggi.

Alla fine il libro prende troppo sul serio un gruppo di persone salite alla ribalta in modalità e tempi che Metitieri trova inopportuni. Capisco che costatare un impoverimento dei contenuti digitali possa infastidire un professionista della comunicazione, ma è il classico errore che fanno gli immigrati digitali, abituati a scegliere tra un numero limitato di fonti, mentre in Rete il lavoro è esattamente il contrario e cioè selezionare i contenuti filtrando il rumore, la cui esistenza è il prezzo da pagare per accedere all’abbondanza di materiale disponibile.

Quello che invece sposo sicuramente è il richiamo alla necessità di diffondere una una computer literacy e di una information literacy, ossia la divulgazione di informazioni, modalità operative e best practice per sapersi districare nella miriade di nuove tecnologie con cui accedere alla montagna di contenuti digitali. L’importante è farlo in maniera attualizzata e non con l’orologio fermo a venti anni fa.


Ormai non si riesce più a definire cos’è un brand. Per anni si è detto (e si è studiato) che una marca è la somma dei valori associati ad un prodotto e interi reparti delle aziende sono impegnati quotidianamente (e con grandi risorse) su tutto quello che ruota attorno al branding: comunicazione, pubblicità, brand protection e così via.

Da qualche tempo ci si interroga invece su quanto i singoli individui (e quindi i destinatari, gli acquirenti e i fruitori delle marche), stiano prendendo possesso dei brand. Non solo li scelgono con maggiore consapevolezza, ma ne plasmano i significati (talvolta aggiungendo valore) insieme ad altre persone come loro.

Sta poi avvenendo un’altra cosa: i brand non sono più solo rappresentati da logotipi e altri elementi intangibili supportati da massicce campagne di comunicazione, ma attraverso le persone delle aziende proprietarie dei rispettivi brand. Questo trasforma la relazione che già si è fatta da tempo multi-touch point, ad una situazione “molti a molti”, in cui non sono occorre seguire i consumatori su mille canali e device, ma poi ci si relaziona direttamente con loro mediante molteplici soggetti aziendali. E se qualche dirigente inizia a “metterci la faccia”, peraltro in modo prudente e circoscritto, servono nuove membrane tra le imprese ed il mondo esterno, persone che siano in grado di rappresentare le organizzazioni in ambienti nuovi come, ad esempio, i social network e le community online.

C’è chi ha iniziato a osare,a sperimentare, a capire. Si possono seguire dei riferimenti ma non c’è una scuola o dei manualetti che ti spiegano come fare. Serve il feeling con le comunità, con i tool, con le nuove consuetudini delle relazioni via internet. Alcune aziende sono spaventate, temono che succeda un pandemonio a lasciare parte del controllo a singoli individui (seppur collaboratori interni). Puntualmente, si scopre invece che la relazione tra individui è quella che preferiamo, anche quando abbiamo a che fare con persone con un cappello aziendale, ma che rappresentano l’azienda con una faccia e non da dietro a un asettico brand. Questa divertente discussione su Friendfeed di qualche giorno fa, fotografa bene la situazione.


Merito innanzitutto al titolo di questo studio: “The Silent Click: Building Brands Online”, una ricerca commissionata da OPA (Online Publisher Association), che evidenzia l’efficacia del display advertising sia in termini di branding, sia in riferimento agli acquisti fatti online relativi ai brand in campagna.

La ricerca, che sarà disponibile integralmente  dal prossimo 25 giugno sul sito di OPA, sottolinea questi elementi principali (li riporto nella versione originale):

  • One in five conduct related searches and one in three visit the brands’ sites
  • Users spent over 50% more time than the average visitor to these sites and consumed more pages
  • Users spent about 10% more money online overall, and significantly more on product categories related to the advertised brands
  • Higher income audiences visited the advertisers sites


Raggruppo alcune segnalazioni di questi giorni:

  • Giampaolo mi ha inviato l’interessante “Rapporto su privacy e permission marketing in Italia”, un sondaggio realizzato da Human Highway per conto di Mag-News/Diennea. La ricerca cerca di capire l’atteggiamento degli utenti internet italiani rispetto alla concessione dei propri dati personali. Tra le informazioni che emergono dall’analisi, ho trovato utile l’esame dei campi dei moduli online che scoraggiano maggiormente la loro compilazione. Il rapporto, pubblicato con licenza Creative Commons, è scaricabile qui.
  • Riccardo mi segnala invece che lo scorso 12 giugno è stato proclamato il primo laureato dell’Università e-Campus, l’ateneo on line che ha sede a Novedrate e che da luglio aprirà una sede anche a Roma. Sul blog di Cepu(disclaimer: Cepu è nostro cliente) la il commento del neo dottore.
  • Perfetta la testimonianza di Davide dell’uso di Twitter da parte delle aziende, attraverso due casi che ha vissuto direttamente in questi giorni.


Hai presente l’effetto che fa un bel negozio con l’aria condizionata per chi sta costantemente in mezzo al traffico rumoroso e pieno di smog? Beh qualche giorno fa ho provato una cosa del genere. La metropoli incasinata e insopportabile è il momento di mercato che stiamo vivendo un po’ tutti, fatto non solo di recessione ma di apparente sospensione di volontà, idee, stimoli, fiducia. La ventata di aria fresca è stato invece l’evento Frontiers of Interaction, che si è tenuto a Roma qualche giorno fa.

Come ha twittato Riccardo Luna (che finalmente ho conosciuto de visu proprio in questa occasione), sui contenuti di Frontiers of Interaction ci si potrebbero fare tre di numeri di Wired. Con Leandro Agrò che è uno degli ideatori del progetto ormai da alcuni anni, discutevamo di quanto sia però complicato trasformare l’energia, l’innovazione, le idee viste “alle Frontiere” in interesse concreto da parte delle organizzazioni, sia pubbliche che private.

Una parte del problema penso sia legato alle aziende che tengono spente le antenne dell’innovazione. Talvolta i team di ricerca & sviluppo sono concentrati troppo sul breve periodo o su innovazioni incrementative e non di rottura. In altri casi, i team che dovrebbero fare da membrana tra l’azienda e il mondo degli anni successivi, non sono impostati per filtrare davvero gli stimoli giusti oppure, se lo fanno, cozzano con gerarchie impastate con i loro status quo. Un esempio: un funzionario di un grande gruppo bancario mi raccontava di aver testato con successo un tipico servizio 2.0 che consente di accedere a decine di migliaia di creativi a cui sottoporre un brief di comunicazione, peraltro a condizioni competitive. Pensate la faccia che ha fatto l’agenzia di comunicazione della banca, messa in competizione con una linea di fuoco di migliaia di cervelli a cui, anche solo statisticamente, nessuna struttura tradizionale potrà compararsi per efficienza, costi, probabilità di azzeccare l’idea giusta, ecc.

Ma bisogna stare con i piedi per terra e guardare una realtà italiana che purtroppo continua a indietreggiare (e lo dice un ottimista cronico). Siamo un paese che invecchia e che ha la metà della popolazione passiva, e ciò non stimola certo il cambiamento. Internet modificherà le cose? Mah, forse, ma solo in parte. D’altronde finché la Rete ancora non sarà in grado di spostare voti (e concordo con Stefano Epifani), il suo impatto, che ci piaccia o no, non avrà la forza che riscontriamo in altri paesi nei quali ha senso parlare di “nuovo inizio”, come auspica Luca De Biase. Invece, da queste parti invece, dobbiamo riscontrare l’ennesimo decreto “disordinato” che cerca inutilmente di normare forzosamente meccanismi che sono oggettivamente fuori da quel controllo a cui anelano alcuni governanti.

Mi sa che l’unica speranza è che all’improvviso dal nuovo marchietto Magic Italy, qualcuno faccia davvero una magia. Ecco, un bel genio della lampada che trasformi questo Paese diventato la barzelletta del mondo, in un luogo capace di valorizzare di nuovo la genialità delle sue genti. Ovviamente non ci sarà nessun genio, nessuna magia, nessuna soluzione facile e immediata.

A questo punto, io applico un metodo simile a quando si pianifica una campagna pubblicitaria online: non è fondamentale identificare tutti i siti del web o solo quelli più popolari o più autorevoli, tanto alla fine si paga per il numero di utenti effettivamente raggiunti in base alle proprie esigenze. Così io provo a guardare là dove c’è innovazione, voglia di cambiare, idee, etica, coerenza. Si tratta di rare isole felici, ma esistono e provo a farmele bastare.


Qualche giorno fa discutevano con degli amici sugli ultimi libri letti e del fatto che nel 99% dei casi le mie letture sono dedicate a saggi legati in qualche modo alla mia professione. “Ma un bel romanzo, no?” è stata la domanda chiave.

È vero, sarebbe indubbiamente utile leggere qualcos’altro, ma dovendo decidere su non più di un libro al mese, che è il massimo che riesco normalmente a macinare, la scelta alla fine ricade sempre tra i testi annotati come “quelli da leggere” (attualmente ne ho ancora un paio in backlog).

Altra domanda, questa più impegnativa: “Ma i libri che trattano di scenari futuri, non rischiano di portarti fuori strada quando poi li riporti sulla realtà italiana?”.

È vero anche questo; si tratta di un rischio che conosco e che cerco di affrontare con pragmatismo. In pratica, tento di mediare gli slanci su trend e cambiamenti più o meno prossimi, con il daybyday fatto in casa delle aziende, sviluppando di fatto un senso critico che cerca di adeguare il presente tenendo presente di quello che sta succedendo (o che è già successo ma a distanza di un oceano). Una specie di cambio di fuso orario, con la consapevolezza che il jet lag crea inevitabilmente un po’ di confusione.


IAB Italia ha recepito e tradotto un bel documento elaborato da IAB US che definisce le metriche per i social media. Pur trattandosi di un argomento relativamente nuovo e quindi ancora tutto da definire, questo documento è una buona base di partenza.

Sul sito IAB si può scaricare direttamente il PDF.


Clay Shirky - Uno per uno, tutti per tutti “Quando cambiamo il modo con cui comunichiamo, cambiamo la società”. Semplice assunto per descrivere la portata dei cambiamenti in atto nelle relazioni tra gli individui. Questo è ciò che approfondisce  il libro di Shirky, descrivendo gli aspetti sociali dei nuovi modi di “fare gruppo” e la potenza dei nuovi modelli aggregativi; non a caso il sottotitolo è “Il potere di organizzare senza organizzazione”

Si parte dall’esame della scala evolutiva dei gruppi sociali, attraverso tre fasi distinte: Condivisione, Collaborazione, Azione collettiva. Naturalmente le tecnologie, e internet in particolare, sono l’elemento abilitante, ma qui sono trattate correttamente in quanto strumento senza perdersi in tecnicismi o sofisticazioni.

Interessante il passaggio sul tema dei contenuti, dell’editoria, dell’evoluzione del giornalismo. Condivido la distinzione tra importanza e valore, ove pur riconoscendo la rilevanza dei contenuti professionali, il loro modello economico è inesorabilmente intaccato (con buona pace di Murdoch & Co.):

Per una generazione che cresce senza porsi il problema della rarità che per decenni ha reso l’editoria un’attività così delicata, la parola scritta non ha un valore di per sé. [...] Sebbene l’acqua sia più importante dei diamanti, questi sono costosi semplicemente a causa della loro rarità.

La Rete sta sconvolgendo gli assunti legati alle “medie”: l’utente medio, un comportamento medio, ecc. Indagare sull’uso dei social media, ad esempio, è utilissimo per dimostrare come lo squilibro tra i pochi e i molti aumenti con la diffusione di tali sistemi: meno del 2% degli utenti di Wikipedia contribuisce ai suoi contenuti, così come le persone attive con regolarità su Facebook sono un netta minoranza rispetto al totale degli iscritti.

Il fenomeno del “sotto la media” è ben descritto nell’aneddoto che racconta di Bill Gates, il quale entra in un bar e improvvisamente tutti gli avventori diventano, in media, milionari. Di conseguenza tutti, nel bar, avranno anche un reddito sotto la media.

Di rilievo è la distinzione a proposito del capitale sociale, tra capitale di bonding ossia l’aumento nella profondità delle connessioni e nella fiducia di un gruppo relativamente omogeneo, e capitale di bridging con cui invece si intende la crescita nelle connessioni tra gruppi relativamente eterogenei. Quest’ultimo è uno degli elementi innovativi: la quantità dei nodi di relazione che migliora, ad esempio, le probabilità di incrociare buone idee.

Due note di contorno: trovo scomodi i libri come questo con tutte le note messe a fine libro (meglio in pagina o, al limite, a fine capitolo), mentre mi sembra ben fatta la traduzione di Federico Fasce (non ho letto l’originale ma la versione italiana è scorrevole e senza localizzazioni “forzate”).


Sta succedendo. Internet collega persone e cose da oltre 15 anni, ma ormai non è più solo comunicazione: è un flusso continuo di dati e informazioni. È un contenitore di materiale vivo, che si trasforma, che si adatta e che modifica il suo stesso contenitore. Twit, feed, stream, post: atomi di contenuti incrociati senza governo.

Prendo nota di qualche punto di luce, recente o meno, in questo magma di segnali sparsi tipici dei nostri tempi liquidi:

  • “Streams vs. pages” sottolinea il lungo articolo di John Borthwick (via Stefano Quintarelli): media chiaramente non finiti, in costante evoluzione.
  • “Epoca della sovrascrittura”, come la definì Gianluca Nicoletti in un convegno lo scorso anno, in cui i contenuti si sovrappongono l’un l’altro, fino a sviluppare mashup che si appropriano del concetto di arte (citofonare Maurizio Goetz che ne è un collezionista; l’ultimo? Beat it + Viva la Vida).
  • Sarà poi il turno di Google Wave: quando sarà disponibile, probabilmente contribuirà a scrivere la nuova geografia del real-time, come giustamente sottolinea Alberto D’Ottavi.
  • E le aziende? Beh, possono prendere spunto dalla strategia Foreverism, sintetizzata nel consueto accattivante modo dai consulenti di Trendwatching, sapendo comunque che non basta un account Twitter per entrare nell’era dei touch-point di nuova generazione.

Già nel 2003 Joe Ito riprendeva dal libro Beyond Culture (scritto nel