Archivio: gennaio, 2006

Davidmauro

Un bel pomeriggio passato con David Sifry di Technorati che, a Roma per un convegno, è passato a trovarmi in Ad Maiora, wow! Avevamo in programma un late lunch solo che alle 16 tutti i ristoranti cool qui vicino sono chiusi. Un buon ripiego su Panella che fa sempre fare una bella figura.

Piacevolissima chiacchierata a 360 gradi, come già in un paio di visite nei suoi uffici a San Francisco, ma questa volta più orientata a condividere le reciproche imminenti novità: noi con le nostre ricerche sulle query (a giorni un bell’annuncio) e Technorati con una funzione che sarà live domani e sulla quale abbiamo smanettato un po’.

Foto_121405_002 No, non mi interessa fare lo scoop per una manciata di clickandlinks, mi adeguo al “volare basso” di David e della sua splendida azienda, prendendo ad esempio la porta d’ingresso dei loro uffici con attaccato un semplice adesivo. Take it easy, giusto?  ;-)


Oltre tremila bottoni (o antialias antipixel, se vi piace chiamarli così) già belli e fatti e divisi categoria per arredare il blog su gtmcknight (via ICTblog).

Se poi volete farveli da soli, ricordo il popolare Brilliant Button Maker di Luca Zappa.


Interessante questo tool chiamato Opinmind che è essenzialmente un motore di ricerca dei blog, solo che i risultati sono suddivisi tra quelli positivi e negativi.


Ovviamente è un beta e gli spazi di miglioramento sembrano evidenti, però è una delle prime applicazioni automatizzate e sono sicuro che ne vedremo diverse altre a breve.


Non ho resistito e mi sono divertito a vedere il sentiment rispetto ai search engines; questi i risultati:

  • Google: 75% positivo, 25% negativo
  • Yahoo: 59% positivo, 41% negativo
  • MSN: 49% positivo, 51% negativo
  • AOL: 35% positivo, 65% negativo

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Leggo adesso che Stefano Hesse di Google ha replicato ad un passaggio della mia intervista su VisionBlog. In particolare definisce “inesatta e non corrisponde a realtà” questa mia affermazione:


Non dimentichiamo che l’obiettivo di Google, così come quelli di ogni publisher e network che applicano il modello “pay per click”, è quello di vendere più visite possibili e di monetizzate più keyword possibili. L’inserzionista ha quindi bisogno del supporto di un’agenzia che stia dalla loro parte, e non da quella interessata dei motori di ricerca. Insomma: fareste pianificare la vostra campagna pubblicitaria in TV da un dipendente di Mediaset o di Sipra?

Mi interesserebbe molto conoscere le vostra opinioni. Il tema è quello della disintermediazione dei servizi pubblicitari. Riuscirà Google a cambiare le regole, le figure professionali e quindi i rapporti tra media e investitori pubblicitari?


Stefano scrive che il team di Google è

non solo quello maggiormente esperto di search marketing, ma, evidentemente, anche quello meno interessato a tutto cio’ che non sia il puro risultato positivo per il cliente finale

Mi ha ricordato un bel post di Bambi Francisco, la popolare giornalista di CBS MarketWatch, che scrive dei True Colors di Google:


[...] when starting a business, one has to know whether they’re doing it because they want to change the world in a good way, or because they want to make money. It’s one or the other, not both. He is right. We often have lofty goals. We often remind ourselves of them, as Google does of its own. But more often than not we fail to achieve them. The world changes us far more than we can change it.

Il post prende spunto dalla querelle cinese di Google ma, allo stesso modo, aiuta secondo me a riflettere in merito all’obiettivo di porsi come solutore completo per gli investitori pubblicitari. Sarebbe uno scenario quantomeno innovativo quello in cui gli inserzionisti potrebbero trovare un one-shop, con il team “maggiormente esperto di search marketing” tutto per loro, che pensa solo al loro ROI, che suggerisce solo le keyword che funzionano e scoraggia di usare le altre. Chissà…


Ovviamente l’obiettivo di qualsiasi azienda (agenzia o editore che sia) è quello di portare risultati positivi ai clienti, non solo di Google (in effetti, non ho mai sentito nessuno affermare il contrario. ;-) Il punto è se Google riuscirà a mantenere questa impostazione pur ponendosi sul mercato coprendo teoricamente la filiera completa delle figure professionali normalmente distinte, oppure come scrive Zawodny di Yahoo!: “Has Google Lost Its Soul?


E non ne faccio una questione di “qualità delle persone che lavorano in Google” (non volevo dire questo, mi scuso se ho dato questa impressione), ma di posizione sul mercato che, al momento in cui copre più aree attigue, mi solletica comunque delle preoccupazioni. Nel caso specifico una preoccupazione interessata, perché la mia azienda opera per una parte proprio in una di queste aree. Tanto poi saranno sempre i clienti a decidere, no? ;-)


Con immutata stima (per Google e le sue persone)

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Ho sempre considerato la pubblicità come lo specchio dei tempi, nel bene e nel male. Credo sia proprio insito nel mestiere del pubblicitario il fatto di (cercare di) rappresentare il mondo contemporaneo e magari anticipare i trend. Per cui vale la pena sottolineare uno spot TV della GM per la Pontiac che essenzialmente dice: “Non fermarti a questo spot; vai su Google e scoprici da solo”. Anzi il pezzo finale esatto è “Google Pontiac and discover for yourself”, con Google usato come verbo.


Ho appreso questa news da John Battelle che poi ha anche i link ad uno screenshot dello spot.

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BlogosfereSono molto contento dell’accordo che abbiamo fatto con Blogosfere. Il settore dei blog inizia a svilupparsi anche in Italia a livello professionale e Blogosfere ha già saputo muoversi in modo ben strutturato e originale. Sono sicuro che faremo belle cose assieme.

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Atlante della ComunicazioneLa prossima settimana sarà in libreria l’edizione 2006 dell’Atlante della Comunicazione che contiene anche un Osservatorio della Comunicazione in Italia frutto di contributi editoriali da parte di alcuni professionisti del settore. Molti i nomi noti, tra i quali mi piace segnalare il prof. De Rita del Censis, la cara Rosella Migliavacca (ex Yahoo! e ora Parigi Equity), Stefano Hesse di Google. Anch’io ho scritto un pezzo (il mio faccione è proprio tra Rosella e Stefano) sul valore della pubblicità online.


Ho passato almeno un paio di ore a cercare di capire meglio la vicenda dei dati richiesti dal Dipartimento di Giustizia americano ai motori di ricerca. Provo a ripartire dai fatti, aggiungendo il mio punto di vista.

Un dipartimento governativo americano chiede formalmente a Google, Microsoft, Yahoo! e AOL: a) un campione casuale di ricerche effettuate dagli utenti, b) una lista casuale di siti censiti. Motivo della richiesta: verificare quanto sono esposti i minori ai contenuti pornografici (erroneamente, in molti hanno interpretato la richiesta come verifica della presenza di porno minorile).

Se il fine fosse veramente questo, la richiesta è poco utile. Quali informazioni pensano di ricavare da query e URL random? Tra l’altro, alcune aziende hanno fornito dati ancora più superficiali (AOL, ad esempio, ha consegnato solo le query di un giorno, senza le ULR). Un listone di chiavi di ricerca dice qualcosa? Beh, certo; se il campione è significativo, permette anche di fare indagini di mercato (noi le facciamo, ad esempio), ma il caso in questione assomiglia piuttosto a cercare di fare le previsioni del tempo di domani analizzando i dati di una settimana qualsiasi degli ultimi 12 mesi.

Quindi gli esperti del governo americano hanno preso un abbaglio? Può anche darsi, ma di sicuro è bene porsi alcuni interrogativi. Non mi infilo in meandri legalesi, ma si può discutere sulla legittimità o meno che un governo obblighi aziende private a fornire informazioni relative al proprio business per legiferare di conseguenza (ricordo che la "Internet child protection" è ferma da due anni).

Poi c’è il problema della privacy. Va chiarito che i dati richiesti e quelli forniti finora dai motori di ricerca non contengono nessun riferimento alle persone che li hanno inseriti. Certo, le query possono contenere anche numeri e informazioni personali, ma non credo che questo possa creare problemi a nessuno, a meno delle solite paranoie sul grande fratello. Se passate a Mountain View da Google, c’è un pannello in bella mostra che visualizza tutte query in tempo reale (c’è da tanto tempo anche da Virgilio a Milano!).

Il problema potrebbe diventare invece serio se questa prima richiesta fosse seguita da altre più insistenti e magari orientate a individuare persone specifiche. I più maliziosi pensano proprio a questo (ho tradotto alla buona una parte del post):

Tra le frasi cercate su MSN, Yahoo o Google, ce ne saranno sicuramente alcune come "come costruire una bomba". Ho quindi chiesto a un avvocato se, in presenza di tali parole, il governo ha il diritto di obbligare i motori di ricerca a fornire l’IP dell’utente (e/o il suo accont). Questa la sua risposta: “Si. È il principio delle leggi anticrimine: se i poliziotti entrano legittimamente nella tua casa e scoprono una pistola illegale, il fatto che non erano lì per la pistola non conta. Tu sei cotto!”

Quindi suggerirei di vigilare su questi fenomeni, anche se finora nessun dato sensibile sembra essere uscito dai motori di ricerca.

Chi ha beneficiato di tutto questo can can è sicuramente Google, l’unico che finora non ha collaborato col governo americano e che viene eletto paladino delle nostre informazioni. Chi crede ancora alla Befana ha magari pensato che l’abbia fatto per proteggere la privacy dei suoi cari utenti. In realtà, è evidente che le informazioni gestite da Google hanno assunto una dimensione e quindi una rilevanza enorme, come ben sottolinea il Washington Post (via ZetaVu). Si tratta quindi di una reazione rivolta soprattutto a difendere questo valore straordinario piuttosto che tutelare i propri utenti, visto che Google sa già un mucchio di cose di loro e non è ancora molto chiaro se utilizza queste notizie ed in che modo lo faccia.

Come genitore, ritorno però su un tema che mi sta a cuore, che è quello di poter limitare l’accesso dei minori ai contenuti pornografici, violenti, ecc. È evidente che i filtri dei programmi di navigazione e degli stessi motori di ricerca hanno attualmente un’efficacia limitata. Insomma, il problema è serio e necessiterà qualche azione arbitraria che inevitabilmente potrebbe scontentare qualcuno.

Segnalo che Microsoft, mi pare, sia l’unica finora ad aver esposto la sua versione sul blog di Ken Moss, il boss di MSN, anche se Robert Scoble chiede lui per primo maggiore trasparenza da parte dei suoi colleghi a Seattle. Tra i commenti al post di Moss, segnalo questo che bilancia un po’ le critiche mosse ai motori di ricerca.

Altri link sull’argomento: il servizio di c|net e sempre da c|net un ottimo riepilogo della vicenda; poi ci sono alcuni post su Google Blogoscoped e su BoingBoing. Ovviamente c’è anche il sempre dettagliato lavoro di Danny Sullivan che poi approfondisce soprattutto in merito al valore della fiducia, su cui si segnala anche il preoccupato post di Marco su SKY TG24.

Update 20.55. Ho visto solo adesso la news ANSA di ieri; significativo il passaggio:

Secondo i legali di Google, la consegna dei dati richiesti potrebbe infatti mettera a nudo "segreti commerciali" [...]. Inoltre Google, [...] non muore dalla voglia di collaborare ad una richiesta che mira a studiare i filtri che potrebbero bloccare il suo motore di ricerca.

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Monthly VisionÈ in edicola da oggi il numero di Febbraio di Monthly Vision, il bel mensile di Franco Carlini. Ancora non l’ho letto tutto, ma segnalo un lungo servizio di Francesca Martino su “I nuovi caroselli del web”, che comprende anche un’intervista a Stefano Hesse di Google. C’è anche qualche mia dichiarazione, mentre l’intervista completa al sottoscritto è disponibile online.

In questa intervista si affrontano temi diversi (gli RSS, la realtà amercana, i banner, ecc.) con un approfondimento sui motori di ricerca, rispondendo in particolare alla domanda: “Che cosa ne pensa una società specializzata come Ad Maiora del "fenomeno" Google ?” È una bella domanda, no? Proprio oggi Andrea e Marco si pongono il problema dal punto di vista di un’agenzia che fa search marketing. Qui riporto solo una parte della mia risposta, relativa alle scelte dell’advertiser di relazionarsi direttamente con Google e/o con un’agenzia:

Non dimentichiamo che l’obiettivo di Google [...] è quello di vendere più visite possibili e di monetizzate più keyword possibili. L’inserzionista ha quindi bisogno del supporto di un’agenzia che stia dalla loro parte, e non da quella interessata dei motori di ricerca. Insomma: fareste pianificare la vostra campagna pubblicitaria in TV da un dipendente di Mediaset o di Sipra?

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Cose interessanti di questi ultimi giorni:

  • Microsoft e Yahoo! sempre più vicine. Su Medianima le ultime news dalla stampa USA (tra l’altro, la scorsa settimana ero a New York e sembra che l’argomento sia mooolto caldo)
  • La primissima impressione sul web è quella che conta. Ce lo ribadisce una ricerca canadese di cui scrive Jacopo su IMLI
  • Essere evil o non essere evil? Un’indagine live su quanto si ritiene che Google si evil (per chi non lo sapesse, il motto alla base di Google è “don’t be evil”, non essere malvagio)
  • Grillo modifica il link a BlogItalia.it. Tony ha messo anche il Trackback al mio post sul’argomento “link = fiducia”, ma il fatto merita meggior risalto.


Vittorio Zambardino si domanda: “E’ obbligatorio "capirci di internet" per parlare di internet?”. Premesso che non dovrebbe essere obbligatorio per nessuno conoscere questo o quello per esprimere la propria opinione (su questo sono un garantista doc, almeno per quanto concerne i media privati), ritengo altresì impossibile pretendere che chiunque scriva di internet “ne capisca”. Che poi diventa anche difficile definire chi è uno che davvero “ne capisce”.

Nei commenti al post di Vittorio si obietta che un giornalista non dovrebbe scrivere commettendo errori così grossolani. Però, attenzione: il post di Alessandro Longo sotto i riflettori, critica un giornalista de Il Giornale che, di fatto, non sa cercare su Google. E allora? Hey ragazzi, allora smettiamo di parlare tutti perché dei 20 milioni di italiani che usano la Rete, almeno due terzi fanno quotidianamente gli stessi errori. Ossia: la maggior parte degli utenti online non sa cercare sui motori di ricerca (andrebbe semmai analizzato perché succede ciò, ma questo ci porterebbe altrove). Per cui, l’articolo de Il Giornale è rappresentativo della realtà, anche se a noi più esperti ci può apparire frutto di incompetenza.

Sono quelle situazioni che mi piace studiare con attenzione proprio per cercare di capire questo gap e tentare di colmarlo; per “girare la clessidra” come scrive Vittorio. Guardando il problema dal punto di vista professionale, ben vengano clienti inesperti e incompetenti, altrimenti dovrei cambiar lavoro! ;-) Certo, i giornalisti inesperti a volte fanno dei danni, ma se siamo sopravvissuti all’equazione internet=pedofilia, allora siamo vaccinati anche a un maldestro uso di Google.

Si, si, arrivo al punto sollevato nelle critiche a ZetaVu: la responsabilità dei giornalisti. Il problema è che chi scrive una stupidaggine sui media tradizionali non può essere contraddetto con le stesse armi, per via dell’accesso limitato ai mainstream media (coem scrive anche Kurai). E questo dovrebbe implicare una maggiore responsabilità da parte del giornalista di turno nell’informarsi e studiare. Si, è vero. Però sono disilluso sulle possibilità che ciò possa avvenire sempre, soprattutto quando si ha a che fare con le tecnologie che mettono a dura prova tutti (non solo i giornalisti) nel correre dietro all’evoluzione.

Io ad esempio, capisco chi non sa cercare su Google e tollero a fatica chi usa impropriamente il termine “cliccare” (sempre Longo); quello che non sopporto proprio è quando si prendono delle ricerche di mercato per rigirarle come gli pare (e qui mi trovo daccordo con un altro post di Longo).

E allora, come rispondere alle inesattezze pubblicate in giro? Io cerco di scrivere, di fare un po’ di education ogni volta che ne ho occasione. Alcune di queste parole riescono ad andare anche su media mainstream e sono amplificate qua e la. Succede con la buona informazione, non con i j’accuse. Voglio dire: ben vengano le bacchettate a chi scrive fandonie (magari arrivano al relativo caporedattore). Ma accettiamole laicamente e cerchiamo di fare la corretta controinformazione.

Semmai il problema è quando “chi capisce di internet” dice sciocchezze; anche questo succede regolarmente ;-)


Oggi è il mio onomastico; o dovrei festeggiare a San Mario? ;-)
Auguri agli altri Mauro che capitano da queste parti.


Sull’argomento che sinteticamente chiamo “link = fiducia?” si sta sviluppando una bella discussione online (più avanti metto tutti i link che ho trovato) scatenata dal post di Grillo il quale, citando un report del suo consulente online, attribuisce alla quantità di link che un blog riceve il parametro per misurare fiducia e attendibilità. È un punto di vista che ha trovato critiche quasi unanime tra i bloggers ma ha sollevato un confronto stimolante.

Dario mi ha scritto ieri proponendo di sviluppare un dibattito su come elaborare un criterio di ranking per i blog, confrontandosi anche con Tony di Bloglitalia che proprio in questi giorni ha eliminato la classifica dei preferiti perché vittima dei soliti furbacchioni. Ancora non ho elaborato nulla di intelligente (ammesso che lo faccia in seguito), ma prima di pensare al “come” mi pongo qualche domanda sul “perché”. Ossia: serve davvero una classifica che tenti di indicare i blog migliori? A parte la totale soggettività del termine “migliore”, pur declinato in vari modi (i più affidabili, i più considerati, i più autorevoli, ecc.), resta da capire a chi servirebbe una lista del genere (a parte ovviamente l’ego degli inclusi e degli esclusi).

Io credo e spero nell’intelligenza delle persone, nella loro capacità di sviluppare dei giudizi personali senza bisogno di vademecum e classifiche. E leggo, ad esempio, anche nei commenti sul blog di Grillo, comparire frequentemente opinioni critiche, anche piuttosto dure, che affiancano i conseni e talvolta l’idolatria.

E poi c’è uno dei doni più belli ricevuti da tutti noi alla nascita e cioè l’unicità. Ammesso che esistesse una graduatoria dei siti più affidabili, scommetto che potrebbe trovare pochissime persone che ci si ritroverebbero in toto. Ognuno, giustamente, indicherebbe varianti, aggiunte o esclusioni.

Torniamo ai link, che sono indubbiamente un elemento bellissimo da analizzare e non dimentichiamo che Google ha costruito il suo impero proprio sulla loro elaborazione. Però una cosa è analizzare l’attinenza tra siti sullo stesso argomento collegati da un link, un’altra è dedurre dei parametri qualitativi in modo automatico. Forse “l’influenza” è l’unico elemento che è possibile stimare oggettivamente (come sottolinea Vicenzo nei commenti al post di Giuseppe) , ma anche qui i link vanno pesati opportunamente. Technorati è utilissimo e anche in Ad Maiora lo utilizziamo per erogare dei servizi di misurazione della reputazione online, ma effettuando un indispensabile lavoro di analisi manuale proprio per distinguere il differente contesto e valore di ogni riferimento.

Oltre ai post scatenanti di Giuseppe e Paolo (interessanti anche i commenti ai post), culminati in un combine ironico e divertentissimo, se ne parla su kAy, Mr.Reset, Webgol, Tony Siino, Fratelli d’Italia, Vincenzo Caico, Ubik, Simone Morgagni, Totanus, Kurai. Buona lettura!

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Update (altri blog che mi erano sfuggiti): Terrorpilot, Sandrino, Leibniz

Update 16/1: Anche Enrico Lanzara riassume le discussioni addirittura con uno schema grafico dei post. Simone Morgagni ha inceve stilato un PDF.


Beppe Grillo a teatro o in televisione mi piace e mi diverte. Beppe Grillo on line mi piace meno ma indubbiamente è un fenomeno importante e positivo. Importante per i numeri di traffico che sviluppa (sul bluff dei link torno più avanti) che hanno raggiunto cifre rilevanti: un paio di mesi fa da Nielsen abbiamo verificato circa 700 mila utenti unici al mese; ed è positivo per la visibilità che sta dando al fenomeno dei blog.


Le invettive che arrivano dai post di Grillo stanno contribuendo a creare un nuovo (per l’Italia) modo di dibattere su temi sociali, politici ed economici. La maggior parte dei suoi “proclami” non li condivido, almeno nel modo in cui sono posti. Ma trovo interessante che esistano degli hub dove qualcuno, pur solo attraverso strali provocatori, stimoli altri a pensare, a reagire, a dire la propria. Purtroppo, per ora c’è solo lui che ha la capacità di far succederere questo su un’audience rilevante, ma questa è un’altra storia.


Non so se accetterà (o se qualcuno gli segnalerà mai questa cosa), ma vorrei fare un regalo a Beppe Grillo, e cioè la frase “Power to the Keyboards”, che penso si adatti bene a quello che scrive lui e a quello che sta cercando di far succedere. È un nome che mi volevo tener buono per un’occasione importante e un paio di anni fa lo proposi ad un gruppo editoriale d’avanguardia, ma era troppo presto… Quindi “Power to the Keyboards” potrebbe essere il modo di rappresentare che le tastiere delle persone, dei cittadini, possono diventare una forma di potere. Potere di sviluppare discussioni, di far emergere le verità che i media tradizionali non riescono (o non vogliono) pubblicare. Beppe, se ti piace il nome, utilizzalo pure a tuo piacimento.


Che le tastiere, i blog, la Rete, stiano cambiando le regole del mondo dei mezzi di comunicazione è evidente. Però gli assunti di uno dei suoi ultimi post, L’albo dei Blogger, sono premonitori di qualcosa che non succederà mai, almeno nella forma assolutistica secondo cui, scrive Grillo, i vecchi media scompariranno e che la credibilità è tutta basata sui link che si ricevono.


Poi ci si mette anche Casaleggio, che è di fatto il mentore del Grillo-blog, che pubblica il suo report “La Blogosfera e i Media” commettendo l’errore piuttosto comune di enfatizzare la pur intrigante rilevazione fatta da Technorati sul rapporto tra link che i blog riservano ai media tradizionali rispetto a quelli destinati ad altri blog. Non entro nei dettagli tecnici, ma evidentemente non è un parametro affidabile e lo spiegano bene a anche Paolo Valdemarin e Giuseppe Granieri che lo bocciano severamente (Hey, loro sono mooolto credibili secondo Technorati, come la mettiamo?).


L’ultima vosta che ho incontrato Sifry di Technorati è stato a dicembre, nei loro uffici di San Francisco ed abbiamo parlato al volo anche di questo, della futilità di tali classifiche (almeno quelle fatte con le metriche attuali) e di come pure in Technorati non le prendono particolarmente sul serio.


Anche in Ad Maiora abbiamo pubblicato a novembre alcuni PDF riportando i dati di Technorati, ma evidenziando la crescita dei blog per quantità e soprattutto per numero di post.


È sempre più difficile misurare la credibilità, e un numero assoluto non basta. Quando voglio capire l’importanza di un blog, io ad esempio non mi fermo a Technorati, ma trovo interessante guardare gli iscritti a Bloglines, ossia le persone che usano questo lettore di feed RSS e che sicuramente leggeranno i post dei blog ai quali si sono iscritti; c’è forse da pensare che gli utenti di Bloglines siano più geek della media, ma può essere comunque un paramentro utile. Su Bloglines, ad esempio, ci sono 310 iscritti al blog di Grillo, contro i 156 di Granieri, i 180 di Valdemarin. Il mio blog non è messo male con 165 iscritti.


È uscito un post più lungo di quando prevedevo, sorry. Speriamo che il regalo “Power to the keyboards” arrivi e che sia apprezzato. Basta il pensiero, no?


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Lavatrice Le metafore mi piacciono perché spesso riescono a dare un senso a cose altrimenti identificate in funzione di un’etichetta o un acronimo piuttosto che per il loro uso comune. Per questo, ad esempio, ho sempre considerato il PC come uno dei tanti elettrodomestici; sarà perché negli ultimi 25 anni ho sicuramente usato più computer che gli altri “normali” elettrodomestici.

Questo preambolo per dire che anche i blog sono, a loro modo, un tipo di elettrodomestico; anzi, assomigliano ad uno in particolare: la lavatrice. Non ci credete? Beh, seguite la seguente la tabella (per i puristi della blogosfera che credono che “blog” sia un luogo magico, unico, puro, intoccabile, solo per eletti, ecc. dico che qui si fa dell’ironia ;-) )

la lavatrice il blog
i panni si lavano anche a mano; ma con la lavatrice si risparmia fatica e tempo un sito web non è una novità; ma i blog sono più adatti per determinati scopi
serve un collegamento alla rete elettrica occorre la connessione ad internet, meglio se anche alla blogosfera
serve il collegamento all’acqua ci vuole la linfa vitale che è l’individuo che lo alimenta
nella lavatrice si mettono i panni nel blog si inseriscono i contenuti
centrifuga i contenuti vanno adeguati alla pubblicazione sul blog
un buon lavaggio fa tornare i capi “come nuovi” i contenuti possono vivere di vita nuova se gestiti adeguatamente in un blog
una volta lavati, esibiamo i panni puliti i contenuti si mostrano nel blog e devono essere trasparenti, sinceri
mostrando i vestiti lavati, ci sottomettiamo al giudizio di chi ci guarda i contenuti nel blog sono soggetti ai commenti dei visitatori
anticalcare pubblicare frequentemente, postare anche su altri blog
ammorbidente, profumo trackback, tag
ci sono tanti modelli diversi per qualità, dimensione, costo, servizi molti tipi di blog: personali, giornalistici, CEO blog, pubblicitari, interni, ecc.
caricamento frontale o d’all’alto multi-autore o autore singolo
ad incasso o elemento separato blog integrato con altri siti o autonomo
funzioni sofisticate, programmazione podcast, videoblog
modelli di prezzo diversi: a rate, a consumo piattaforme di blogging gratuite, in abbonamento o server based
se si sbaglia lavaggio, si possono rovinare i vestiti un blog va progettato e gestito con oculatezza, specie per le aziende
lavatrici comandate a distanza moblog
calamite antialias
salta la corrente la piattaforma di blogging non funziona
programmi di lavaggio differenti diversi formati RSS
differenti classi di consumo diversi modelli economici: adsense, paypal, ecc.
lavatrici pubbliche blog confederati
alcuni indumenti vanno lavati a mano il blog non è adatto per ogni tipo di contenuto
con pochi indumenti non conviene mettere su una lavatrice se hai poco da dire è inutile attivare un blog
lavatrice (finta) per la Barbie splog
in quel negozio a due ore di macchina da casa, ho comprato la lavatrice nuova risparmiando 7,35 Euro! l’assegno di Ad Sense gratifica i miei 400 post negli utimi tre mesi: ben 36,25 dollari!
la mia lavatrice lava più bianco della tua! come faceva il mondo prima che nascesse il mio blog?
è stata due ore al telefono a parlarmi della sua nuova lavatrice… oltre che di blog, sei capace di parlare e scrivere di qualcos’altro?
allora siamo daccordo: io faccio le lavatrici, tu stiri se ti metto nel mio blogroll, ricambi il link?
le macchie difficili non vanno via… hey, bello il tuo CEO blog: ma perché non parli dei 15.000 licenziamenti nell’azienda di cui sei vice presidente?
… ed è rimasto anche il rossetto dell’altra ti ricordi quando scrivevi che il tuo competitor era incapace? e allora perché adesso che vi fondete è un’azienda leader?
chi ha lasciato le mutande sulla lavatrice? che c’entra quell’inserzionista AdSense con il mio blog?


Hpim1325 Giusto il tempo di mettere online qualche foto di una quattro-giorni londinese con moglie e figli appena conclusa, e si rifanno le valige: domani si parte alla volta di New York, ma questa volta per lavoro.

Nel viaggio spero di riuscire a contribuire all’interessante discussione in atto in questi giorni su pubblicità e blog. Ho poi un altro post "in caldo" in cui paragono i blog ad un elettrodomestico ben preciso: indovinate quale…

Nel frattempo, la prima settimana di gennaio, come succede ormai da 45 anni, ha visto anche passare il giorno del mio compleanno. Sono tanti? Boh, chisseneimporta! ;-)


Nella continua evoluzione del settore dei motori di ricerca (non mi piace parlare di “guerra dei motori”), le strade prese da Google e Yahoo! sembrano sufficientemente delineate, almeno nel breve periodo.

Continuo invece a non capire del tutto la direzione che persegue MSN. Sanno di essere indietro, ma sicuramente hanno una posizione di mercato e i denari adeguati per fare e per recuperare. Capisco che per Microsoft non sia facile reagire al modo in cui si muovono i più giovani antagonisti (ovviamente Google in particolare), ma è evidente che a Redmond non riescono a raggiungere la velocità e l’approccio a questo mercato che hanno invece intrapreso i principali competitor.

L’ultimo esempio è la nuova beta di MSN beta ;-) di cui leggevo su Motoriricerca.net che inizia a mostrare qualcosa di innovativo ma che non funziona correttamente con Firefox. Da qui il titolo del post: la direzione è giusta, ma si porta dietro un atteggiamento che non sembra proprio adeguato al modo di porsi sul mercato odierno. Ne parlammo anche l’anno scorso a Seattle: seppure l’atteggiamento pragmatico di Microsoft nel trascurare Firefox perché poco utilizzato e perché antagonista di Explorer potrebbe sembrare ineccepibile, questo ragionamento è frutto di una logica che deve essere buttata ai pesci. Al di là del raziocinio del business, le moderne strategie, in particolare quelle legate alla Rete, vanno ripensate in chiave di trasparenza e apertura, anche nei confronti del peggior competitor. Tanto poi il mercato reagirà comunque in funzione della qualità dei prodotti.

Una spiegazione dell’attuale atteggiamento di Microsoft, potrebbe essere l’intenzione di spostare il terreno competitivo da qualche altra parte, ad esempio sui web services. Quindi un search integrato con i software (da Windows a Word) tutti accessibili online e su device multipli (compresa magari la TV). Sarebbe un’esempio di Oceano Blu e aprirebbe situazioni del tutto nuove. Però adesso è il primo gennaio e ho ancora le lenticchie da smaltire per poter ragionare oltre di fanta-internet.

Msnedition Tornando alla beta di MSN, segnalo con piacere la funzione “Change MSN Edition” che permette di ridefinire i contenuti della pagina in funzione di una scelta complessiva. Ovviamente si possono scegliere le sezioni in modo distinto, ma la funzione è comoda per fare tutto con un solo click. Studiando come gli utenti usano i motori di ricerca, a Seattle ho suggerito fortemente a Microsoft di impostare delle funzioni di personalizzazioni di questo tipo. Non so dirvi se l’attuale implementazione sia scaturita dal mio input, ma me ne compiaccio. In verità io penso sarebbe utile un’opzione che influenzi anche i risultati di ricerca, un po’ come aveva iniziato a fare Yahoo! Mindset, ma con maggiori opzioni. Penso a qualche bottone che permetta semplimenente di impostare la ricerca a seconda che si vogliano risultati più orientati allo shopping, ai siti personali, alle testate editoriali, ecc. Chissà se il 2006 ci porterà anche questo?

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