Vittorio Zambardino si domanda: “E’ obbligatorio "capirci di internet" per parlare di internet?”. Premesso che non dovrebbe essere obbligatorio per nessuno conoscere questo o quello per esprimere la propria opinione (su questo sono un garantista doc, almeno per quanto concerne i media privati), ritengo altresì impossibile pretendere che chiunque scriva di internet “ne capisca”. Che poi diventa anche difficile definire chi è uno che davvero “ne capisce”.

Nei commenti al post di Vittorio si obietta che un giornalista non dovrebbe scrivere commettendo errori così grossolani. Però, attenzione: il post di Alessandro Longo sotto i riflettori, critica un giornalista de Il Giornale che, di fatto, non sa cercare su Google. E allora? Hey ragazzi, allora smettiamo di parlare tutti perché dei 20 milioni di italiani che usano la Rete, almeno due terzi fanno quotidianamente gli stessi errori. Ossia: la maggior parte degli utenti online non sa cercare sui motori di ricerca (andrebbe semmai analizzato perché succede ciò, ma questo ci porterebbe altrove). Per cui, l’articolo de Il Giornale è rappresentativo della realtà, anche se a noi più esperti ci può apparire frutto di incompetenza.

Sono quelle situazioni che mi piace studiare con attenzione proprio per cercare di capire questo gap e tentare di colmarlo; per “girare la clessidra” come scrive Vittorio. Guardando il problema dal punto di vista professionale, ben vengano clienti inesperti e incompetenti, altrimenti dovrei cambiar lavoro! ;-) Certo, i giornalisti inesperti a volte fanno dei danni, ma se siamo sopravvissuti all’equazione internet=pedofilia, allora siamo vaccinati anche a un maldestro uso di Google.

Si, si, arrivo al punto sollevato nelle critiche a ZetaVu: la responsabilità dei giornalisti. Il problema è che chi scrive una stupidaggine sui media tradizionali non può essere contraddetto con le stesse armi, per via dell’accesso limitato ai mainstream media (coem scrive anche Kurai). E questo dovrebbe implicare una maggiore responsabilità da parte del giornalista di turno nell’informarsi e studiare. Si, è vero. Però sono disilluso sulle possibilità che ciò possa avvenire sempre, soprattutto quando si ha a che fare con le tecnologie che mettono a dura prova tutti (non solo i giornalisti) nel correre dietro all’evoluzione.

Io ad esempio, capisco chi non sa cercare su Google e tollero a fatica chi usa impropriamente il termine “cliccare” (sempre Longo); quello che non sopporto proprio è quando si prendono delle ricerche di mercato per rigirarle come gli pare (e qui mi trovo daccordo con un altro post di Longo).

E allora, come rispondere alle inesattezze pubblicate in giro? Io cerco di scrivere, di fare un po’ di education ogni volta che ne ho occasione. Alcune di queste parole riescono ad andare anche su media mainstream e sono amplificate qua e la. Succede con la buona informazione, non con i j’accuse. Voglio dire: ben vengano le bacchettate a chi scrive fandonie (magari arrivano al relativo caporedattore). Ma accettiamole laicamente e cerchiamo di fare la corretta controinformazione.

Semmai il problema è quando “chi capisce di internet” dice sciocchezze; anche questo succede regolarmente ;-)

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4 commenti per “Lasciamoli dire (ma rispondiamo)”

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  1. catepol scrive:

    ho scritto qualcosa da zetavu e provo a dire la mia anche qui.
    il diritto di esprimere la propria opinione è un diritto di tutti. Quando scrivi e il tuo pubblico è una grande quantità di persone e soprattutto quando scrivi di internet, penso sia il caso di ricordarsi, in quanto giornalista o comunque divulgatore di informazione, che tanta gente forse internet non lo usa nemmeno. E’ allora opportuno farsi comprendere da tutti o almeno fornire altre fonti per far approfondire.
    mi capita di parlare di comunicazione mediata da computer…se lo faccio pensando a me come utente medio dò molte cose per scontate…mentre spesso con chi non è al tuo stesso livello è il caso di procedere dall’abc…

  2. Zetavu scrive:

    Ciao Mauro,
    lasciami suggerire una direzione diversa del discorso, che cerchero’ di ribadire in una replica ai commenti.
    Io non parlavo, se non marginalmente, del giornalista che scrive di internet: anche perche’ Longo si riferisce a Leonardo Colombati come giornalista del giornale. Non è così: Colombati è un romanziere.
    Il problema che ho posto e’ che ci sono figure di intellettuali e di professionisti del pensiero che hanno diritto a parlare di “cose internet” all’interno del loro specifico professionale e intellettuale, e questo non è disinformazione perche’ è invece manifestazione di un pensiero altro. E’ vedere la clessidra capovolta, e’ il mio mondo visto da un altro che ne e’ estraneo, e cui io risconosco il diritto di parlare perche’ non posseggo assoluti e verità, ma soprattutto perche rivendico il diritto di parlare del mondo degli altri con i miei attezzi intellettuali.
    Io trovo soprendente che questo argomento non sia colto.

  3. Daniele scrive:

    peccato però che non si sia sopravvissuti all’equazione di internet diale=pornografia….

  4. Maurizio Goetz scrive:

    Non dico che occorre essere esperti di internet, ma almeno aver navigato e fatto un po’ di esperienza. Come si fa a parlare di qualcosa per sentito dire o solo letto nei libri?

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