Ho appena girato l’ultima delle 570 pagine de “La nascita della società in rete”, il primo volume della trilogia di Castells sull’Età dell’informazione. Appena trovo una decina di minuti di giusta concentrazione, almeno proporzionati ai tre anni di lavoro che ci sono voluti all’autore per scriverlo, butterò giù una recensione. Nei miei pensieri, nel frattempo, il tomo di Castells si imbatte in due argomenti partiti dallo stesso punto e che poi vanno in direzioni opposte.

Si parte da Google, più precisamente dal suo interno più vero che è la sede di Mountain View in California. Stefano, neo-PR della filiale italiana, visitando il quartier generale di Sergey&Co. evidenzia la netta sensazione di diversità che mi capita di riscontrare anch’io ogni volta che ho a che fare con gente in gamba dall’altra parte dell’oceano. È l’approccio al lavoro che trovo diverso, quel “proud of my job” che si legge negli occhi, con l’obiettivo dichiarato di puntare nient’altro che all’eccellenza. Certo, i perdenti e gli inetti si trovano in ogni azienda del mondo, così come capita di imbattersi nel classico modello yankee workaholic stressato e paranoico. Ma l’ambiente di lavoro delle aziende americane più recenti, evolutosi in ambienti multirazziali assolutamente integrati, tende a favorire naturalmente la creatività dei suoi collaboratori. Ed è proprio sul terreno della creatività, caratteristica tipicamente attribuita storicamente a popoli quale quello italiano, che alcune aziende USA stanno lavorando molto bene.

L’altra storia, che parte sempre da Google, ci racconta invece di un dipendente che ha denunciato l’azienda di Mountain View per discriminazione nei confronti delle persone vecchie. Da notare che il dipendente in questione è una persona di 54 anni (non di 60 o 70) ed è stato licenziato perché non adeguato alla cultura che enfatizza la gioventù e l’energia (he didn’t fit in a culture emphasizing youth and energy).

Come ogni vicenda della vita (anche quella professionale), ci sono sempre almeno due diversi punti di osservazione da tenere in considerazione. Ed in effetti, la freschezza di talune aziende americane, qualche volta nasconde un bella dose di cinismo ed un orientamento assoluto ai numeri, a ogni costo.

Con 25 anni di lavoro alle spalle ed un età più vicina al tipo licenziato che ai founder di Google, mi chiedo se il mio ideale di responsabilità sociale dell’azienda avrà ancora senso nei prossimi anni. Io spero di si. Così come spero che l’analisi di qualsiasi evoluzione tecnologia o organizzativa delle aziende sia valutata in un contesto più ampio; e qui mi ricollego al testo di Castelles che nel voler trattare compiutamente la società in rete, ripercorre il percorso economico ma anche sociale e storico degli ultimi cinquant’anni.

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4 commenti per “Chi sono i vecchi nell’era di Google?”

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  1. Massimo Moruzzi scrive:

    posti la tua recensione anche da noi? (ti creiamo un account :-)

  2. Massimo Moruzzi scrive:

    su frugo.it, intendo

  3. Mauro Lupi scrive:

    quale recensione?
    cmq, yes, appena scrivo qualcosa su prodotti/servizi lo posto anche su frugo.it se ho l’account

  4. Massimo Moruzzi scrive:

    super, thanks :)

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